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Marcello Pamio

In un clima generale dove il Sistema sta facendo di tutto per rendere “normale” la pedofilia e il satanismo, poteva mancare un brand che vende magliette per “malvagi in erba”? Ovviamente no.
Tale marchio statunitense si chiama Wicked Clothes, e si rivolge ai giovanissimi!
Producono una linea composta da t-shirt e felpe suddivisa per categorie («Shop by Theme»): «Satanism», «Death ‘n’ Bones», «Witchcraft» e «Ghosts & Aliens»
Quindi si può scegliere tra «Satanismo», «Morte e teschi», «Stregoneria» e «Fantasmi e alieni»
Se questo non bastasse, c’è tutta una serie dedicata alle magliette per bambini dal nome simpatico e invitante: «Activities for children», cioè «Attività per bambini». Peccato che tra le “attività” troviamo «l'evocazione di demoni», «il patto col diavolo», «vendere l'anima al diavolo», ecc.
La società con sede ad Orlando in Florida si presenta come «una piccola azienda» che cerca di soddisfare i suoi clienti, ma dalle immagini che veicola, risulta chiarissimo che sta partecipando con la moda a propagandare satanismo, aborto e stregoneria.
Ma lasciamo parlare le magliette…


[Economia per bambini: "Vendi la tua anima]


["Me l'ha fatto fare il diavolo"]


["Se gli uomini potessero rimanere incinti", e poi un dito preme il bottone "Get abortion". Si tratta di inno all'aborto]


["Satana illumina il mio cammino"]


["Iniziamo un culto"]


["Evocare i demoni"]


["Patto col diavolo"]


["Chiamiamo l'esorcista"]

I giovani e peggio ancora i giovanissimi sono molto attirati da magliette come queste, molto colorate, provocanti e irriverenti, ma purtroppo per loro NON conoscono i simboli che indossano!
Apparentemente sembrano disegni innocui e privi di significato, ma in realtà non lo sono.

ma che tipo di messaggio viene veicolato, e soprattutto che tipo di energia viene richiamata indossando simboli satanici?

 

Per approfondire

"Wicked Clothes, il brand che promuove satanismo e stregoneria come “attività per bambini” 

https://oltrelamusicablog.com/2019/07/15/wicked-clothes-il-brand-che-promuove-satanismo-e-stregoneria-come-attivita-per-bambini/


Marcello Pamio

Il 5 agosto del 1968 un Comitato ad hoc della Scuola di medicina di Harvard pubblicò un rapporto che gettò le basi per la diffusione nel mondo di una nuova definizione di morte: il paziente non era più considerato morto solo dopo la cessazione delle funzioni cardiache e circolatorie (quindi anche respiratorie e del sistema nervoso), ma bastava l’assenza di attività dell’encefalo per dichiararlo morto!

Le conseguenze di questo Rapporto sono epocali e a dir poco spaventose: se la misura della VITA è l’attività cerebrale, allora diventa “normale” considerare morti e non degni di cure tutti gli esseri umani, compresi i bambini (il piccolo Alfie Evans è l’esempio perfetto) con qualche “limite” cerebrale.
Ma la «morte cerebrale» è un’imitazione della morte, NON è morte reale!
Purtroppo tale definizione è molto utile alla potentissima lobby degli espianti, che spinge nel guardare al corpo delle persone (con il sistema circolatorio attivo) come ad una fabbrica di pezzi di ricambio!

Siccome non è possibile espiantare gli organi da un cadavere, per farlo c’è bisogno di una persona viva, che però bisogna chiamare morta per giustificare tale prassi.
Così facendo però la Vita esiste ed è degna solo per la persona che ha funzioni cerebrali almeno minimamente attive, altrimenti perde di dignità e si può smembrare.
Questa agghiacciante visione ha eliminato de facto la concezione dell’anima!

Morte cerebrale: un’invenzione medico-legale.
Evidenze scientifiche e filosofiche

A maggio scorso si è tenuto a Roma il Convegno internazionale, organizzato dall’Accademia Giovanni Paolo II per la Vita umana e la Famiglia - JAHLF (un’organizzazione laica, non-governativa indipendente), dal titolo inequivocabile: «Morte cerebrale: un’invenzione medico-legale. Evidenze scientifiche e filosofiche».
Nonostante la becera propaganda veicolata dai media mainstream sulla donazione/espianto di organi, a livello mondiale sono numerosissimi gli scienziati, teologi e filosofi che avanzano enormi riserve, sollevano dubbi ed esprimono ferme obiezioni e critiche sia nei confronti del criterio della “morte cerebrale”, sia nei confronti della pratica di espianto-trapianto di organi.

Queste voci, anche se autorevolissime, ovviamente non trovano spazio nei media. Lo scopo del congresso era proprio quello di farle sentire.
Per esempio il filosofo Josef Seifert ha aperto i lavori dedicandosi a denunciare l’assoluta mancanza di giustificazioni di ordine scientifico alla base della decisione del «Comitato ad hoc di Harvard» che nel 1968, propose-impose il nuovo criterio di definizione di morte, sganciandolo dalle attività respiratoria e circolatoria, e fondandolo unicamente sul riconoscimento della cessazione delle funzioni cerebrali! Questo è il punto cruciale!
Le uniche due motivazioni addotte dal Comitato furono esclusivamente di carattere pragmatico ed utilitaristico: sollevare da una parte la collettività dal peso di numerosi pazienti mantenuti nelle strutture ospedaliere in condizioni di assenza di coscienza e dall’altra sgravare i medici espiantatori dal rischio di essere accusati di omicidio nei confronti dei pazienti “donatori”.
«La morte cerebrale - ha detto Seifert - è una delle maggiori vergogne della medicina», responsabile dell’uccisione di migliaia di persone a cui vengono tolti gli organi “da vive”.

Il neurologo Thomas Zabiega ha sottolineato come la morte cerebrale non sia altro che una diversa definizione di quella condizione denominata da Mollaret e Goulon nel 1959 «coma dépassé», cioè «coma irreversibile». Si è poi soffermato sull’inaccettabilità morale di criteri di ordine utilitaristico ed emozionale, esulanti da adeguate valutazioni di natura rigorosamente razionale.

Cicero G. Coimbra, neurologo e docente di neuroscienze all’Università Federale di Sao Paulo (Brasile), ha descritto la «penumbra ischemica globale» che si verifica quando il flusso di sangue al cervello si riduce dal 20 al 50% dell’apporto normale. In pratica il cervello risulta silente all’esame neurologico solo perché non ha sufficiente energia per sostenere l’attività sinaptica, ovvero la comunicazione tra i neuroni. Ma questa silenziosità per il Sistema è funzionale…
Si tratta di silenzio neuronale ma NON di morte cerebrale, il cervello se curato può riprendersi perché i neuroni sono vivi. Quindi il vero problema sorge con i test invasivi per la dichiarazione di “morte cerebrale”, il più pernicioso dei quali è il “test dell’apnea”, ovvero lo spegnimento del respiratore.
In genere lo spengono per 10 minuti per dimostrare che il paziente non può respirare da solo e quindi è morto. La realtà come sempre è diversa: i centri respiratori silenti non possono funzionare perché sono in «penumbra ischemica». Ma con lo spegnimento del respiratore il 40% dei pazienti ha un crollo del flusso sanguigno che distrugge i centri respiratori e produce un danno cerebrale irreversibile. Ecco perché il test dell’apnea deve essere abbandonato!
Per esempio anche se il piccolo Alfie era vivo, invece di ricevere la tracheostomia e le cure, i medici hanno deciso di farlo morire. Quando poi lo hanno visto respirare per quattro giorni anche senza la ventilazione, i medici, pur sorpresi, sapevano che avrebbe faticato a riprendersi senza cure adeguate...

Il dottor Paul Byrne, neonatologo statunitense ha operato una variegata rassegna di casi (da lui seguiti in prima persona) di individui strappati alle procedure di espianto, e ora vivi e vegeti.

L’anziano pediatra non ha mezze misure: «Non ha senso essere ‘donatori’: ogni organo è preso da un essere vivente».
«Nel caso di persone veramente morte le si porta in obitorio, non in sala operatoria, somministrandole accuratamente farmaci immobilizzanti. Questa si chiama vivisezione.

 

Per maggiori informazioni

«Lega Nazionale contro la Predazione di organi e la morte a cuore battente»
http://www.antipredazione.org/comunicatistampa/2019_05_02_n.9_Convegno-internazionale-contro-la-morte-cerebrale.htm

«Visitai Alfie: il problema è la "morte cerebrale"», Benedetta Frigerio
http://www.lanuovabq.it/it/visitai-alfie-il-problema-e-la-morte-cerebrale

«L’inganno della morte cerebrale e il business dei trapianti d’organi», Benedetta Frigerio
https://cristianesimocattolico.wordpress.com/2018/06/03/linganno-della-morte-cerebrale-il-business-dei-trapianti-dorgani/?fbclid=IwAR1BLqWZaPHxlYIhTHubNGd3FxYE7bY7mmGShNfexFWy7yv6zMbNaVPGf30


Prof. Roberto Fantini

Queste le tesi sostenute nel Convegno internazionale JAHLF del 20-21.05.2019 a Roma

Una delle tante errate convinzioni intorno alla pratica dei trapianti è quella che, in merito ad essa ed al suo necessario presupposto teorico-pratico rappresentato dalla morte cerebrale, ci sia, all’interno della comunità scientifica, come all’interno del mondo religioso, un consenso totale e universale.
Le cose, in realtà, sono ben diverse. Numerosi sono gli scienziati, i teologi e i filosofi che, da sempre (a cominciare dagli scritti di Hans Jonas), avanzano riserve, sollevano dubbi ed esprimono ferme obiezioni e critiche decise nei confronti sia del criterio della morte cerebrale, sia nei confronti della pratica di espianto-trapianto di organi. Ma di queste voci, molte delle quali di indubbia autorevolezza, si preferisce non parlare. L’intera grancassa mediatica è infatti compattamente impegnata in una inesausta apologia della donazione degli organi e nell’esaltazione delle imprese chirurgiche attuate dalle équipes trapiantistiche. Per i perplessi, i dubbiosi e gli oppositori, sul palcoscenico mediatico non risulta esserci posto, neppure sottoforma di fugace comparsata.

Un importante tentativo di incrinare le alte muraglie che difendono le (presunte) certezze dei sostenitori dell’indiscutibilità dei trapianti di organi ha avuto luogo in questi giorni (20-21/05) a Roma, ad opera della John Paul II Academy for Human life and the Family (fondata da ex docenti dell’Accademia pontificia per la Vita), che ha dato vita ad un convegno internazionale (“La morte cerebrale”. Un’invenzione medico-legale: evidenze scientifiche e filosofiche) a cui hanno preso parte importanti scienziati, filosofi e teologi di fede cattolica, accomunati dal fermo rifiuto nei confronti della morte cerebrale.
Tutte di grosso spessore le relazioni di entrambe le giornate, vere miniere di puntuali informazioni scientifiche e di corpose argomentazioni filosofiche e teologiche.

Il filosofo Josef Seifert, uno dei padri spirituali dell’iniziativa, ha aperto i lavori dedicandosi, in particolar modo, a denunciare l’assoluta mancanza di giustificazioni di ordine scientifico alla base della decisione del Comitato ad hoc di Harvard che, nel 1968, propose-impose il nuovo criterio di definizione di morte, sganciandolo dalle attività respiratoria e circolatoria, e fondandolo unicamente sul riconoscimento della cessazione delle funzioni cerebrali.

Le uniche due motivazioni addotte dal Comitato, infatti, furono esclusivamente di carattere pragmatico ed utilitaristico:

- sollevare la collettività dal peso di numerosi pazienti mantenuti nelle strutture ospedaliere in condizioni di assenza di coscienza;

- sollevare i medici espiantatori dal rischio di essere accusati di omicidio nei confronti dei pazienti “donatori”.

«La morte cerebrale - ha detto Seifert - è una delle maggiori vergogne della medicina», responsabile dell’uccisione di migliaia di persone a cui vengono tolti gli organi “da vive”.

Il neurologo Thomas Zabiega ha sottolineato, poi, come la morte cerebrale non sia altro che una diversa definizione di quella condizione denominata da Mollaret e Goulon, nel 1959, coma dépassé (ossia coma irreversibile), mettendo anche in luce che i criteri adottati per la morte cerebrale, invece che rafforzarsi, sarebbero stati indeboliti rispetto a quelli precedentemente adottati.
Con particolare incisività, poi, il neurologo si è soffermato nel sostenere l’inaccettabilità morale di criteri di ordine utilitaristico ed emozionale, esulanti da adeguate valutazioni di natura rigorosamente razionale.

Di estremo interesse la relazione di Cicero G. Coimbra, neurologo e docente di neuroscienze dell'Università Federale di Sao Paulo (Brasile).
Coimbra si è soffermato sulla nozione di «penumbra ischemica globale» che si verifica quando il flusso di sangue al cervello è ridotto tra il 20 e il 50 percento dell’apporto normale, allora il cervello risulta silente all'esame neurologico, perché non ha sufficiente energia per sostenere l'attività sinaptica, ovvero la comunicazione tra i neuroni. Si tratta di silenzio neuronale ma non di morte del cervello, il cervello se curato può riprendersi perché i neuroni sono vivi. Quindi il problema sorge con i test invasivi per la dichiarazione di “morte cerebrale” il più pernicioso dei quali è il test dell'apnea, ovvero lo spegnimento del respiratore, in genere per 10 minuti, effettuato per dimostrare che il paziente non può respirare da solo e quindi è morto. Invece la realtà è che i centri respiratori silenti non possono funzionare perché sono in penumbra ischemica. Con lo spegnimento del respiratore il 40% dei pazienti ha un crollo del flusso sanguigno che distrugge i centri respiratori e produce un danno cerebrale irreversibile, pertanto il test dell'apnea deve essere abbandonato.

Particolarmente coinvolgenti sono risultati i contributi di Paul Byrne, neonatologo statunitense, il quale, anche utilizzando numerose immagini e filmati, ha operato una variegata rassegna di casi (da lui seguiti in prima persona) di individui strappati alle procedure di espianto, grazie ad una serie di circostanze propizie, prima fra tutte l’opposizione dei familiari. Toccantissima, fra le tante, la vicenda di Joseph, nato prematuro nel 1975 che, nonostante l’EEC piatto e la conseguente dichiarazione di morte cerebrale, continuò ad essere curato con eroica caparbietà, potendo così sopravvivere, godere di una vita normale, essere, oggi, felice padre di famiglia.

«Quante altre persone - si è chiesto Byrne, vero indomabile combattente a favore degli individui più fragili e vulnerabili - avrebbero potuto essere salvate qualora le cure non fossero state troppo frettolosamente interrotte

L’anziano pediatra è stato categorico:
«Non ha senso - ha detto - essere “donatori”: ogni organo è preso da un essere vivente
«Nel caso di persone veramente morte - ha poi aggiunto - le si porta in obitorio, non in sala operatoria, somministrandole accuratamente farmaci immobilizzanti. Questa si chiama vivisezione

Molto interessanti, infine, gli interventi densissimi di Doyen Nguyen, ematopatologa e teologa morale, soprattutto per quanto concerne l’analisi condotta, con rara perizia ermeneutica, delle parole pronunciate da papa Giovanni Paolo II in uno storico discorso al 18° Congresso Internazionale della Società dei trapianti, del 29 agosto 2000.
La Nguyen ha evidenziato che il pontefice si trovò ad insistere chiaramente nel sottolineare come l’eventualità del prelevamento degli organi dovrebbe essere sempre inderogabilmente subordinata al rispetto di ben precise pre-condizioni che, nella realtà vigente, non sono mai rispettate e che, nel caso lo fossero davvero, verrebbero a rendere pressoché nulle le reali possibilità di espianto-trapianto di organi.

A cura del Prof. Roberto Fantini - Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente - www.antipredazione.org

COMUNICATO STAMPA
ANNO XXXV n. 13
20 Giugno 2019
24121 BERGAMO Pass. Canonici Lateranensi, 22
Tel. 035-219255 - Telefax 035-235660
lega.nazionale@antipredazione.org


Marcello Pamio

Lunedì scorso quasi 200 amministratori delegati di aziende e multinazionali hanno comprato una pagina del New York Times per pubblicare una pubblicità progresso del pensiero unico: «Don’t ban equality», della serie «Non mettere al bando l’eguaglianza»!
Detta così, sembra sottolineare i diritti sacrosanti di libertà, il problema è che la parola “eguaglianza” in questo caso si riferisce all’aborto…
«L’uguaglianza sul posto di lavoro è uno dei problemi aziendali più importanti dei nostri tempi», si legge sempre nel testo della pubblicità. «Limitare l’accesso a cure riproduttive complete, incluso l’aborto, mette in pericolo la salute, l’indipendenza e la stabilità economica dei nostri dipendenti e clienti: in poche parole, va contro i nostri valori e fa male agli affari».
Chiaro? Non uccidere una vita, fa male agli affari, i loro affari!

Questo documento è stato firmato da 187 CEO di marchi quali H&M, DVF, Postmates, Birchbox, Yelp, Everlane, Tinder, Outdoor Voices, Bauble Bar, Thinx, Mara Hoffman e Ouai.
Quello che accomuna questa diabolica operazione pubblicitaria sono i potentissimi gruppi e associazioni pro abortisti: Planned Parenthrood, Naral (Pro-Choice America) e Aclu (American Civil Liberties Union).
Si tratta dell’ennesima operazione perfettamente orchestrata, che rientra in un progetto lungimirante che mira alla distruzione del senso della vita. Non a caso, circa un mese fa, major dell’intrattenimento come Disney, Netflix e Warner avevano annunciato il boicottaggio degli Stati americani pro Vita.

Il messaggio inquietante è chiarissimo: tutto quello che cerca di difendere e proteggere la Vita in quanto tale, andando contro gli interessi costituiti del Sistema, deve essere distrutto.
Nel pensiero unico quindi non si può mettere in discussione il gender, l’aborto, la maternità surrogata, l’utero in affitto, ecc.
La logica perversa della pubblicità apparsa sul NYT, evidenzia tra le altre cose l’agonizzante turbocapitalismo che si sta sfracellando a tutta velocità contro un muro. Un sistema economico che invece di garantire ai lavoratori diritti, stipendio e orari umani, si preoccupa di garantire solo il “diritto alla morte”.[1] 

Ma non è tutto, perché l’imperante “cultura della morte” ha ripercussioni positive anche nella criminalità.
Secondo le ricerche di due economisti John J. Donohue e Steven D. Levitt pubblicate con il titolo: «The impact of legalized abortion on crime over the last two decades», la legalizzazione dell’aborto avrebbe comportato una diminuzione del tasso di criminalità pari al 20% tra il 1997 e il 1994, calo che arriverebbe circa al 45% se si estende l’osservazione temporale ai primi anni Novanta del secolo scorso.[2]  Evviva l’aborto, verrebbe di urlare.


L’agenzia “Pre-crimine” del film Minority Report fa ridere a confronto.
La loro tesi è precisa: il diffondersi dell’aborto impedisce la nascita di bambini che, per i contesti sociali svantaggiati ove si troverebbero a crescere, sarebbero destinati a delinquere. Se invece questi “delinquenti amniotici” vengono assassinati prima di vedere la luce, non potranno mai contribuire ad alimentare la malavita. La logica non fa una piega: più aborti, meno crimini!

Cultura della morte
Ecco il nuovo che avanza: si chiama “cultura della morte”, e le cose che promette sono a dir poco straordinarie.
Volete essere più liberi e avere una migliore stabilità economica?
Vi serve più tempo per spendere meglio i denari guadagnati?
Desiderate una società priva di crimini?
La soluzione è semplice e indolore: basta uccidere quella creatura che vi è cresciuta in grembo!
Attenzione alle ingannevoli apparenze: quel piccolo fagottino potrebbe essere un futuro criminale, il prossimo Hitler o magari l'incarnazione di Joseph Mengele...

 

[1]L’appello dei grandi manager a favore dell’aborto. E’ un bene per l’economia”. Francesco Borgonovo, “La Verità” 13 giugno 2019

[2]Fermare le gravidanze riduce i crimini”, Giuliano Guzzo, “La Verità” 13 giugno 2019