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Il 2 dicembre 1943 al porto di Bari la nave americana John Harvey, che trasportava 150 tonnellate di Iprite (gas vescicante) alle 19:30 venne bombardata dagli aerei della Luftwaffe tedesca!
I vapori del gas mescolati alla nafta uccisero oltre 1000 persone, tra civili e militari.
Il Rapporto autoptico evidenziò sui cadaveri una aplasia del tessuto linfoide e midollare.
Da questa leucopenia il dottor Goodman ebbe l'intuizione di somministrare mostarda azotata (derivata dell’iprite) in 6 pazienti affetti da linfoma maligno.
Gli effetti - come potete immaginare - furono disastrosi, ma da questo punto inizia la folle storia della chemioterapia che giunge fino ai nostri giorni!
L'iprite e la mostarda azotata (da cui derivano i chemioterapici) sono armi chimiche vietate in guerra dalla Dichiarazione dell’Aja (1899), dalla Convenzione dell’Aja (1907), dal Protocollo di Ginevra (1925) e dalla Convenzione di Parigi (1993), ma nella guerra al cancro si possono iniettare in vena ai sudditi.
Possiamo quindi stupirci dei risultati?

Tratto dal libro "Cancro SPA", Marcello Pamio
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M.P.

E’ così difficile da comprendere che il cervello è appiccicato, adeso, attaccato, connesso e legato indissolubilmente al corpo? Sembra proprio di sì, e per qualcuno è quasi impossibile da concepire.
Del resto può essere comprensibile nel caso non venga usato se non per soddisfare i «bisogni vitali e fisiologici» in una sopravvivenza simile a quella di un animale in cattività: oppure potrebbe balenare il “sospetto”, ma solo momentaneo, che forse il cervello possa servire anche ad altro.
Anche chi nega questa ipotesi deve ammettere che l’uomo si può permettere il lusso di non pensare di respirare, bere, mangiare, digerire, defecare, dormire, ecc., perché qualcuno lo fa al suo posto.
Questo qualcuno è appunto il cervello! E’ il cervello infatti che genera il desiderio di “mangiare” (“fame”), di “dormire” (“sonno”), ecc., in maniera “autonoma” e soprattutto gratuita.

Ma l’uomo, nella sua stupidità e avidità, ha deciso che questo sistema “perfetto”, questo motore che pilota alla perfezione la nostra evoluzione da oltre 4 milioni di anni, non controlla alcune parti del corpo o se le controlla, questo avviene solo in alcuni momenti. Sembra cioè che il cervello sia in relazione e controlli solo “una parte”, ma non tutto, lasciando il resto al “caso”.
Esattamente come se la CPU di un computer decidesse di gestire il modem ma non la stampante, il monitor, ma non il mouse. Sarebbe follia allo stato puro in un organismo vivente.

Ed ecco che ad un certo punto arriva la cosiddetta «malattia», questa sconosciuta.
Tutti d’accordo, per esempio, che il cervello regola la funzione cardiaca, ma, se per caso il cuore inizia a «battere male» allora non è più il cervello l’origine dell’alterazione, ma il cuore stesso.
Tutti d’accordo che è il pancreas a produrre insulina e/o glucagone su “comando” del cervello, ma se si sviluppa il diabete la colpa è del malfunzionamento della ghiandola, per cui viene infusa insulina di sintesi, senza preoccuparci dell’organo supremo di comando.
E così via all'infinito, tanti sono gli esempi.

Se a questo punto qualcuno prova ad ipotizzare e dimostrare che è il cervello a comandare ogni singola cellula, organo e apparato del corpo, viene deriso e attaccato come fosse uno scemo o un ciarlatano.
Eppure…il Sistema Nervoso Autonomo CONTROLLA TUTTO, raggiunge ogni più piccola parte dell’organismo, perfino il sistema immunitario attraverso il torrente circolatorio.
Certamente non può essere un caso che la glia e il sistema immunitario derivano entrambi dallo stesso tessuto embrionale! La glia costituisce il 60% almeno del Sistema Nervoso e di quello immunitario, il quale produce citochine e altre sostanze che possono scatenare l’inferno o generare il paradiso.
Già il compagno di Candace Pert ipotizzò negli anni ’90 che il sistema immunitario fosse una specie di “digitazione” del cervello funzionale, sempre pronto ad informare il cervello di quello che accade in periferia, per poi inviare ordini di conseguenza.

Dovrebbe essere ovvio, ma non lo è, che nell'organismo umano prima vi sono i «segnali elettrici» poi quelli «chimici», e che senza corrente elettrica nel cervello il corpo sarebbe un cadavere!
Però se ti ammali, per esempio di leucemia (o di una qualunque altra malattia) il problema sta nel linfocita ovviamente, piuttosto che nel fegato o nel polmone (per le altre patologie) ...
Tutto funzionava perfettamente sino a pochi istanti prima, poi all'improvviso qualcosa cambia funzione e questo qualcosa deve essere combattuto con ogni mezzo a disposizione.

Il linfocita, che rappresenta la cellula che «ci mette in relazione» con tutto ciò che l’organismo conosce, ad un certo punto si «ammala», cambia forma e numero.
Risultato per la medicina: si è malati!
Anzi, il tessuto malato è il midollo, la centrale da cui si originano i linfociti.
E noi cosa facciamo? Senza ancora aver compreso la causa, senza saperne il perché, lo disintegriamo!
Oppure, come nelle nuovissime e costosissime terapie, si preleva il linfocita, si modifica il DNA (di cui non conosciamo nulla), si aggiungono dei recettori vari, e poi si «rimette» dentro il sangue del malato…
Ma quanto vive uno di questi linfociti? Non si sa.
Quello che però gli esperti sanno è la percentuale di successo: da 35 a 40 % nel migliore dei casi. Questo ovviamente nei pazienti che rispondono alla cura (cosiddetti «responder»), cioè quelli che reagiscono bene, ma in quelli «no responder» come la mettiamo?

Come mai invece, stando agli studi sempre decantati e osannati dai media, la sopravvivenza della leucemia linfoblastica acuta dopo la chemioterapia rasenta il 95%? Mistero.
Ci saranno recidive? Nessuno lo sa.
E’ una terapia definitiva? Nessuno lo può stabilire.
L’unica certezza è il costo: circa 1 milione di euro a terapia. Stiamo parlando della nuovissima terapia CAR-T.
Non è un po’ strano che l’establishment medico-scientifica sperimenti su cavie volontarie delle nuove terapie (costosissime) quando hanno a disposizione la chemio che (secondo loro) garantisce il 95 % di remissione della malattia? Forse qualcosa non torna…

Un’altra cosa che non torna è il fatto che tranne pochissimi casi, nessuno indaghi seriamente sull'unità centrale di controllo: il cervello appunto.
Tornando alla leucemia linfoblastica acuta, come mai è tipica dell’età pediatrica? E’ un caso che sia il tumore più frequente nei giovani.
Non potrebbe essere che sia il cervello a decidere di aumentare, diminuire, modificare i linfociti perché c’è «qualcosa da sistemare» nel modo che ha il bambino di «relazionarsi»? Proprio nel periodo in cui il piccolo dell’uomo impara a «relazionarsi», ad «esistere», e lo fa nella relazione e dalla relazione con i genitori. Sono infatti i genitori che danno al figlio il «diritto di esistere», il «diritto di vivere», permettendogli e insegnandogli a relazionarsi.
Perché prima di intossicare una creatura con chemioterapie varie, i luminari o i baroni di turno non si prendono la briga di indagare cosa stesse succedendo in famiglia, e cosa stesse vivendo quel bambino? Si sentiva amato, desiderato e voluto, oppure no? Si sentiva in «diritto di esserci» e di «esistere»? Sono semplici domande, ovviamente.
Se non mi sento in «relazione» con qualcuno, non potrebbe essere il cervello che ordina la produzione maggiore di quelle cellule che casualmente creano proprio la «relazione»?


A cura del dottor Giuseppe Di Bella 

Chi rifiuta le cure istituzionali di «provata efficacia» e osa guarire con MDB, è dichiarato reo di guarigione indebita.

Nel 2002 ho pubblicato un volume «Come prevenire i tumori», Carlo Marconi Editore, oggi esaurito, evidenziando anche le controindicazioni allo screening mammografico annuale per il rischio di induzione tumorale da radiazioni ionizzanti. Fui colpito da scomuniche e anatemi dei luminari e lampadari della cosiddetta comunità scientifica. Alcuni giorni fa il Presidente dell’Ordine dei Medici di Bologna, Dr Giancarlo Pizza, scienziato noto a livello internazionale, ha inviato agli iscritti la documentazione scientifica, in allegato, dell’American College of Physicians (ACP) screening mammography, che evidenzia e documenta i rischi dello screening mammografico annuale, con relativa pubblicazione sulla massima banca dati biomedica internazionale, sconfessando così un Tabù così caro al regime e gelosamente tutelato.

Nel volume di prossima pubblicazione, in luglio sulla prevenzione dei tumori, ho inserito un ampio capitolo sulla mammografia e radiazioni ionizzanti. Gradualmente si stanno scardinando, sgretolando i falsi miti e gli interessati inganni creati e ossessivamente riproposti dai mainstream di regime, asserviti ai circoli di potere politico finanziari. E’ nota la commovente sensibilità e l’eroica solidarietà dei nostri politici per gli ammalati neoplastici che si curano a loro spese e osano guarire col Metodo Di Bella.

Dieci anni fa curai una ragazza per un linfoma NH in rapida progressione, chemio resistente, non più responsivo dopo il completo fallimento di vari cicli di chemio-radioterapia. Dopo circa un anno di terapia intensiva con MDB la ragazza guarì. Per il documentato fallimento dei protocolli oncologici e la certificazione con esami ematochimici e strumentali della completa e stabile remissione con MDB, fece ricorso e ottenne l’erogazione del MDB. L’ematologia fece opposizione e malgrado il dato di fatto, incontestabile, della guarigione con MDB, il giudice, invocando gli esiti della sperimentazione, la condannò a restituire quanto aveva ottenuto per potersi curare e guarire. L’Italia si rivelò ancora una volta, dopo la creazione del Diritto Romano, Patria del diritto, creando un nuovo reato «La guarigione indebita». Chi rifiuta di farsi accoppare dalle cure istituzionali di «Provata efficacia» e osa guarire con MDB è dichiarato reo di «Guarigione indebita», oltre che del gravissimo reato di lesa maestà verso i luminari, le sacre, immacolate, disinteressate vestali della tanto celebrata, «Comunità scientifica», così affine e attigua ai centri di potere che gestiscono il mercato del farmaco e relativi fatturati. «Similes, cum similibus et facillime congregantur».

Io non ho scoperto nulla, né ho il minimo merito in queste guarigioni ottenute dal metodo messo a punto da mio padre. Cerco solo di applicarlo, diffonderne il razionale e meccanismo d’azione, i riscontri clinici. Sto sperimentando anch' io come mio padre, quanto sia difficile, erto, faticoso, pieno di ostacoli, il percorso di chi cerca di proporre scomode ma incontestabili verità ad una società ormai impermeabile e refrattaria alla verità. Mi ha colpito e ricorderò la replica di mio padre all’affermazione di Don Giovanni d’Ercole, che la verità si sarebbe comunque affermata, rispose «ma con quale costo di sofferenze


Dal sito www.dibellainsieme ho tratto questa significativa immagine.
La propongo perché ritengo che rappresenti e sintetizzi perfettamente l’eroico, costante, commovente impegno dei circoli politici di potere per la salute, la vita, i diritti dei loro sudditi. Una classe politica che tutto il mondo ci invidia per onestà, competenza, cultura, efficienza, disinteresse, è stata diffusamente informata ed è perfettamente consapevole (non ci vuole molto), della totale mancanza di dignità scientifica e legittimità della sperimentazione ministeriale del MDB. Sono stati informati in tanti delle evidenze scientifiche del MDB ormai pubblicate e da tutti reperibili sulle massime banche dati biomediche internazionali www.pubmed.gov.

Sono stati aggiornati sui gravi limiti delle attuali terapie mediche dei tumori, e del fatto incontestabile che da un’attenta revisione dell’intera letteratura mondiale non emerga un solo caso di tumore solido guarito da terapia medica. Se questo avvenisse la chirurgia oncologica non avrebbe ragione di esistere, al contrario le guarigioni sono unicamente dovute alla chirurgia. I soli casi di tumori solidi guariti senza intervento chirurgico-chemio-radioterapia, sono quelli curati col MDB, pubblicati e reperibili da chiunque su www.pubmed.gov, https://www.researchgate.net/ digitando Luigi Di Bella e Giuseppe Di Bella.

Ho dato a diversi politici testi, monografie, pubblicazioni, revisioni delle banche dati, documentazioni incontestabili e chiarissime dell’efficacia del MDB e della totale assenza di dignità scientifica della sperimentazione del 1998. Li ho invitati insistentemente a vedere e considerare attentamente la mole impressionante di documenti legalmente validati, raccolti in quattro anni di ricerche, riportati nel film documentario «Il Metodo Di Bella 20 anni dopo» (riferimenti e link su www.metododibella.org in prima pagina). A cinque mesi dalla diffusione su VIMEO, Il film-documentario non ha ancora destato il meritato interesse, non ha scosso coscienze, né mobilitato, né coinvolto emotivamente nessuno di questi signori. Nessun politico si è mosso, nessuno ha richiamato, né ha dato un minimo segno di interesse, di partecipazione alle difficoltà, sofferenze di ogni genere, vessazioni che tanti devono subire per curarsi, con gravi difficoltà economiche e ostilità.

Anche qualche politico che in passato aveva acquisito visibilità e notorietà con il MDB, si è regolarmente eclissato una volta eletto. Farmaci già pagati, bloccati alle dogane, costi assurdi e speculativi in Italia, difficoltà burocratiche di ogni genere a procurarseli all’estero dove costano un quarto, (perché in Italia il costo è quadruplicato?), non destano il minimo interesse, attenzione, solidarietà. Tante tragedie non li sfiorano neppure, sono infastiditi se qualcuno cerca ripetutamente di coinvolgerli, interessarli, chiedere attenzione e aiuto, occupati come sono a celebrare i riti, i fasti, i valori, da cui è nata e su cui poggia questa nostra eccelsa, gloriosa, democratica, Repubblica.

Dott. Giuseppe Di Bella, figlio del Prof. Luigi Di Bella e promotore della terapia antitumorale, "Metodo Di Bella".
http://www.metododibella.org/it/notizie/2019-06-06/Paradossi-il-reato-di-guarigione-indebita-Il-Quotidiano-del-Lazio.html#.XPuNI4gzbcs

Marcello Pamio

Quando nel 1971 il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon firmò il «National Cancer Act», si diede ufficialmente inizio alla «guerra al cancro».
Una guerra violenta, combattuta a colpi di gas vescicanti e napalm in vena. Potremo dire senza sbagliare, l’unica vera guerra mondiale perché portata avanti da tutti i paesi del globo.
L’America è sempre stata la direttrice, e non a caso dopo Nixon tutti i presidenti che seguirono fecero lo stesso, e tra questi si distinse Barack Obama che arrivò a paragonare il conflitto alle «Missioni Apollo» della NASA. Infatti secondo lui, con il «Cancer Moonshot Initiative» l’America sfida il cancro: sarà come conquistare la Luna! (1)

Il paragone ci sta proprio a pennello, siccome la Luna non è mai stata realmente conquistata e calpestata se non negli studi cinematografici, il cancro, dopo quasi mezzo secolo, non solo non è stato sconfitto, ma addirittura miete sempre più vittime. «Houston qui abbiamo un problema…»
Ma non tutto il male vien per nuocere e anche nella guerra al cancro qualcosa ha funzionato perfettamente: i finanziamenti miliardari alla ricerca sono piovuti come una manna dal cielo.
Sembra un paradosso, ma quanti più soldi vengono destinati alla ricerca, e tanto più il cancro sfugge al controllo. E’ una legge economica che non fa una piega: si finanzia la ricerca per la risoluzione di un problema, ma se il problema viene risolto ovviamente non si finanza più. Logica allo stato puro.
Quindi se la ricerca (finanziata) del cancro avesse fatto qualche passo in avanti riducendo incidenza e mortalità, sarebbe cessato il fiume di miliardi in entrata. Ma se il cancro continua a crescere e mietere vittime allora i soldi si troveranno sempre…

Dal giorno della storica dichiarazione di Nixon, l’effluvio di miliardi di dollari che hanno iniziato a inondare gli istituti di ricerca, i laboratori e le case farmaceutiche non si contano nemmeno.
Il cancro è per le lobbies che producono farmaci linfa vitale, una vera e propria miniera di platino. Non esiste settore terapeutico più strategico e importante dal punto di vista economico.
Ogni anno i paesi spendono solo per farmaci anti-cancro oltre 100 miliardi di dollari, il 33% in più degli anni Novanta. (2) Nel 2015 la spesa è stata di 107 miliardi ma raggiungerà, stando alle previsioni, i 190 miliardi nel 2020. (3)
Secondo gli analisti del settore la crescita del cancro nei prossimi anni sarà inesorabile…

Morti per cancro
Secondo l’IHME, l’«Institute for Health Metrics and Evaluation» nel 1990 a livello mondiale sono morti per cancro 5.7 milioni di persone, nel 1995 sono stati 6.4 milioni, nel 2000 circa 6.97 milioni, nel 2005 ben 7.53 e nel 2016 quasi 9 milioni. (4)
Per cui in meno di 30 anni la mortalità è cresciuta del 56%. (5)

Anno 1990 1995 2000 2005 2016
Morti per cancro 5.700.000 6.400.000 6.970.000 7.530.000 9.000.000

Vediamo ora i conti partendo dagli anni Settanta.
Nel 1970 i morti per cancro solo negli Stati Uniti sono stati 330.000 (6), mentre oggi hanno toccato quota 600.000. Quindi in America i morti sono praticamente raddoppiati.
Va ricordato che la popolazione negli anni Settanta era di 200 milioni, mentre oggi viaggia attorno ai 320 milioni. L’aumento della mortalità nel periodo (1970-oggi) è stato del 56%, mentre la popolazione è cresciuta del 60%.
Apparentemente sembra che la mortalità sia calata, anche se di pochi punti in percentuale, ma è una illusione ottica, perché andrebbe considerata la «sovradiagnosi». In pratica grazie agli screening, come vedremo nel dettaglio, si trovano tumori anche quando non ce ne sono, facendo crescere a dismisura l’incidenza, ma non la mortalità.
Questa strategia, che rientra nel marketing, è estremamente funzionale alle industrie…
Illuminante è l’esempio dagli anni Settanta ai Novanta, quando ancora gli screening non erano diffusi.

Tasso di mortalità dal 1970 al 1990
Il tasso inalterato di mortalità per cancro su 100 mila americani nell’anno 1970 era di 162.8. Moltiplicando questo tasso per la popolazione dell’epoca (203 milioni) e dividendo per 100.000 si ottiene il numero di morti che è stato pari a 330.000 circa. Infine dividendo questo valore per il numero dei giorni in un anno risulta che nel 1970 sono morte 907 persone al giorno!
Vent’anni dopo, il tasso di mortalità per cancro nel 1990 era di 203.2 e i morti giornalieri 1384. Dopo soli 6 anni, con un tasso di 209.5 le morti totali furono 554.740 su una popolazione di 264 milioni circa. Risultato nel 1996 sono morti ogni giorno 1520 americani.

Ecco in tabella i risultati della grande guerra al cancro:

Anno 1970 1990 1996 1997 2015
Tasso mortalità per 100.000 abitanti 162.8 203.2 209.5 210.0 158.5
Popolazione 203.000.000 248.000.000 264.000.000 268.000.000 321.000.000
Morti al giorno 907 1384 1520 1547 1393

Osservando il tasso di mortalità per cancro («death rate»), esso cresce dagli anni Cinquanta fino agli anni Novanta per poi iniziare a decrescere lentamente (7) fino ai nostri giorni.
Ecco la dimostrazione che le terapie ufficiali danno i loro frutti: funzionano? Assolutamente NO.
Cos’è successo dagli anni Novanta in poi? Forse le lobbies hanno iniziato a produrre chemio meno tossica, meno cancerogena? Niente di tutto questo: il diserbante è rimasto pressoché il medesimo scoperto negli anni Quaranta, quello che ha fatto e sta facendo la differenza si chiama «sovradiagnosi» e «lead-times bias».

Sovradiagnosi e distorsione temporale
Gli screening di massa, grazie ad una massiccia propaganda mediatica, sono diventati l’unica regola di vita, la vera “prevenzione”. Quasi nessuno parla dell’importanza dello stile di vita: alimentazione, movimento, esposizione solare, tranquillità di spirito, aspetti emotivi, ecc.
Anche perché dove si trova il tempo per mangiare meglio, per muoversi all’aria aperta, se siamo occupati a fare mammografie, test del PSA, proctoscopie, esami per il sangue occulto nelle feci, mappatura dei nei e altre centinaia di test? Questi sì che sono importanti, il resto è fuffa.
Confondere «esame diagnostico», o «diagnosi precoce» (screening) con «prevenzione» (stile di vita) è un errore gravissimo che può costare la vita. L’errore è anche pedagogico: perché una persona si convince che facendo costantemente esami il cancro non le verrà. Sbagliatissimo e la Vita ce lo conferma ogni giorno!

Gli screening, soprattutto per come vengono eseguiti oggi (massificazione), servono solo a «cercare il malato nel sano», e lo trovano praticamente sempre!
L’evoluzione tecnologica delle apparecchiature permette infatti di evidenziare particolari sempre più piccoli, infinitesimi che nella maggioranza dei casi (per fortuna) rientrano nella «sovradiagnosi», cioè si tratta di «lesioni» e/o «tumori in situ» che NON EVOLVERANNO MAI e non creeranno nessun problema di salute. Ma una volta scoperte, diagnosticate e fotografate, oltre a fare lievitare esponenzialmente la paura e dare il là ad altri esami di approfondimento (biopsie, prelievi, nuovi esami, ecc.), vanno a gonfiare artatamente le statistiche dell’incidenza del cancro.

Lo screening quindi rivela “anomalie” che rientrano nella “definizione” di cancro, ma che non progrediranno e quindi non causeranno ne sintomi e neppure la morte.

«Se la tanto conclamata diffusione delle patologie cancerose fosse solo un’illusione ottica prodotta dalla diffusione delle diagnosi precoci di tumori che un tempo passavano inosservati e regredivano naturalmente?»
Prof. Luigi de Marchi, psicologo clinico

La conferma della verità contenuta nelle parole del compianto professor De Marchi arriva da pubblicazioni ufficialissime.
Il 18 agosto 2016 il NEJM, «New England Journal of Medicine» pubblica uno studio secondo il quale dal 50 al 90% dei tumori alla tiroide sono sovradiagnosi. Secondo gli autori quindi, il novanta per cento dei tumori alla tiroide riscontrati con l’ecografia sono carcinomi in situ innocui che NON evolveranno e non necessitano di NESSUN trattamento terapeutico.
Qualche anno prima, il 9 luglio 2009, l’altro mostro sacro della scienza ufficiale, il BMJ, «British Medical Journal», pubblicava uno studio sulla stima della «sovradiagnosi» nel tumore al seno negli screening. I dati da UK, Canada, Australia, Svezia e Norvegia indicavano uno sconvolgente 52%, che sta a significare che oltre 1 tumore su 2 al seno è sovradiagnosi, quindi assolutamente innocuo e per tanto non andrebbe toccato!
Gli screening di massa provocano una diagnosi anticipata nel tempo e questo porta a tassi di sopravvivenza di 3-5 anni più alti, anche quando i pazienti non vivono più a lungo!

Per comprendere questo passaggio è necessario sapere che a livello internazionale, per stabilire se le terapie funzionano viene usato un lasso di tempo di 5 anni dal momento della diagnosi. Se il paziente muore “entro” 5 anni dalla diagnosi è un caso negativo, se muore dopo 5 anni è un caso positivo e finisce nelle statistiche di guarigione. Sembra fantascienza, ma oltre il quinto anno dalla diagnosi, che la persona sia viva o morta poco importa, per le statistiche è un dato positivo.
Prima dell’utilizzo massificato degli screening, la diagnosi veniva fatta solo 3 anni prima della morte del paziente, oggi grazie alla diagnosi precoce si individua il cancro ben oltre 6 anni prima della sua morte. Questo ha una implicazione allucinante perché l’aumento della sopravvivenza (strombazzato dai media) è una mera illusione ottica e statistica: vi è un numero sempre maggiore di pazienti NON guariti ma sopravvissuti ai 5 anni!

Per cui oggi si muore di meno di cancro sulla carta, ma solo perché non si è morti entro 5 anni dalla diagnosi. Perché è più facile vincere al superenalotto che trovare le statistiche di sopravvivenza a 10 o 20 anni dalla diagnosi? Forse perché i dati dimostrerebbero che la mortalità è molto più alta di quella che ci raccontano?

Si muore per la malattia o per la cura?
Ricercatori e oncologi, spalleggiati dalle industrie che hanno tutto l’interesse affinché il cancro dilaghi come un incendio, sono riusciti a dilapidare migliaia di miliardi di dollari in ricerche inutili e in farmaci tossici e cancerogeni, con i risultati che ben vediamo: crescita costante del cancro.
A questo punto una domanda scottante è pressoché obbligatoria: una persona malata di cancro che non ce la fa nonostante tutte le terapie ufficiali è morta per la malattia, perché il suo organismo non ha risposto alla cura, o per la tossicità dei farmaci usati?
Domanda più che legittima visti gli studi e le pubblicazioni ufficiali uscite in questi ultimi anni…

Nel dicembre del 2004 esce la faraonica ricerca a firma di Grame Morgan (professore associato di radiologia al Royal North Shore Hospital di Sidney), Robyn Ward (professore oncologo all’University of New South Wales), Michael Barton (radiologo e membro del Collaboration for Cancer Outcome Research and Evaluation del Liverpool Health Service di Sidney).

Lo studio dal titolo: «Il contributo della chemioterapia citotossica alla sopravvivenza a 5 anni dei tumori in adulti» è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista di oncologia «Clinical Oncology».
I ricercatori hanno preso in esame tutti gli studi clinici randomizzati condotti in Australia e Stati Uniti nel periodo compreso tra gennaio 1990 e gennaio 2004, e l’analisi ha interessato 225.000 persone malate nei 22 tipi di tumori più diffusi e curate SOLO con chemioterapia.
Quando i dati erano incerti gli autori hanno deliberatamente stimato in eccesso i benefici della chemioterapia. Nonostante simili accortezze, la conclusione è inquietante:

Sopravvivenza Australia     > 2,3%
Sopravvivenza Stati Uniti   > 2,1%

Se la chemioterapia citotossica contribuisce alla sopravvivenza a 5 anni per un 2%, come mai si continua ad usarla? Cos’è accaduto al rimanente 98% dei pazienti, che stando allo studio, non avrebbero avuto nessun contributo alla sopravvivenza a 5 anni? Sono vivi o morti dopo 14 anni?
Il 5 agosto del 2012 la rivista «Nature» pubblica uno studio che evidenzia come la chemioterapia in realtà può stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita tumorale stessa rendendo immune il tumore ad ulteriori trattamenti. I ricercatori hanno spiegato che i risultati «indicano che il danno nelle cellule benigne può direttamente contribuire a rafforzare la crescita cinetica del cancro».
La chemio per tanto, oltre ai danni a tessuti e cellule che ben si conosce, sarebbe in grado di accelerare la crescita del cancro.
Se non bastasse quanto fin qui detto, a settembre del 2016 la prestigiosissima rivista «Lancet Oncology» se ne esce con uno studio sempre sulla nocività della chemio.
Il trattamento principe per il cancro è imputato di uccidere oltre il 50% dei pazienti entro il primo mese dall’inizio della cura. Lo studio ha preso in considerazione 23.000 donne e 10.000 uomini con carcinoma polmonare. Di questi 9.634 sono stati sottoposti a chemio nel 2014 ed entro 30 giorni ne sono morti 1.383. L’indagine ha rilevato che in Inghilterra circa l’8,4% dei pazienti con cancro del polmone e il 2,4% di quelli con tumore al seno sono deceduti entro un mese dall’avvio del trattamento. Ma in alcuni ospedali il tasso di mortalità per chemioterapia contro il carcinoma polmonare è risultato addirittura del 50,9%.
Un paziente che muore nelle prime settimane dall’inizio della cura, è stato ucciso dal cancro o dalla “terapia”? Da quando la chemio ha fatto la sua apparizione ad oggi, quante persone sono morte?

Cancro: morti dal 1950 ad oggi
Calcolare il numero di morti negli ultimi 70 anni è molto difficile perché i fattori che intervengono sono tantissimi: l’aumento della popolazione, l’incidenza del cancro nel corso degli anni, le terapie, i registri oncologici, le schede di registrazione, ecc.
Saranno usati per comodità i dati degli Stati Uniti perché sono più completi, per fare poi una proiezione globale.
Nei primi anni Cinquanta i morti annuali negli Stati Uniti erano 200.000, mentre oggi circa 600.000, per cui sono triplicati. Attualmente i morti nel mondo superano i 9 milioni all’anno, nel 1950 erano circa 3 milioni.
Vediamo di stabilire quante persone sono morte in circa 70 anni di guerra al cancro.

Dal 1950 al 1990, la media è di circa 6.000.000 di persone morte all’anno
Dal 1990 al 2018, la media è di circa 7.000.000 di persone morte all’anno

Eseguendo una banale media, certamente molto grossolana, sulla mortalità dal 1950 al 2018, risulterebbe che le persone con il cancro morte superano di gran lunga 430.000.000.
Una cifra allucinante, ma sicuramente molto più bassa della realtà perché nel conteggio non vengono calcolate tutte quelle persone che muoiono per gli effetti collaterali della chemio, come per esempio ictus, infarto, ischemie, ecc.
Tema questo degli effetti collaterali che ha interessato l’apertura del congresso di cardio-oncologia di Napoli tenutosi da 21 al 23 febbraio 2018. Al centro del contendere, uno studio recente sulle cause di decesso di 1807 pazienti sopravvissuti al cancro, in un follow-up di 7 anni, dal quale è emerso che il 33% muore per disturbi cardiaci e il 51% per la malattia per la quale era in cura, cioè il cancro.

Milioni di persone muoiono ogni anno per attacchi cardiaci causati direttamente dalla chemio. Queste morti non vengono registrate nelle statistiche del cancro ma in quelle delle malattie cardiovascolari.
Quando infatti una persona muore (questo si verifica nella maggior parte dei casi in ospedale) il medico è tenuto a riportare su apposite schede la causa del decesso.
Cosa scriverà il medico nelle schede Istat dove vengono riportati i codici ICD-10 («Classificazione internazionale delle malattie»): «il paziente è morto per gli effetti collaterali della chemio», o è più semplice per tutti, anche per pararsi il didietro, riportare il generico «Arresto cardiaco non specificato»? (Codice: 146.9).
Ecco il motivo per cui andrebbero rivisti completamente tutti i dati ufficiali.

Vediamo ora l’incidenza globale
L’incidenza dagli anni Cinquanta fino ai nostri giorni è cresciuta in linea retta da 2 milioni ai 15-16 milioni odierni, ogni anno. La media è di circa 6 milioni all’anno, per un totale di oltre 560 milioni di persone. Se tutte queste hanno fatto la chemio, come è logico attendersi, molto probabilmente circa 200 milioni (33%) sono morte per “acciacchi cardiovascolari” causati dai protocolli.
Quindi ai 430 milioni visti prima andrebbero sommati anche 200 milioni che portano il numero delle morti dal 1950 ad oggi ad oltre 600 milioni!
Per buona pace dei dati statistici reali, perché così facendo i morti per cancro saranno sempre sottostimati in maniera esagerata.
Ma non finisce qua, perché nei paesi del Terzo Mondo come l’Africa e in quelli in via di sviluppo o emergenti come l’India non esistono seri registri oncologici. Questi paesi non hanno alcun registro tumori, per cui mancano un controllo e una verifica seria e completa dei dati.
Qual è la conclusione? I dati sulla mortalità per cancro che ci vengono dettagliatamente descritti dall’OMS non sono realistici: a livello mondiale il numero di morti all’anno certamente supera di molto il doppio descritto.

Tutto ciò non è strano visto che a livello ufficiale sono tantissime le cose che non tornano…
Ci dicono per esempio che il cancro alla mammella (grazie a screening e terapie) si guarisce nella maggior parte dei casi: chi spara il 90% e chi oltre. Meravigliosa notizia, peccato che se poi si guarda qual è la principale causa di morte IN ASSOLUTO nella donna, vien fuori che è il cancro al seno. Ma come, non era guaribilissimo?
Tenendo conto di tutto questo e di molto altro che non è stato possibile inserire in questa analisi, le persone morte per cancro e per la sua cura dal 1950 ad oggi lievitano a un numero impressionante e inquietante, sicuramente molto superiore al miliardo di persone. Ma forse è ancor più alto…
Eccoli qua negli ultimi 70 anni i grandissimi risultati della medicina nella guerra contro il cancro!

Note

(1) «L’America sfida il cancro: sarà come la conquista della Luna»
https://www.corriere.it/salute/cardiologia/16_giugno_07/america-sfida-cancro-sara-come-conquista-luna-13e811a8-2c63-11e6-a9f0-4be9f59428af.shtml

(2) «AIOM: Italia investe meno, la risultati migliori», http://www.dire.it/03-06-2016/57441-tumori-aiom-italia-investe-meno-risultati-migliori/

(3) «Oncologia: riflettori accesi all’Asco sugli alti costi dei farmaci e sulle potenzialità delle immunoterapie», https://www.aboutpharma.com/blog/2016/06/03/oncologici/
(4) https://ourworldindata.org/cancer#cancer-deaths-by-age

(5) «Are death rates from cancer rising?», https://ourworldindata.org/cancer#cancer-deaths-by-age
(6) «Cancer deaths in 1970 and in 1997», http://www.gilbertling.org/lp2.htm
(7) «Deaths by cancer in the U.S. from 1950 to 2015 (per 100,000 population)»
https://www.statista.com/statistics/184566/deaths-by-cancer-in-the-us-since-1950/

Marcello Pamio

«Qual è la differenza tra attraversare la strada bendato
ed entrare in ospedale?
Nessuna, in entrambi i casi rischi la vita
».
M.P.

Lo scrittore latino Publiliu Syrus nato nell’85 a.C. era convinto che «dagli errori degli altri, un uomo saggio corregge i suoi». In teoria dovrebbe essere così, ma oggi soprattutto in ambito medico le cose sono un po’ diverse…

Mortalità in Italia
In Italia ogni anno a causa di una qualche malattia muoiono circa 600.000 persone.
Secondo l’Istat nel 2014 i decessi sono stati quasi 598.670 e nel 2015 hanno superato quota 646.000.
Le principali cause in ordine decrescente sono: malattie ischemiche del cuore (69.653), malattie cerebrovascolari (57.230) e altre malattie del cuore (49.554). Poi i tumori maligni (33.386), malattie ipertensive (30.690), demenza e Alzheimer (26.600), malattie respiratorie (20.234), diabete mellito (20.183), tumori di colon/retto (18.671), tumore seno (12.330), tumori al pancreas (11.186) e via via fino al suicidio (4.147) all’ultimo posto.
Raggruppando le prime tre voci sotto “malattie cardiovascolari”, visto che tutte interessano lo stesso apparato, si raggiunge la cifra di 184.737 morti all’anno, mentre i tumori uccidono all’circa 125.000 persone.
Da qui l’arcinota classificazione che vuole al primo posto per mortalità le malattie cardiovascolari, poi i tumori. Ma è proprio così?
Dall’elenco dell’immarcescibile Istat non esisterebbero infatti per esempio le «morti iatrogene», cioè tutte quelle morti dovute a errori medici o date dagli effetti collaterali dei farmaci.
Come mai? Mancanza alquanto anomala visto che si tratta di una delle prime cause di morte al mondo!

Errori medici
Mentre da noi le morti iatrogene sono un mistero, una delle riviste scientifiche più accreditate al mondo, il British Medical Journal, se ne esce denunciando l’impatto che queste hanno sulla salute pubblica e sulle casse dei sistemi sanitari.
Il 3 maggio 2016 con un titolo inequivocabile «Errori medici, terza causa di morte in USA» («Medical error – the third leading cause of death in the US»[1]) il B.M.J. pubblica uno studio che rimarrà nella storia.
Lo firmano l’oncologo Martin Makary e il suo allievo Michael Daniel del Dipartimento di chirurgia della Scuola di Medicina della Johns Hopkins University di Baltimora negli Stati Uniti. Secondo i ricercatori gli errori medici uccidono più di 250.000 persone ogni anno su un totale di circa 2,6 milioni di decessi.
Quindi negli States il 10% delle morti per malattia sono causate da errori umani o da farmaci.
Un problema enorme.

Classificazione internazionale
Il problema però è ancora più serio di quello che si possa pensare.
A livello internazionale quando muore una persona in ospedale il medico compila un certificato assegnando un codice I.C.D. (International Classification of Disease).
Ogni malattia ha un corrispondente numero ben preciso. Se per assurdo una causa di morte NON è associata ad un codice I.C.D., cioè non è contemplata dal manuale in teoria non dovrebbe esistere.
Il punto cruciale è che «il fattore umano» sfugge a tale conteggio! Quindi tutte le cause di morte non associate a un codice semplicemente NON vengono registrate come “errori”, ma sotto un’altra voce...
Per l’O.M.S., l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 117 i Paesi ad aver adottato la codifica I.C.D. tra cui ovviamente anche l’Italia!
Come allora codificare e misurare l’errore umano?
Stiamo parlando di numeri preoccupanti: negli USA l’impatto è quantificabile intorno ai 210 - 400.000 decessi ospedalieri ogni anno.
Hanno cercato di farlo gli autori dello studio del B.M.J. sopracitato analizzando gli studi dal 1999 in poi ed estrapolando il dato in base al numero di ricoveri ospedalieri.

Manuale ICD-9-CM
Nella versione italiana di 1120 pagine della ICD-9-CM (International Classification of Diseases - 9th revision - Clinical Modification) si parla solo di «Avvelenamento da farmaci, medicamenti e prodotti biologici» e i codici vanno da 960 a 979.[2]
Nella classificazione ufficiale si contemplano i danni dei medicinali solo nel contesto di un avvelenamento e non in merito agli effetti collaterali che questi inducono. Ecco perché alle voci «errore medico», «effetto collaterale farmaco», «effetto secondario farmaco», ecc. c’è il vuoto cosmico…

Quanto è grande il problema?
Il dato americano sembra catastrofico, ma come vedremo è sottostimato…
In America la fonte che riporta le stime dei decessi annuali causati da errori medici è un report datato 1999 molto limitato e obsoleto dell’Istituto di Medicina (I.O.M.). Questo report parla di una media che va da 44.000 a 98.000 decessi annuali.
Un altro rapporto del 2004 riguardante i decessi di pazienti ricoverati associati all’Agenzia per la Qualità nella Sanità e per la Verifica della Sicurezza del Paziente riferita alla popolazione con assistenza sanitaria, ha stimato che 575.000 decessi sono stati causati da errori medici in tre anni, tra il 2000 e il 2002. Il che rappresenta poco meno di 200.000 morti all’anno.
Il Ministero della Salute americano esaminando gli archivi dei ricoverati nel 2009 riportò che 180.000 decessi tra coloro aventi assicurazione sanitaria erano dovuti a errori medici.

Death by Medicine
Un documento illuminante del 2004 si intitola «Death by Medicine» ed è firmato da un gruppo di ricercatori quali Gary Null, PhD, Carolyn Dean MD, ND, Martin Feldman, MD, Debora Rasio, MD e Dorothy Smith, PhD.
Secondo questo inquietante e fastidioso rapporto, il numero delle persone che finiscono in ospedale ogni anno in America a seguito di reazioni avverse è di oltre 2,2 milioni; circa 20 milioni sono gli antibiotici non necessari prescritti annualmente e 7,5 milioni sono le persone che subiscono procedure mediche e chirurgiche non necessarie. Mentre le persone che vengono ospedalizzate inutilmente sarebbero quasi 9 milioni.
Le loro stime sono allucinanti: 783.936 gli americani che muoiono ogni anno a causa della medicina allopatica, cioè per malasanità. Una ecatombe ogni anno. Se questi dati sono veri, il podio delle morti sarebbe occupato dal caduceo con il serpente attorcigliato…
Di questi oltre 106.000 americani morirebbero SOLO per gli effetti collaterali dei farmaci!

Situazione italiana
Secondo il Rapporto sulle «Attività di ricovero ospedaliero» del Ministero della salute italiano nel 2016 vi sono stati 8.692.371 ricoveri ospedalieri, nel 2014 sono stati 9.526.832[3] .
Negli ultimi trent’anni l’Italia è rimasto uno degli ultimi paesi occidentali nel quale si esala l’ultimo respiro più spesso nella propria abitazione, poi vi è stata una inversione di tendenza nell’ospedalizzazione della morte. Oggi la percentuale media dei decessi in ospedale raggiunge il 42%,[4] con punte del 47% al Centro Nord e del 32% al Sud e isole.[5]
Quindi quasi la metà delle persone muore in ospedale.
Quante sono le persone che da noi muoiono per cause iatrogene?

I medici ammazzano 6 pazienti su 100
In Italia ogni anno tra i ricoverati in ospedale «i medici ammazzano 6 pazienti ogni 100».
«Una cifra impressionante, ma che non stupisce, per la quantità di casi di malasanità di cui si viene conoscenza».[6]
E’ uno dei dati più significativi e soprattutto inquietanti emersi dal Simposio Internazionale di salute pubblica organizzato dall’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Varese nel 2005 dal titolo: «La medicina centrata sulla sicurezza del paziente».[7]
Questo è il motivo per cui l’errore medico è diventato la preoccupazione maggiore dei sistemi sanitari odierni.
Se questo 6% è corretto e se lo applicassimo a tutti i ricoveri ospedalieri, tenendo conto che oggi sono oltre 9 milioni all’anno, i morti si aggirerebbero attorno ai 500.000! Ovviamente dai 9 milioni di ricoveri vanno tolti tutti i ricoveri non gravi, e questo è il motivo per cui è difficilissimo stabilire il numero esatto di decessi causati dai medici.
Qualche dato ufficiale in più arriva dalla rivista “Rischio Sanità” del 2001: «su 8 milioni di persone che ogni anno vengono ricoverate negli ospedali italiani, ben 320.000 ne escono con danni, menomazioni e malattie che non sono correlate con il motivo che le ha portate al ricovero, ma sono dovute agli errori nelle cure ed ai disservizi ospedalieri. Errori e disservizi che fanno sì che tra questi 320.000 danneggiati ben 50.000 (ossia quasi 10 volte i morti per incidente stradale) muoiono».[8]
Quindi gli errori commessi dai medici hanno una mortalità che supera il 15%.
Dati questi del 2001, per cui se venissero aggiornati tenendo conto degli attuali 9 milioni di ricoveri, le persone che ogni anno subiscono un danno più o meno grave dall’apparato medico sarebbero circa 360.000, con la conseguente crescita anche delle morti.
Quanti dei 50-60.000 morti all’anno per errori medici sono dovuti agli effetti collaterali dei farmaci?

Pharmakiller

«Il motivo principale per cui assumiamo così tanti farmaci
è semplice: le aziende farmaceutiche non vendono farmaci,
ma bugie sui farmaci
»
Peter C. Gøtzsche[9]

Compreso che gli I.C.D., (casualmente) non contemplano le morti da farmaco per cui le registrazioni sono totalmente incomplete, si possono estrapolare dati statistici partendo dal presupposto che i vari sistemi sanitari compiano gli stessi errori nei vari paesi occidentali.
Se negli Stati Uniti ogni anno muoiono per farmaci/vaccini oltre 100.000 persone, tenuto conto che il rapporto tra la popolazione italiana è circa un quinto di quella americana, da noi ogni anno potrebbero morire a seguito di effetti avversi ai farmaci circa 20.000 persone.
La conferma di questa stima arriva da uno studio norvegese, condotto in modo accurato, che ha calcolato nel 9-10% la percentuale delle persone morte in ospedale per ragioni direttamente connesse ai farmaci.[10]
Siccome circa un terzo delle morti avviene in ospedale le percentuali portano ad una stima di circa 20.000 morti a causa dei soli farmaci.
Quindi su quelle 50.000 morti per cause iatrogene in Italia, quasi la metà, ben 20.000 potrebbero essere dovute alle molecole chimiche.
Numeri preoccupanti che nessuno ha il coraggio di denunciare, ma ancora ampiamente in difetto...
Le persone che ogni anno muoiono (a casa o in ospedale) per malattia cardiovascolare sono morte a causa della patologia o dei farmaci? Mix di droghe come antipertensivi, anticoagulanti, statine per il colesterolo, protettori gastrici, inibitori di pompa, antiacidi, ecc... Le persone che ogni anno muoiono (a casa o in ospedale) per tumore sono morte per la patologia o per i protocolli imposti dal Sistema sanitario: chemio e radioterapia?
Mentre nel primo caso i dati non ci sono, in ambito oncologico le conferme esistono.
La chemioterapia ha effetti molto negativi sul cuore al punto che 1 paziente su 3 muore non di cancro ma a causa delle terapie oncologiche.
Lo studio pubblicato sul «Journal of the American College of Cardiology» ha analizzato le cause di decesso in 1807 pazienti sopravvissuti al cancro. A distanza di 7 anni circa il 33% muore per disturbi cardiaci e il 51% per la malattia per la quale era in cura, cioè di tumore. Vista questa altissima mortalità entro un settennio dall’inizio delle cure, sarebbe molto interessante conoscere i dati di sopravvivenza dopo 10 o 20 anni…
Detto questo, sapendo che in Italia sono oltre 170.000 le persone che ufficialmente muoiono “di cancro” ogni anno[11], si potrebbe dedurre che oltre 50.000 persone potrebbero essere uccise ogni anno dalla chemioterapia!

Non finisce qua perché c’è anche lo studio pubblicato firmato da Grame Morgan (professore associato di radiologia al Royal North Shore Hospital di Sidney), Robyn Ward (professore oncologo all’University of New South Wales), Michael Barton (radiologo e membro del Collaboration for Cancer Outcome Research and Evaluation del Liverpool Health Service di Sidney).
Tale ricerca epocale dal titolo: «The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult malignancies» («Il contributo della chemioterapia citotossica alla sopravvivenza a cinque anni dei tumori in adulti») è stata pubblicata su una delle più prestigiose riviste di oncologia del mondo, la «Clinical Oncology», nel dicembre 2004.
Il loro meticoloso studio si è basato sulle analisi di tutti gli studi clinici randomizzati (RTC) condotti in Australia e negli Stati Uniti, nel periodo da gennaio 1990 a gennaio 2004. L’analisi ha interessato 225.000 persone malate nei 22 tipi di tumori più diffusi, e «curate» solo con chemioterapia.
Quando i dati erano incerti, gli autori hanno deliberatamente stimato in eccesso i benefici della chemioterapia. Nonostante questo, lo studio ha concluso che la chemioterapia non contribuisce più del 2% alla sopravvivenza (Australia 2,3% e Stati Uniti 2,1%).
«Molti medici continuano a pensare ottimisticamente che la chemioterapia citotossica possa aumentare significativamente la sopravvivenza dal cancro», scrivono nell’introduzione gli autori.
Gli autori hanno messo in evidenza che, per ragioni spiegate nello studio, i risultati raggiunti (circa il 2%) dovrebbero essere visti come il limite massimo di efficacia della chemio!

La domanda che sorge spontanea è la seguente: se la chemio contribuisce alla sopravvivenza a 5 anni solo in un miserrimo 2% dei malati tumorali, al rimanente 98% cos’è accaduto? Sono vivi oppure no?
A confermare ulteriormente la pericolosità della chemioterapia arriva uno studio recentissimo pubblicato il 31 agosto 2016 sulla prestigiosa rivista «Lancet Oncology» dal titolo: «Studio osservazionale sulla mortalità a trenta giorni dopo il trattamento antitumorale per il cancro al seno e al polmone in Inghilterra».
Secondo la ricerca la chemioterapia può nuocere gravemente fino al 50% dei pazienti.
Per la prima volta i ricercatori inglesi hanno esaminato il numero di malati deceduti entro trenta giorni dall’inizio della chemioterapia e il risultato conferma il rischio dei protocolli medici oncologici.
L’indagine ha rilevato che in Inghilterra circa l’8,4% dei pazienti con cancro del polmone e il 2,4% di quelli affetti da tumore del seno sono deceduti entro 30 giorni dall’avvio del trattamento, ma in alcuni ospedali si supera addirittura il 50%!
Quindi in Italia i morti causati dalla chemio superano sicuramente i morti causati dal cancro!

I FANS
Un esempio per tutti potrà far capire meglio quello che sta accadendo.
I FANS sono farmaci antinfiammatori non steroidei molto potenti, pericolosi e utilizzati da milioni di persone. Il più famoso e “banale” è l’aspirina!
Banalità a parte, ogni anno diverse migliaia di persone (limitandosi solo agli effetti collaterali più noti) vengono uccise da ulcere gastriche sanguinanti e da crisi cardiache provocate da questi medicinali.
Ovviamente all’atto della registrazione la causa di morte sarà «infarto» o «perforazione gastrica» e non certo «effetto collaterale del farmaco»!
Una stima fatta in Inghilterra sui morti per ulcere perforate tra gli utilizzatori di questi farmaci denunciava circa 3.700 morti all’anno. Applicando questa stima alla popolazione americana e italiana si possono attendere da noi circa 4.000 morti, mentre negli States circa 20.000 ogni anno.
Solo per un farmaco!

I 10 farmaci più prescritti nel 2015[12]

I primi dieci principi attivi per spesa convenzionata di classe A-SSN:

Pantoprazolo: inibitore pompa protonica (296 milioni di €)
Rosuvastatina: ipercolesterolemia (268 milioni di €)
Salmeterolo: broncodilatatore (247 milioni di €)
Lansoprazolo: inibitore pompa protonica (227milioni di €)
Atorvastatina: ipercolesterolemia (202 milioni di €)
Omeprazolo: inibitore pompa protonica (193 milioni di €)
Amoxicillina: antibiotico (178 milioni di €)
Simvastatina: ipercolesterolemia (165 milioni di €)
Esomeprazolo: inibitore pompa protonica (162 milioni di €)
10° Enoxaparina sodica: prevenzione coaguli (152 milioni di €)

Tra i primi dieci farmaci più venduti in Italia vi sono addirittura quattro inibitori di pompa protonica e tre statine!
Le statine servono per abbassare il colesterolo ematico, mentre gli inibitori vengono usati per svariate situazioni gastriche (iperacidità, gastrite, ulcere, reflussi, ecc.).
Questi dati sono illuminanti perché mettono in evidenza la situazione culturale e nutrizionale dell’italiano medio. Il suddito italiota invece di migliorare il proprio stile di vita con movimento, alimentazione, masticazione, ecc. s’imbottisce di droghe i cui effetti collaterali scateneranno altre patologie. Poi queste patologie saranno curate con altri farmaci, e via così fino alla morte prematura.
Prendiamo i due farmaci più utilizzati: il Pantoprazolo e la Rosuvastatina e vediamo cosa riportano i foglietti illustrativi.

Pantoprazolo:

Altre patologie gravi (frequenza non nota): ingiallimento della pelle o del bianco degli occhi (grave danno alle cellule epatiche, ittero) o febbre, ingrossamento dei reni talvolta con dolore ad urinare e dolore lombare (grave infiammazione dei reni che può portare anche ad insufficienza renale).[13]

- Alterazione o completa perdita del senso del gusto; dolore alle articolazioni; dolori muscolari; febbre alta; gonfiore delle estremità; reazioni allergiche; depressione…

Non Comune (può interessare fino a 1 persona su 100)

- Aumento degli enzimi epatici.

Raro (può interessare fino a 1 persona su 1.000)

- Aumento della bilirubina; aumento dei livelli di grasso nel sangue; drastica diminuzione dei granulociti circolanti...

Rosuvastatina:

Cardiovascolari: ipertensione, angina pectoris…

Sistema nervoso: polineuropatia, neuropatia periferica...

Endocrini: diabete mellito, anomalie della tiroide.

Epatici: incremento delle transaminasi, ittero

Gastrointestinali: diarrea, nausea; costipazione, gastroenterite, vomito, gastrite...

Muscoloscheletrici: mialgia, dolore alla schiena; miopatia; artrite, artralgia...

Urogenitali: infezioni delle vie renali; proteinuria, ematuria…

Solo questi due farmaci sono in grado di provocare dolori vari, neuropatie e disturbi seri al fegato.
Tutto questo che impatto potrebbe avere sulla salute dei consumatori abituali?
La persona inizia a prendere una statina e/o inibitore di pompa e poco a poco si troverà ad avere problematiche e disfunzioni epatiche (con entrambi i farmaci), ipertensione (con le statine), ipercolesterolemia (con l’antiacido) e dolori alle articolazioni (con tutti e due).
Da un solo farmaco, passerà nell’arco di pochissimo tempo a prendere altre medicine per altre patologie, mettendosi di fatto in un terreno pericolosissimo che può franare in ictus, infarti, aneurismi, ischemie, ecc.
Sarà un caso che i primi tre principi attivi di automedicazione a maggiore spesa nel 2015[14] sono antinfiammatori e antidolorifici?
Diclofenac: FANS antinfiammatorio
Ibuprofene: FANS antinfiammatorio
Paracetamolo: analgesico e antipiretico.

Sarà un caso che in Italia diversi milioni di persone soffrono di dolori e/o infiammazioni e per questo stanno ingollando pasticche ogni giorno? Questi dolori/infiammazioni non potrebbero essere causati da farmaci?
La medicina ufficiale, come sempre facendo acqua da tutte le parti, non è in grado di dare risposte concrete, figuriamoci nell’eziopatogenesi di queste problematiche, per cui la causa iatrogena non si può scartare a priori...

Conclusione
La situazione della salute pubblica è allarmante: centinaia di migliaia di persone ogni anno vengono letteralmente e fisicamente stecchite dai farmaci e nessuno lo dice!
Sentiamo continue idiozie sulla salute dell’uomo, sui progressi della scienza, ecc. da parte di esperti in trasmissioni televisive create ad arte, o da testimonial ben oliati dalle industrie chimiche.
La realtà è che l’uomo (bambini in primis) è sempre più ammalato. Come mai?
La condizione in Italia è pressoché sovrapponibile a quella degli altri paesi industrializzati e moderni. D’altronde non è così strano visto che le più importanti università, pubbliche e private, sono gestite e controllate dalle industrie che sfornano droghe.
I principi attivi di questi farmaci (quindi anche i loro danni) sono i medesimi in tutto il mondo e i camici bianchi si blindano nascondendosi dietro i protocolli ortodossi, decisi da gruppi di studio o panel pagati dalle stesse lobbies.
Per non parlare della ricerca scientifica che a livello globale è finanziata solo dai soliti capitali privati...
La medicina allopatica, ottusamente centrata sui protocolli, e completamente miope a tutto quello che di naturale esiste, è ormai allo stadio terminale, e prenderne coscienza è fondamentale e prioritario, se ci si vuole salvare la pelle.
Il fallimento dell’intero sistema è provocato da comportamenti criminali, da una profonda ignoranza e dalla corruzione e impotenza degli enti regolatori.
Risultato? Oggi farmaci e vaccini, prodotti di punta dalle industrie plurimiliardarie e autorizzati da enti totalmente “porosi”, uccidono più delle guerre e della malavita organizzata!

[1] «Medical error-the third leading cause of death in the US», 3 may 2016, www.bmj.com/content/353/bmj.i2139

[2] www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2251_ulterioriallegati_ulterioreallegato_2_alleg.pdf

[3] Ministero della salute www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?menu=notizie&p=dalministero&id=2193

[4] Elaborazioni su dati archivio Istat cause di morte

[5] Idem

[6] «Il 6% dei pazienti muore per errore medico», Corriere della Sera, 24 settembre 2005 www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/24/medici.html

[7] «I medici ammazzano 6 pazienti ogni 100», La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 settembre 2005, www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/38978/i-medici-ammazzano-6-pazienti-ogni-100.html

[8] «Malpractice: costi e rimedi non sono solo assicurativi», editoriale “Rischio sanità”, giugno 2001

[9] Peter C. Gøtzsche, medico e chimico ha pubblicato più di 70 articoli scientifici nelle cinque riviste mediche più accreditate al mondo e uno dei responsabili del Cochrane Methodology Review Group

[10] «Drug-related deaths in a department of internal medicine», Ebbesen J, Buajorded I, Erikssen J, Arch Intern Med. 2001; 161:2317-23

[11]I tumori come causa di morte”, I numeri del cancro, Italia 2016, AIOM Associazione italiana di Oncologia Medica, http://www.registri-tumori.it/PDF/AIOM2016/I_numeri_del_cancro_2016.pdf

[12] Idem

[13] Foglietto illustrativo del Pantoprazolo Zentiva Italia 20 mmg, compresse gastroresistenti» della Sanofi Pasteur, www.zentiva.it/prodotti/foglietti-illustrativi/pantoprazolo-zentiva-italia-20mg

[14] «L’uso dei farmaci in Italia», Rapporto nazionale anno 2015, AIFA

Marcello Pamio

Ogni anno in Italia 363.300 persone ricevono una diagnosi di cancro, sono esclusi i carcinomi della pelle.
Ogni anno in Italia oltre 170.000 persone soccombono alla malattia.
Questi numeri però non devono essere interpretati e tradotti come la percentuale di mortalità del cancro, perché si verrebbe fuorviati. Se 360.000 persone scoprono il tumore e 170.000 muoiono non significa che il cancro ha una mortalità all’incirca del 50% (170.000 su 360.000 = 47%), perché non è così: la mortalità è molto più alta!
Va infatti precisato che la stragrande maggioranza di quei 360.000 tumori che ogni anno vengono scoperti non sono cancri fulminanti ma sono sovradiagnosi, cioè tumori innocui, incistati (in situ) che non creano nessun problema e nessun rischio per la vita della persona. Ma una volta scoperti - grazie agli screening - vengono catalogati come tumori e spesso curati come tali, facendo lievitare le statistiche di incidenza da una parte, i danni e le morti dall’altra.

La statistica è impietosa: nel corso di una vita media, ci dicono, circa 1 uomo su 2 e 1 donna su 3 sarà toccata dal cancro.
Ovviamente queste sono stime e sappiamo bene che con i numeri l’oncologia può affermare tutto e il contrario di tutto. Non si sta dicendo che il cancro non sia un problema serio che interessa sempre più persone, e non servono certo i matematici e/o gli oncologi a dircelo perché è la Vita stessa che parla da sola, ma va tenuto in seria considerazione il fatto che la maggior parte dei tumori è sovradiagnosi.

Sovradiagnosi
Si tratta del pericolo più serio della diagnosi precoce, gli screening.
Consiste nel mettere in evidenza lesioni o tumori in situ che non sarebbero MAI evoluti nel corso della vita, ma sui quali, una volta individuati, ci si sentirà obbligati ad intervenire, questo soprattutto da parte del medico che vive e trasuda medicina difensiva.
L’Industria farmaceutica ha gentilmente sviluppato tecnologie - con il plauso del mondo intero - in grado di identificare le più piccole anomalie, ha poi modificato le soglie che definiscono la normalità e creato nuove malattie.
La grande maggioranza di queste anomalie scoperte in persone soggettivamente sanissime risulta inconsistente, cioè non darà MAI sintomi o problemi nel corso della vita, ma una volta individuate queste difformità? Cosa si fa?
La PAURA in questo frangente è deleteria, perché non lascia il tempo di pensare e riflettere...

Grazie alle nuove tecnologie diagnostiche (TAC, risonanze, ecc.) e alla risoluzione sempre più alta si creano molte potenziali sovradiagnosi e quindi molti interventi inutili, ma assai dannosi.
Fa molto riflettere la dichiarazione di un radiologo americano che dopo aver analizzato più di 10.000 pazienti arriva a dire che “in realtà, con questo livello di dettaglio, non ho ancora esaminato un paziente normale”…
Qualsiasi radiologo onesto intellettualmente e moralmente libero può solo confermare questo dato di fatto.

Qualche esempio concreto di sovradiagnosi?
Il British Medical Journal il 9 luglio 2009 ha pubblicato una ricerca dal titolo: “Stimare la sovradiagnosi di tumori al seno negli screening”. Lo studio ha revisionato i dati di paesi come Inghilterra, Canada, Australia, Svezia e Norvegia e il risultato è un preoccupante 52%.
Questo vuol dire che 1 mammografia su 2 è sovradiagnosi! Un tumore su due NON andrebbe toccato in quanto innocuo e non pericoloso.

Il New England Journal of Medicine il 18 agosto 2016 pubblica uno studio sulla tiroide e in questo caso i dati sono ancora più incredibili: dal 50 al 90% dei tumori alla tiroide sono sovradiagnosi.
La quasi totalità dei tumori alla piccola ghiandola alla base del collo NON andrebbero curati.

Il tumore alla prostata è senza dubbio il più sovradiagnosticato e il trattamento ufficiale sta portando all’invalidità (impotenza e incontinenza) decine di milioni di uomini sanissimi.
La stragrande maggioranza dei tumori alla prostata scoperti con il PSA, il test più fallimentare che la medicina conosca, infatti, non causerebbe alcun tipo di problema se non venisse individuata.
La maggior parte degli uomini trattati starebbe benissimo se non sapesse di quel cancro.  Ad affermarlo è nientepopodimenoché il prof. Richard Ablin, il medico scopritore nel 1970 del PSA stesso. E se lo dice lui qualche pensiero sarebbe bene farselo…

Ogni anno in America a 240.000 uomini (35.000 in Italia) viene diagnosticato il cancro alla prostata.
Gli uomini hanno un rischio del 3% nella loro vita di morire di cancro alla prostata, il che significa che il 97% degli uomini avrà il test del PSA che probabilmente causerà maggiori danni che benefici, assieme alle immancabili terapie successive alla diagnosi.
La lettura di questi dati è inquietante: la sovradiagnosi nel cancro alla prostata mediante PSA è del 97%.

Alcuni uomini muoiono di cancro della prostata,
ma quasi tutti muoiono con il cancro alla prostata!

Dopo quello che è stato appena detto sorgono delle domande: le persone stanno morendo a causa del cancro o a causa delle cure? Le persone che hanno il cancro e seguono i protocolli guariscono o no? Cosa accade a tutte le persone sovradiagnosticate?
Per rispondere a queste delicate domande è importante conoscere l’origine storica della chemioterapia…

Origine storica della chemioterapia
Innanzitutto è necessario occuparsi di guerra chimica, la cui paternità va attribuita al chimico tedesco Fritz Haber.
Allo scoppio della Grande Guerra il dott. Haber dirige il prestigioso Kaiser Wilhelm Institute a Berlino e il suo laboratorio chimico ha un ruolo centrale nello sforzo bellico: sviluppa gas irritanti utili per stanare dalle trincee i soldati nemici.
Tra tutti i gas studiati uno solo emerge per caratteristiche utili allo scopo: il cloro.
Questo gas dal colore gialloverde è estremamente tossico ed è caratterizzato da un odore soffocante che penetra violentemente nelle vie respiratorie.

Il 22 aprile 1915 l’esercito tedesco scarica oltre 146 tonnellate di gas di cloro (detto dicloro o diossido di cloro) a Ypres in Belgio: le truppe francesi, britanniche e canadesi prese alla sprovvista cadono come mosche cercando di proteggersi le vie aeree con banali fazzoletti.
Fu una vittoria straordinaria per i tedeschi, ma Fritz Haber pagherà molto caro questo attacco perché, qualche giorno dopo aver usato il gas, sua moglie Clara Immerwahr, chimico pure lei, si suicida con un colpo di pistola direttamente al cuore usando l’arma di servizio del marito che per questi servizi era stato promosso al grado di capitano…

Gli Alleati nel frattempo si sono dotati di maschere antigas per cui il cloro non è più un problema. Fatta la legge e trovato l’inganno. Haber per ovviare il problema maschera mette a punto il fosgene, costituto da una miscela di dicloro e monossido di carbonio. Meno irritante per naso e gola del cloro stesso ma rappresenta la più letale arma chimica preparata a Berlino, poiché attacca violentemente i polmoni riempiendoli di acido cloridrico.
Verso la fine della Guerra quando le vittime dei gas si contano a decine di migliaia Haber lancia il suo ultimo ritrovato: il gas mostarda, detto anche iprite. Il nome deriva dalla località in cui è stato sperimentato: le trincee di Ypres in Belgio.

Gli effetti del gas mostarda sono terribili: provoca vastissime vesciche sulla pelle, brucia la cornea causando cecità permanente e attacca il midollo osseo distruggendolo e inducendo la leucemia.
Proprio da questa leucopenia (diminuzione dei linfociti nel sangue) nasce il concetto medico di chemioterapia.
Ma andiamo per ordine.

La sera del 2 dicembre 1943 il porto di Bari era gremito da quasi una quarantina di navi cariche di preziosi rifornimenti, tra queste la nave americana John Harvey partita dal porto di Baltimora. La Harvey, a differenza delle altre navi, aveva le stive piene di bombe all’iprite. Oltre 100 tonnellate di iprite (gas tossico e vescicante) sotto forma di bombe lunghe 120 centimetri e del diametro di 20. La nave sarebbe stata scaricata il giorno seguente.
Alle 19,30 uno stormo di aerei della tedesca Luftwaffe arrivarò nel porto di Bari bombardando le navi.
La John Harvey colpita prese fuoco e l’iprite mescolata alla nafta delle petroliere affondate formò un velo mortale su tutta la superficie del porto, mentre i suoi deleteri vapori si sparsero ovunque intossicando i polmoni dei sopravvissuti .
Il numero esatto di morti non si saprà mai, ufficialmente si parla di circa 1000 cittadini baresi uccisi.

Nel rapporto che seguì l’incidente vennero evidenziati dei fatti interessanti: le persone colpite da iprite svilupparono una grave aplasia del tessuto linfoide e del midollo osseo. Il colonnello statunitense Steward Alexander nella sua relazione finale notò che dalle autopsie dei morti per iprite si notava una notevole soppressione dei linfomi e dei mielomi.
Questo rinforzò l’ipotesi che solo un anno prima Goodman e collaboratori avevano fatto sull’impiego di derivati dell’iprite.
I dottori Goodman, Gilman e Dougherty somministrarono mostarda azotata (derivata dell’iprite) in sei pazienti affetti da linfoma maligno registrando un miglioramento iniziale delle condizioni cliniche e una riduzione delle lesioni neoplastiche. Poco importava se tale terapia era risultata devastante sotto altri punti di vista: questo era quanto bastava perché venisse pubblicato nel settembre del 1946 uno studio di portata epocale sull’effetto dell’iprite nei linfomi. Tale studio venne pubblicato sulla rivista Science con il titolo: “Azioni biologiche e indicazioni terapeutiche delle beta-cloroetilamine e dei sulfidi”.

Tutto ciò diede inizio - purtroppo per noi – all’utilizzo della chemioterapia che giunge fino ai nostri giorni.
Negli attuali bugiardini dei chemioterapici alla voce Categoria terapeutica viene riportato: “Analoghi della mostarda azotata”.
Le mostarde azotate - ce lo dice il Ministero della Salute alla voce Emergenze sanitarie - furono prodotte per la prima volta negli anni Venti come potenziali armi chimiche. Si tratta di agenti vescicatori simili alle mostarde solforate. Sono in grado di penetrare le cellule in modo rapido e causare danni al sistema immunitario e al midollo osseo”.

Quindi la chemioterapia è nata grazie ad un incidente di guerra ed è una vera e propria arma chimica!
Lo scrivono nei bugiardini le stesse case farmaceutiche che li producono e lo conferma il Ministero della Salute.
L’utilizzo in guerra di tali armi chimiche è vietato da numerose convenzioni: Dichiarazione dell’Aja del 1899, Convenzione dell’Aja del 1907, Protocollo di Ginevra del 1925 e Convenzione di Parigi del 1993, ma nella guerra al cancro non solo sono legittime ma sono anche le uniche riconosciute.
Oggi ad un qualsiasi malato di cancro viene iniettato un mix di sostanze chimiche vietate in guerra per la loro pericolosità dalla Convenzione di Ginevra.

Sopravvivenza al cancro e alla chemio
Una persona col tumore a cui vengono iniettati nel sangue farmaci derivati dall’iprite e dalle mostarde azotate (vescicanti e distruttori midollari) guarisce o no?
La risposta è che nonostante questi trattamenti alcune persone sopravvivono (non tanto al cancro ma alle cure ufficiali) e le testimonianze ovviamente non mancano. Ma tali persone avevano un cancro fulminante? Rientravano invece nella diffusissima sovradiagnosi? E tutto questo a che costo?
Come sempre i pro e i contro vanno soppesati e valutati entrambi.
Al Sistema interessa solo screditare mediaticamente tutte le persone che decidono di non fare i protocolli, ma evitano accuratamente di parlare di tutte le centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno facendo le cure ufficiali. Come mai?
Forse i morti non sono tutti uguali: ci sono quelli di seria A e quelli di serie B?

Sui pericoli e sull’inutilità della chemioterapia citotossica nella sopravvivenza vi sono alcuni studi magistrali.
Il 5 agosto del 2012 la rivista Nature ha pubblicato uno studio  nel quale si evidenzia come la chemioterapia usata per il cancro alla prostata in realtà può stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita tumorale stessa rendendo immune il tumore a ulteriori trattamenti.
I ricercatori dello studio hanno spiegato che i risultati “indicano che il danno nelle cellule benigne può direttamente contribuire a rafforzare la crescita cinetica del cancro”, e questo ha trovato conferma, oltre al tumore alla prostata, anche in quello al seno e alle ovaie.

Del dicembre 2004 è la faraonica ricerca scientifica a firma di Grame Morgan (professore associato di radiologia al Royal North Shore Hospital di Sidney), Robyn Ward (professore oncologo all’University of New South Wales), Michael Barton (radiologo e membro del Collaboration for Cancer Outcome Research and Evaluation del Liverpool Health Service di Sidney).
Lo studio intitolato: “Il contributo della chemioterapia citotossica alla sopravvivenza a 5 anni dei tumori in adulti” viene pubblicato su una delle più prestigiose riviste di oncologia del mondo, Clinical Oncology.
La meticolosa ricerca si è basata sulle analisi di tutti gli studi clinici randomizzati condotti in Australia e Stati Uniti nel periodo compreso tra gennaio 1990 e gennaio 2004.
L’analisi ha interessato 225.000 persone malate nei 22 tipi di tumori più diffusi e curate SOLO con chemioterapia.
Quando i dati erano incerti gli autori hanno deliberatamente stimato in eccesso i benefici della chemioterapia.

Nonostante queste accortezze la conclusione non lascia spazio a tante interpretazioni:

Sopravvivenza Australia     > 2,3%

Sopravvivenza Stati Uniti   > 2,1%

Molti medici continuano a pensare ottimisticamente che la chemioterapia citotossica possa aumentare significativamente la sopravvivenza dal cancro”, scrivono nell’introduzione gli autori.
In realtà - continua il professor Grame Morgan - malgrado l’uso di nuove e costosissime combinazioni di cocktails chimici… non c’è stato alcun beneficio nell’uso di nuovi protocolli”.
Se la chemio citotossica contribuisce alla sopravvivenza a 5 anni per un miserrimo 2% cosa è accaduto al rimanente 98% dei pazienti? E dopo 10 anni, ci sono dati?
Domande prive di risposta….

Un’altra ricerca interessante è quella del dottor Ulrich Abel, epidemiologo tedesco della Heidelberg/Mannheim Tumor Clinic. Abel chiese a circa 350 centri medici sparsi nel mondo l’invio di tutti gli studi ed esperimenti clinici sulla chemioterapia.
L’analisi durò parecchi anni e alla fine quello che risultò è la non disponibilità di riscontri scientifici in grado di dimostrare che la pratica della chemioterapia prolunghi la vita in modo apprezzabile.
Quindi da oltre sessant’anni stiamo usando farmaci citotossici che non solo non funzionano, ma che inducono più problemi e danni della malattia stessa.

Cancro: il business intoccabile
Non serve andare oltre per comprendere che la chemioterapia da oltre 70 anni sta facendo molto male alle persone, ma molto bene alle casse delle industrie che li producono.
Ecco qualche esempio di chemioterapico con tanto di prezzo in euro (Farmadati, 2013):

Ibritumomab (Schering), 1 fiala: 14.894 euro

Sunitinib (Pzifer), 30 compresse: 8.714 euro

Sorafenib (Bayer), 112 compresse: 5.305 euro

Erlotinib (Roche), 30 compresse: 3.239 euro

Pemetrexed (Eli Lilli), 1 fiala ev.: 2.265 euro

Topotecan (Glaxo), 5 fiale: 1.752 euro.

Questi veleni oltre ad essere i farmaci più tossici sono anche quelli più costosi nella storia della medicina e non si usano quasi mai singolarmente, perché gli oncologi preferiscono mescolarli e potenziarli nei loro cocktails, per cui il costo e i danni lievitano esponenzialmente.
Questo è uno dei motivi per il quale i protocolli NON si devono toccare: sono il business per eccellenza.
Tutto il resto è secondario, anche la morte…

Conclusione
Iniettare una sostanza citotossica, cioè velenosa e mortale per le cellule malate e sane, per il sistema immunitario, per il sangue, per la linfa, per il midollo osseo, per il cervello e quindi per la Vita stessa non può essere considerato un trattamento terapeutico, ma una vera e propria aggressione e guerra chimica.
Se fosse vivo oggi il chimico Fritz Haber molto probabilmente farebbe la stessa fine della moglie: si sparerebbe un colpo in testa nel vedere le armi chimiche mortali, scoperte da lui in periodo di guerra, usate nei protocolli oncologici nella Grande Guerra al Cancro….

Tratto dal libro di Marcello Pamio: “Cancro SPA”, rEvoluzione edizioni, 2016