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Marcia Angell, direttrice per oltre vent'anni del New England Journal of Medicine.
Tratto da “The New York Review of Books, vol. 56 n.1, del 15 gennaio 2009.

Recensione/presentazione del suo libro "La verità sulle case farmaceutiche" (Truth About The drug Companies).

Recentemente il senatore repubblicano Charles Grassley, membro della commissione Finanze del Senato, ha avviato una indagine finanziaria sui legami tra l'industria farmaceutica, i medici ed il mondo accademico, che in gran parte influiscono sul prezzo di mercato dei farmaci da prescrizione.
Egli non ha avuto molte difficoltà a trovare riscontri.

Prendiamo il caso del Dr. Joseph L. Biederman, professore di psichiatria presso la Harvard Medical School e direttore dell'Istituto di Psicofarmacologia pediatrica presso il Massachusetts General Hospital di Harvard. A lui si deve in larga misura se a bambini di due anni è stata fatta diagnosi di disturbo bipolare" e se sono stati trattati con un potente cocktail di farmaci, molti dei quali mai approvati per tale patologia dalla Food and Drug Administration (FDA) e nessuno dei quali autorizzato per minori di dieci anni.
Legalmente, i medici possono utilizzare per qualsiasi altra indicazione farmaci già approvati per una particolare indicazione, ma tale uso deve essere basato su una buona evidenza scientifica pubblicata. Non sembra proprio che qui ricorra tale ipotesi. Gli studi di Biederman sui farmaci con i quali si propone di trattare il disturbo bipolare nell'infanzia, sono stati - così il New York Times sintetizza il giudizio degli esperti interpellati - "tanto modesti e così mediocremente concepiti da risultare in larga misura inconcludenti."

Nel mese di giugno, il senatore Grassley ha rivelato che le aziende farmaceutiche, compresi i produttori dei farmaci per l'infanzia che B. prescrive per il disturbo bipolare, hanno pagato 1,6 milioni di dollari a Biederman per consulenze e conferenze tra il 2000 e il 2007. Due suoi colleghi hanno ricevuto somme analoghe. Dopo che la cosa è venuta alla luce, il presidente del Massachusetts General Hospital e il presidente della sua sezione medica hanno inviato una lettera ai medici dell'ospedale invitandoli a non aggravare ulteriormente questi casi di macroscopici conflitti di interessi, ma anche ad esprimere la propria solidarietà a chi ne aveva beneficiato: "Sappiamo che si tratta di un momento di incredibile dolore per i medici e le loro famiglie, e il nostro cuore è con loro"!

Altro caso è quello del Dr. Alan F. Schatzberg, titolare della cattedra di psichiatria del dipartimento di Stanford e presidente eletto della American Psychiatric Association. Il senatore Grassley ha scoperto che Schatzberg ha gestito più di 6 milioni di dollari di prodotti nella Corcept Therapeutics, una società che ha collaborato a fondare e che testa il "Mifepristone" - farmaco abortivo altrimenti noto come RU-486 - da lui impiegato per trattare gli stati depressivi. Allo stesso tempo Schatzberg figura quale principale referente in un "Istituto Nazionale di Salute Mentale", che sovvenziona la ricerca sul Mifepristone per questo impiego, e figura tra gli autori di tre articoli sul tema. In una dichiarazione rilasciata alla fine di giugno, l'ateneo di Stanford dichiarò di non veder nulla di male in questa convenzione, anche se un mese dopo il consiglio universitario annunciò la sostituzione di Schatzberg, quale ricercatore di riferimento, "al fine di eliminare qualsiasi fraintendimento".

Il caso forse più eclatante tra quelli finora esposti dal senatore Grassley è quello del dottor Charles B. Nemeroff, presidente della Emory University-Dipartimento di Psichiatria e, insieme con Schatzberg, coeditore di un rinomato Textbook of Psychopharmacology. Nemeroff è stato il ricercatore di punta, percependo una sovvenzione di 3,95 milioni di dollari in cinque anni dall'Istituto Nazionale di Salute Mentale, 1,35 dei quali destinati alla Emory dalla GlaxoSmithKline a titolo di contributo per lo studio....di diversi farmaci da lei prodotti. Per attenersi ai regolamenti universitari ed alle leggi dello stato, egli era tenuto a comunicare alla Emory quanto percepito da

GlaxoSmithKline, ed a sua volta la Emory doveva informarne, per importi superiori a 10.000 dollari annui, il National Institutes of Health, unitamente all'assicurazione che il risultante conflitto di interessi sarebbe stato eliminato.
Ma il senatore Grassley, confrontando i registri della Emory con i documenti contabili della multinazionale, scoprì che Nemeroff aveva omesso di indicare qualcosa come 500.000 dollari ricevuti da GlaxoSmithKline per decine di conferenze dirette a promuovere i prodotti della società.
Nel giugno 2004 la Emory ha condotto la sua indagine sull'operato di Nemeroff, ed ha riscontrato molteplici violazioni dei suoi regolamenti. Nemeroff ha risposto assicurando la Emory in una nota:

"in considerazione della convenzione National Institutes of Health/Emory/GSK (GlaxoSmithKline), ho già comunicato a GSK (che ne ha già preso buona nota) che limiterò a cifra inferiore ai 10.000 dollari all'anno le mie spettanze per le consulenze fornite". Ma in quell'anno ricevette 171.031 dollari dalla società, nello stesso momento in cui denunciava alla Emory, perché ne desse comunicazione al Nat. Inst. Of Health, un...timido importo di 9.999 dollari, per rimanere sotto alla soglia di 10.000.

Peraltro la Emory è stata destinataria di borse di studio e di altre entrate procurate da Nemeroff, e questo autorizza il sospetto che la sua supervisione lassista sia dipesa dai propri conflitti di interesse. Come riportato da Gardiner Harris sul New York Times, Nemeroff stesso aveva sottolineato i suoi buoni servigi alla Emory in una lettera del 2000 indirizzata al preside della facoltà di medicina, nel corso della quale giustificava così il personale coinvolgimento in una dozzina di accordi per consulenze aziendali......, dicendo:

"Sicuramente lei ricorderà che la Smith-Kline Beecham Pharmaceuticals ha procurato una cattedra importante al dipartimento e che vi è qualche ragionevole probabilità che la Janssen Pharmaceuticals farà altrettanto. Inoltre, la Wyeth-Ayerst Pharmaceuticals ha finanziato un programma di ricerca Career Development Award nel dipartimento, e personalmente ho chiesto sia ad AstraZeneca Pharmaceuticals che alla Bristol-Meyers Squibb di fare altrettanto. Se sarò ricompreso in questo affare, ciò contribuirà a farli decidere per un finanziamento alla nostra facoltà".

Poiché era stato il senatore Grassley a fare il nome di questi psichiatri, a costoro è stata dedicata molta attenzione dalla stampa; ma l'intero mondo della medicina è invaso da analoghi conflitti di interesse. (Per la cronaca il senatore ha rivolto adesso la sua attenzione ai cardiologi). In effetti, la maggior parte dei medici prendono soldi o accettano regali, in un modo o nell'altro, dalle case farmaceutiche. Molti di loro sono pagati in veste di consulenti, o come relatori in congressi sponsorizzati dalle case farmaceutiche, o perché si prestano a mettere il loro nome su lavori scritti dai produttori di farmaci o da loro incaricati, o anche in qualità di apparenti "ricercatori", il cui vero compito spesso consiste semplicemente nell'indirizzare i propri pazienti su un determinato farmaco e nell'informarne la ditta. Sempre più medici beneficiano di pranzi gratuiti e altri di regali veri e propri. Inoltre, le aziende farmaceutiche sovvenzionano i più importanti convegni delle organizzazioni professionali e la maggior parte dei periodici corsi di aggiornamento indispensabili ai medici per mantenere attiva la loro abilitazione all'esercizio della professione.

Nessuno conosce esattamente le cifre complessive pagate dalle ditte farmaceutiche ai medici, ma ritengo, sulla base dei bilanci delle nove più importanti aziende farmaceutiche americane, che si tratti di decine di miliardi di dollari l'anno. Con tali strumenti l'industria farmaceutica ha acquisito il controllo totale sulla valutazione e la prescrizione dei propri prodotti da parte dei medici. Tutto ciò asserve i medici, particolarmente i cattedratici di prestigiose scuole mediche, influenza i risultati della ricerca, la pratica medica e persino la definizione di ciò che costituisce una malattia!

Occorre considerare che gli studi clinici per l'impiego di farmaci vengono testati sull'uomo. Prima che un nuovo farmaco entri in commercio, il produttore deve finanziare studi clinici per dimostrare alla Food and Drug Administration che il farmaco è sicuro ed efficace, solitamente facendo un confronto con un placebo o un "manichino pillola". I risultati di tutte le prove (che possono essere svariate), sono sottoposti alla FDA, e se una o due prove risultano positive - dimostrano cioè efficacia della sostanza senza rilevanti rischi - il farmaco è generalmente autorizzato, anche se tutte le altre prove fossero negative. I farmaci sono autorizzati solo per una specifica indicazione (ad esempio, per trattare il cancro ai polmoni) ed è illegale per le case farmaceutiche commercializzarli per qualsiasi altra indicazione.

Ma i medici possono prescrivere farmaci autorizzati come "off-label", vale a dire, senza riguardo per l'indicazione approvata, di modo che forse la metà di tutte le prescrizioni sono state redatte per indicazioni off-label. Dopo che i farmaci sono sul mercato, le imprese continuano a sponsorizzare studi clinici, a volte per ottenere l'approvazione FDA per ulteriori usi, a volte per dimostrare un vantaggio rispetto ai concorrenti, e spesso solo come pretesto per ottenere che i medici prescrivano questi farmaci ai pazienti. (Tali test sono giustamente chiamati "semina" studi.).

Dal momento che le aziende farmaceutiche non hanno accesso diretto ai pazienti, esse hanno l'esigenza di appoggiare le loro sperimentazioni ad atenei medici, dove i ricercatori ottengono di poter utilizzare, a scopo didattico, pazienti di ospedali e cliniche, o di società private di ricerca (CROs), che attraverso i medici di base arruolano pazienti. Sebbene le CROs siano di solito più efficienti, i finanziatori preferiscono utilizzare le scuole mediche, sia perché la ricerca condotta da queste è formalmente più quotata, ma soprattutto perché consentono loro di sfruttare la grande influenza di medici ritenuti poter rappresentare l'opinione prevalente o essere considerati "key opinion leaders "(KOLs). Sono queste le persone che scrivono libri e articoli su riviste mediche, redigono le "linee guida", occupano posti importanti nella FDA governativa ed in altri gruppi di consulenza, o in rinomate società professionali, e prendono la parola in innumerevoli riunioni e cene che si svolgono ogni anno per ragguagliare i clinici sui farmaci da prescrivere. L'avere un "KOLs" come il Dr. Biederman sul libro paga vale ogni centesimo speso.

Pochi decenni fa, le scuole mediche non disponevano di estesi rapporti finanziari con l'industria, ed i ricercatori universitari che portavano avanti la ricerca finanziata da case farmaceutiche non avevano altri legami con loro. Ma oggi le università hanno molteplici rapporti con l'industria e si trovano in una posizione morale che li metterebbe in difficoltà se volessero rimproverare alla propria facoltà di comportarsi come loro fanno. Un recente sondaggio ha rilevato che circa i due terzi dei centri medici accademici hanno rilevanti partecipazioni nelle aziende che sponsorizzano la ricerca all'interno della stessa istituzione. Una inchiesta sul settore universitario medico ha scoperto che i due terzi dei cattedratici dovevano il loro incarico alle aziende farmaceutiche e che i tre quinti avevano ricevuto da queste incarichi personali. Nel 1980 le facoltà mediche iniziarono a dettare norme che disciplinano i conflitti d'interesse, ma generalmente queste sono assai variabili, il più delle volte molto permissive ed oggetto di disinvolte forzature.

Dato che le aziende farmaceutiche pretendono, come condizione per erogare un finanziamento, di essere capillarmente coinvolte in tutti gli aspetti della ricerca che sponsorizzano, è facile per loro introdurre falsificazioni dirette a far apparire i loro farmaci migliori e più sicuri di quel che sono.
Prima del 1980 veniva data ai ricercatori universitari una totale autonomia nella conduzione dei lavori, ma ora le case farmaceutiche impiegano spesso i loro dipendenti ed i loro agenti nel progettare gli studi, eseguire i test, scrivere i lavori, e decidere se e in quale forma pubblicare i risultati. Talvolta le facoltà mediche procurano ricercatori che sono poco più che manovali, per cui l'arruolamento di pazienti e la raccolta dei dati seguono le direttive dell'azienda.

In considerazione di un controllo simile e dei conflitti di interesse che permeano la ricerca, non c'è da meravigliarsi che i risultati negativi degli studi sponsorizzati dalle case farmaceutiche (e pubblicati su riviste scientifiche a loro tornaconto), non vengano in gran parte resi noti, mentre la pubblicazione di quelli positivi venga riproposta in altri lavori appena variati nella forma; oppure che quelli negativi vengano presentati come positivi. Per fare un esempio, un controllo su 74 studi clinici relativi ad antidepressivi, ha svelato che 37 su 38 risultati positivi siano stati pubblicati, ma dei 36 dei 37 o sono stati occultati o pubblicati spacciandoli per positivi. Non è poi raro che un documento pubblicato focalizzi l'attenzione sull'effetto secondario che sembra più favorevole.

L'occultamento dei risultati fallimentari emersi da ricerche è oggetto di un coinvolgente libro scritto da Alison's Bass, dal titolo "Effetti collaterali: un accusatore, uno che ha fatto la soffiata ed un bestseller, in una ricerca su antidepressivi". Questa è la storia di come il gigante farmaceutico britannico, la GlaxoSmithKline, abbia sepolto prove che il suo antidepressivo, il Paxil, top nelle vendite, è inefficace e potenzialmente dannoso per i bambini e gli adolescenti. Bass, ex reporter del Boston Globe, descrive il coinvolgimento di tre persone: uno scettico psichiatra universitario, un moralmente indignato esponente del reparto di psichiatria della Brown University (il cui presidente ha ricevuto nel 1998 più di $ 500.000 per consulenze da industrie farmaceutiche, tra le quali la GlaxoSmithKline), e un infaticabile sostituto procuratore generale di New York. Hanno preso posizione contro la GlaxoSmithKline ed il sistema psichiatrico, e alla fine l'hanno avuta vinta contro ogni previsione.

Il libro segue le singole lotte di queste tre persone nel corso di molti anni, culminati con la GlaxoSmithKline obbligata, nel 2004, a transare sulle accuse di frode pagando 2,5 milioni di dollari (una sciocchezza rispetto agli oltre 2.700 milioni di vendite annuali del Paxil). Ha inoltre preannunciato di rendere nota una sintesi di tutti gli studi clinici completati dopo il 27 dicembre 2000. Di ancor maggiore rilievo l'attenzione dedicata alla deliberata e sistematica prassi di occultare i risultati sfavorevoli della ricerca, che mai sarebbe emersa senza un'inchiesta giudiziaria. Uno dei documenti interni della GlaxoSmithKline - precedentemente segreto - recita: "sarebbe commercialmente inaccettabile dichiarare che l'efficacia non è stata dimostrata, in quanto ciò potrebbe compromettere il profilo della paroxetina (Paxil)".

Molti farmaci che si pretende siano efficaci, hanno probabilmente un'efficacia leggermente superiore al placebo, ma non c'è modo di appurarlo, visto che i risultati negativi sono tenuti nascosti. Un indizio è stato individuato sei anni fa da quattro ricercatori che, invocando il Freedom of Information Act, hanno ottenuto dalla FDA relazioni su ogni studio clinico - che prevedesse il confronto-pacebo - presentato per ottenere l'approvazione iniziale dei sei più usati farmaci antidepressivi approvati tra il 1987 e il 1999: Prozac, Paxil , Zoloft, Celexa, Serzone e Effexor. Essi hanno scoperto che, in media, l'80 per cento dei placebo hanno la stessa efficacia di questi farmaci.

La differenza tra farmaco e placebo è stata così piccola che era improbabile che essa potesse rivestire un qualche significato clinico. I risultati sono stati più o meno gli stessi per tutti e sei i farmaci: tutti sono risultati egualmente inefficaci. Ma visto che sono stati pubblicati solo i risultati "favorevoli" e quelli sfavorevoli sono stati....sepolti (in questo caso, all'interno della FDA), il pubblico e la professione medica hanno ritenuto questi farmaci potenti antidepressivi.

Le sperimentazioni cliniche sono influenzate anche tramite criteri di ricerca adottati unicamente allo scopo di produrre risultati favorevoli per gli sponsor. Ad esempio, il farmaco del finanziatore può essere confrontato sì con un altro farmaco, ma somministrato a una dose così bassa che quello del finanziatore appare più potente. Oppure un farmaco destinato a patologie dell'anziano può essere testato sui giovani, in modo che gli effetti collaterali abbiano minori probabilità di manifestarsi. La stessa metodica distorsiva utilizzata normalmente nel confrontare un nuovo farmaco con un placebo viene adottata anche quando il confronto riguarda un farmaco preesistente. In breve, ed è questa la ragione fondamentale per la quale i ricercatori devono essere veramente disinteressati nei confronti dei risultati del loro lavoro, spesso è possibile guidare le sperimentazioni cliniche in modo che diano i risultati che si desiderano.

Più della ricerca, sono i conflitti di interesse ad influire sui dati. Essi determinano inoltre gli indirizzi e gli strumenti ai quali si conforma la medicina praticata, attraverso la loro influenza sulle linee-guida rilasciate da organismi governativi e professionali, e attraverso i loro effetti sulle decisioni FDA.
Alcuni esempi: in un sondaggio effettuato presso duecento esperti che hanno redatto linee guida pratiche, un terzo dei membri della giuria ha riconosciuto di avere interessi finanziari in relazione ai farmaci prescelti. Nel 2004, dopo il National Cholesterol Education Program indetto per riportare drasticamente entro livelli desiderati il colesterolo "cattivo", è stato rivelato che otto dei nove membri che avevano redatto il "manifesto" di indicazioni avevano legami finanziari con i produttori di farmaci per abbassare il colesterolo. Novantacinque tra i 170 nominativi che avevano collaborato a redigere la più recente edizione del "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" dell'American Psychiatric Association (DSM), avevano intrattenuto relazioni finanziarie con le aziende farmaceutiche, intercorse peraltro con la totalità di coloro che avevano curato le sezioni dedicate ai sui disturbi dell'umore e la schizofrenia. L'aspetto comunque più allarmante è che molti membri delle commissioni permanenti di esperti che offrono consulenza alla FDA per l'approvazione dei farmaci hanno anche legami finanziari con l'industria farmaceutica.

Negli ultimi anni, le aziende farmaceutiche hanno messo a punto una nuova ed estremamente efficace strategia per espandere i loro fatturati. Invece di propagandare farmaci per il trattamento di malattie, hanno iniziato a propagandare le malattie alle quali adattare i loro farmaci! La strategia è quella di convincere quante più persone possibili (insieme ai loro medici, ovviamente) che le loro condizioni di salute richiedono un lungo periodo di terapia. Talvolta chiamato "malattia del cantastorie", questo è il tema di due nuovi libri. Il primo è di Melody Petersen Meds, del nostro quotidiano: "Come le case farmaceutiche hanno trasformato sé stesse in abili macchine da mercato e preso all'amo l'intera nazione in tema di prescrizione di farmaci"; il secondo di Christopher Lane's: "La timidezza: come la si è fatta diventare una malattia".

Per inventare nuove malattie o ingigantire le preesistenti, le aziende affibbiano loro denominazioni altisonanti attraverso acronimi. Così ora il bruciore di stomaco è diventato "sindrome gastroesofagea da reflusso" o GERD; l'impotenza "disfunzione erettile" o DE; la tensione premestruale "sindrome premestruale" o PMMD e la timidezza è "ansia sociale" (ancora non è stata coniata l'abbreviazione). E' bene notare che queste (supposte) malattie sono impropriamente definite sindromi croniche che colpiscono essenzialmente le persone normali, per cui il mercato è enorme e facilmente ampliato. Ad esempio, un alto dirigente della rete di vendite suggerì ai rappresentanti come incentivare l'acquisto del Neurontin: "Neurontin per il dolore, Neurontin per la monoterapia, Neurontin per i disturbi bipolari, Neurontin per tutto." Sembra che la strategia di marketing del farmaco - ed è stato un notevole successo - sia di convincere gli americani che ci sono solo due tipi di persone: quelle che hanno problemi che richiedono un trattamento farmacologico e quelle che ancora non sanno di averne. Queste strategie sono state ideate nel settore del farmaco, ma non avrebbero potuto affermarsi senza la complicità della classe medica.

Melody Petersen, che era un reporter del New York Times, ha scritto un'ampia, convincente requisitoria contro il settore farmaceutico. Essa stabilisce in dettaglio i vari modi, sia legali che illegali, con i quali le aziende farmaceutiche possono realizzare autentici exploit (vendite annuali di farmaci per oltre un miliardo di dollari) e il ruolo essenziale che svolgono i KOLs. Il suo esempio è soprattutto il Neurontin, che è stato inizialmente approvato solo per una indicazione molto limitata, il trattamento dell'epilessia nell'ipotesi che altri farmaci risultassero inefficaci nel controllo degli attacchi. Attraverso bustarelle pagate a nomi eccellenti del mondo accademico per poter mettere i loro nomi sugli articoli esaltando il Neurontin per altri usi (malattia bipolare, stress post-traumatico, insonnia, stanchezza delle gambe, vampate di calore, emicrania, tensione da cefalea, e altre ancora), tramite il finanziamento di conferenze nel corso delle quali venissero raccomandati questi utilizzi, la casa farmaceutica è stata in grado di trasformare il farmaco in un "blockbuster", con un fatturato di $ 2,7 miliardi nel 2003. L'anno seguente, in un caso ampiamente trattato da Petersen per il Times, la Pfizer ha ammesso le proprie responsabilità in ordine alla commercializzazione illegale ed accettato di pagare 430 milioni di dollari per evitare il danno di ulteriori spese comportate da cause penali e civili intentatele. Un sacco di soldi, ma per la Pfizer è stato più o meno come un costo commerciale, e ne è valsa la pena, visto che il Neurontin ha continuato ad essere utilizzato come un tonico per tutti gli usi, generando miliardi di dollari di vendite annuali.

Il libro di Christopher Lane ha messo a fuoco un soggetto più limitato, e cioè il rapido aumento del numero di diagnosi psichiatriche nella popolazione americana e l'uso di psicofarmaci per il loro trattamento. Poiché non vi sono prove oggettive per rilevare la malattia mentale e il confine tra normale e anormale è spesso incerto, la psichiatria costituisce un campo particolarmente fertile per la creazione di nuove malattie o per drammatizzare quelle preesistenti. I criteri diagnostici sono terreno esclusivo dell'attuale edizione del "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali", prodotto di un gruppo di psichiatri la maggior parte dei quali, come ho già detto in precedenza, avevano legami finanziari con l'industria farmaceutica. Lane, docente di letteratura alla Northwestern University, traccia l'evoluzione del DSM dal suo timido inizio nel 1952, come modesto prontuario (DSM-I), all'attuale formulazione di 943 pagine (la versione riveduta del DSM - IV), che costituisce l'indiscussa "bibbia" della psichiatria, standard di riferimento per i tribunali, le carceri, le scuole, le imprese di assicurazione, il pronto soccorso, i distretti medici e le strutture mediche di ogni genere.

Data la sua importanza, si potrebbe pensare che il DSM rappresenti l'autorevole distillazione di un ampio corpus di prove scientifiche. Ma Lane, utilizzando documenti inediti degli archivi della American Psychiatric Association e interviste con i suoi rappresentanti di spicco, dimostra che è invece il frutto di tutto un complesso di politica accademica, di ambizione personale, di ideologia, e, cosa forse più grave, dell'influenza dell'industria farmaceutica. Quello di cui difetta il DSM è il rigore scientifico. Lane riporta la dichiarazione di un collaboratore del team del DSM-III: "C'è stata una ricerca sistematica molto scarsa, e gran parte della ricerca che esisteva era realmente un pot-pourri slegato, incoerente, e ambiguo. Penso che la maggioranza di noi ha riconosciuto che la quota di quella buona, solida scienza alla quale ci ispiriamo per prendere le nostre decisioni, sia stata piuttosto modesta".

Lane utilizza la timidezza, come caso di indagine sulla "malattia-del cantastorie" in psichiatria. La timidezza come malattia psichiatrica ha fatto il suo debutto come "fobia sociale" nel DSM-III nel 1980, anche se al tempo veniva descritta come rara. Nel 1994, quando il DSM-IV è stato pubblicato, essa era diventata "ansia sociale", ed oggi si sostiene che sia una malattia estremamente diffusa. Secondo Lane, la GlaxoSmithKline, sperando di aumentare le vendite per il suo antidepressivo, il Paxil, ha deciso di promuovere la sindrome da ansietà sociale a "grave condizione medica". Nel 1999, la società ha ricevuto l'approvazione FDA a commercializzare il farmaco per il trattamento....dell'ansia sociale. Essa ha lanciato una vasta campagna mediatica per realizzarlo, ricorrendo anche a poster, esposti nelle pensiline degli autobus di tutto il paese, che raffigurano individui in condizioni pietose, con la didascalia "Immagina di essere allergico alla gente ...": aumentando così le vendite. Ecco un'affermazione fatta da Barry Brand, direttore di produzione del prodotto Paxil: "il sogno di ogni venditore è trovare un mercato non capito o sconosciuto e sfruttarlo. Questo è ciò che siamo stati in grado di fare con la sindrome da ansia sociale".

Alcuni dei più grandi blockbuster sono psicofarmaci. La teoria che i disturbi psichiatrici derivino da uno squilibrio biochimico è usata quale giustificazione per il loro uso diffuso, anche se la teoria deve essere ancora dimostrata. I bambini sono obiettivi particolarmente vulnerabili. Forse che i genitori osano dire "No" quando un medico dice loro che un bambino difficile è malato e raccomanda un trattamento farmacologico? Oggi ci troviamo nel bel mezzo di una presunta epidemia di malattia bipolare nei bambini (che sembra aver rimpiazzato la sindrome da iperattività e da deficit di attenzione come situazione più pubblicizzata nell'infanzia), con un incremento della diagnosi di quaranta volte dal 1994 al 2003. Questi bambini sono spesso trattati con diversi farmaci off-label, molti dei quali, indipendentemente dalle loro proprietà, sono sedativi, e quasi tutti caratterizzati da effetti indesiderati potenzialmente gravi.

I problemi che ho discusso non si limitano alla psichiatria, anche se in questo campo raggiungono la loro più florida estensione. Simili conflitti di interesse e pregiudizi riguardano quasi ogni campo della medicina, in particolare quelli che dipendono in larga misura da farmaci o tecniche terapeutiche. E' semplicemente impossibile dare credito a buona parte della ricerca clinica pubblicata, od alle opinioni del medico di fiducia o ad autorevoli linee-guida. Non mi fa certo piacere arrivare a questa conclusione, formatasi gradualmente e con riluttanza nel corso degli oltre vent'anni come direttore del "The New Journal of Medicine".

Un risultato di pregiudizi diffusi è che i medici imparano a praticare una medicina basata su un uso esasperato di farmaci. Anche se cambiamenti negli stili di vita sarebbero più efficaci, i medici ed i loro pazienti spesso sono convinti che vi sia un farmaco per ogni malattia ed ogni insoddisfazione. I medici sono anche portati a credere che i nuovi e più costosi farmaci di marca siano superiori ai vecchi farmaci o a quelli generici, anche se raramente vi è qualche prova in tal senso, visto che gli sponsor non sono soliti confrontare con i loro altri farmaci a dosaggi equivalenti. Inoltre i medici, influenzati da rinomati docenti universitari, imparano a prescrivere farmaci per uso off-label senza prove di efficacia.

E' facile per le aziende farmaceutiche, che sicuramente ne portano grande responsabilità, muoversi a loro agio in una situazione come questa. La maggior parte delle grandi aziende farmaceutiche si sono sobbarcate gli oneri conseguenti a frodi, commercializzazione farmaci off-label, e altri reati.

TAP Pharmaceuticals, per esempio, nel 2001 si è dichiarata colpevole ed ha accettato di pagare 875 milioni di dollari per sistemare il contenzioso penale e civile sorto dalla lesione della legge federale in seguito all'impiego fraudolento del Lupron, un farmaco usato per il trattamento del cancro alla prostata. Oltre a GlaxoSmithKline, Pfizer e TAP, altre case farmaceutiche si sono accollate gli oneri per transare su simili frodi: come Merck, Eli Lilly, e Abbott. Le ammende, seppure in alcuni casi enormi, sono poca cosa se paragonate ai profitti procurati da tali attività illegali, e quindi non sono niente di più che mezzi dissuasivi. Ancora, quanti sostengono le ragioni dell'industria farmaceutica, sostengono che sta semplicemente cercando di fare realizzare il suo scopo principale, quello di fare gli interessi dei suoi investitori, anche se talvolta va un....po' troppo lontano.

I medici, le università e le organizzazioni professionali non hanno scusanti, avendo una grande colpa verso i pazienti che ripongono fiducia in loro. La missione delle scuole mediche e degli ospedali universitari - e questo giustifica il loro stato di esentasse - è quello di educare le future generazioni di medici, effettuare ricerche importanti per il progresso scientifico e curare i cittadini malati, non quello di allacciare rapporti d'affari con l'industria farmaceutica. Per quanto sia riprovevole la prassi usuale di tante case farmaceutiche, credo che il comportamento di gran parte della professione medica lo sia ancora di più. Le industrie farmaceutiche non sono enti di beneficenza; esse si aspettano un ritorno dal denaro che spendono, ed evidentemente non è per loro indifferente avere utili o meno.

Sarebbero indispensabili riforme così numerose per ripristinare l'integrità della ricerca clinica e della pratica medica, che è impossibile riassumerle in breve. Molti vorrebbero cambiamenti radicali nella legislazione e nell'attività della FDA, compresi gli iter per l'approvazione dei farmaci. Ma vi è anche, ovviamente, la necessità assoluta che la professione medica si affranchi in misura prevalente dai settori economico-finanziari. Sebbene la collaborazione tra industria farmaceutica ed università possa dare importanti contributi scientifici, di solito questi sono apportati dalla ricerca di base, e non dagli studi clinici, ed anche questa sarebbe discutibile se comportasse l'arricchimento personale dei ricercatori. Gli esponenti delle facoltà universitarie che realizzano studi clinici non devono accettare alcuna somma da parte delle aziende farmaceutiche, eccetto il mero sostegno alla ricerca, e questo sostegno non dovrebbe mai essere subordinato all'accettazione di patti aggiunti, inclusa la pretesa dell'industria farmaceutica di avere il controllo sulla progettazione, l'interpretazione e la pubblicazione dei risultati della ricerca.

Le scuole mediche e gli ospedali universitari dovrebbero applicare rigorosamente tale norma, e non dovrebbero stipulare accordi con le aziende sui cui prodotti membri delle loro facoltà stanno conducendo studi. Infine, di rado esiste una valida ragione per la quale i medici dovrebbero accettare doni da aziende farmaceutiche, anche quelle di piccole dimensioni; anzi dovrebbero provvedere autonomamente a pagarsi le spese dei convegni e dei corsi di aggiornamento.

Dopo tanta sfavorevole pubblicità, università e organizzazioni professionali stanno cominciando a parlare di controllo dei conflitti di interesse, ma finora la risposta è stata tiepida. Essi parlano prevalentemente di "potenziali" conflitti di interesse, come se si trattasse di una mera ipotesi lontana dalla realtà, e per giunta limitatamente alla loro divulgazione e "risoluzione", non già del loro divieto. In sostanza, sembra che ci sia il desiderio di eliminare solo l'odore di corruzione, mentre si continua a prendere soldi. Rompendo la dipendenza dall'industria farmaceutica, la classe medica avrà più prerogative sulla designazione di membri di commissioni e su altre importanti funzioni.

Questo rappresenterà la rottura con un modello comportamentale estremamente redditizio. Ma se la professione medica non pone fine a questa corruzione di sua iniziativa, perderà la fiducia del pubblico, e il governo (non solo il senatore Grassley) intensificherà e imporrà una regolamentazione. E nessuno dell'ambiente medico vuole questo.

Link per leggere il testo in originale: http://www.nybooks.com/articles/22237


Marcello Pamio

Che Big Pharma domini la ricerca medica globale è forse inevitabile, dato i 70 miliardi di dollari che ha da spendere ogni anno per trovare nuovi prodotti.
Per influenzare medici e pubblico poi le società dispongono di somme ancora maggiori.
In base al quadro proposto dalla dottoressa Marcia Angell sulla spesa complessiva delle industrie farmaceutiche la cifra destinata a marketing e amministrazione si aggira intorno ai 155 miliardi di dollari l’anno.
Si tratta in realtà di somme teoriche perché le case farmaceutiche custodiscono gelosamente i dettagli delle loro spese e la linea di demarcazione tra ricerca e marketing è a dir poco flessibile. Gli studi clinici volti a monitorare la sicurezza dei farmaci già sul mercato, sono di norma finanziati con i fondi per la Ricerca e Sviluppo (R&D). Ma si sa che fungono anche da veicoli di marketing, poiché servono a presentare i farmaci ai medici il prima possibile nel corso della loro vita limitata.
Il fatto stesso che questi prodotti si differenziano solo in base alla ricerca implica che le due funzioni siano necessariamente collegate. Anzi, in certa misura, la ricerca è marketing.
Gli studi clinici vengono condotti in preparazione al momento in cui il farmaco viene lanciato sul mercato. Questi studi sono progettati senza perdere di vista gli obiettivi di marketing perché la cosa più importante è che il prodotto goda di un sostegno forte dal punto di vista clinico.
Gli studi post-marketing, condotti dopo il lancio, passano a consolidare la piattaforma di marketing su cui si baserà ogni mossa per la conquista di una fetta del mercato.

La prima cosa che deve fare una casa farmaceutica è creare una tesi a favore dei suoi prodotti, il che significa progettare gli studi sia prima dopo l’approvazione per presentarli nella migliore luce possibile. Da direttore del «British Medical Journal» il dottor Richard Smith evidenziò alcuni degli espedienti più diffusi dalle case farmaceutiche:

Evitare di testare il farmaco contro un altro farmaco perché potrebbe non reggere il confronto;

Testarlo contro un piccolo gruppo di concorrenti per far vedere che non è da meno;

Fare il confronto con una dose troppo bassa o troppo alta di un’altra terapia in modo tale che questo risulti meno efficace o dia luogo ad effetti collaterali;

Riferire i risultati degli studi solo quando fanno fare bella figura. Pubblicare i risultati utili a sei mesi ma sotterrare quelli poco brillanti a 12 mesi.

Condurre gli studi in vari paesi, pubblicando i risultati separatamente per dare l’idea che il farmaco sia sostenuto da un gran numero di studi;

Continuare a ripubblicare gli studi positivi, gli altri studi si possono seppellire in una rivista sconosciuta;

Comunicare alle riviste che si acquisteranno ristampe per un milione di sterline nel caso in cui recensiscono il prodotto in modo favorevole…

 

E questo è solo l’inizio del procedimento.
Una volta in possesso dei dati clinici auspicati, bisogna spargere la voce. Il direttore di «The Lancet», dottor Richard Horton definisce queste pratiche riciclaggio di informazioni sporche.
Ecco come funziona.

Una società farmaceutica patrocina un convegno scientifico. Alcuni relatori sono invitati a parlare di un prodotto in cambio di un profumato ingaggio (di solito diverse migliaia di sterline).

Vengono scelti in base alle loro già note opinioni su un farmaco, oppure si sa che tendono ad accontentare le esigenze della società che li paga.

Si svolge il convegno e il relatore presenta il discorso. Una società di comunicazione specializzata registra la conferenza e la converte in un articolo per la pubblicazione, di solito nell’ambito di una raccolta di paper scaturiti dal simposio. Questa raccolta viene poi offerta una casa editrice specializzata per una cifra che può raggiungere le centinaia di migliaia di sterline.

La casa editrice cerca infine una rivista autorevole per pubblicarvi i paper basati sul simposio, in genere come supplemento alla rivista.

Il punto fondamentale è che, su un mucchio di giornali che si atteggiano a riviste scientifiche manca del tutto la revisione paritaria. Quel procedimento per cui altri scienziati competenti nel campo assicurano che il lavoro scientifico sia il più possibile immune da pregiudizi e distorsioni è, in altre parole inesistente.

Il processo di pubblicazione è stato ridotto a un’operazione di marketing travestita da scienza legittima - afferma Horton. Le società farmaceutiche hanno trovato il modo di eludere le norme di controllo della revisione paritaria. In troppi casi riescono a seminare letteratura settoriale di lavori scientifici di bassa qualità che possono poi usare per promuovere i loro prodotti presso i medici.
Le case farmaceutiche ci stanno imbrogliando – dichiara Smith. Ci arrivano articoli con su i nomi dei medici spesso scopriamo che alcuni di loro sanno poco o niente di quanto hanno scritto. Quando ce ne accorgiamo respingiamo il documento, ma è molto difficile. In un certo senso l’abbiamo voluto noi insistendo e ottenendo che si debba rendere esplicito ogni coinvolgimento di società farmaceutiche. Non hanno fatto altro che trovare il modo di aggirare l’ostacolo e agire di nascosto.

Pratiche simili sono ampiamente dimostrate. Si stima che quasi la metà di tutti gli articoli pubblicati sulle riviste siano stati scritti da ghostwriter.
Questa scienza passa a ogni livello di divulgazione, interpretata in ciascuna circostanza da persone che non hanno alcun incentivo a mettere in discussione la scoperta delle case farmaceutiche. D’altronde è con i soldi di queste ultime che a tutti gli effetti si pagano gli stipendi di chi scrive per i professionisti del settore, perché comprano gli spazi pubblicitari su cui si leggono tutte le pubblicazioni, sia online sia su carta. L’informazione sugli studi clinici e sui convegni scientifici è influenzata in ogni angolo dall’idea generale che è meglio non sputare nel piatto in cui si mangia.
Tutto ciò che è sconveniente per questi importanti committenti è relegato a uno spazio limitato perché è così che il Sistema funziona. Per i marketing team delle case farmaceutiche, i giornalisti svolgono un ruolo cruciale. Come per i medici, a nessuno si chiede di agire in modo immorale; solo di accettare ingaggi di gran lunga superiori a qualsiasi altra offerta immaginabile.
Un bravo giornalista scientifico che conosce anche bene il settore può guadagnare migliaia di euro dollari o sterline a progetto, anziché centinaia. Sono soldi facili e in genere molto ambiti. Oltretutto si tratta di un lavoro semplificato, perché i giornalisti ricevono già pronte le informazioni, il taglio da dare al pezzo e, se destinato al grande pubblico, i case study da presentare e i medici da intervistare. Spesso già tutto organizzato, trasporti e appuntamenti. Il giornalista non fa altro che mettere insieme il tutto…

Testimonial e influencer in busta paga…
L’impiego di personaggi famosi come testimonial dei farmaci è un valido esempio di come le regole siano distorte per adeguarsi alle norme sociali, perché è una pratica su cui è quasi impossibile vigilare.
Milioni di telespettatori avevano visto ad esempio l’attrice Kathleen Turner sulla CNN e sulla Abc parlare della sua artrite reumatoide e consigliare un sito web di informazione sull’argomento. Quello che non potevano sapere era che sia lei, sia il sito web erano stati finanziati dalla Immunex, società produttrice del farmaco contro l’artrite Enbrel.
E quando Lauren Bacall raccontò di un’amica che era diventata cieca in seguito alla degenerazione maculare e aveva trovato benefici da Visudyne, pensò bene di non specificare che la Novartis, casa produttrice del farmaco, le aveva pagato un compenso.
L’entità di questi compensi è segreta, ma si pensa che in gioco ci siano milioni.
Quando Pelè, in una serie di interviste concesse in Gran Bretagna, suggerì agli uomini di parlare alle compagne dei propri problemi sessuali, nessuno fece cenno al contratto che il calciatore aveva firmato con la Pfizer.
Pare che Kirk Douglas, Pierce Brosnan e di Angela Bassett prendono tutti il Pravachol, la statina della Bristol Meyer Squibb.
La Wyeth ha scelto la cantante Patti LaBelle per promuove la terapia ormonale sostitutiva Prempro e ingaggiato Debbie Reynolds e Rita Moreno, stelle dei musical, per spingere le donne a fare l’esame densitometrico.
Sia l’ex candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Bob Dole che il calciatore Pelè hanno invece pubblicizzato il Viagra della Pfizer.
All’epoca la Merck spese più di 150 milioni di dollari l’anno per promuovere il Vioxx, più di quanto era stato speso per pubblicizzare marchi molto noti quali la Pepsi-Cola e la Budweizer, anche in questo caso solo negli USA.

Oggi quanti medici o esperti vari, che ubiquitariamente occupano i canali televisivi e i giornali di Regime, che osannano farmaci e vaccini sono nella busta paga delle lobbies farmaceutiche?
Quanti borioni e sborioni di turno, che accattano a siringa spianata i genitori che giustamente mettono in discussione una pratica medica rischiosissima e massificata come quella vaccinale, ricevono ogni anno finanziamenti dalle industrie produttrici?

Tratto da «Big Pharma: come l’industria farmaceutica controlla la nostra salute», di Jacky Law