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Marcello Pamio

Ignaz Philippe Semmelweiss è stato l’emblema vivente dell’oscurantismo scientifico.
Il medico ungherese, assistente nella prima divisione della clinica ostetrica di Vienna, scoprì l’origine della febbre puerperale che sterminava le donne.
Va ricordato che nella capitale austriaca (ma anche nelle altre grandi città dell’epoca) nella prima metà dell’Ottocento morivano dal 27 al 33% delle donne partorienti. Una strage che avveniva giornalmente, fino a quando il grande Semmelweiss stabilì (osservando le ostetriche) una correlazione diretta tra la morte delle giovani mamme e il fatto che i medici e gli studenti che eseguivano le autopsie non si lavavano le mani prima di entrare nel reparto di ostetricia!

Per noi oggi è una cosa scontata, ma era da pazzi all’epoca solo pensare al collegamento tra l’igiene e la morte per setticemia, visto che i batteri non erano ancora stati scoperti...
Ma lui oltre ad essere un medico era anche una persona umile, cosa questa abbastanza rara tra i camici bianchi, e dalla semplice osservazione delle ostetriche che si premuravano di lavarsi per bene le mani prima di toccare una paziente, egli intuì qualcosa che salvò dal quel momento in poi, miliardi di esseri umani. Infatti, non appena riuscì a convincere i colleghi di lavarsi le mani con soluzione di cloruro di calce, il tasso di mortalità crollò ai minimi storici.

Semmelweiss invece di essere osannato ed eletto medico dell’anno, non solo fu licenziato, bandito e preso per il culo dall’intera comunità scientifica, ma a Budapest finì in manicomio, morendo a seguito delle percosse ricevute dalle guardie!
Se oggi Semmelweiss fosse vivo, non verrebbe rinchiuso in gattabuia, ma sicuramente radiato, perché se vai contro l’establishment scientifico, contro il paradigma, ne devi pagare lo scotto!

Infezioni ospedaliere
Nonostante la luce che Semmelweiss ha portato all’umanità, ancora oggi le infezioni ospedaliere sono un problema molto serio, anzi direi serissimo. Ogni anno interessano circa 530.000 italiani.
In Europa 33.000 persone ogni anno muoiono a causa di queste infezioni, e circa un terzo di queste avvengono in Italia, facendoci precipitare all’ultimo posto nella classifica europea stilata dal Centro Europeo Malattie Infettive (Ecdc).
Tanto per capire il problema: 1 paziente su 15 ogni giorno contrae un’infezione durante un ricovero in ospedale, con una probabilità di contrarre un’infezione grave del 6%.[1] 
Secondo il prof David Ropeik della Harvard University, la probabilità di morire in un incidente aereo è 1 su 11 milioni e quella di morire sbranato da uno squalo è 1 su 3 milioni.
Per cui, anche se a molte persone volare o trovarsi muso a muso con uno squalo tigre fa paura, in realtà mettere piede in un ospedale è statisticamente molto più pericoloso!

I dati ufficiali sulle morti però sono molto variegati, si va da 7.800 casi di decesso all’anno[2] (sempre a causa di infezioni acquisite nei nosocomi), pari al doppio delle morti legate agli incidenti stradali[3], a oltre 10.000 morti.[4] 
Questa differenza di numeri non è facilmente spiegabile.

Rapporti Osservasalute
Annualmente l’«Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane» pubblica un rapporto ufficiale sullo stato della salute degli italiani e sulla qualità dell’assistenza sanitaria.
Il direttore dell’osservatorio è Walter Ricciardi, ex direttore dell’Istituto Superiore di Sanità.
Nei rapporti «Osservasalute» degli precedenti (2016-2017) non si trova scritto nulla sulle persone morte per sepsi o infezioni ospedaliere, mentre nell’ultimo datato 2018 e pubblicato qualche giorno fa, esce un quadro a dir poco inquietante!
Innanzitutto vale la pena sottolineare che l’ultimo lavoro è stato possibile grazie al «contributo incondizionato» di IBSA (farmaceutici), Fondazione MSD (Merck) ed Eli Lilly, quindi con i soldi di tre importanti case farmaceutiche. Mentre nei rapporti precedenti non figurano, almeno sulla carta, le lobbies della chimica[5] e, come detto, mancano anche i dati sulla mortalità per infezioni ospedaliere.
Come mai? Non ci sono stati morti in Italia? Eppure i dati visti prima parlavano di 7.000-10.000 morti ogni anno.

Magicamente nell’«Osservasalute» del 2018, il numero delle morti sepsi-correlate, cioè per infezioni prese in ospedale è scritto che è: «cresciuto considerevolmente negli ultimi anni passando da 18.668 del 2003 a 49.301 del 2016».
Quasi 50.000 persone morirebbero quindi in Italia per infezioni ospedaliere, così almeno ha denunciato il 15 maggio scorso, il dottor Ricciardi al Gemelli a Roma[6]
Interessante è che dal primo gennaio 2019 Walter Ricciardi non è più alla direzione dell’Istituto Superiore di Sanità (era stato messo là da Beatrice Lorenzin), avendo dato le dimissioni ben otto mesi prima della scadenza naturale dell’incarico[7]

Non risulta un po’ strana questa coincidenza? Fintantoché Ricciardi era direttore dell’ISS e gestiva l’Osservasalute, nei rapporti non si parlava di sepsi ospedaliere, ma quando l’ex attore molla l’incarico alla sanità, le morti quadruplicano...
Qualcosa ovviamente non torna e le possibili interpretazioni sono diverse.
Da una parte il messaggio di Ricciardi potrebbe sembrare: «quando la salute nazionale la gestivo io, tutto andava per il meglio. Le morti per infezioni erano gestibili, ma ora che non dirigo più l’ISS, stiamo camminando sui cadaveri».
Dall’altra parte, tenendo sempre a mente il famoso detto: «Problema-Reazione-Soluzione», potrebbero far crescere volutamente lo spauracchio con le morti per infezioni (Problema), in modo tale da impaurire le masse di sudditi (Reazione), che finiranno per accettare supinamente ancora più vaccini (Soluzione), anche per malattie per le quali non esiste (e non esisterà mai) una cura specifica.
Infatti già da tempo, parlando di antibiotico-resistenza, abbiamo iniziato a leggere perle di saggezza del tipo: «Vaccinarsi permetterebbe quindi di combattere il problema alla radice, ridurrebbe il numero di antibiotici somministrati e, di conseguenza, rallenterebbe la velocità con cui i microrganismi mutano»[8]. Come se non fosse altrettanto vero che anche la vaccinazione esercita una pressione sull'evoluzione naturale di virus e batteri, che per loro natura sono portati a difendersi mutando per sopravvivere (ricordiamo che virus e batteri convivono col nostro organismo dagli albori dell'umanità, essendo su questo mondo da ben prima di noi, pertanto appare piuttosto ridicolo accanirsi nel volerli "distruggere", anche perché sono talmente numerosi da rendere ormai assodata l’esistenza del cosiddetto «microbiota», tra le altre cose.

Nessuno nega che l’antibiotico-resistenza sia un problema impellente. Lo è eccome, ma usarlo solo per far passare leggi e/o decreti ad hoc con lo scopo di rinchiudere ancora di più le persone negli stabulari dell’Industria petrolfarmaceutica è pericolosissimo.
Anche perché i grandi geni non stanno mettendo in discussione le vere cause dell’antibiotico resistenza - sono tutti troppo impegnati a tremare davanti al terribile microbo x o fungo y - perché la loro volontà è quella di vaccinare l’intera popolazione mondiale.
Le cause che stanno accompagnando a morte decine di migliaia di italiani ogni anno vanno dall’uso eccessivo e sconsiderato degli antibiotici per uso umano (prescritti dagli stessi medici), alle migliaia di tonnellate degli stessi somministrate agli animali da macello per evitare le malattie dovute alle condizioni disumane negli allevamenti intensivi. Due strade che cozzano contro gli enormi interessi economici delle industrie alimentari e farmaceutiche, per cui l’alternativa saranno secondo loro le vaccinazioni di massa!

Secondo l’OMS, il 50% degli antibiotici prodotti in Europa (oltre 10.000 tonnellate) viene usato negli allevamenti intensivi, mentre negli USA tale percentuale raggiunge il 75%.
L’UCS («Union of Concerned Scientists») calcola che sono oltre 11.000 le tonnellate di antibiotici somministrati in USA, per uso non terapeutico, di cui 6.000 tonnellate illegali nell’UE.
Un uso così massiccio di antibiotici negli allevamenti intensivi rende vano qualsiasi lodevole uso appropriato di tali farmaci.
L’esempio della Ciprofloxacina è illuminante. Si tratta di uno degli antibiotici più usati per le infezioni urinarie complicate, che ha iniziato oramai da tempo a dare fenomeni di resistenza batterica (38% di resistenza a E. Coli). Come mai? Semplice: il suo utilizzo negli allevamenti industriali di polli fu approvato dalla FDA nel 1995, nonostante l’opposizione del CDC, Center of Disease Control.
Questo farmaco funziona ancora sullo Pseudomonas, germe caratterizzato dalla capacità di virare la propria resistenza agli antibiotici, capace di dare gravissime infezioni soprattutto in ambiente ospedaliero, nelle sale operatorie. Un uso così indiscriminato quindi di questa molecola, potrebbe rendere lo Pseudomonas completamente resistente, con terribili conseguenze.
L’uso criminale senza regole di questi farmaci, ha portato al paradosso che certi tipi di batteri, per poter crescere in laboratorio, hanno bisogno di precisi antibiotici nel terreno di coltura!

Ma nonostante quanto detto, per il Ministro della Salute Giulia Grillo, l’attuale problema nazionale è l’epidemia (inesistente e inventata) di morbillo!

Note

[1] Report Italiano PPS2 2016/2017 (pag. 2) - Studio di prevalenza italiano sulle infezioni correlate all’assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti – Protocollo ECDC 
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2791_allegato.pdf

«Prevalence of healthcare-associated infections, estimated incidence and composite antimicrobial resistance index in acute care hospitals and long-term care facilities: results from two European point prevalence surveys, 2016 to 2017»
,  https://www.eurosurveillance.org/content/10.2807/1560-7917.ES.2018.23.46.1800516#abstract_content 

[2] Lancet publication_Monnet ECDC_Nov 2018 (elaborazione su dati pag. 6)

[3] Annual Accident Report 2018 (pag 10 - Table 2: Annual number of fatalities by country, 2007-2016)
https://ec.europa.eu/transport/road_safety/sites/roadsafety/files/pdf/statistics/dacota/asr2018.pdf

[4] «In Europa la resistenza agli antibiotici provoca 33mila morti all'anno» https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/altre-news/in-europa-la-resistenza-agli-antibiotici-provoca-33mila-morti-allanno

[5] «Rapporto Osservasalute 2017: Stato di salute e qualità dell’assistenza nelle regioni italiane»

[6] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/boom-di-infezioni-ospedaliere-in-Italia-49mila-morti-anno-9be9182b-1e30-4d24-a166-9424981a3e3e.html

[7] «Istituto superiore di sanità, si dimette il presidente Walter Ricciardi», https://www.corriere.it/salute/18_dicembre_19/istituto-superiore-sanita-si-dimette-presidente-walter-ricciardi-6c5cba14-037f-11e9-94ba-cb54e059ac5f.shtml

[8] https://www.liberoquotidiano.it/news/salute/13386997/contro-lantibiotico-resistenza-bisogna-usare-anche-i-vaccini.html

Corrado Penna 

Analizziamo quanto scritto nell’articolo «Peripheral sympathetic nerve dysfunction in adolescent Japanese girls following immunization with the human papillomavirus vaccine» Disfunzione del nervo simpatico periferico in ragazze giapponesi adolescenti in seguito a vaccinazione contro il papilloma virus umano»)[1], non prima di avere notato che uno degli autori, il primo firmatario, lavora per il Dipartimento di Medicina (Neurologia e Reumatologia) della scuola medica dell’università di Shinshu in Giappone (non esattamente un piccolo ospedale del terzo mondo), che anche il secondo lavora presso la medesima università (Dipartimento di Chirurgia Plastica), e che il terzo lavora per il Dipartimento di Ricerca Clinica dell’ospedale statale di Nagasaki (Kawatana Medical Center). È importantissimo anche notare chi ha finanziato tale lavoro, non un’organizzazione “antivaccinista” ma … il sistema sanitario nazionale del Giappone, come si legge verso la fine dell’articolo, e precisamente la divisione neuro-immunologica del ministero della sanità, e un ente di ricerca sulle patologie incurabili (che fa riferimento ancora una volta al ministero della sanità). Tolto di mezzo ogni possibile fraintendimento sul ruolo dei medici coinvolti nello studio, sulle loro finalità e sui loro finanziamenti, andiamo alla sostanza di quanto vi si trova scritto.

L’articolo riferisce di 44 ragazze che nel giro di 9 mesi si sono recate in quella clinica lamentando diversi sintomi dopo la vaccinazione contro il papilloma virus. Quattro di esse, che soffrivano di altre patologie riconosciute, sono state escluse dallo studio successivo.
L’età della somministrazione della prima dose variava da 11 a 17 anni, e il periodo di incubazione medio dopo la prima dose del vaccino era di 5,47±5.00 mesi, il che vuol dire che in alcuni casi i sintomi si manifestavano nel giro di qualche giorno dall’iniezione vaccinale, e in altri casi anche molti mesi dopo. Le manifestazioni frequenti della sindrome di cui soffrivano queste ragazze comprendeva mal di testa, senso generale di stanchezza, senso di freddo alle gambe, dolore agli arti e debolezza. La temperatura della pelle esaminata in 28 di queste ragazze che manifestavano sintomi agli arti mostrava una leggera diminuzione nelle dita delle mani (30,4±2,6 °C) e una diminuzione moderata nelle dita dei piedi (27.1±3.7 °C).

I sintomi agli arti di quattro ragazze erano compatibili con i criteri diagnostici clinici giapponesi di Sindrome Dolorosa Regionale Complessa (CRPS), mentre quelli di altre 14 ragazze erano consistenti con i criteri diagnostici utilizzati all’estero per definire la medesima sindrome. Il test di Schellong ha identificato otto pazienti con ipotensione ortostatica (rapido calo della pressione sanguigna in seguito al rapido passaggio dalla posizione seduta o sdraiata a quella eretta) e quattro con sindrome di tachicardia ortostatica posturale (disfunzione del sistema nervoso autonomo che porta ad avere diversi sintomi in posizione eretta che diminuiscono quando ci si sdraia: aumento persistente del battito cardiaco, svenimenti, palpitazioni, mal di testa, confusione mentale, stanchezza, ansia, problemi della vista, nausea, diarrea, sudorazione etc.)[2].

Le ragazze con tachicardia ortostatica posturale e con CRPS comunemente subivano transienti e violenti tremori e persistente astenia (stato di debolezza generale, facilità di affaticamento, perdita della forza muscolare). L’esame al microscopio elettronico dei nervi intradermali ha mostrato una patologia anomala delle fibre non mielinate in due ragazze su tre tra quelle esaminate. 
La diagnosi più comune che avevano ricevuto in precedenza le ragazze esaminate era di patologie psicosomatiche, mentre le conclusioni degli autori sono che i sintomi osservati possono essere spiegati con una risposta anormale del sistema simpatico periferico. I problemi sociali delle partecipanti allo studio sono rimasti insoluti dal momento che le ragazze gravemente disabilitate hanno smesso di andare a scuola.

La domanda che si pone a questo punto è: la relazione tra sintomi patologici e vaccinazione, è di tipo causale oppure no? C’è una relazione di causa ed effetto? Nelle conclusioni degli autori leggiamo che “basandoci sulla relazione temporale tra vaccinazione e sviluppo dei sintomi, non possiamo negare la possibilità che la vaccinazione con i vaccini contro il papilloma virus umano possa indurre secondariamente disturbi mediati dal sistema simpatico” e inoltre all’inizio dell’articolo affermano che “eventi avversi della vaccinazione contro l’HPV comprendono comunemente febbre, mal di testa  e dolore locale al sito dell’iniezione. Inoltre è stata notata, dopo la vaccinazione nelle ragazze giapponesi, un’incidenza relativamente alta di dolore cronico agli arti, frequentemente complicato da movimenti involontari violenti di tremolio. In tali casi, un forte dolore spontaneo colpisce una o più estremità ed è consistentemente accompagnato dal freddo degli arti interessati, causando una notevole difficoltà delle attività quotidiane”.

È quindi noto agli autori dalla letteratura di rapporti e articoli scientifici precedenti che il quadro clinico di queste ragazze coincide con un insieme di sintomi che è stato già associato ad effetti collaterali di questo vaccino. Inoltre, come leggerete nella descrizione di alcuni dei casi clinici, più di una volta la ragazza ha iniziato a star male poco tempo dopo la prima dose, è peggiorata con la seconda, e a volte ha avuto un tracollo definitivo con la terza (anche perché nel frattempo i sintomi venivano attribuiti a una condizione psichiatrica o psicosomatica).

A rafforzare l’ipotesi di un rapporto di causa ed effetto tra vaccino HPV e le patologie qui analizzate, gli autori segnalano che il presentarsi isolato di una delle sindromi non è infrequente tra le adolescenti, ma il verificarsi contemporaneo di due di queste sindromi (Ipotensione Ortostatica e Sindrome Dolorosa Regionale Complessa di tipo I) come accaduto a molte di queste ragazze è un evento davvero raro. Inoltre la Sindrome di Tachicardia Ortostatica si verifica spesso in seguito ad un’infezione virale, ma nei casi in oggetto non c’è alcuna segnalazione (nella storia clinica delle ragazze) di un’infezione virale antecedente all’insorgere dei sintomi della patologia, il che suggerisce che il vaccino potrebbe essere stato il meccanismo causale (letteralmente gli autori scrivono che nei casi esaminati “il vaccino è un possibile fattore predisponente”). Infine l’insorgere di tale sindrome in seguito a vaccinazione con Gardasil è stato riportato anche da uno studio scientifico statunitense.

Alcune note riassuntive sugli effetti avversi al vaccino HPV si trovano verso la fine dell’articolo, laddove si legge che fra giugno 2006 e dicembre 2008, (2 anni e mezzo) negli USA sono stati ricevuti 424 rapporti di eventi avversi in seguito a vaccinazione, per un tasso di 53,9 rapporti per 100.000 dosi; si tratta di segnalazioni e non necessariamente di casi per i quali si è accertato un legame di causa ed effetto tra vaccino e reazione, ma i dati raccolti dalla regione Puglia[3] mostrano come questo regime di sorveglianza passiva porta a una fortissima sottostima, tanto che quando è il sistema sanitario a monitorare gli effetti avversi gravi, se ne osservano 300 volte di più.

Di questi effetti avversi al vaccino HPV segnalati negli USA, 772 (il 6,2%) sono stati considerati gravi, e tra questi 32 rapporti di morte. Il tasso di rapporti per ogni 100.000 dosi di vaccino è stato di 8,2 per la sincope (perdita di coscienza transitoria);   7,5 per reazioni al sito locale dell’iniezione;   6,8 per vertigini;   5,0 per nausea;   4,1 per mal di testa;   3,1 per reazioni di ipersensibilità;   2,6 per urticaria; 0,2 per eventi di tromboembolia venosa, disturbi autoimmuni e sindrome di Guillain-Barré;   0,1 per anafilassi e morte;   0,04 per mielite trasversa e pancreatite e  0,009 per malattia del motoneurone. Un’alta frequenza di sincopi è stata osservata immediatamente dopo l’iniezione.

In Giappone invece non sono disponibili dati simili ma i mass media hanno ampiamente riportato che un significativo numero di ragazze giapponesi hanno sofferto di gravi dolori agli arti, tremolìo involontario e disturbi della deambulazione in seguito a vaccinazione contro l’HPV. Recentemente a Tokyo è stata fondata una comunità sociale per queste ragazze, che ha raccolto informazioni riguardo a più di 230 ragazze (antihpvvaccine@yahoo.co.jp).  
Molti dei casi osservati sembrano ricadere nel quadro della sindrome da dolore complesso regionale (CRPS). Tale sindrome si presenta in due sottocategorie, CRPS-I in assenza di danno al nervo, e CRPS-II con danneggiamento del nervo; casi di CRPS-I sono già segnalati, seppure stati raramente in persone vaccinate contro l’epatite B (6) e la rosolia (7), sebbene alcuni (pochi) casi di CRPS-I sono stati segnalati in Australia in seguito proprio alla vaccinazione contro il papilloma virus.

Nell’articolo si legge pure che: «È stato segnalato che alcune malattie neurologiche si sono manifestate in ragazze vaccinate, inclusa la sindrome di Guillain-Barré (4), l’encefalomielite acuta disseminata (41) e la sclerosi multipla (42, 43). (…) L’inizio della sintomatologia si è manifestata nel giro di sei settimane dalla vaccinazione, e il tasso settimanale di segnalazione di casi di sindrome di Guillain-Barré nelle prime settimane (6,6 per 10,000,000) dalla vaccinazione con Gardasil è stato più alto di quello osservato nella popolazione generale.»

E adesso veniamo al riassunto di alcuni casi clinici raccontati nell’articolo

Caso 1: ragazza di 18 anni venuta all’ospedale per continui mal di testa e generale senso di stanchezza, ha ricevuto il vaccino Cervarix ad agosto del 2011, e pochi giorni dopo ha iniziato a soffrire di forti dolori epigastrici (ovvero regione centro-superiore dell'addome) e di mal di testa. Si è sottoposta a una risonanza magnetica presso un ospedale locale, ma non è stato trovato niente di anomalo. I mal di testa però continuavano, assieme a instabilità psicologica e insonnia, a tal punto che non era più capace di andare a scuola, e che era stata indirizzata a una clinica psichiatrica.
A ottobre ha ricevuto la seconda dose ed i sintomi principali (dolori epigastrici e mal di testa) sono peggiorati; in particolar modo la mattina era forte il mal di testa e il senso di stanchezza, ma gli anti-infiammatori non steroidei che ha assumeva non avevano alcun effetto. L’endoscopia ha portato ad una diagnosi di gastrite superficiale, possibilmente dovute a stress psicologico.
A metà febbraio del 2012, nonostante avesse difficoltà a gestire la propria routine quotidiana, con grosse difficoltà ad alzarsi dal letto, continui mal di testa e senso di stanchezza generalizzato, ha ricevuto la terza dose del vaccino. Alla fine, a maggio, ha dovuto lasciare la scuola e seguire un corso per corrispondenza. Inoltre è stata seguita da uno psichiatra, ma senza alcun risultato. Siccome i suoi sintomi peggioravano nel periodo pre-mestruale, si è sottoposta ad una visita ginecologica, ma anche quella non ha mostrato niente di irregolare. Pochi mesi prima del ricovero in ospedale ha iniziato ad avere episodi frequenti di svenimento ortostatico (svenire nel mettersi in piedi). La somministrazione orale di amezinio metilsolfato (10 mg, due volte al giorno), ha risolto tutti i sintomi della paziente e la sua capacità di svolgere le proprie attività quotidiane sono migliorate notevolmente (si tratta di un farmaco antagonista del sistema nervoso simpatico, utilizzato anche per abbassare la pressione).

Caso 2: ragazza di 15 anni che viene ricoverata nel novembre 2013 per continui mal di testa, male agli arti e un disturbo della deambulazione. Ha ricevuto la prima dose di Cervarix alla fine del febbraio del 2011, e la terza dose alla fine di settembre del 2011. Circa 8 mesi dopo, all’inizio del giugno 2012 inizia a lamentarsi di forti dolori ai globi oculari e visione doppia, e un giorno di metà luglio case subito dopo essersi alzata dal letto, a causa della debolezza degli arti sinistri. Portata al pronto soccorso viene sottoposta a risonanza magnetica e a test di laboratorio di routine, senza che venga rilevato niente di anomalo. La debolezza dal lato sinistro va via e la ragazza torna a casa, ma nei giorni successivi spesso si è dovuta assentare da scuola a causa di un dolore pungente e della goffaggine dei movimenti della mano, che le impedivano di scrivere o di usare le bacchette per il cibo. Inoltre è diventata molto sensibile agli stimoli sonori e tattili, come quelli di toccare e utilizzare la doccia, che facilmente le inducevano uno stato di panico, con tremolio involontario degli arti. Dopo avere girato diversi ospedali le è stata diagnosticato un disturbo dell’ansia. All’inizio di luglio 2013 ha sviluppato una grave forma di anoressia, possibilmente dovuta a delle sensazioni veramente fastidiose agli arti, ed è stata ricoverata in ospedale per due settimane. Sebbene lì sia stata trattata per un disturbo dell’alimentazione la sua situazione non è migliorata. Tremori violenti agli arti venivano indotti facilmente se il medico che l’esaminava toccava la sua coscia o la sua gamba. Questi tremori le rendevano impossibile camminare da sola. La somministrazione per via endovenosa si soluzione salina (100 mL) e alprostadil (5 μg) è stata utilizzata per trattare il freddo alle gambe. In seguito a tale trattamento la ragazza tornava a sentire caldo alle gambe (l’alprostadile vien utilizzato generalmente per risolvere il problema della mancata erezione maschile, esso rilassa alcuni muscoli del pene e ne favorisce la dilatazione dei vasi sanguigni). Dopo le dimissioni dall’ospedale a continuato questo trattamento in un ospedale più vicino a casa sua; i tremori alle gambe gradualmente si sono placati, la ragazza è stata nuovamente in grado di camminare e di scrivere, ritornando a scuola tre mesi dopo.

Caso 3: nell’ottobre 2013, una ragazzina di 13 anni è stata ricoverata per dolore agli arti parossistico con mal di testa e difficoltà a deambulare. 3 anni prima le era stata asportata l’ovaia sinistra per un tumore. Aveva ricevuto la prima dose di Gardasil alla fine di giungo del 2012, e due settimane dopo ha iniziato ad avere febbre alta continua (39- 40 gradi) e mal di testa. Vari esami di routine all’ospedale più vicino alla sua abitazione non hanno riscontrato niente di anomalo, e neppure un’endoscopia e una TAC. Sono stati provati diversi tipi di farmaci anti-infiammatori non-steroidei, ma nessuno è servito ad alleviare i sintomi, e di conseguenza la diagnosi che ha ricevuto è stata quella di “febbre psicosomatica”. La ragazza ha smesso di partecipare alle attività sportive della scuola. Alla fine di gennaio del 2013, ha ricevuto la terza dose del vaccino. La sua temperatura alta e il generale senso di malessere gradualmente sono scomparsi, ma in seguito sono apparsi tremori parossistico agli arti, soprattutto quando si sdraiava, la qual cosa le causava ovviamente una grave forma di ansietà notturna, e di insonnia. All’inizio di marzo del 2013, ha iniziato a soffrire di forti dolori agli arti e palpitazioni; il dolore agli arti ha limitato i movimenti della spalla e della coscia, e a volte ha sofferto anche di paresi temporanee delle mani e delle gambe, e le palpitazioni e il malessere al torace aumentavano notevolmente quando la paziente cambiava posizione alzandosi dopo essere stata seduta. Tutto questo le causava difficoltà a camminare e a scrivere, ma all’ospedale, ed anche a scuola, si pensava ancora che fosse un problema psicosomatico. Fu costretta a stare a casa per circa un mese e mezzo. Riusciva a camminare aiutandosi con un corrimano ma solo per brevi distanze, mostrando una postura molto instabile che facilmente la portava a rannicchiarsi. Le è stata diagnosticata quindi una forma di CRPS-I e di sindrome da tachicardia ortostatica posturale (POTS) e trattata con la somministrazione orale di bisoprololo fumarato (un “betabloccante” utilizzato di norma per il trattamento della pressione alta) al dosaggio di 2,5 mg al giorno. Quattro mesi dopo è migliorata la sua capacità di camminare, riuscendo a muoversi con l’aiuto di un bastone, sebbene non sia ritornata a frequentare la scuola.

Caso 4: una ragazza di 16 anni è stata osservata a dicembre del 2013, per problemi di poliartralgia, dolore alle gambe e debolezza. Da bambina aveva sofferto di asma bronchiale e dermatite atopica. Ha ricevuto la prima dose di Cervarix all’inizio di ottobre del 2011 e la terza dose ai primi di marzo del 2012. Un mese più tardi ha iniziato a sentire dolore alle giunture delle ginocchia e un generale senso di stanchezza, con une temperatura corporea leggermente elevata. Ha visitato poche cliniche ortopediche senza riuscire ad ottenere una diagnosi definitiva. L’artralgia si è spostata su alter giunture, e la ragazza ha iniziato a soffrire di tremori parossistici agli arti nell’autunno di quello stesso anno. All’inizio di gennaio del 2013, ha sviluppato dei forti dolori ad entrambi i polpacci che l’hanno costretta alla sedia a rotelle. Lei è stata esaminata all’ospedale locale dove è risultata positiva per gli anticorpi anti-cardiolipina nel siero sanguigno (17 U/mL, e quindi oltre il range di normalità che è fino a 10 U/mL). È stato iniziato un trattamento con prednisolone (10 mg al giorno), ovvero alti dosaggi di un cortisonico, e con il clopidogrel solfato (75 mg al giorno), ovvero un farmaco che contrasta l’aggregazione delle piastrine; i sintomi però persistevano e la ragazza ha smesso di andare a scuola. La paziente mostrava pelle rossastra e secca sulla guancia e sugli arti, possibilmente dovuta a dermatite atopica. Inoltre la paziente di lamentava di un leggero indolenzimento senza rigonfiamento alle articolazioni delle spalle, del gomito, del polso e delle caviglie, e un dolore di simile entità veniva stimolato in entrambi i polpacci quando venivano afferrati con una certa forza.  
A un’analisi successive i livelli di cardiolipina si erano normalizzati (10 U/mL) m a una risonanza magnetica ha mostrato la presenza di un segnale anormalmente alto nei polpacci indicando la presenza di miofascite (infiammazione di un muscolo e della sua fascia muscolare). Due settimane dopo avere smesso di assumere il clopidogrel solfato, la paziente è stata sottoposta a una nuova risonanza magnetica delle gambe che non ha più mostrato la presenza di anomalie nel segnale, e ad un’analisi di un campione del muscolo che non ha riscontrato nessuna alterazione.  

Case 5: nel febbraio del 2014 si presenta all’ospedale una ragazzina giapponese di 15 anni lamentando una transiente debolezza degli arti e svenimenti ortostatici. All’inizio del maggio 2010, aveva ricevuto la prima dose di Gardasil in una clinica degli Stati Uniti, dove vive al tempo la sua famiglia. All’inizio di dicembre 2010 ha ricevuto la seconda dose e pochi giorni dopo ha sentito dolore e debolezza agli arti inferiori, specialmente alla gamba sinistra che le hanno causato difficoltà a camminare. Questo sintomi in è scomparso nel giro di tre giorni, tuttavia un mese dopo ha iniziato a soffrire di intorpidimento e debolezza a entrambe le mani che è durata per due giorni. Dopo di che una forma di debolezza transitoria si è manifestata ripetutamente in entrambe le mani e in entrambe le gambe, e la ragazza ha iniziato a soffrire di svenimenti ortostatici e di malessere addominale. Al ritorno in Giappone è stata visitata in un ospedale, ma tutte le analisi sono risultate negative. Oltre alla debolezza agli arti la ragazza ha iniziato a soffrire di una diminuita capacità di apprendere a scuola; la madre ha iniziato ad accorgersi che era incapace di memorizzare differenti argomenti contemporaneamente e che la sua comprensione dei manuali scolastici era incompleta. La paziente e la sua famiglia erano seriamente preoccupati dei suoi sintomi. Dagli esami è risultato che la forza della presa delle mani era troppo bassa, specialmente a sinistra. Inoltre è stato confermato da un esame medico che la paziente aveva notevoli difficoltà nel comprendere velocemente lunghe frasi. Le è stata diagnosticata una forma di CRPS-I e di POTS (sindrome da tachicardia ortostatica posturale) e i suoi problemi cognitivi sono stati considerati come probabilmente correlati a quest’ultima patologia. È stata trattata con la somministrazione orale di limaprost alfadex a una dose di 5 mg (si tratta di un analogo delle prostaglandine, un potente vasodilatatore che aumenta il flusso sanguigno alla radice dei nervi) tre volte al giorno, e i suoi problemi agli arti sono scomparsi.

 

[1] Pubblicato su Internal Medicine 2014;53(19):2185-200. , autori Kinoshita T, Abe RT, Hineno A, Tsunekawa K, Nakane S, Ikeda S; https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25274229  , articolo completo su https://www.jstage.jst.go.jp/article/internalmedicine/53/19/53_53.3133/_pdf/-char/en.

[2] Tale sindrome adesso viene vista come una patologia legata a una disfunzione del sistema immunitario.

[3] https://www.sanita.puglia.it/documents/36126/4921952/Sorveglianza+degli+eventi+avversi+a+vaccino+in+Puglia+Report+2013-2017/9db6decb-5aaf-426f-b8fe-c9474e9e8468

 

Marcello Pamio

Gli ospedali si mantengono saldamente al primo posto per pericolosità…
Ogni giorno infatti circa 20 persone muoiono per infezioni ospedaliere, e ogni tre giorni invece un neonato subisce un danno sempre all’interno di un ospedale.
L’ultima fotografia che interessa la drammatica condizione dei bambini negli ospedali è stata scattata da AmTrust una società «assicurativa di riferimento in Italia per professionisti e piccole medie imprese».  Stiamo parlando di una delle principali assicurazioni attive nel campo della medicina.

In un Comunicato stampa del 23 ottobre 2018 AmTrust ha presentato i risultati dell’«Osservatorio Baby Case 2018»
L’analisi è stata condotta su oltre 900 casi accaduti e denunciati tra il 2010 e il 2017 all’interno di 138 strutture del SSN assicurate dalla Compagnia.
Se in 7 anni sono stati denunciati 900 casi di malasanità significa, come detto in apertura, che ogni 3 giorni 1 bambino subisce un danno!
Dati purtroppo sottostimati, perché AmTrust ha potuto registrare e seguire ovviamente solo i casi denunciati e solo quelli nelle strutture da loro assicurate. E tutti gli altri? Per esempio i danni non denunciati? Non sempre i genitori hanno la forza di reagire chiedendo giustizia; tenendo conto - spiega sempre AmTrust - che la maggior parte delle denunce arriva diversi anni dopo la nascita!
E i danni accaduti in altre strutture? Il Ministero della salute cataloga ben 1386 di strutture di ricovero pubbliche e private in Italia…

La situazione è allarmante ma, per fortuna, si sta edulcorando un po’, stando alle cifre del 2018 che lasciano intravedere una lieve flessione, una inversione di tendenza.
Felicissimi per questa tendenza a ribasso, ma non possiamo stabilire se sia dovuta a un netto ed improvviso miglioramento delle condizioni ospedaliere, o magari agli effetti psicologici nefasti indotti dalla Legge Lorenzin (L.119/2017 sull’obbligo vaccinale), che ha fatto lievitare enormemente la pressione sia sulla classe medica che sui genitori, facendo sì che nessun camice bianco si arrischi più a parlare male dei vaccini (figuriamoci associargli un danno), e forse sortendo lo stesso risultato anche sulle denunce di malasanità!
Giusto oggi, ad esempio, leggiamo che in una sola settimana ben 4 neonati sono morti all’interno dello stesso ospedale di Brescia.[1]
Ovviamente la direzione sanitaria esclude l’esistenza di un nesso fra gli episodi. Il primario del centro Gaetano Chirico afferma: «Non è epidemia, non c’è alcun focolaio, il rischio è di generare timori e allarmi infondati».[2] Sarà sicuramente come dice, ma stranamente tutti i neonati erano ricoverati nello stesso reparto di terapia intensiva…
Anche perché lo stesso reparto era stato chiuso l’estate scorsa dopo la morte di un neonato per un’infezione causata da un misterioso germe.
Ricordiamo però che il problema nazionale è il morbillo e coloro che non si vaccinano!

 

[1] https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lombardia/brescia-un-altro-neonato-morto-in-ospedale-e-il-quarto-in-pochi-giorni_3184168-201902a.shtml

[2] «Brescia, neonato muore in ospedale per un’infezione: disposta l’autopsia. È il terzo caso in una settimana», https://www.corriere.it/cronache/19_gennaio_06/brescia-neonato-muore-ospedale-un-infezione-disposta-l-autopsia-terzo-caso-una-settimana-31ce2d30-119c-11e9-9792-87746038bd2f.shtml

Marcello Pamio

I vaccini sono sicuri? Domanda retorica, ovviamente per la visione ufficiale, anche se è mal posta.
La domanda corretta secondo l’establishment, dovrebbe essere: «i vaccini fanno bene o benissimo»?
Stando invece ai risultati delle analisi biologiche e chimiche finanziate dall’associazione Corvelva, quello che salta fuori dalle fialette vaccinali supera il film horror più spinto.
Questi «farmaci biologici» dovrebbero contenere SOLO antigeni (virus e/o batteri), adiuvanti e pochissimo altro, in pratica dovrebbero essere esenti da tossine e contaminanti, perché la loro sicurezza è prioritaria, e invece sono delle vere e proprie zozzerie, discariche pregne di sostanze anche sconosciute e a livelli preoccupanti.

Stiamo parlando della presenza abnorme di DNA, animale (pollo, bovino, ecc.), umano (cellule diploidi fetali) e batterico.
I virus contenuti in alcuni vaccini hanno subìto centinaia di mutazioni dando origine a qualcosa di diverso dall’originale. Addirittura alcuni virus il laboratorio non è stato in grado di trovarli nelle fiale, come quello della rosolia e della polio.
La cosa che invece è saltata agli occhi è stata la quantità industriale di proteine allergizzanti oltre a centinaia di sostanze chimiche diverse (farmaci, pesticidi, alcaloidi, ecc.).

Ha ancora senso parlare di sicurezza?
Ma nonostante dal vaso di pandora scoperchiato stia uscendo di tutto e di più, il verbo impone che i vaccini sono sicurissimi ed innocui.
Così sicuri, che qualche giorno fa la ULSS6 di Padova ha spedito a farmacisti e addetti alla prevenzione una e-mail privata informando che nel nuovo portale è «stata inserita la voce "segnalare una reazione avversa da farmaco" con il link al portale VIGIFARMACO per la segnalazione on-line delle sospette reazioni avverse da farmaco o vaccino». Come mai parlano di «reazioni avverse» e «vaccini»?

Che sia stato un gravissimo errore del webmaster, o anche questi farmaci possono avere effetti collaterali?
Lo trovo strano, perché stando alle dichiarazioni dei burioni, lopalco e villani di turno, sembra che l’acqua potabile sia molto più pericolosa di un tossico vaccino inoculato nel corpo di un neonato.
Nella stessa e-mail si avverte pure che «i medici e gli altri operatori sanitari sono tenuti a segnalare tempestivamente le sospette reazioni avverse», e che «la definizione di reazione avversa comprende qualsiasi "Effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale.
Il comunicato termina con una precisazione molto interessante: «NON è necessario avere la certezza della correlazione tra farmaco e reazione avversa».

Qual è il senso di questa comunicazione partita dalla ULSS6 e destinata ai farmacisti?
Il portale Vigifarmaco è attivo da anni, ma evidentemente non così conosciuto dagli addetti del settore - benché sia proprio a loro che viene demandato il compito di rendere la farmacovigilanza uno strumento efficace.
Se i vaccini sono sicuri perché la necessità di un promemoria sul compito di segnalare le sospette reazioni avverse?
Forse si stanno accorgendo che così sicuri proprio non sono...
Per caso si stanno verificando sempre più reazioni avverse nell’ultimo periodo, grazie alla legge 119/2017 che ha fatto aumentare esponenzialmente il numero dei vaccini obbligatori, e vogliono monitorarle? O forse si sono resi conto che sempre più cittadini sono costretti a farla da sé, la segnalazione, trovando spesso un muro di gomma o personale impreparato?

Ripetiamo l’ultimo passaggio della ULSS6, proprio perché stiamo assistendo ad una gravissima e pericolosa superficialità e menefreghismo da parte di medici ospedalieri e/o pediatri: «i medici e gli altri operatori sanitari sono TENUTI a segnalare tempestivamente le sospette reazioni avverse» e «NON è necessario avere la certezza della correlazione tra farmaco e reazione avversa».
Chiaro?

 

Massimo Mazzucco

È il sogno proibito di tutte le case farmaceutiche. Una malattia che non c'è ancora, ma che deve per forza esistere, annidata là fuori da qualche parte, alla quale noi dovremo semplicemente dare un nome, una volta che l'avremo scoperta.
Per ora la chiameremo semplicemente malattia X.
Guardate cosa scrive «Eco Health Alliance», una organizzazione dedicata allo studio delle pandemie nel mondo. L’articolo si intitola «Malattia X: la prossima pandemia».
«A molte miglia dalla città più vicina, nascosto negli anfratti scuri di una grotta nella provincia Guangdong, lui aspetta. O forse si nasconde negli alti fogliami che avvolgono il fiume Kinabatangan. O forse giace dormiente in una delle migliaia di specie originarie dell’Amazzonia. E’ la malattia X».

Sembra l'inizio di film horror. E invece:
«Non è fantascienza, è la realtà. La malattia X è lo stupido nome dato alla minaccia estremamente seria che i virus sconosciuti rappresentano per la salute umana. Insieme alle febbri emorragiche come Ebola, Marburg, e Lassa, insieme ai virus encefalitici come MERS, SARS, e Nipah, alle malattie trasmettibili come la febbre emorragica del Congo, la febbre della Rift Valley o il virus della Zika, la malattia X è uno dei patogeni elencati di recente nella lista delle priorità dell'organizzazione mondiale della sanità.
Mentre abbiamo visto l'impatto che la maggior parte di queste malattie può avere - vi sono state grosse pandemie di SARS, Ebola, and Zika negli ultimi 15 anni - non sappiamo che cosa posso fare di preciso la malattia X, perché ancora non conosciamo cosa sia.
Ci sono 1,67 milioni di virus sconosciuti su questo pianeta. Al meglio delle nostre stime, qualcosa fra i 631.000 e gli 827.000 di questi virus hanno la capacità di infettare le persone. Gli scienziati attualmente conoscono solo 263 virus che possono infettare la popolazione, il che significa che non sappiamo praticamente nulla del 99,96% delle potenziali minacce epidemiche»

Cioè praticamente, metti il numero ipotetico a qualche milione di miliardi, e poi scopri che conosci solo l’infinitesima parte di quel numero potenziale. Questa è la petitio principii, applicata alla scienza.
«Sappiamo però quali specie possono più facilmente trasportare la malattia X. Conosciamo le famiglie virali alle quali la malattia X probabilmente appartiene, e quindi quali tipi di virus possono più probabilmente esserle simili. Grazie alla nostra mappa globale con i punti caldi a rischio di pandemia, noi sappiamo in quali parti del mondo la malattia X abbia più probabilità di attaccare le persone».

Cioè, la malattia non esiste ancora, ma loro sanno già a quale virus assomiglierà, e soprattutto dove andrà a colpire.
«Ed è qui che inizia la nostra ricerca. Eco Health Alliance partecipa al Global Virome Project, un progetto visionario che intende trovare e studiare la grande maggioranza dell'1,67 milioni di virus ancora sconosciuti. La speranza è quella di riuscire a sapere tutto sulla malattia X prima che ci colpisca»

Sono sconosciuti, ma loro sanno già che sono 1,67 milioni. Un po’ come quando calcolavano le "cellule dormienti di Al Quaeda", che nessuno sapeva dove fossero, ma che "erano almeno 5.000"

«La nostra missione è di dare un nome alla malattia X, per aiutare il mondo a prepararsi e a prevenire il suo arrivo fra gli umani. Oggi si trova probabilmente in una foresta a molte miglia di distanza dalla città più vicina, ma questo potrà cambiare rapidamente. Si stima che un virus respiratorio simile all'influenza possa raggiungere tutte le maggiori capitali del mondo nell'arco di 60 giorni. Sono la nostra esperienza e il nostro approccio multidisciplinare che si frappongono fra voi e la prossima epidemia»

Grazie a Dio che ci sono loro!
A questo punto, mi resta solo una domanda da fare: secondo voi, questo "prossimo virus" si annida veramente in una qualche foresta disabitata dell’Amazzonia, oppure si annida piuttosto in qualche laboratorio segreto di una grande casa farmaceutica?

Massimo Mazzucco, tratto da https://www.luogocomune.net/LC/21-medicina-salute/5073-e-in-arrivo-la-malattia-x 

Ecco la pagina della OMS che elenca la malattia X fra le urgenze di cui preoccuparsi

 

Tra i numerosi partner di questa fantomatica associazione, figurano corporation come Boehringer Ingelheim, Colgate, Johnson & Johnson; università del calibro di Princeton, Tufts, California e organizzazioni come CDCGHSA…

Elenco completo dei partner:

Boehringer Ingelheim, Colgate-Palmolive, Good Deed Seats, Harland Clarke, Johnson & Johnson, Cardiff University, Chittagong Veterinary and Animal Sciences University, Chulalongkorn University, Danau Girang Field Centre, Department of Ecology, Evolution, and Environmental Biology, Earth Institute Center for Environmental Sustainability, East China Normal University, John Hopkins Bloomberg School of Public Health, King Saud University, Princeton University, Ross University School of Veterinary Medicine, The Center for International Earth Science and Information Network, Tufts University Center for Conservation Medicine, University of California,

University of Free State, University of Pittsburgh School of Public Health, University of Pretoria, University of Wisconsin Nelson Institute for Environmental Studies, University of Wyoming, CDC Center for Disease Control & Prevention, Department of Veterinary Services, Malaysia National Institutes of Health, National Wildlife Health Center, Ministry of Health, Malaysia, NYC Department of Health, NYS Department of Environmental Conservation, Perhilitan, Sabah Wildlife Department, American Museum of Natural History, The Asian Nature Conservation Forundation, Convention on Biological Diversity, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Future Earth, GHSA Global Health Security Agenda Consortium, International Union for the Conservation of Nature, Instituto de Pesquisas Ecologicas e Planetary Health Alliance

Loretta Bolgan*

Come riportato sul sito dell’ISS (Epicentro) [1] in Italia, ogni anno il ministero della Salute fornisce una panoramica sui vaccini disponibili e la loro composizione aggiornata, attraverso la Circolare sulla Prevenzione e controllo dell’influenza. [2]

I vaccini influenzali attualmente autorizzati per l’uso in Italia sono inattivati, inattivati adiuvati e vivo attenuato (LAIV). I primi possono essere i cosiddetti vaccini split costituiti da virus frammentati e che contengono quindi particelle virali disgregate ed altamente purificate, o a sub-unità che contengono solo gli antigeni di superficie emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA) purificati, mentre gli altri componenti virali vengono rimossi. Uno dei prodotti trivalenti inattivati contiene l’adiuvante MF59, un’emulsione olio-in-acqua composta da squalene. Gli altri prodotti inattivati non contengono un adiuvante.

Il vaccino LAIV quadrivalente viene somministrato con spray intranasale e autorizzato per l’uso in persone di età compresa tra 2 e 59 anni. In questa formulazione i ceppi influenzali sono vivi ma attenuati in modo da non causare influenza e sono adattati al freddo e sensibili alla temperatura, in modo che si replichino nella mucosa nasale piuttosto che nel tratto respiratorio inferiore.

Si sottolinea nella circolare che la vaccinazione è la forma più efficace di prevenzione dell’influenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-19 riportano, tra gli obiettivi di copertura per la vaccinazione antinfluenzale, il 75% come obiettivo minimo perseguibile e il 95% come obiettivo ottimale negli ultrasessantacinquenni e nei gruppi a rischio.

Nonostante la vaccinazione venga riproposta annualmente con una intensa campagna di sensibilizzazione, le coperture vaccinali rimangono particolarmente basse e gli studi che annualmente vengono pubblicati sull’efficacia della vaccinazione dimostrano la scarsissima efficacia di questo tipo di vaccino nel proteggere dalla malattia i vaccinati. Tale risultato può essere in parte spiegato con la rapida modificazione genetica dei virus influenzali che li rende capaci di evadere la risposta immunitaria stimolata attraverso la vaccinazione.

A febbraio 2018 la Cochraine Collaboration (iniziativa internazionale no-profit nata con lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative alla efficacia ed alla sicurezza degli interventi sanitari) ha pubblicato la revisione degli studi epidemiologici sull’efficacia della vaccinazione antinfluenzale per tre fasce di età: bambini sani (41 studi) , adulti sani (52 studi) e ultrasessantinquenni (8 studi). [3]

RISULTATI:
BAMBINI 4

1 Numero di soggetti da vaccinare per evitare l’infezione in un soggetto
2 Sintomi ILI: mal di testa, alta temperatura, tosse, e dolore muscolare

E’ segnalato nella revisione che i dati sulle conseguenze più gravi delle complicanze influenzali che hanno portato al ricovero in ospedale non erano disponibili e che i dati sugli eventi avversi non erano ben descritti negli studi disponibili. Non vi erano sufficienti informazioni disponibili per valutare l’assenteismo scolastico a causa di prove di certezza molto basse da uno studio, e non sono stati identificati dati sul tempo di lavoro perso dai genitori, ospedalizzazione, febbre o nausea.
Una marca di vaccino pandemico monovalente è stata associata ad un’improvvisa perdita di tono muscolare innescata dall’esperienza di un’emozione intensa (cataplessia) e ad un disturbo del sonno (narcolessia) nei bambini.
Solo pochi studi sono stati ben progettati e condotti e l’impatto degli studi ad alto rischio di bias variava tra i risultati valutati. L’influenza e l’otite media erano gli unici risultati in cui la fiducia nei risultati non era influenzata da bias.

ADULTI (16-65 anni)

La vaccinazione può portare a una lieve riduzione del rischio di ospedalizzazione negli adulti sani, dal 14,7% al 14,1%, e a una riduzione minima o nulla dei giorni di assenza dal lavoro (evidenza di certezza bassa). I vaccini inattivati ​​causano un aumento della febbre dall’1,5% al ​​2,3%.
Effetti della vaccinazione nelle donne in gravidanza: la protezione contro l’influenza e ILI nelle madri e nei neonati era inferiore agli effetti osservati in altre popolazioni considerate nella recensione. Anche l’effetto protettivo della vaccinazione nelle donne in gravidanza e nei neonati è molto modesto. I vaccini aumentano il rischio di una serie di eventi avversi, incluso un lieve aumento della febbre, ma i tassi di nausea e vomito sono incerti. Non è stata trovata alcuna prova di un’associazione tra vaccinazione antinfluenzale ed eventi avversi gravi negli studi comparativi. Quindici studi randomizzati inclusi erano finanziati dall’industria (29%).

ANZIANI (oltre i 65 anni) [5]

La quantità di informazioni su polmonite e mortalità era limitata. I dati erano insufficienti per essere certi dell’effetto positivo dei vaccini sulla mortalità. Nessun caso di polmonite si è verificato in uno studio che ha analizzato questo dato e non sono stati riportati dati sui ricoveri ospedalieri. Non disponiamo di informazioni sufficienti per valutare i danni relativi alla febbre e alla nausea in questa popolazione.
Le prove disponibili relative a complicanze sono di scarsa qualità, insufficienti o vecchie e non forniscono indicazioni chiare per la salute pubblica in merito alla sicurezza, efficacia o efficienza dei vaccini antinfluenzali per le persone di età pari o superiore a 65 anni. L’impatto dei vaccini antinfluenzali nelle persone anziane è modesto, indipendentemente dall’impostazione, dall’esito, dalla popolazione e dalla progettazione dello studio.
Da quanto riportato da questa recensione, si può concludere che gli studi revisionati non erano in grado di fornire dati sufficienti per definire l’incidenza delle reazioni avverse e delle complicanze e, nel caso degli anziani, la riduzione della mortalità per le conseguenze dell’influenza. Complessivamente, l’efficacia per i tre gruppi di età è piuttosto modesta e attribuibile alla scarsa capacità protettiva del vaccino nei vaccinati; anche per l’efficacia molte informazioni necessarie per quantificarla sono carenti o assenti. Quindi i dati revisionati sono non conclusivi riguardo il reale beneficio della vaccinazione antinfluenzale.
La scarsa efficacia della vaccinazione antinfluenzale è stata confermata anche in un recente studio pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, “Influenza vaccine effectiveness in an Italian elderly population during the 2016-2017 season”, (marzo 2018), nel quale è stata analizzata una coorte di 64854 soggetti anziani, a cui è stato somministrato il vaccino antinfluenzale nella stagione 2016-17 nel 53,0% dei soggetti. La frequenza della vaccinazione aumenta con l’aumentare dell’età, da meno del 40% in soggetti da 65-69 a quasi il 70% in quelli ≥80, ed era più probabile tra le donne che tra gli uomini. La co-morbilità era, in media, più alta tra i soggetti vaccinati rispetto agli altri (quindi anziani con più patologie a rischio erano più propensi ad aderire alla raccomandazione medica). Soggetti che sono stati vaccinati contro il pneumococco sono stati vaccinati contro l’influenza molto più frequentemente rispetto agli altri.
Nella seguente figura sono riportati i risultati dell’elaborazione statistica:

E nella seguente tabella, l’associazione tra vaccinazione antinfluenzale e visite al pronto soccorso (ED), ospedalizzazioni e decessi dovuti ad influenza e polmonite (ICD-9 480-488) nella stagione influenzale 2016-17 nella zona di Udine, Italia

Come si può notare l’efficacia della vaccinazione è stata praticamente nulla, con addirittura un aumento statisticamente significativo di visite al pronto soccorso, ricoveri e decessi tra il gruppo dei vaccinati, rispetto ai non vaccinati, per tutti i tipi di vaccini antinfluenzali.
In particolare, la vaccinazione tetravalente è quella che presenta il rischio più alto, con un aumento medio del 47% (da 0% a ben 215%)  di ricoveri per complicanze (influenza e polmoniti) e del 12% di decessi (dal 3% al 54%). Un limite importante di questo studio è di aver considerato come cause di morte solo l’influenza e la polmonite, senza dare riferimenti riguardo il numero totale di morti e per quali altre cause. Non ci sono dati relativi all’incidenza di reazioni avverse postvaccinali.
Ne segue che sulla base di questi dati il vaccino antinfluenzale, e in particolare il tetravalente, oltre a non essere efficace, presenta dei rischi significativi, soprattutto per quanto riguarda i ricoveri e i decessi.
In Italia l’influenza A (H3N2) è stata rilevata nell’88% del campione positivo raccolto nella stagione 2016-17. In questa popolazione virale sono stati identificati diversi cluster caratterizzati da sostituzioni amminoacidiche nell’emoagglutinina HA, in particolare le sostituzioni N121K, T135K e I140M, che si ritiene siano responsabili del calo dell’efficacia del vaccino per la stagione 2016-17 osservata tra alcune popolazioni anziane nord-europee.

Loretta Bolgan*
Dottore in chimica e tecnologie farmaceutiche, con dottorato in scienze farmaceutiche ad Harvard medical school Boston. Ha lavorato nel settore dell’industria farmaceutica dove si è occupata di registrazione e sviluppo di progetti di ricerca in ambito oncologico. Consulente di parte legge 210/92, inquinamento ambientale e malattie professionali, ha partecipato all’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito nel gruppo vaccini. Attuale consulente per l’Ordine Nazionale dei Biologi per la tossicologia dei farmaci e dei vaccini, si occupa anche di nutrizione e terapie complementari.

Per le traduzioni dall’inglese, si ringraziano Viviana Mioranza, Giuditta Fagnani e Valentina Sbrana del Cli.Va.

NOTE E BIGLIOGRAFIA

[1] http://www.epicentro.iss.it/problemi/influenza/VacciniDisponibili.asp

[2] Circolare “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2018-2019”
http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2018&codLeg=64381&parte=1%20&serie=null

[3] Raccolta ed analisi dei dati
Gli autori delle revisioni hanno valutato in modo indipendente il rischio di errore e hanno estratto i dati. E’stato usato GRADE per valutare  la certezza dell’evidenza per i principali esiti  di influenza, malattia simil-influenzale (ILI), complicanze (ospedalizzazione, infezione all’orecchio) e eventi avversi. A causa della variazione dei rischi nel gruppo di controllo per l’influenza e ILI, gli effetti assoluti sono riportati come rischio mediano del gruppo di controllo e i numeri necessari per vaccinare (NNV) sono riportati di conseguenza. Per gli altri risultati si utilizzano i rischi aggregati del gruppo di controllo.

[4] Gli studi sono stati condotti su singole stagioni di influenza negli Stati Uniti, Europa occidentale, Russia e Bangladesh tra il 1984 e il 2013. Il limitare le  analisi a studi a basso rischio di bias ha mostrato che l’influenza e l’otite media erano gli unici risultati in cui l’impatto del bias era trascurabile. La variabilità nella progettazione e nel reporting ha ostacolato la meta-analisi degli esiti dannosi.

[5] Raccolta e analisi dei dati
Gli autori delle revisioni hanno valutato in modo indipendente il rischio di bias e i dati ottenuti. Abbiamo valutato la certezza dell’evidenza con GRADE per i principali esiti di influenza, ILI, complicazioni (ospedalizzazione, polmonite) e eventi avversi. Abbiamo presentato i rischi aggregati del gruppo di controllo per illustrare l’effetto in termini assoluti. Li abbiamo usati come base per calcolare il numero necessario per vaccinare e prevenire un caso di ciascun evento per esiti di influenza e ILI. Gli studi sono stati condotti in ambito comunitario e residenziale in Europa e negli Stati Uniti tra il 1965 e il 2000.

D.ssa Loretta Bolgan*

Nei metodi classici di attenuazione di un virus vaccinale si procede fino a quando non si ottiene un’attenuazione soddisfacente (cioè che abbatte la virulenzasenza modificare l’immunogenicità), indipendentemente dal numero di passaggi o da quante mutazioni questo può comportare. In realtà, con l’eccezione dei ceppi vaccinali contro la polio orale OPV, le mutazioni responsabili dell’attenuazione della maggior parte dei vaccini a virus attenuati, non sono state completamente caratterizzate. E’ comunque dimostrato che in alcuni virus attenuati, il numero di mutazioni attenuanti è piuttosto piccolo. Ad esempio ciascuno dei ceppi di poliovirus 1, 2 e 3 attenuati in OPV contiene solo alcune (da due a sei) mutazioni principali attenuanti. Dati i rapidi tassi di mutazione di tutti i virus, ma in particolare dei virus a RNAnon sorprende che alcuni virus vaccinali revertano alla virulenza. Circa uno su 750.000 bambini che ricevono la prima dose di OPV sperimentano la paralisi associata al vaccino contro la poliomielite, attribuibile alla reversione di uno dei tre ceppi. Questa propensione al ripristino della neurovirulenza è uno dei motivi per cui l’OPV è stato sostituito con il vaccino inattivato di polio virus (IPV). Tale reversione può verificarsi come un risultato di mutazioni posteriori (back mutation) che annullano le mutazioni attenuanti, mutazioni compensatorie in altre parti del genoma o, come discusso di seguito, per ricombinazione.

I virus sono noti per lo scambio rapido di informazioni genetiche tra ceppi simili e con le cellule ospiti che infettano. Questo scambio ha profondi effetti sulla natura e sulla rapidità dell’evoluzione del virus e dell’ospite. La ricombinazione tra i virus è un fenomeno comune, così come lo scambio genetico tra virus o retrovirus e genomi ospiti. 
In letteratura sono riportati diversi studi che analizzano la capacità di ricombinazione dei virus vaccinali; in particolare per il vaccino orale contro la poliomielite (OPV) è stata dimostrata la ricombinazione tra i ceppi virali del vaccino, e tra i virus vaccinali ed enterovirus (in particolare coxsackie A), con la formazione di virus infettivi responsabili di epidemie di paralisi da vaccino. Tale plasticità permette ai virus attenuati di adattarsi facilmente alla pressione selettiva indotta dalla vaccinazione [1]. 
L’altro caso ben studiato riguarda il virus del vaccino antinfluenzale: è noto che il riassortimento genetico gioca un ruolo chiave nell’insorgenza di nuovi ceppi di influenza A, compresi i virus pandemici, con un aumento della virulenza [2]. Poiché un ospite può essere co-infettato da più virus influenzali, la ricombinazione può avvenire nell’organismo ospite non solo tra i virus influenzali selvaggi, ma anche con i virus influenzali vaccinali qualora la persona abbia effettuato la vaccinazione [3], esponendola al rischio di sviluppare forme virali potenzialmente più aggressive, per se stesso e per le persone con cui entra in contatto.
Gli altri vaccini che pongono un rischio sia per il vaccinato che per l’ambiente sono i vaccini a virus geneticamente modificati (GM) e i vaccini ingegnerizzati. Gli effetti immunologici indesiderati associati con questa nuova tecnologia di vaccinazione includono reazioni immunopatologiche inaspettate, reazioni autoimmuni (correlate all’induzione di anticorpi anti-DNA) e tolleranza a lungo termine (correlata all’infezione persistente o latente). Tali vaccini possiedono anche il potenziale di subire l’integrazione cromosomica o la mutagenesi inserzionale, portando a inserzioni random di parti dei virus vaccinali nei genomi cellulari dell’ospite, e di conseguenza ad alterazioni dell’espressione genica o attivazione di oncogeni cellulari. 
Un’altra preoccupazione sollevata è il possibile trasferimento o ricombinazione di materiale genetico dai virus GM o dai vaccini ingegnerizzati alle cellule della linea germinale del vaccinato
Inoltre, poiché i ceppi vaccinali possono persistono nei destinatari vaccinati, se la specie bersaglio è un animale da produzione alimentare, il virus può permanere lungo la catena alimentare.
Infine, i virus vaccinali GM e ingegnerizzati si degradano nell’ambiente e producono DNA libero che può agire da inquinante ambientale con effetti biologici, o può interagire con altri inquinanti chimici in grado di modificarne la sequenza genica con effetti imprevedibili sull’ecosistema [4]. 
La conoscenza approfondita di tali meccanismi permette di comprendere il motivo della comparsa di epidemie in popolazioni altamente vaccinate e come la pressione selettiva indotta dalla vaccinazione di massa sull’ecosistema virale nell’ospite vaccinato e nell’ambiente porti all’insorgenza di popolazioni virali resistenti ai vaccini.

Tratto dal sito ufficiale Ordine dei Bioligi 
www.onb.it/2018/10/25/la-ricombinazione-genica-dei-virus-rischi-per-i-vaccini-attenuati-e-ingegnerizzati/

Loretta Bolgan*

*Dottore in chimica e tecnologie farmaceutiche, con dottorato in scienze farmaceutiche ad Harvard medical school Boston. Ha lavorato nel settore dell’industria farmaceutica dove si è occupata di registrazione e sviluppo di progetti di ricerca in ambito oncologico. Consulente di parte legge 210/92, inquinamento ambientale e malattie professionali, ha partecipato all’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito nel gruppo vaccini. Attuale consulente per l’Ordine Nazionale dei Biologi per la tossicologia dei farmaci e dei vaccini, si occupa anche di nutrizione e terapie complementari.

BIBLIOGRAFIA:

[1]  Virol J. 2016 Sep 27;13(1):162.
Characterization of four vaccine-related polioviruses including two intertypic type 3/type 2 recombinants associated with aseptic encephalitis.
Liu J1,2, Zhang H1,2, Zhao Y1,2, Xia L1,2, Guo C1,2, Yang H1,2, Luo N1,2, He Z3,4, Ma S5,6.

Sci Rep. 2016 Dec 13;6:38831.
Exchanges of genomic domains between poliovirus and other cocirculating species C enteroviruses reveal a high degree of plasticity.
Bessaud M1,2, Joffret ML1,2, Blondel B1,2, Delpeyroux F1,2.

[2]  J Virol. 2017 Jan 31;91(4). pii: e01763-16.
Reassortment between Swine H3N2 and 2009 Pandemic H1N1 in the United States Resulted in Influenza A Viruses with Diverse Genetic Constellations with Variable Virulence in Pigs.
Rajão DS1, Walia RR1, Campbell B1, Gauger PC2, Janas-Martindale A3, Killian ML3, Vincent AL4.

[3]  Vaccine. 2012 Dec 7;30(51):7395-9. Possible outcomes of reassortment in vivo between wild type and live attenuated influenza vaccine strains.
Kiseleva I1, Dubrovina I, Bazhenova E, Fedorova E, Larionova N, Rudenko L.

Virology. 2007 Oct 25;367(2):275-87.
Phenotypic properties resulting from directed gene segment reassortment between wild-type A/Sydney/5/97 influenza virus and the live attenuated vaccine strain.
Parks CL1, Latham T, Cahill A, O’neill RE, Passarotti CJ, Buonagurio DA, Bechert TM, D’Arco GA, Neumann G, Destefano J, Arendt HE, Obregon J, Shutyak L, Hamm S, Sidhu MS, Zamb TJ, Udem SA.

[4]  J Toxicol Environ Health A. 2006 Nov;69(21):1971-7.
Use of genetically modified viruses and genetically engineered virus-vector vaccines: environmental effects.
Chan VS1.

Marcello Pamio

In data 16 luglio 2018 la storica Associazione Corvelva per il sostegno della libertà di scelta vaccinale ha inviato all’EMA (European Medicines Agency), l’Agenzia europea che controlla i farmaci, una lettera in cui esprimeva preoccupazione per i risultati delle analisi effettuate.
Facciamo un salto indietro nel tempo, al mese scorso, quando il Coordinamento a proprie spese ha commissionato ad un Ente scientifico altamente qualificato e specializzato nel sequenziamento del materiale genetico, l’analisi di eventuali contaminazioni biologiche in alcuni vaccini attualmente commercializzati in Italia. I vaccini analizzati sono stati sette.
Non sto qua a sottolineare le difficoltà che hanno dovuto superare per trovare un laboratorio serio che analizzi il contenuto vaccinale, e questo non certo per mancanza di laboratori. Stranamente alla parola “vaccini” moltissimi centri interpellati si sono letteralmente glissati.
Strano atteggiamento visto che le analisi erano a pagamento e non a titolo gratuito, ma forse il tema è troppo caldo e pericoloso... Come mai si ha così paura del contenuto dei vaccini pediatrici?

Comunque sia, superata l’impasse, gli esiti sono arrivati e i risultati a dir poco inquietanti.
Le analisi dimostrano che nei vaccini esaminati è presente DNA FETALE UMANO proveniente da un genoma intero in misura superiore ai limiti che EMA ed FDA hanno suggerito alla comunità scientifica. Sono, altresì, presenti modificazioni genetiche rispetto ai ceppi che i produttori indicano nella scheda tecnica del vaccino. Il quantitativo di DNA fetale contenuto nel tetravalente Priorix Tetra (morbillo, parotite, rosolia e varicella) risulta circa 140 volte superiore al limite massimo di 10 ng, e ben 140.000 volte superiore al limite minimo di 10 pg. Non solo, ma tale vaccino presenta molte più varianti genetiche degli antigeni, che potrebbero alterare significativamente sia la sicurezza che la sua efficacia.
Le conclusioni riportate dalla lettera che il Corvelva ha inviato all’EMA erano chiare e prive di fraintendimenti: vista la presenza di contaminazioni significative (DNA fetale) e di importanti varianti genetiche degli antigeni, si pongono dei dubbi sulla sicurezza dei vaccini analizzati.
I riscontri laboratoristici conferiscono ai vaccini analizzati carattere di palese NON CONFORMITA’, e di POTENZIALE NOCIVITA’!
Preoccupazioni molto serie e soprattutto più che legittime, visto che questi farmaci vengono inoculati nel corpo di neonati...

Risposta dell’EMA
L’EMA qualche giorno fa ha risposto alla missiva, facendo subito notare «che come per tutti i medicinali biologici, i vaccini possono contenere quantità residuali di frammenti di DNA che originano dal processo usato per la loro produzione e che non sono considerati contaminanti ma sostanze residue».
Una differenziazione da filo di lana caprina, che denota la chiara presa di posizione dell’ente.
Che c’azzecca sapere che non sono «contaminanti» ma «residui»? Il discorso non cambia di un nanometro il problema: questi «residui» sono legittimi o no? E soprattutto sono innocui alla salute pubblica? Tutto qua.

Precisano poi che «ogni sostanza residua risultante dalla produzione viene attentamente valutata dai regolatori durante la revisione delle autorizzazioni al commercio e ridotti a livelli accettabili».
Anche qui non specificano quali sarebbero i «livelli accettabili». Invece di fornire dati e parametri seri, si sono limitati a dire che tutto viene valutato dai «regolatori»…
L’EMA a questo punto ribadisce che «prende molto seriamente il suo ruolo nella Protezione della salute pubblica». E ci mancherebbe altro, anche perché sono pagati dai sudditi europei proprio per questo motivo. Però dato che «monitora tutti i medicinali già sul mercato, e così pure per la qualità, sicurezza ed efficacia di tutti i vaccini che sono costantemente monitorate dopo l’autorizzazione», qualche piccola perplessità nasce spontanea, visti i sempre più numerosi scandali di farmaci pericolosi ritirati dal mercato dopo aver danneggiato e ucciso persone. Qualche banale esempio?

«EMA ferma la vendita e ritira il farmaco contro la sclerosi. La decisione dell’agenzia europea del farmaco dopo i casi di infiammazione cerebrale, di cui tre mortali».

«Aifa, oltre 700 lotti di farmaci per ipertensione ritirati da commercio».

«Valsartan, l’AIFA dispone il ritiro di alcuni lotti di medicinali»…

L’elenco di farmaci ritirati è lunghissimo, e rappresenta la prova che non esiste alcuna sicurezza quando si parla di farmaci e vaccini.
Andando avanti con la risposta EMA, la chicca arriva quando nella descrizione dei vaccini Priorix Tetra, Vivotif, e Measles live vaccine BP, specificano che il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio nei paesi membri, avviene «tramite procedura di autorizzazione nazionale e non via EMA». Tradotto: non è un problema dell’EMA ma dell’ente nazionale, in pratica se ne lavano le mani e passano rapidamente il cerino acceso nelle mani dell’AIFA
Staremo a vedere se l’Agenza italiana del farmaco, ripasserà la palla all’EMA in un balletto vergognoso.

Linee cellulari
L’EMA dopo aver scaricato il barile, entra nel dettaglio sulle linee cellulari usate per far crescere e proliferare i virus che saranno usati nei vaccini.
Tali cellule (usate dalle industrie) possono essere tumorigeniche, cioè possono scatenare un tumore.
Secondo «la Farmacopea Europea le MRC-5 sono riconosciute come non tumorigeniche, come dimostrato da decenni di utilizzo e controlli, quindi ad esse non si applica un limite superiore».
Affermare che le linee cellulari MRC-5 («Medical Research Council-5», derivanti da cellule estratte dai polmoni di un feto di 14 settimane abortito nel 1966 perché la mamma ventisettenne inglese era internata per “disturbi mentali”), non sono tumorali semplicemente perché vengono utilizzate da decenni, è come dire che il fumo non fa male perché vi sono persone che tabaccano una vita senza ammalarsi. Negli anni Cinquanta erano i medici stessi che consigliavano ai pazienti di fumare sigarette, forse perché il principale sponsor del JAMA, il giornale dell’Associazione dei Medicini americani era la Philip Morris?
Come possono affermare scientificamente che non esiste nesso di causalità tra vaccino e tumore? Dove sono gli studi e i trials clinici?
Come possono stabilire se un tumore o una patologia autoimmune viene slatentizzato dal DNA umano inoculato con i vaccini?
L’oggettiva realtà è che le patologie degenerative, tumorali e autoimmuni sono oramai una vera e propria pandemia: i tumori in età pediatrica sono in crescita esponenziale, e l’Italia ha il triste primato europeo. Per quale motivo i tumori infantili e le malattie autoimmuni erano patologie rarissime ed ora un vero e proprio flagello?
Ovviamente i vaccini non c’entrano nulla perché le linee cellulari non sono «tumorigeniche»: ce lo dice l’EMA!

Limiti consentiti
«Un limite superiore accettabile per i residui di DNA cellulare estraneo deve essere stabilito solo quando il processo di produzione utilizza certe linee cellulari con capacità di moltiplicazione illimitata in vitro». Qui si riferiscono alle cosiddette «linee cellulari continue» (CCLs, Continuous cell lines), cioè a quelle usate nei vaccini dagli anni Ottanta in poi.
Queste cellule particolari, a differenza delle precedenti (non continue) possono potenzialmente mantenersi in vita indefinitamente, in pratica sono cellule immortali.
Derivano direttamente da cellule tumorali umane o animali, oppure dalla trasformazione di una cellula normale (con durata di vita finita) mediante un virus oncogeno o sequenza virale.[1]
Sapere che i medici stanno inoculano nei neonati delle cellule immortali, rese tali grazie a «fattori di crescita tumorali», dovrebbero far venire i brividi a tutti.
Quali sono i rischi dell’utilizzo di queste cellule? Ce lo dice il documento dell’OMS dal titolo: «Raccomandazioni per la valutazione delle colture di cellule animali come substrati per la produzione di medicinali biologici prodotti e per la caratterizzazione di banche di cellule»[2]
Le CCLs possono esprimere virus endogeni e alcuni tumorigenici (nei modelli di animali immunodepressi). Rischi teorici identificati dal gruppo di studio del 1986 (ad esempio acidi nucleici, trasformazione di proteine ​​e virus) devono essere presi in considerazione.
Queste sono le raccomandazioni del WHO.
Nel capitolo «Tumorigenicity» dello stesso documento, molti CCLs (ad esempio BHK-21, CHO, HeLa) sono classificati come tumorigenici perché possiedono la capacità di formare tumori in animali immunodepressi come i roditori. Quindi gli studi dicono semplicemente che sono state testate sui topi, ma non sull’uomo: come mai? Esistono studi seri che vanno oltre la ridicola, disumana e ascientifica sperimentazione sugli animali? Un neonato di qualche mese di vita è paragonabile a un topo cresciuto e vissuto negli stabulari?
Se invece di un topo immunodepresso queste cellule tumorigeniche vengono inoculate nell’organismo di un bambino immunodepresso, qual è il risultato?
Non lo sapremo mai perché i camici bianchi all’unisono sconsigliano quegli esami prevaccinali che potrebbero invece fugare il dubbio di una qualche soppressione del sistema immunitario...

Conclusione
Nessuno sperava nel ritiro immediato di alcuni lotti vaccinali, ma certamente le risposte fornite dall’Agenzia europea non sono sufficienti a garantire quella sicurezza che farmaci biologici come i vaccini, dovrebbero avere. Sembra quasi che l’EMA stia giocando al classico «gioco delle tre carte». Le carte in questo caso non c’entrano, ma il truffaldino giochetto è oramai diventato un modo di dire, ci si riferisce infatti a qualcuno in grado di parlare di una cosa negativa presentandola come positiva e quasi sempre per un tornaconto personale….
Stiamo parlando qui di farmaci iniettati nell’organismo di neonati, quindi non ingeriti per bocca ma somministrati per via parenterale, bypassando le normali vie di entrata del corpo, cioè saltando l’importantissimo MALTmucose-associated lymphoid tissue»), il tessuto linfoide delle mucose (presente sul tratto gastrointestinale, uro-genitale, nei polmoni, occhi e pelle).
Un virus, un batterio o un microrganismo patogeno penetra naturalmente nel corpo attraverso il MALT, quando viene mangiato, bevuto o respirato. Solo l’uomo in camice bianco ha trovato il modo di andare contro natura, saltando questa via naturale di entrata usando una siringa e impendendo quindi l’intervento corretto e sano del sistema immunitario, con tutti i rischi che possiamo solo immaginare.
Attendiamo con trepidazione la risposta dell’AIFA, in vista anche dell’esposto in Procura che verrà depositato a breve, dal momento che gli enti regolatori sembrano assai poco interessati ai gravi problemi evidenziati dalle analisi.
Nella speranza che in Italia vi sia ancora in qualche Procura un magistrato onesto intellettualmente, contrario ai soprusi che stanno vivendo i nostri bambini con la vergognosa imposizione coercitiva della legge 119/2017, e soprattutto che abbia il coraggio di andare contro gli interessi delle lobbies chimico-farmaceutiche.
La speranza, come si dice, è l’ultima a morire…

 

[1]http://www.who.int/biologicals/vaccines/TRS_978_Annex_3.pdf?ua=1

[2]«Recommendations for the evaluation of animal cell cultures as substrates for the manufacture of biological medicinal products and for the characterization of cell banks», http://www.who.int/biologicals/vaccines/TRS_978_Annex_3.pdf?ua=1  

Tratto da www.laleva.org

INTRODUZIONE

1) Aids la strategia del terrore

2) L’HIV non causa l’Aids

3) La quintessenza della truffa: i test sull’Aids

4) Le "cure" ufficiali
a. Un po’ di storia "WELLCOME TO DEATH"
b. La "cura" dell’AZT
c. Le altre "cure" ufficiali

5) Alcune domande
a. Ma l’aids esiste si o no?
b. Cos’è il sistema immunitario e come funziona?
c. E’ l’Aids (o meglio il virus hiv che "causerebbe" l’Aids) contagioso?
d. Ma allora chi si prende l’Aids come se lo becca?
e. Ma se l’Aids non si trasmette attraverso il sangue, sono pericolose si o no le trasfusioni?
f. E’ vero che le categorie più "a rischio" sono tossicomani e omosessuali?
h. E’ l’Aids una malattia mortale?
i. Sono stati colpiti dall’Aids in egual misura entrambi i sessi?
j. La prevenzione è servita a qualcosa sinora?
k. Cosa bisogna fare per non prendersi l’Aids?
l. Esistono cure alternative?
m.Terapie non convenzionali utilizzate nei casi di Aids
n. E il famoso vaccino?
o. Chi sono questi scienziati (medici, ecc.) scettici o "dissidenti" che avversano la teoria ufficiale? Sono essi credibili?

INTRODUZIONE

Vi sono molti medici, scienziati, ricercatori illustri, alcuni persino premi nobel, che affermano che la teoria ufficiale dell’AIDS, per cui sarebbe “il retrovirus HIV che causa l’AIDS”, è falsa e inconsistente, non verificata né provata in laboratorio, ma funzionale ai profitti multimiliardari delle case farmaceutiche e a politiche di controllo e discriminazione di intere categorie sociali, in particolar modo tossicomani e omosessuali.
Molti di essi fanno parte del gruppo di cooperazione internazionale denominato REGIMED “REsearch Group for Investigative MEDicine and journalism”, che si occupa dei problemi etici connessi alla ricerca medica ed alla pericolosità di certe sue applicazioni pratiche, fondato nel 1996 dai dottori Heinrich Kremer e Stefan Lanka.

Heinrich Kremer - dottore in medicina, psichiatria e neurologia, studioso di sociologia, psicologia e politica, ricercatore, esperto in riabilitazione psicosomatica, investigazione clinica su AIDS ed epatiti, trattamento della tossicodipendenza e profilassi delle infezioni - è stato per anni promotore ed organizzatore di progetti di medicina sociale in Germania, fino a quando, nel 1988, si dimise dagli incarichi ufficiali per disaccordi con le politiche del governo federale in materia di droga ed AIDS, e per l’ostracismo manifestatogli dall’establishment medico-farmaceutico nei confronti delle sue prese di posizione in contrasto con le tesi ufficiali sul meccanismo per cui “l’HIV causa l’AIDS”. Negli anni seguenti furono sospesi i finanziamenti per le sue ricerche e i risultati dei suoi studi da tempo vengono ignorati dai media, che stendono una cortina di silenzio sul suo lavoro e sulle sue conclusioni teoriche e pratiche. Dalla fine degli anni ’80 diventa ricercatore indipendente e si dedica alla diffusione di controinformazione su teorie e prassi mediche ufficiali. Dal 1996 diventa anche membro del “Study Group on Nutrition and Immunity” guidato dall’immunologo Alfred Hassing di Berna.

Stefan Lanka - biologo, virologo e genetista, laureatosi in scienze naturali presso l'Università di Costanza - si sta facendo conoscere in tutto il mondo per le sue ricerche scientifiche, in particolar modo nel campo dell'AIDS.
Lanka porta avanti anche un'attività scientifico-legale con Karl Krafeld ed altri collaboratori a Dortmund, per l'abrogazione dei cosiddetti test dell'AIDS, in quanto inaffidabili.
Stefan Lanka si è presentato spontaneamente in un processo per sangue "contaminato da HIV" a Goettingen (Germania), dichiarando sotto giuramento che l'HIV non esiste. Il Tribunale NON HA TROVATO UN SOLO SCIENZIATO UFFICIALE in grado di dimostrare scientificamente l'esistenza del virus in questione.
Il 24/2/97 il tribunale emise la sentenza (censurata dai mass-media): assoluzione totale del medico che era accusato di 14 omicidi e 5800 tentati omicidi. [....]

Va comunque sottolineato che il fronte dei “dissidenti” sulla teoria ufficiale dell’AIDS è molto vasto - ancorché sottoposto a censura e repressione sistematica - e di esso fanno parte anche figure slegate dal gruppo REGIMED che vanno da premi Nobel a medici, psicologi, ricercatori, biomedici, scienziati, politici, scrittori, intellettuali, e gente comune politicizzata, non “televisata” e con gli occhi aperti. Fra questi: Peter Duesberg, virologo esperto in retrovirus, biologo molecolare di fama mondiale; Kary Mullis, premio Nobel nel 1993 per la chimica per aver inventato uno strumento fondamentale di analisi del DNA, la PCR (Polymerase Chain Reaction).

Il sito internet di Duesberg http://www.duesberg.com – in inglese ovviamente – ed il sito Info AIDS – “Tutto quello che non vi hanno mai detto circa l'AIDS” http://infoaids.freeweb.supereva.it/index.htm?p – veramente ottimo ed in italiano – contengono moltissime informazioni (e collegamenti) su quanto affermato, scritto e prodotto da chi avversa la teoria ufficiale dell’AIDS.
Altra controinformazione AIDS in italiano: http://www.laleva.cc/cura/truffa_aids.html

Ma il sito fondamentale è “Rethinking AIDS” (Ripensare l’AIDS) http://www.virusmyth.net/aids/, che contiene collegamenti ad una quantità enorme di documenti.
Il dissenso in Italia è guidato principalmente da Luigi De Marchi (psicologo clinico e sociale) e Fabio Franchi (infettivologo, studioso di teoria e tecnica della metodologia), autori del libro "AIDS la grande truffa" (Edizioni SEAM) in cui vengono demolite le mistificazioni pseudo-scientifiche dell'ipotesi HIV/AIDS.
Va segnalato anche il dottor Elio Rossi - medico chirurgo - patologo clinico e dottore in psicologia – autore del libro "HIV e AIDS: Fine degli opposti estremismi" Edizioni Lombardo editore in Roma, un’altra denuncia contro l’inganno e l’assurdità della teoria ufficiale sull’AIDS.

Altri libri particolarmente interessanti tradotti in italiano (in inglese ce ne sono un casino) sono:

"Inventando il virus dell'AIDS" di P. Duesberg - Edizioni Baldini e Castoldi.

"L'AIDS è causato dall'uso di farmaci e da altri fattori di rischio non contagiosi", P. Duesberg, Ed. Andromeda Inediti, n. 78.

"Dossier AZT, la verità sul farmaco più tossico mai utilizzato per una terapia a lungo termine", basato sulle pubblicazioni di John Lauritsen, Ed. Andromeda Inediti, n. 90.

"Atti del convegno internazionale "Ripensare l'AIDS" ", Ed. Andromeda Inediti, n. 91.

“AIDS: e se fosse tutto sbagliato?” di Christine Maggiore – Ed. Macro Edizioni – settembre 2000. Questo libro è particolarmente interessante perché contiene molte testimonianze di sieropositivi rispetto alle cure alternative e a quelle ufficiali, ed al rifiuto di queste ultime, con relativi enormi benefici in termini di salute. In appendice si trova un ricchissimo indirizzario di associazioni e gruppi che si occupano di AIDS/HIV da punti di vista alternativi, di terapeuti che praticano terapie non convenzionali rispetto a problemi di deficienze del sistema immunitario, e una lista di siti internet su cui è reperibile una gran quantità di informazioni.

Infine nel 1992 uscì un libro visionario e profetico, anticipatore dei tempi, e con una lacerante profondità di analisi sociale e politica: “La Mal’aria – AIDS e società capitalista neomoderna” a cura del gruppo T4/T8 di Milano (edito da Calusca City Lights – Via Conchetta 18 – 20123 Milano). Una vera coltellata al cuore del delirio omicida capitalista in cui, tra l’altro, nel capitolo “L’AIDS come equivalente generale delle pesti neomoderne ed accumulazione forzata di medicina” Riccardo d’Este sosteneva la teoria sovversiva radicale del “Realizzare la salute attraverso l’abolizione della medicina”, e dopo una lunga analisi concludeva così:
“L’AIDS cammina con la società, con il capitale, con i sacerdoti medici. Siamo noi a doverci rifiutare di camminare con loro. Anche a costo della vita, che peraltro già ci fanno scontare nella sopravvivenza. Come si è detto un tempo, e va costantemente ripetuto, “meglio una fine nell’abisso che un abisso senza fine”. E forse, chissà, riusciremo a non farci male. Giocandocela tutta subito, oggi, in rivolta”.

Un altro libro assolutamente imperdibile è “Il tempo dell’AIDS” di Michel Bounan pubblicato in Italia da QUATTROCENTOQUINDICI - Torino 1993 (Ed. originale “Le temps du Sida”, Ed. Allia, Parigi, 1991).

LA STRATEGIA DEL TERRORE (1)
“E’ piaciuto a Dio, ai nostri giorni, di inviarci malattie che (come è da osservare) ai nostri avi erano sconosciute. Hanno detto, coloro che sono incaricati di interpretare le sacre scritture, che la lue è segno dell’ira divina e che così Dio punisce e flagella le nostre cattive azioni.”
(Ulrich von Hutten, Cavaliere tedesco, “Von den Franzosen oder blatteren”, 1519).

Nel 1981 il Dr. Michael Gottlieb (immunologo) individuò cinque persone malate, fra cui non era intercorsa relazione alcuna, caratterizzate da un sistema immunitario fortemente indebolito. Questa malattia venne battezzata con il nome generico di AIDS, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita.
Nello stesso anno Ronald Reagan viene eletto presidente degli Stati Uniti.

Nel 1984, l'allora Ministro della Sanità statunitense Margaret Heckler ed il virologo Robert Gallo dell'Istituto Superiore di Sanità annunciarono in una conferenza stampa che l’AIDS era una nuova malattia virale, trasmessa attraverso il sangue o i rapporti sessuali. Fu detto che il virus che causava la malattia era l'HIV (Human Immunodeficiency Virus), e che sarebbero occorsi circa due anni per individuare un vaccino e sconfiggerlo. A distanza di ben sedici anni e miliardi di dollari spesi in ricerca, nessun vaccino è stato scoperto né ci sono indizi che siamo in procinto di averlo; e neppure è stata individuata una cura efficace.
Il principale accusato da parte dei "dissidenti" è proprio lui, Robert Gallo, il quale nel frattempo è diventato multimiliardario grazie al test dell'HIV da lui brevettato ai tempi dell'annuncio dell''84, ed anche potentissimo, dato che gestisce ingenti fondi stanziati per la ricerca sull'AIDS. Anche se Gallo sosteneva di aver isolato lui il virus HIV, l'Istituto Pasteur di Parigi lo denunciò sostenendo che il virus era lo stesso già scoperto da un ricercatore francese, Luc Montagner, che aveva inviato alcuni campioni a Gallo. Fu in seguito deciso (da Reagan e Chirac) che i due fossero considerati co-scopritori, dividendosi i proventi della scoperta. Un'indagine successiva sempre connessa alla vicenda ha addebitato a Gallo altri comportamenti poco encomiabili, ma non ha danneggiato più di tanto il "padre" di una teoria così importante.

Ma cosa avevano scoperto questi due signori?
Un gruppo di scienziati australiani, guidato dalla Dott.ssa Eleni Papadopulos-Eleopulos dopo aver condotto per anni esperimenti e studi di laboratorio è arrivato alla conclusione che non si può provare che l’HIV esista, lo si può solo supporre; ma quello che è realmente impossibile affermare è che questo sia un virus (o un retrovirus).
I dottori Stefan Lanka e Heinrich Kremer sostengono anch’essi che l’esistenza dell’HIV è una pura supposizione di laboratorio. Mai dimostrata e non dimostrabile la sua esistenza, mai prodotta una fotografia di una particella HIV, ma soprattutto mai pubblicati gli esperimenti di laboratorio che ne avrebbero provato l’esistenza.

La tesi di Lanka sulla supposta indiscutibile esistenza dell’HIV è molto acuta ed intelligente. Egli sostiene che il gran polverone “mediatico” suscitato dalla diatriba tra Gallo e Montagner, protrattosi per anni con scambi di accuse, scorrettezze e colpi bassi da telenovela (troppi soldi in gioco), su chi fosse il reale scopritore dell’HIV, è servito ad oscurare l’attenzione sul fondamento della cosa più importante: l’oggetto della contesa, cioè la scoperta stessa. Viene mica in mente a nessuno di mettere in discussione cosa abbiano scoperto due scienziati che litigano così furiosamente per la paternità di una scoperta tanto importante.
Quindi non v’è nessuna prova che esista il virus HIV, presunto portatore della sindrome da immunodeficienza acquisita.

Il prof. Duesberg, dal canto suo, sostiene che pur essendo indiscutibilmente vere le affermazioni di Lanka & Co., è verosimilmente presumibile che questo virus esista. Qui non ci dilunghiamo, perché la questione è supertecnica e superscientifica, e per i non addetti ai lavori difficilmente comprensibile. Chi ha voglia di farsi venire mal di testa su questa faccenda si può andare a leggere la tesi di Duesberg su http://www.duesberg.com
Dunque Duesberg sostiene sia ragionevole supporre che questo virus esista, ma, e questa è la cosa più importante, esso non potrebbe in nessun caso attaccare il sistema immunitario umano, poiché da esso ne sarebbe distrutto in breve tempo, perciò anche nel caso esso esista è praticamente inoffensivo (anche qui stesso discorso di prima; leggersi le info su http://www.duesberg.com)

In ogni caso quello che salta definitivamente è l’equazione HIV = AIDS =  morte.

“L’HIV è solo un latente, e perfettamente inoffensivo retrovirus di cui molti, ma non tutti, i malati di AIDS, possono essere portatori. Dire che l’HIV è la causa dell’AIDS significa mettere da parte tutto ciò che sappiamo sui retrovirus... La teoria dell’HIV è inconsistente, assurda e paradossale.”
Peter Duesberg

HIV NON CAUSA L'AIDS (2)
Kary Mullis - premio Nobel nel 1993 per la chimica per aver inventato uno strumento fondamentale di analisi del DNA, la PRC - racconta che nel 1988 stava preparando una relazione in cui doveva giustificare l'affermazione "l'HIV causa l'AIDS". Essendo un'affermazione importante, decise di citare il lavoro che lo dimostrava, e domandò ai suoi colleghi quale fosse il riferimento bibliografico più opportuno. Gli risposero che era una cosa nota, e che non era necessario citare riferimenti. Ma lui non desistette, e lo cercò nella biblioteca. Nulla. Allora cominciò a chiederlo a tutti i congressi a cui andava, ma nessuno seppe rispondergli; finché non gli capitò di domandarlo a Luc Montagner, il co-scopritore (assieme a Robert Gallo) dell'HIV. Montagner, sorpreso, gli disse di citare un certo studio.

Mullis rispose che quello studio non si occupava di quella dimostrazione. "No, in effetti", disse Montagner. Guardandosi attorno per trovare una via d'uscita, disse "perché non cita quel lavoro sul retrovirus della scimmia?" – "Ma quello che succede alle scimmie non prova quello che cerco io. E poi si tratta di un lavoro uscito pochi mesi fa. Io cercavo il lavoro originale che dimostrò per la prima volta il legame tra AIDS e HIV nell'uomo". A quel punto Montagner corse a salutare un collega che aveva visto da un'altra parte della sala. Nemmeno lo “scopritore” dell'HIV sapeva indicare chi avesse dimostrato che esso causava l'AIDS; non lo hanno mai fatto né lui né Gallo.
Le confutazioni alla teoria HIV = AIDS vengono comunque suggerite anche solo dal buon senso (e da un minimo di informazione) perché sono troppe le stranezze che rimangono insolute, e che la teoria virale non riesce a spiegare.

Tanto per cominciare, la presunta infezione da HIV non somiglia affatto a quello di un contagio generalizzato. Le prime stime parlavano di 200.000 sieropositivi in Italia, con un tempo di raddoppio dell'ordine dei 10 mesi: oggi tutti gli italiani dovrebbero essere sieropositivi. Invece, non solo i sieropositivi non sono aumentati, ma sono persino diminuiti, fino a dimezzarsi: 200.000 sieropositivi nel 1988, 150.000 nel 1991, 100.000 nel 1996.
E poi se questo virus così infettivo si trasmette attraverso il sangue e lo sperma e i liquidi vaginali, perché allora non dovrebbe trasmettersi attraverso la saliva, le lacrime, il sudore? La medicina ufficiale non ha mai dato una risposta concreta, salvo trovare l’escamotage (mai provato scientificamente) di sostenere che in questi liquidi la concentrazione di virus è così bassa da non poter essere infettiva (?).

Inoltre vi è il famoso discorso sulla presunta incubazione per l'AIDS (periodo intercorrente tra infezione e malattia), che ha subito sostanziali modifiche nel tempo: da 10,4 mesi nel 1984, è aumentata di un anno all'anno fino agli attuali 16 anni. Ogni anno che passa e i sieropositivi storici cioè quelli trovati infetti da HIV quando si approntò il primo test nel 1984, non si ammalano di AIDS, viene aggiunto un anno al periodo di incubazione dalla medicina ufficiale. Assurdo. L’incubazione del morbillo continua ad essere di 9 giorni da secoli. I sieropositivi di lunga data che non si ammalano di AIDS dovrebbero suggerire una riflessione sulla teoria HIV = AIDS, invece vengono semplicemente denominati “lunghi sopravviventi”, e la medicina ufficiale sta ferma lì a guardare ed aspettare che si ammalino.

In ogni caso le statistiche parlano chiaro: circa il 50% dei sieropositivi all’HIV non si ammala di AIDS; nondimeno ci sono casi di AIDS con tutti i test per l'AIDS negativi e ci sono sempre stati, fin dall'inizio dell'uso dei test. Per esempio nel novembre 1984, Montagner trovava il test negativo nel 32% dei pazienti con AIDS esaminati.
In Africa la metà / un terzo dei casi diagnosticati come AIDS avevano un test negativo. Duesberg ne aveva contati moltissimi, a livello mondiale, descritti nella letteratura scientifica fino al 1993.
Da notare che, dal punto di vista logico, affermare che l'unica causa dell'AIDS è l'HIV ed ammettere che vi sono casi in cui quello non è presente è una contraddizione madornale. Per tale motivo gli esperti si sono sempre premurati di negare l'evidenza, fino al punto di coniare un nuovo nome per i casi di AIDS senza virus (Idiophatic CD4 Lymphocitopenia), in modo da liberarsi con questo trucco dello scomodo argomento.

In generale, comunque, il numero delle persone infettate da HIV si è stabilizzato ed è in costante diminuzione da anni in tutto il mondo, invece di aumentare rapidamente come era stato predetto, e questo suggerisce che l’HIV sia un virus vecchio, che è stato con noi secoli senza causare nessuna epidemia.

"...L’AIDS non è né nuovo né unico, ma è stato inventato come parola-ombrello per coprire un complesso di malattie, alcune delle quali erano già state descritte dalla medicina nel 1539."
John Lauritsen, autore di “The Great AIDS Hoax” (la grande beffa dell’AIDS)

L' "establishment" obbietta che la mancata diffusione epidemica della malattia è dovuto ai risultati positivi della campagna di prevenzione. Rispondono i dissidenti che i risultati delle campagne di prevenzione non ci sono stati affatto.
Prova ne è il fatto che le prostitute, che dovrebbero essere particolarmente colpite da una malattia a trasmissione sessuale, sono invece praticamente immuni dall'AIDS (in Italia, nel 1993 soli 6 (!) casi di malate di AIDS, 22 nel '95), mentre altre malattie veneree risultano invece in aumento, smentendo che sia cresciuta l'attenzione alla profilassi.
E poi, ad esempio in Africa, le campagne di prevenzione attuate dai governi sono state veramente irrisorie, praticamente nulle. E allora come mai non c’è stata la tanto temuta e paventata epidemia, spesso descritta come un autentico flagello che stava per abbattersi sul continente nero?

Durante il 1989, Philippe ed Evelyne Kryen, responsabili di un'organizzazione medica di cooperazione con 230 impiegati a Kagera, Tanzania, diffusero le prime informazioni relative alla presenza dell'AIDS in Africa. Pubblicarono un dossier, illustrato, in cui veniva ipotizzato un futuro assai buio per il continente africano, flagellato dalla piaga dell'AIDS.
La stampa degli USA riprese ed amplificò questo dossier.

Ad esempio, nel marzo del 1992, il Washington Post scrisse che il continente africano stava soffrendo “una immensa catastrofe nel campo della salute pubblica” e che Kagera era “una delle aree più duramente colpite del mondo”.
Questo giornale attribuì a Philippe Kryen frasi del tipo: “sarebbe stato preferibile un terremoto” alla piaga dell'AIDS, dato che essa colpiva il gruppo più produttivo, quello delle persone più sessualmente attive.
Il 3 ottobre del 1993, il Sunday Times pubblicò un lungo articolo del suo reporter scientifico Neville Hodgkinson. In questo articolo, e dopo quattro anni di esperienza con pazienti africani, Philippe Kryen dichiarava: “L'AIDS non esiste. È una cosa che è stata inventata. Non ci sono basi epidemiologiche. Per noi non esiste.”
Ma il Washington Post non si fece eco di questa mutata opinione. E nessun altro giornale.

"Hanno considerato il gran numero di persone sieropositive (in Africa) prima di accorgersi che gli anticorpi della malaria - che in Africa hanno tutti - si mostrano nei test come ‘positivi all’HIV’."
Kary Mullis

La situazione dell’AIDS è assolutamente anomala rispetto a qualsiasi malattia che pretende di essere di origine virale, come sostiene Michael Martinez, sul documento "Why HIV Does Not Cause AIDS" (Perché l'HIV non causa l'AIDS).
Spiega Martinez: perché si possa parlare di infezione da germi, debbono essere verificati i cosiddetti "postulati di Koch": ovvero i microbi devono essere presenti in tutti i casi di malattia, e devono essere biologicamente attivi; devono poter essere isolati e accresciuti in coltura; i microbi in coltura devono riprodurre la stessa malattia se introdotti in un altro ospite; e devono essere di nuovo trovati nell'organismo ospite. Come si vede, anche se si tratta di microbi e non di virus, siamo di fronte a regole più che altro dettate dal buon senso.
Gallo invece sovverte totalmente queste regole, perché è possibile ritrovarsi malati anche senza virus!

E ancora: l’infezione da HIV, come ci è stato insegnato, debilita le difese immunitarie, spianando la strada ad altre malattie; sono queste, e non l'HIV, a portare alla morte il paziente. Queste malattie "complicanti" sono attualmente enumerate in una trentina. Ma, cosa strana, tra esse c'è il carcinoma uterino, che è a tutti gli effetti un tumore, e che di conseguenza non si capisce cosa abbia a che fare con il sistema immunitario... Un'altra, il sarcoma di Kaposi, è per ammissione degli stessi CDC (centri epidemiologici) statunitensi, "non causata dall'HIV ed indipendente da esso"!

Negli ultimi anni lo stesso Luc Montagner, co-scopritore del virus, ha iniziato nel corso di svariate conferenze in giro per il mondo una lenta e progressiva marcia indietro rispetto alla teoria HIV = AIDS, sostenendo che i suoi studi rivelano sempre più l’HIV come un semplice co-fattore scatenante la malattia, e non come l’unica causa determinante. Una vera e propria presa di distanza dal “fondamentalismo” di Gallo e seguaci.
Va detto che, comunque, il sapere ufficiale è ancora saldamente arroccato sulla posizione della teoria virale e sui miliardi “a pioggia” che questa garantisce, ed usa tutti gli strumenti di pressione e persuasione a sua disposizione.

Sul numero di settembre 1998 del mensile “Le Scienze” (edizione italiana di Scientific American), è stata pubblicata una lunga “indagine” dal titolo molto significativo: “Speciale AIDS: quali sono le prospettive nella battaglia contro l’HIV”.
Una trentina di pagine in cui non viene mai messo minimamente in dubbio che l’HIV sia l’unica ed esclusiva causa dell’AIDS, né che i test siano del tutto inaffidabili, ed in cui vengono elogiati trionfalmente i successi della medicina in questo campo. La tesi è tuttora quella che l’AIDS rappresenta una epidemia a livello mondiale (pandemia), la cui espansione esponenziale viene contenuta dagli strabilianti successi della scienza medica, soprattutto attraverso l’uso dei nuovi farmaci (gli inibitori della proteasi), combinati con i vecchi farmaci (AZT) e con l’aggiunta di altri farmaci ancora.

Vedremo più avanti l’assurdità di queste affermazioni.

E’ in ogni caso stupefacente l’autorevolezza con cui questi pennivendoli prezzolati (che si spacciano per “scienziati”) sostengono una simile quantità di menzogne e nefandezze. Questa è realmente quella che Kary Mullis definisce “la manipolazione informativa in azione”.

“Non vi è potente fregnaccia, che la tecnica moderna non sia lì pronta ad avallare, e rivestire di plastiche verginali, quando ciò risponde alla pressione irresistibile del capitale e ai suoi sinistri appetiti.”
Amadeo Bordiga (Politica e Costruzione, da “Prometeo” n. 4, luglio-settembre 1952)

LA QUINTAESSENZA DELLA TRUFFA: I TEST DELL'AIDS (3)
Bene, assodato che non è nemmeno certo che l’HIV esista, prendiamo ora in considerazione il perno su cui tutto ruota: i test.
La diagnosi d'infezione da HIV viene fatta sulla base dei risultati d'un test di screening (Elisa) e d'un test di conferma (Western Blot, WB) che rivelerebbero la presenza di anticorpi specifici. Vi sono anche altri test, meno diffusi e quasi tutti considerati “meno affidabili”(!).
Nei due test, il siero del paziente viene messo a contatto con le proteine virali (antigeni); se vi sono anticorpi contro le stesse proteine, questi si legheranno e saranno poi evidenziati con una seconda reazione; nel WB le proteine sono separate in bande con elettroforesi, in modo da riconoscerle separatamente.

Il test Elisa è molto più economico, ancorché più inaffidabile, se mai è possibile. In Italia è l’unico “passato” dalla sanità “pubblica” ed è considerato sufficiente per essere dichiarati “appestati” o meno.
Ma non è così in tutti i paesi, anzi, metodi e criteri sono parecchio diversificati.
L'affidabilità di questi test avrebbe dovuto essere valutata molto scrupolosamente, date le pesanti ripercussioni psicologiche, affettive, sociali e professionali che un responso positivo comporta per la persona (e spesso anche per chi la circonda). Purtroppo, sebbene tutti i test usati (come vedremo) non siano per niente affidabili, le "autorità" e gli "esperti" hanno operato ed operano "come se" lo fossero.

Va ricordato che, secondo gli stessi dati ufficiali, essi segnalano spesso molti "falsi positivi": in altre parole, molte persone sono erroneamente identificate come sieropositive, con effetti disastrosi per loro e per chi gli sta vicino, dato il clima di terrore mediaticamente creato.
Lo conferma Robin Weiss, noto virologo che detiene un brevetto proprio in questo campo: “In popolazioni in cui la diffusione della malattia (AIDS) è scarsa (quelle europee), questi falsi positivi costituiscono una percentuale consistente di tutti i sieropositivi. E le conseguenze d'un falso allarme in questa materia sono note: grave angoscia, depressione, spesso perdita del lavoro, rifiuto di assicurazioni sulla vita e contro le malattie (ahi ahi … - N.d.R. -) e, talvolta, tentati suicidi. La gravità del danno prodotto è enorme: quando i due test combinati (Elisa e WB) vengono applicati alla popolazione generale, producono un tasso di falsi positivi 5 volte maggiore dei presunti "veri positivi"”.

E' stato anche dimostrato che alcune malattie e fattori banali quale una semplice vaccinazione anti-influenzale possono rendere positivo il risultato.
Va alla già citata scienziata australiana, Eleni Eleopulos ed ai suoi colleghi il merito d'aver dimostrato in modo rigoroso l'attuale vergognosa situazione prendendo in esame le assurde molteplicità dei criteri diagnostici (che avrebbero dovuto essere uguali dovunque) e valutando i singoli aspetti dei test utilizzati.
In consonanza con quanto affermato anche da molti altri scienziati ed équipes di ricerca, la Eleopulos ricorda come i criteri di diagnosi siano profondamente diversi da Paese a Paese e come, quindi, i dati raccolti in base ad essi non siano né comparabili né cumulabili (sebbene vengano regolarmente comparati e cumulati) ai fini di una seria valutazione statistica internazionale.

In Africa, per esempio, la diagnosi di AIDS viene fatta nella maggior parte dei casi in termini puramente clinici, cioè sulla base dei sintomi (ma si tratta di sintomi comuni a malattie diffusissime ed antiche in quel continente, per esempio la malaria). In America meridionale, invece, tale diagnosi viene fatta quando il paziente, oltre a presentare certi sintomi, risulta positivo a uno di due test: il test Elisa o il "test dell'antigene" (i più economici e imprecisi).
In Europa e negli Stati Uniti, viceversa, questi due test non sono considerati sufficientemente affidabili: essi devono essere suffragati da un test detto di conferma, il Western Blot (WB).

Le cose non stanno così in Italia, dove come già visto basta l’Elisa, e vanno ancora diversamente in Gran Bretagna, ove frequentemente ci si affida al solo test Elisa, ma ripetuto più volte.
Approfondendo la ricerca sulla concordanza o meno tra test Elisa, WB e diagnosi clinica, Eleni Eleopulos ha constatato che la confusione cresceva ancora.
In Africa, la corrispondenza tra test Elisa positivo e diagnosi clinica è risultata del 50% circa, secondo la letteratura scientifica. Inoltre, come ammesso dagli epidemiologi Robert Biggar nel 1985 e Myron Essex nel 1994, in Africa "la reattività sia nell'analisi ELISA sia nella Western Blot possono essere non-specifiche " a causa di malattie diffuse ed endemiche (malaria, lebbra).

In Russia, la concordanza tra test Elisa e test di conferma (WB) è risultata minima. Stando ad informazioni pubblicate sull'autorevole rivista medica inglese The Lancet, nel 1990, in Russia vennero fatti 20,2 milioni di test ELISA, di cui 20.000 risultarono positivi, ma solo 112 vennero confermati con il WB; nel 1991, su 30 milioni di test ELISA, ben 30.000 risultarono positivi, ma di questi solo 66 risultarono confermati dal Western Blot cioè soltanto 1 ogni 455.
Negli Stati Uniti, su un totale di 1.200.000 militari di leva sottoposti al test Elisa 12.000 risultarono positivi, ma alla fine dei 3 controlli previsti, ne vennero confermati meno di 1/6 (1.920). Quale risultato ci sarebbe stato, si domanda la Eleopulos, se i controlli, invece di 3, fossero stati 2 o 5 e il loro ordine di esecuzione (Elisa e WB) diverso?

Quali sono i criteri per un test "di conferma" (WB) positivo? Quanto è standardizzato?
Nei soli Stati Uniti vi sono ben 4 criteri ufficiali, e solo uno (indicato nel kit diagnostico della Du Pont) è stato approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) nel 1987. Questo è il più restrittivo ed è usato da pochi laboratori. Se solo questo test fosse usato, negli Stati Uniti sarebbero confermati solo il 50% dei sieropositivi!
Ma in questo come in altri Paesi, continuano ad essere utilizzati kit differenti praticamente in ogni laboratorio (in Italia nel 1992 i kit in commercio erano almeno 18 e su nessuno di questi era stata fatta alcuna verifica di affidabilità da parte delle autorità sanitarie!).

Sono aspetti sconcertanti che vengono tenuti nascosti alla popolazione ma ben noti a molti ricercatori. Ecco il commento del Dr. Zolla-Pazner: "Confusione sulla identificazione di queste bande (i risultati del test Western Blot) è risultata in conclusioni scorrette negli studi sperimentali. [...] potrebbe essere necessaria la reinterpretazione dei risultati già pubblicati". Un altro gruppo così si è espresso nel 1989: "La sua tecnica (del Western Blot) non è stata standardizzata, l'importanza e le conseguenze delle variazioni verificatesi nei laboratori non sono ancora state misurate. I suoi risultati richiedono d'essere interpretati; i criteri per queste interpretazioni variano non solo da laboratorio a laboratorio, ma anche di mese in mese."

Alcune domande sui test:

E' un test riproducibile?

  • No, la risposta è negativa. In controlli di qualità effettuati in Laboratori di riferimento, al massimo livello, frazioni dello stesso siero davano risultati differenti in diversi laboratori e persino risultati differenti nello stesso laboratorio in tempi diversi!
  • Le stesse Autorità Sanitarie talvolta se ne sono accorte, ma la loro tendenza è sempre stata quella di occultare e minimizzare. Per esempio, a Parigi, nel 1993, sono stati ritirati dal commercio 9 kit diagnostici su un totale di 31 esaminati. E si trattava di kit per il WB prodotti da alcune delle più stimate aziende farmaceutiche tedesche, svizzere, francesi e americane.

E' un test specifico?

  • La Eleopulos e colleghi analizzano singolarmente ogni proteina ritenuta specifica del virus ed utilizzata nei test: nessuna supera l'esame, poiché proteine delle stesse dimensioni e caratteristiche sono presenti in cellule normali. Anticorpi diretti contro di esse sono rilevabili frequentemente in varie malattie: lebbra, tubercolosi, malattie autoimmuni, malaria, la stessa comunissima influenza, condizioni che provocano la formazione di grandi quantità di anticorpi.
  • Da quanto sopra emerge che anche il "test di conferma" (WB) sul quale, per definizione, non dovrebbero esserci dubbi, non rivela affatto la presenza di anticorpi specifici diretti contro l'HIV.

E gli altri test?

  • Neanche gli altri test dell'AIDS si salvano dalla critica impietosa della Eleopulos: né quello per l'isolamento del virus, né quello per l'individuazione di "particelle virali", o per la "ricerca dell'antigene" o per la "transcriptasi inversa" né la famosa PCR (Reazione Polimerasica a Catena).
  • Quest'ultimo test viene considerato insuperabile per sensibilità e specificità in quanto sarebbe in grado, si dice, di individuare un singolo virus in mezzo a milioni di cellule non infette (però costa!). Tuttavia Eleni Eleopulos ha constatato che molti ricercatori contestano l'affidabilità della PCR a causa dell'alto numero di falsi positivi che questo test produrrebbe e per l'impossibilità, lamentata da vari altri ricercatori, di ottenere risultati ripetibili.

“L’età capitalista è più carica di superstizioni di tutte quelle che l’hanno preceduta. La storia rivoluzionaria non la definirà età del razionale, ma età della magagna. Di tutti gli idoli che ha conosciuto l’uomo, sarà quello del progresso moderno della tecnica che cadrà dagli altari col più tremendo fragore”
Amadeo Bordiga (scritti, 1952)

LE CURE UFFICIALI (4)
“L’AIDS non è una malattia, non è un’epidemia, non è un’infezione: è morte da farmaci”.
Peter Duesberg

L’azienda leader nel mondo nella produzione di farmaci e “cure” per l’AIDS è la Glaxo Wellcome.
Un po’ di storia: “WELLCOME TO DEATH”
L'antica Burroughs-Wellcome venne creata nel 1880 da due farmacisti: Henry Wellcome e Silas Burroughs.
Nel 1936 venne fondata la Wellcome Trust. La Wellcome e la Rockefeller iniziarono ad associarsi.
L’orientamento politico è quello della destra bianca intollerante e reazionaria. L’élite finanziaria è l’alta borghesia ebraica.
Durante gli anni '30 rappresentante legale della Wellcome Trust fu la firma Sullivan & Cromwell, una delle più influenti di New York ed uno dei pilastri della Rockefeller. I suoi due avvocati, John Foster ed Allen Dulles sarebbero divenuti, rispettivamente, Segretario di Stato americano e direttore della CIA durante la guerra fredda.

Sin dagli anni 50 si preparano i suoi quadri tecnici, e in seguito il trust Wellcome partecipa al complesso universitario londinese fondato da Rockefeller. La sua influenza si estende nel campo dell'educazione sanitaria inglese e americana.
Negli anni 70, David Rockefeller crea la famosa Commissione Trilaterale, formata da industriali, accademici e uomini politici esperti in politica internazionale. Il nocciolo duro della Trilaterale è composto da dirigenti di un gruppo di aziende multinazionali il cui scopo è il mantenimento del potere economico (plutocrazia) in tutto il mondo. Fra queste multinazionali un posto preminente spetta alla Wellcome Trust Corporation. L’ombra lunga della Trilaterale condizionerà per anni governi e servizi segreti di mezzo mondo.
Nel 1981 Ronald Wilson Reagan vince le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Nella “lobby” che finanziò la sua campagna elettorale troviamo in posizione predominante la Wellcome Trust Corporation.

Nello stesso anno, viene “scoperta” una nuova malattia, con patologia caratterizzata dall’indebolimento del sistema immunitario. Questa malattia sarà ben presto battezzata con il nome molto generico di AIDS, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita.
Il 23 aprile 1984, con la presentazione dell'allora segretaria di Stato della Sanità e Assistenza Sociale degli USA, Margaret Heckler, il Dr. Robert Gallo annunciò nel corso di una conferenza stampa che aveva scoperto il retrovirus produttore dell'AIDS, che denominò HTLV-III (meglio conosciuto come HIV).
Nello stesso giorno veniva registrato un brevetto americano del test dell'HTLV-III sviluppato dallo stesso Gallo.

Fino al 1986, Wellcome Trust controllava il 100% della Wellcome Inc., produttrice di farmaci. Vendette il 25% delle proprie azioni e assunse la denominazione di Wellcome Foundation.
Da questo momento in poi assistiamo ad un cambiamento di rotta da parte delle istituzioni della Wellcome che rinunciano ad atteggiamenti etici populistici ed accademici per un mercantilismo d’assalto duro e puro.
Dopo il clamoroso insuccesso come trattamento anticancro, la Wellcome ottenne l'autorizzazione per ripresentare sul mercato l'AZT, ribattezzato Retrovir, per trattare i malati di AIDS.

Il 24 giugno del 1988, Duncan Campbell, in un articolo intitolato “The amazing AIDS scam”, sulla rivista “New Stateman and Society”, affermò che molti risultati clinici vengono nascosti dietro risultati commerciali. Affermò inoltre che il costo dell'AZT si era quintuplicato o decuplicato. Il costo mensile di un malato di AIDS è attualmente di circa due milioni di lire (all’inizio del 1997 era valutato statisticamente in circa 1650 dollari mensili).
Nel luglio del 1992, la Wellcome Trust ridusse la propria quota di partecipazione nella Wellcome Foundation ad un 40%, portando la sua quota annua di profitto a circa 2,3 miliardi di dollari.
Nel 1995 la Wellcome Inc. si unisce con la Glaxo Inc., colosso farmaceutico americano: nasce la Glaxo Wellcome Inc., potentissima supermultinazionale presente in ogni parte del mondo.

La Glaxo Wellcome chiude l’esercizio finanziario del 1997 con un fatturato di 13,8 miliardi di dollari.
Tutte le informazioni su questa spett.le azienda le trovate su http://www.glaxowellcome.com su cui potrete ammirare il logo animato: “disease has no greater enemy than Glaxo Wellcome” (la malattia non ha nemico più grande della Glaxo Wellcome). Amen.

LA "CURA" DELL'AZT
"L’AZT non aveva prospettive per due ragioni: i miei studi hanno mostrato che era cancerogeno in ogni dosaggio e che era troppo tossico anche per usi di breve periodo."
Dr. Richard Beltz - inventore dell’AZT (azidotimina)

L’AZT, sostanza contenuta nello sperma delle aringhe, fu sintetizzato come composto chimico di laboratorio dal chimico della Burroughs Wellcome  Richard Beltz nel 1964 nel tentativo di trovare una cura contro il cancro.
Data la sua elevatissima tossicità è impiegato come base per il veleno per topi.
Quindi, per anni, la medicina ha sperimentato sugli esseri umani un potentissimo topicida, e continua a farlo tuttora.
Non staremo qui a scendere nel “tecnico” su come agisce (per chi volesse saperne di più: “AIDS Gate” http://aliveandwell-eugene.dreamhost.com/aidsgate/ ), comunque l’AZT era stato utilizzato in medicina per distruggere le cellule malate, cancerose, ed impedirne la riproduzione. Fu un fiasco clamoroso. Innanzi tutto si scoprì subito che causava altri cancri, e successivamente che tutti i pazienti trattati con AZT morivano molto prima rispetto a quelli che non avevano ricevuto il trattamento (infatti, ripetiamo, si tratta di VELENO PER TOPI). Anzi, impediva anche di studiare l’evoluzione dei tumori, perché i pazienti morivano precocemente di avvelenamento da AZT. E la ragione è proprio abbastanza semplice: l’AZT non è come i moderni missili “intelligenti” americani, che lanciati contro obiettivi militari, vanno a colpire infallibilmente gli asili e gli ospedali iracheni. Esso non sa quali sono le cellule buone e quelle cattive, le attacca tutte quante e basta. Ovviamente la spiegazione scientifica è ben più complessa e articolata, ma più o meno questo è quello che succede con l’AZT.

Si disse allora che era una questione di dosaggi. Alte dosi uccidevano in breve tempo, ma dosaggi più bassi erano presumibilmente “benefici”. Così vennero fatte altre sperimentazioni su svariate patologie, fra cui soprattutto psoriasi e malattie della pelle. Roba da matti. Inutile dire che fu ben presto accantonato.
Va detto che le case farmaceutiche, siccome ricevono parecchi finanziamenti anche in denaro pubblico per le ricerche, spendono ogni anno montagne di soldi nella ricerca e creazione di nuovi farmaci. Ma molti di questi sono puramente speculativi. Il composto chimico magari funziona, produce alterazioni a vari livelli, e viene anche sperimentato su uomini (carcerati, malati di mente …) e animali, ma non ha malattie specifiche da curare, non si sa a cosa possa servire, così viene messo nel cassetto, in attesa che salti fuori la malattia o la scusa buona per tirarlo fuori.

Così è stato per l’AZT.

Vent’anni dopo, con l’avvento di una malattia così “mortifera e terrificante” come l’AIDS, la Wellcome rimise prontamente mano alla sua mirabile invenzione, affermando teorie folli, per cui l’AZT, prima di ammazzare le cellule, ammazzava i virus, ed essendo la recentissima scoperta di Gallo causata da un virus (l’HIV), terapie brevi e mirate sarebbero state efficacissime. La FDA (Food and Drug Administration, l'ente statunitense che verifica l'efficacia dei farmaci) lo approvò ufficialmente solo nel 1987, ma ne consentì l’uso in via sperimentale fin dalla “scoperta” dell’HIV (1984), anche in associazione con altri farmaci, come del resto, aveva già fatto in precedenza autorizzandone l’uso per altre patologie (cancri, ecc.), sin dal 1964.
Ricomincia la storia. La gente trattata con AZT sebbene in alcuni casi sembri avere un temporaneo, brevissimo miglioramento, si ammala definitivamente e muore.
Ma invece di sospenderne l’uso, arriva la teoria più demenziale: non bisogna usarlo da solo, ma associato ad altri farmaci che ne limitino i danni e ne integrino l’azione.

Chissà quanti malcapitati si sono ritrovati a dover prendere dosi incredibili di farmaci di ogni genere, fra cui l’AZT, nella speranza di curare una malattia che neanche esiste nei termini in cui viene presentata, morendo di intossicazione da farmaci.
L’AZT è stato usato indiscriminatamente su soggetti già debilitati, donne in gravidanza, neonati.
Moltissimi sono i casi di persone che accortesi del rapido peggioramento con l’AZT, hanno smesso di prendere ogni farmaco, salvandosi dalla morte, e creando quella casistica che la medicina ufficiale non sa spiegare, di soggetti che pur essendo sieropositivi non si ammalano e non muoiono.

Come cresce la voce del dissenso e l’informazione (controinformazione), sempre di più sono le persone che si salvano da una morte imminente annunciata come inevitabile.
A Londra, i superstiti pubblicano la rivista “Continuum”. In Olanda collaborano con la Fondazione per la Ricerca Alternativa sull'AIDS (SAAO), in Svizzera da anni sono attivi gruppi di auto aiuto e controinformazione sull’AIDS che hanno preso piede un po’ in tutta Europa.
La maggioranza delle persone colpite dall'AIDS che sono sopravvissute alla malattia lo hanno fatto grazie a grandi dosi di volontà e di senso critico, assumendo costumi di vita coscienti e responsabili, e perché no, anche antagonisti.

Il famoso campione Earvin "Magic" Johnson, risultato sieropositivo nel 1991, pare abbia assunto AZT per pochi giorni, risultandone debilitato, e che abbia subito smesso.
La sua salute migliorò subito, tanto che vinse alle Olimpiadi del 1992. In una recente conferenza stampa Magic ha dichiarato di non essere più malato di AIDS.

Un altro dei tanti misteri dell’AIDS.
“Il mistero di questo virus è stato generato dai duemila miliardi all'anno che vi sono stati spesi. Se prendi un altro virus e ci spendi duemila miliardi di dollari potrai ricamarci sopra tutti i misteri che vuoi”.
Kary Mullis - (“la manipolazione informativa in azione”).

LE ALTRE "CURE" UFFICIALI
Terapie convenzionali (farmaci antiretrovirali).

I primi ad essere impiegati sono stati i cosiddetti “inibitori della trascrittasi inversa”.
Gli ultimi, più recenti, gli “inibitori della proteasi”.

Trascrittasi inversa:
Processo di replicazione virale in cellule non precedentemente infettate, nel quale RNA virale ad un solo filamento viene trascritto in DNA virale a doppio filamento, consentendo la conversione del genoma virale in forma che si integra nel DNA della cellula ospite, infettandola.
L’inibizione della trascrittasi inversa non ha tuttavia effetto sulla produzione di virus da parte di cellule nelle quali l’integrazione ha già avuto luogo, quelle con infezione cronica.

Proteasi:
Le proteasi sono enzimi essenziali nel processo di trasformazione dei precursori virali in assemblaggio e formazione dei virus maturi. Questo processo avviene durante o subito dopo la gemmazione dei virioni dalla membrana della cellula ospite.

Inibitori della Trascrittasi inversa:
Zidovudina (AZT, Retrovir) – il primo antiretrovirale utilizzato, dapprima in monoterapia, attualmente in associazione con altri antiretrovirali. Presenta effetti tossici con effetti collaterali più frequenti all’inizio del trattamento.

Didanosina (DDI, Videx) – il secondo antiretrovirale utilizzato. Comporta la frequente insorgenza di neuropatie periferiche.

Zalcitabina (DDC, HIVid) – Stavudina (D4T, Zerit) – Lamivudina (3TC, Epivir)

Presentano effetti tossici con effetti collaterali in genere reversibili con sospensione del trattamento.

Nevirapina (Viramune) – Delavirdina (Rescriptor)

Hanno azione sinergica con AZT e DDI.

Inibitori della Proteasi:

Ritonavir (Norvir) – Gli effetti collaterali osservati più di frequente sono: nausea, diarrea, vomito, astenia, vasodilatazione, alterazione del gusto. Produce interazione con altri farmaci (antibiotici, antidepressivi, antistaminici).

Indinavir (Crixivan) – le principali complicazioni descritte sono state secchezza della cute e alterazione del gusto.

Saquinavir (Invirase) – appare come l’inibitore della proteasi meglio tollerato. Viene spesso somministrato in combinazione con il Ritonavir. Può provocare aumento delle transaminasi.

Nelfinavir (Viracept) – uno dei più recenti. Non presenta interazioni farmacologiche di particolare rilevanza. L’evento avverso più frequente è la diarrea.

Le terapie antiretrovirali comunemente utilizzate sono estremamente complesse, ed il regime terapeutico attualmente più utilizzato è quello che prevede l’associazione di più farmaci antiretrovirali, in genere due inibitori della trascrittasi inversa e un inibitore della proteasi, i cosiddetti “cocktail” antiretrovirali. Essi richiedono una rigorosa adesione del paziente al trattamento, al fine di prevenire l’insorgenza di resistenze.
Uno dei problemi più comuni nella pratica clinica di questi trattamenti è quello di decidere tempi e modi di somministrazione, ovvero quando iniziare, cambiare, sospendere o interrompere una terapia e come definire i costanti insuccessi.
Si noti bene che alla base di tutte queste “terapie” vi è l’accettazione passiva e acritica che L’HIV esista.

Ma siccome la sua esistenza non è mai stata dimostrata si somministrano veleni tossici per debellare un qualcosa di inventato.
A questo punto sorge obbligatoria la domanda “cui prodest?” (a chi giova?).
Quelle elencate fin qui sono le “cure” standard, quelle più diffuse, usate e abusate finora. Esistono comunque numerose altre terapie, misture e cocktail di farmaci usate e suggerite qua e là da medici, stregoni e sciamani ospedalieri. Chi da anni sta vivendo la vicenda AIDS sulla sua pelle ne sa qualcosa!

E’ da osservare ancora che la medicina ufficiale tende sempre a negare la palese tossicità dei farmaci impiegati, e ad attribuire la responsabilità della mortalità “per AIDS” al fatto che il virus HIV sarebbe un virus mutante, che in breve tempo diviene resistente ai farmaci, per cui bisogna introdurre sempre nuove terapie, associandole magari con quelle vecchie. Gli scienziati “dissidenti” sostengono che queste affermazioni sono totalmente a-scientifiche, in contrasto con tutti i postulati su cui si regge la medicina occidentale, quindi prive di qualsiasi fondamento sia scientifico che culturale, e soprattutto prive di verifiche, studi e sperimentazioni di laboratorio. Ma non c’è bisogno di essere scienziati per capire che simili teorie non possono che ignorare la salute della popolazione, tese come sono a garantire business miliardari per l’industria farmaceutica, e finanziamenti da capogiro per la ricerca.

“Checché ne dicano i professionisti della salute, la malattia non è un fenomeno negativo per l’individuo. Tutt’altro. E’ la risposta dell’organismo all’aggressione di agenti patogeni esterni e, talvolta, interni, scatenati però da condizioni esterne. Poiché si tratta di una risposta, la malattia significa resistenza, autodifesa. Scaricata la fase acutamente morbosa, l’organismo vivente tende (anzi tenderebbe, date le sollecitazioni farmacologiche cui tutti siamo sottoposti che appiattiscono le reazioni e le loro forme) a ritrovare il suo equilibrio biologico. Un po’ come la febbre: guai se non ci fosse, perché in questo caso significherebbe che l’organismo non ha più alcuna forza autodifensiva. (Un esempio per tutti: nel caso di epatopatie, di malattie del fegato, sinché la parte, il fegato, è dolorante significa che sta opponendo una resistenza agli agenti patogeni; quando ormai tace, vuol dire che l’organismo si è arreso, come nel caso di epatiti o cirrosi.) Ma la medicina, invece di assecondare la malattia e di condurla a un esito positivo, cioè ad un superamento della malattia stessa, vuole intervenire immediatamente con il bombardamento farmacologico (in specie con antibiotici e “bios”, ben si sa, vuol dire vita). Perché il tempo dell’uomo (essere organico) deve essere scandito dal tempo del capitale (essere inorganico). Il tempo della merce, del suo supporto fattivo, il lavoro, e della sua protesi gestionaria, la circolazione e l’amministrazione, deve essere totale. Il corpo umano, dunque, depauperato delle sue esigenze organiche vitali, non può funzionare che come una macchina. La medicina contemporanea si occupa per l’appunto di questo ed il suo apogeo sta proprio nella tecnica dei trapianti: sostituire i pezzi della macchina, cambiare le parti difettose del burattino, di Pinocchio.”
Riccardo d’Este (da “L’AIDS come equivalente generale delle pesti neomoderne ed accumulazione forzata di medicina” – La Mal’aria …, 1992)

ALCUNE DOMANDE (5)

- MA L'AIDS ESISTE O NO?
Si, esiste.

Esiste sicuramente una patologia che porta ad una grossa deficienza del sistema immunitario e talvolta anche alla morte. Anzi ce ne sono molte, non si sa nemmeno quante, ed alcune esistono probabilmente da secoli. E possiamo anche tranquillamente chiamarle tutte AIDS. Il primo caso di “sindrome da immunodeficienza” viene comunque descritto nella letteratura medica nel 1912.
L’unica cosa certa è che l’AIDS non è nulla di ciò che ci è stato raccontato finora.

- COS'E' IL SISTEMA IMMUNITARIO E COME FUNZIONA?
Vediamo di spiegarlo in poche parole. Per chi vuole saperne di più esiste una bibliografia vastissima.
Il sistema immunitario è la seconda linea di difesa dalle malattie del nostro organismo (la prima è la pelle). Essa è costituita dai globuli bianchi, chiamati linfociti, prodotti dal midollo osseo.
A seconda della loro funzione alcune di queste cellule sono dette cellule “B”, altre cellule “T”. Esistono più tipi di cellule ”T”. Per esempio le cellule T4 sono meglio conosciute come T4 Helper (aiutanti, che danno aiuto). Esse sono i cani da guardia del nostro organismo, e al sopravvenire di ogni minaccia esterna danno l’allarme e attivano il sistema immunitario. Dopodiché le cellule “B” si mettono immediatamente al lavoro e producono anticorpi per combattere ogni possibile tentativo futuro di attacco da parte della stessa causa.

Questo è il principio che sta dietro a tutti i vaccini: introdurre piccolissime quantità di agenti scatenanti una determinata malattia per fare in modo che le cellule B creino gli anticorpi, cosicché l’organismo conosca già quella affezione e sia pronto a difendersi e sconfiggerla in futuro.
Mentre le cellule B producono gli anticorpi per i futuri attacchi, sempre per effetto dell’allarme dato dai T4 Helper, il sistema immunitario scatena le cellule T Killer che hanno il compito di annientare e distruggere le cellule infettate dall’agente esterno.
Scusate la terminologia guerresca, ma la medicina occidentale è nata, cresciuta e sviluppatasi con le guerre, ed ogni descrizione ufficiale sembra sempre un campo di battaglia. (La medicina cinese o quelle orientali non si esprimono mai in questi termini).

Il guaio è che dopo la battaglia le cellule T Killer vanno richiamate e fermate, perché queste sono idiote come i Rambo americani, e se non le si ferma esse cominciano ad attaccare le cellule sane.
Qui entrano in gioco le cellule T8 Suppressor (soppressori), una sorta di polizia militare che si occupa di eliminare gli yankees  impazziti e far così cessare l’allarme immunitario.
In un organismo sano sono presenti circa da 800 a 1000 cellule T4 per microlitro di sangue, e circa la metà di cellule T8.

Le malattie del sistema immunitario (AIDS compreso, ovviamente) minano o “inceppano” questo meccanismo in molte maniere differenti.
E soprattutto sono sempre esistite, solo che non se ne era a conoscenza.
Prima della “scoperta” dell’AIDS, una persona con sistema immunitario debilitato poteva morire ad esempio di polmonite. E la diagnosi era di morte per polmonite. Oggigiorno se una persona è sieropositiva all’HIV una morte per polmonite è diagnosticata come morte per AIDS. Ma se una persona con sistema immunitario debilitato muore di polmonite e non è positiva all’HIV, la diagnosi rimane di morte per polmonite. Questo viene fatto per avvalorare la teoria HIV = AIDS, ma è un assurdo: o una persona muore di polmonite e basta, o se aveva il sistema immunitario debilitato la polmonite è stata l’esito di una patologia da immunodeficienza, HIV o non HIV.

- E' l'AIDS (o meglio il virus HIV che "causerebbe" l'AIDS) contagioso?
No, l’HIV non è contagioso. In primo luogo non si sa nemmeno se esista: la sua esistenza non è mai stata provata. In secondo luogo se anche esiste è veramente impossibile provare che sia un virus, come dichiarato dalla Dr. Eleopulos. In terzo luogo, nel caso che esista, e che malauguratamente sia proprio un virus, esso non sarebbe in grado di intaccare il sistema immunitario umano, come dimostrato da Duesberg seguendo una serie di postulati su cui si basa l’intero edificio della medicina occidentale, ed anche solo adoperando il buon senso.
Ormai un numero molto vasto di scienziati e ricercatori comincia ad ammettere che le teorie di Gallo e Montagner sono demenziali, anche se menzogna e mistificazione sono davvero dure a morire.
Riassumendo l’AIDS non è una malattia infettiva.
L’AIDS non si trasmette né attraverso i rapporti sessuali né attraverso il sangue.

Questo non significa che non sia saggio avere rapporti “protetti”: sifilide e malattie veneree sono statisticamente in aumento (alla faccia della cosiddetta “prevenzione”). Così come bisogna evitare lo scambio di siringhe: le epatiti sono anch’esse in forte aumento, e pare, sempre più aggressive, assieme a svariate altre malattie trasmissibili attraverso il sangue.

- Ma allora chi si prende l'AIDS come se lo becca?
Non esiste un singolo fattore scatenante (ad esempio un virus) come affermano i sostenitori dell’HIV e della teoria virale. E’ molto più verosimile pensare ad una serie di concause che interagiscono, indebolendo, a volte in maniera irreversibile, il sistema immunitario.
L’uso e l’abuso massiccio di farmaci è sicuramente la causa principale. L’enorme diffusione degli antibiotici, usati a dismisura anche quando non ce n’è proprio bisogno (ed è la maggioranza dei casi), ha indebolito enormemente il sistema immunitario umano.

Stesso discorso per i cortisonici (dannosissimi per tutto l’organismo, in particolar modo per il sistema immunitario), per gli psicofarmaci, ed in generale per tutti i farmaci.
Se al primo sintomo di un raffreddore o di un’influenza uno comincia immediatamente ad imbottirsi di farmaci (soprattutto antibiotici), egli mette subito fuori gioco il suo sistema immunitario, facendo combattere la malattia da un agente esterno. In tal modo il sistema immunitario si indebolisce fortemente, non impara più a “riconoscere” le malattie, e soprattutto perde la capacità di combatterle da solo. Un luogo comune inglese dice “use it or lose it”, cioè “usalo o perdilo”; se ad esempio faccio una vita sedentaria e non faccio mai esercizio fisico, cioè non uso mai il mio sistema muscolare, esso tenderà ad atrofizzarsi.

Lo stesso vale per il sistema immunitario. Se non lo uso mai, se non lo tengo in esercizio e lascio che siano esclusivamente i farmaci a combattere le malattie, esso tenderà inevitabilmente ad atrofizzarsi..
Sono dannosissimi anche i vaccini, che obbligano il sistema immunitario ad uno sforzo enorme e logorante.

Un vaccino contro l’influenza o contro l’epatite significa né più né meno che beccarsi queste malattie e per così dire “guarire” senza accorgersene.
Bisogna assolutamente evitare di fare vaccini di qualsiasi tipo, a meno che questo non sia veramente indispensabile, cioè si corra un rischio concreto e davvero probabile di contrarre una malattia grave.
Le vaccinazioni di massa sono sicuramente responsabili di un grosso indebolimento del sistema immunitario umano.

Le trasfusioni sono un altro enorme fattore di rischio. Abbiamo già visto che l’AIDS non è un virus, e non si trasmette attraverso il sangue. Ma attraverso le trasfusioni si possono contrarre una quantità di malattie debilitanti, ed inoltre le trasfusioni sono di solito accompagnate da terapie di farmaci immunodepressivi per evitare fenomeni di “rigetto”, poiché una trasfusione di sangue è a tutti gli effetti un trapianto (vedi più avanti). Peggio ancora, ovviamente, per i trapianti di organi.

Anche l’uso di droghe, soprattutto quelle pesanti (eroina, anfetamina, cocaina, alcool, ma anche tabacco, caffè, ecc…) contribuisce indiscutibilmente all’indebolimento del sistema immunitario, piaccia o non piaccia.

La cattiva alimentazione è un’altra concausa di debilitazione dell’organismo in generale. Tutti sanno che oggigiorno ci alimentiamo con cibi sofisticati ed adulterati, e spesso anche in maniera scorretta, troppi grassi, troppe calorie. Bisognerebbe cercare di tendere ad una alimentazione “sana” e corretta (per quanto possibile). Senza dilungarsi troppo, perché è evidente, altre cause di indebolimento fisico e psichico (e quindi anche del sistema immunitario) sono: la vita sedentaria, l’inquinamento, il degrado ambientale, lo stress, l’ansia, l’angoscia, la perdita del senso della realtà tipica del mondo mediatico e “mediato”, gli esperimenti medici, chimici e militari fatti segretamente sulla popolazione …

Marcello Pamio

Secondo la visione corrente la tecnologia vaccinale rappresenta il trionfo dell’umanità sui disegni “difettosi” di Madre Natura.
Peccato che a quella scienza autoincensatasi “non democratica”, va ricordato che l’evoluzione naturale non produce meccanismi difettosi, anzi.
L’allattamento al seno per esempio è il metodo di protezione immunologica specificamente adatto a tutte le esigenze del neonato. Oggi sappiamo infatti che numerosi componenti bioattivi contenuti nel latte materno conferiscono una determinata e importantissima protezione immunologica.
Come il latte in polvere non può competere con il latte materno dal punto di vista nutrizionale, così i vaccini non possono competere con il latte materno dal punto di vista dell’immunità.
Questo è assodato, anche se viene sempre dimenticato dalla medicina ufficiale.
Ecco perché la qualità dell’alimentazione (della madre in gravidanza e del neonato) continua ad essere un fattore cruciale nel determinare la funzionalità delle difese immunitarie nei bambini più grandi e negli adulti.

Perdita dell’immunità naturale
Il sistema immunitario dei neonati è immaturo e non è in grado di gestire in modo efficace i virus naturali e nemmeno i virus artificialmente attenuati contenuti nei vaccini.
Le madri naturalmente immuni - ossia quelle che hanno contratto le malattie virali durante l’infanzia - proteggono i loro bambini da queste malattie con il trasferimento passivo della loro immunità tramite la placenta durante la gravidanza e tramite il latte materno dopo il parto.
Se una madre è naturalmente immune, un’eventuale esposizione del bambino al virus durante l’allattamento porterebbe a un’infezione del tutto asintomatica con conseguente immunità a vita per quel particolare virus. Se il bambino invece viene esposto per la prima volta a quel virus soltanto dopo lo svezzamento, egli contrarrà la malattia naturalmente senza tante problematiche e acquisirà comunque una immunità a vita. Così funziona in Natura.
Le malattie virali sono sempre state definite “malattie infantili” proprio perché prima dell’istituzione delle vaccinazioni obbligatorie venivano contratte prevalentemente durante l’infanzia.

I bambini erano protetti dall’immunità materna, mentre gli adulti erano coperti dall’immunità a vita che avevano acquisito durante l’infanzia. Oggi non è più così perché l’impiego dei vaccini ha cambiato drasticamente questo schema!
In Natura l’esposizione naturale ai virus avviene tramite le mucose (bocca, occhi, naso, ecc.), mentre la maggior parte dei vaccini virali vivi attenuati e inattivati viene somministrata mediante una iniezione. Questa via di esposizione totalmente innaturale induce la produzione di anticorpi a livello del siero e non delle mucose. Differenza questa fondamentale per comprenderne i rischi intrinseci.
Poiché solo l’esposizione delle mucose contribuisce alla produzione di anticorpi nella ghiandola mammaria, le madri vaccinate non hanno la capacità di trasferire gli anticorpi indotti dal vaccino ai loro bambini mediante l’allattamento.
Per questi motivi nei primi anni ’90, quando il morbillo era ancora endemico negli Stati Uniti, nei bambini nati da madri vaccinate era stato riscontrato un rischio maggiore di contrarre quella malattia rispetto a quelli nati da mamme naturalmente immuni. Va ricordato che negli Stati Uniti la vaccinazione anti morbillosa obbligatoria era stata avviata nei primi anni Sessanta, quindi negli anni Novanta le donne (vaccinate e non coperte) erano in piena età fertile avendo trent’anni…

L’uso persistente del vaccino trivalente contro morbillo-parotite-rosolia, ma non solo, ha privato una generazione di madri e soprattutto i loro bambini dell’immunità naturale contro le rispettive malattie virali.
I vaccini virali vivi attenuati riducono l’incidenza generale delle corrispondenti malattie virali rendendo il nostro corpo inaccessibile ai virus di tipo selvatico per un periodo che va da 3 a 5 anni dopo la vaccinazione.
Ma così facendo esse impediscono alla maggioranza della popolazione umana di sviluppare l’immunità naturale senza tuttavia eradicare completamente il virus prima che nasca una nuova generazione di bambini privi di immunità naturale.
Queste blande malattie infantili sono diventate pericolose perché noi esseri umani le abbiamo rese tali.

Negli Stati Uniti si è cominciato a vaccinare contro il virus della varicella a metà degli anni Novanta e presto avremo una generazione di madri e bambini senza immunità naturale, prima della completa eradicazione del virus. Dobbiamo porre termine alla vaccinazione di massa contro la varicella prima che capiti questo, altrimenti questa malattia diventerà un morbo pericoloso per la generazione dei nostri nipoti, così come lo è il morbillo per i nostri neonati.
L’interruzione del ciclo naturale del trasferimento di immunità fra la madre e il bambino è una conseguenza pericolosa e irreversibile delle attuali campagne di vaccinazione di massa.
Il paradosso dei vaccini è che riducono l’incidenza generale delle malattie infantili ma le rendono enormemente più pericolose per la generazione successiva…

Vincere le battaglie ma perdere la guerra
Le malattie virali possono causare complicanze mortali solo nei neonati non protetti dall’immunità materna e negli individui gravemente malnutriti o immunodepressi.
Un grave problema che può subentrare dopo una malattia virale o insorgere spontaneamente è una malattia batterica invasiva come la polmonite, la meningite o l’encefalite.
Pochi sanno che i vaccini coprono soltanto una frazione minima della grande biodiversità dei ceppi batterici. Quando si eliminano quelli per i quali i vaccini sono stati creati, altri ceppi prendono il sopravvento e crescono a dismisura.
La pertosse è l’esempio perfetto di una campagna di guerra mal condotta contro i batteri.
Negli Stati Uniti era una malattia in declino negli anni precedenti quando era in uso il vaccino antipertosse a cellule intere. Quest’ultimo però avendo rivelato uno scarso livello di sicurezza, a metà degli anni 90 venne sostituito con il vaccino antipertosse acellulare.
In seguito negli Stati Uniti la pertosse ha cominciato a riemergere nonostante l’estensiva copertura vaccinale.
Il vaccino per la pertosse acellulare include proteine isolate ricavate dal batterio B. Pertussis. Esiste però un altro ceppo batterico che può causare la pertosse il B. Parapertussis.
Il nuovo vaccino acellulare garantisce protezione solo contro il pertussis ma non contro il parapertussis, mentre il vecchio vaccino è efficace contro entrambi i ceppi.

Rischi delle vaccinazioni
In conclusione la tecnologia vaccinale è estremamente rischiosa non solo per il contenuto di adiuvanti (formaldeide, antibiotici, frammenti di DNA animale e/o umano, ecc.) e di metalli tossici (alluminio, sale di mercurio, ecc.) che possono scatenare patologie anche gravissime (allergiche, autoimmunitarie, croniche e neurodegenerative) ma perché stanno trasformando innocue - ma importanti dal punto di vista evolutivo - malattie esantematiche infantili in pericolosi fardelli tossici per i neonati delle nuove generazioni.
Immunizzando i neonati oggi stiamo creando bambini e futuri uomini e donne non immunizzati naturalmente contro le malattie. Il problema serio è rappresentato dalle bambine, le quali saranno delle madri prive di immunità per se stesse e quindi non in grado di passare ai figli gli anticorpi adeguati mettendoli così a rischio.
Vacciniamo oggi per creare danni domani!
Queste sono cose note all’immunologia ufficiale, per cui la domanda che sorge spontanea è: perché continuano imperterriti su questa errata e innaturale strada? Forse le lobbies farmaceutiche vogliono predisporre l’intera umanità futura a gravissimi rischi epidemici?
Ai posteri (non vaccinati) l’ardua sentenza…

Tratto dal libro “I vaccini sono un’illusione” della d.ssa Tetyana Obukhanych, immunologa. Macro edizioni