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Marcello Pamio

La pubblicità può essere descritta come la scienza di fermare l’intelligenza umana abbastanza a lungo da ricavarne denaro”, Stephen Leacock

Nel 1957 il giornalista Vance Packard scrisse “I persuasori occulti”, un libro che svelava i trucchi psicologici e le tattiche usate dal marketing, per manipolare le nostre menti e convincerci a comprare.
Libro inquietante per l’epoca. Oggi però, i pubblicitari sono diventati più bravi, furbi e spietati.
Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare.
Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato.
Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare.
Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”.

Il Kids marketing
Gran parte del budget del marketing è impiegata per impiantare i brand (marchi) nel cervello dei piccoli consumatori, perché le nostre preferenze per i prodotti attecchiscono dentro di noi ancora prima di nascere. Il linguaggio materno è udibile dall’utero, ma quello che non si sapeva è che la musica lascia nel feto un’impressione duratura in grado di plasmare i gusti che avranno da adulti.
Le ultime scoperte confermano che ascoltare reclame e jingle pubblicitari nell’utero ci predispone favorevolmente nei confronti dei brand associati. Il marketing lo sa e ha iniziato ad escogitare modi per capitalizzare tale spregiudicato fenomeno…
Con il kids marketing si coinvolgono i bambini nei giochi, monitorando il loro comportamento e preferenze, il tutto per aggiornare gli assortimenti dei supermercati: ridisegnare forma e colore degli scaffali, arricchire i totem posizionati di fianco alle casse, ecc. Non a caso giocattoli e merendine sono disposti a circa un metro da terra, alla portata dei più piccoli.
I bambini sotto i tre anni (guardano 40.000 spot pubblicitari all’anno e conoscono più nomi di personaggi pubblicitari che animali), solo negli Usa, rappresentano un mercato da 20 miliardi di dollari!
A 6 mesi i bambini sono in grado di formarsi un’immagine mentale di loghi, e infatti i biberon e passeggini vengono decorati con personaggi ad hoc. I loghi riconosciuti a 18 mesi saranno preferiti anche da adulti.
Per finire, condizionando i bambini agli acquisti si condizionano anche i genitori: il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto a un bambino e una madre su due compra un alimento che è stato chiesto dal figlio.

Marketing della paura e nostalgia
La paura è un’emozione che stimola la secrezione di adrenalina, scatenando il riflesso primordiale del combatti o fuggi. Tale riflesso produce a sua volta un altro ormone, l’epinefrina che determina un piacere estremo.  Il sangue affluisce ad arti e muscoli, per cui il cervello ne sarà privato, e questo ci rende incapaci di pensare con lucidità: la paura è persuasore molto efficace (psicofarmaci, vaccini, ecc.). Le case farmaceutiche spendono decine di miliardi di dollari per inventare nuove malattie e alimentare le nostre paure. Risultato? Le vendite di farmaci da ricetta in America raggiungono i 235 miliardi di dollari all’anno.
Spesso l’approccio consiste nell’evocare emozioni negative, indi presentare l’acquisto del prodotto come l’unico e veloce modo di liberarsi di quell’emozione. Pubblicità più sofisticate adoperano invece l’umorismo come rinforzo positivo: far ridere è un ottimo mezzo per far simpatizzare con il prodotto.
Viceversa, struggersi nei ricordi migliora l’umore, l’autostima e rafforza le relazioni.
La nostra predilezione per la nostalgia dipende dal fatto che il cervello è programmato per ricordare le esperienze passate come più piacevoli di quanto le avessimo ritenute nel momento. Tendiamo a valutare gli eventi passati in una luce più rosea.
Anche la nostra età percepita è un fattore cruciale nelle decisioni di acquisto: più invecchiamo e più rimpiangiamo il passato. Il “marketing della nostalgia” è una strategia di grande efficacia, con cui i pubblicitari riportano in vita immagini, suoni e spot del passato per venderci un brand.

Le dipendenze
I cibi ricchi di grassi e zuccheri (cioccolate, patatine, merendine...) sono tra i prodotti che generano più dipendenza. Le aziende arricchiscono appositamente i loro prodotti con sostanze che creano assuefazione (glutammato monosodico, caffeina, sciroppo di mais, aspartame, zucchero).
Uno studio pubblicato su “Nature Neuroscience”, dimostra che questi alimenti agiscono sul cervello in modo quasi identico alla cocaina e all’eroina!
Lo zucchero stimola la secrezione della dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, mentre la caffeina ne inibisce il suo riassorbimento, facendoci sentire briosi e vivaci, e dall’altra  stimola l’adrenalina che ci fa sentire carichi.
Anche i giochi danno una dipendenza fisiologica fortissima, il cervello infatti reagisce rilasciando più dopamina. Per questo le aziende cercano di aumentare le vendite di Playstation e Wii, anche perché hanno scoperto che quando i giochi sono progettati a dovere, non fanno sviluppare soltanto una dipendenza dal gioco stesso, ma possono riprogrammare il cervello rendendo dipendenti dall’atto di comprare, dallo shopping.
Usano i videogiochi per trasformarci in drogati dello shopping: brandwashing.

Vanity sizing
E’ un bieco trucco con cui alcuni negozi vendono abiti più larghi per farci credere di indossare una taglia più piccola.
Le taglie riportate nelle etichette di abbigliamento spesso non corrispondono a quelle reali: sono di una taglia più bassa. Il neuromarketing sa benissimo che ambo i sessi comprano più volentieri un prodotto che li fa sembrare più magri, anche se ciò non è vero.

Celebrity marketing
Sfruttano la fama delle celebrità (attori, sportivi, ecc.) per lavarci il cervello, perché un prodotto associato a una persona famosa esercita un ascendente subliminale potentissimo.
Il “celebrity marketing” fa leva sul fatto che sogniamo di diventare famosi, belli e popolari, vogliamo essere loro o almeno essere come loro.
Non a caso il numero delle persone famose si è moltiplicato negli ultimi anni, grazie a programmi creati ad arte: reality show, intrattenimento, ecc. Aumentano i testimonial per poterli usare per la pubblicità.

Data mining
Si tratta di un business enorme che consiste nel tracciare e analizzare il comportamento dei consumatori, per poi categorizzare ed elaborare i dati e usarli per persuaderci a comprare e, a volte, a manipolarci.
Le aziende possono conoscere le nostre abitudini, l’etnia, il sesso, l’indirizzo, il telefono, il numero dei componenti della famiglia e molto altro ancora. Il nome tecnico è “Ricerca motivazionale”, e in pratica vanno alla ricerca delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti di acquisto dei consumatori.
Analizzando i dati delle carte fedeltà e incrociandoli con quelli delle carte di credito, è possibile scoprire delle cose inquietanti su tutti noi.
I “programmi fedeltà” infatti esistono solo per persuaderci a comprare di più.
Ogni volta che usiamo tali carte, viene aggiunta al nostro archivio digitale l’indicazione di quello che abbiamo comprato, le quantità, l’ora, il giorno e il prezzo. Quando usiamo le carte di credito, l’azienda archivia la cifra e la tipologia merceologica: ad ogni transazione è assegnato un codice di quattro cifre che indica la tipologia di acquisto.
Dove questi dati vadano a finire è facile da immaginare.

Percorsi e orientamento
Sapevate che si spende di più se ci muoviamo nel negozio in senso antiorario?
Il braccio destro ha più margine di movimento per afferrare i prodotti; la guida delle auto, tranne alcuni paesi, è a destra e leggiamo da sinistra a destra, per cui i nostri occhi tendono a seguire questo movimento anche quando si è davanti a uno scaffale.
I supermercati sono pensati per favorire la circolazione dei clienti da destra a sinistra, col risultato che le cose più acquistate sono sempre sugli scaffali a destra. Le grosse industrie, sapendo questo, posizionano i loro prodotti civetta sempre a destra.
La porta d’ingresso è sempre a destra, e questo è un modo subdolo nel determinare il flusso d’acquisto antiorario.
Infine i percorsi contorti all’interno servono per farci camminare lentamente, e più lentamente ci muoviamo, più prodotti vedremo…e saremo tentati di comprare.
I beni di prima necessità come sale, zucchero, ecc., sono posizionati lontanissimo dall’ingresso e difficili da scovare, obbligandoci a ripercorrere più volte le corsie facendoci girare l’intero supermercato. Addirittura in molti supermercati cambiano di posto i prodotti una volta al mese, per impedirci di trovare facilmente quello che cerchiamo.
L’istituto ID Magasin, specializzato in ricerche comportamentali e di mercato, ha messo a punto un dispositivo per registrare ciò che il cliente guarda da quando entra a quando esce, scoprendo che l’area più osservata negli scaffali è a circa 20 centimetri al di sotto del nostro orizzonte visivo.
Un prodotto collocato a un metro e mezzo d’altezza ha la massima probabilità d’essere notato e quindi di essere acquistato.

La musica è servita
Quale musica è meglio: rock, metallica, samba o sinfonica?
A questo ci pensano aziende come Muzak, gli “architetti audio”, che hanno progettato 74 programmi musicali in 10 categorie diverse, che spaziano dal rock, alla classica, e tutte sortiscono un effetto psicologico ben preciso e diverso.
Anche la velocità e il ritmo sono importanti. Nei supermercati la musica è lenta perché dobbiamo muoverci più lentamente per comprare di più, mentre nei fast-food e ristoranti è più veloce allo scopo di accelerare il ritmo della masticazione, in questo modo ci spingono ad andarcene prima per servire più clienti.

I carrelli della spesa
Nel 60% dei carrelli si trovano batteri coliformi, gli stessi dei bagni pubblici. Uno studio ha trovato più batteri di tutte le altre superfici analizzate, inclusi water e poggiatesta dei treni.
Il carrello è stato inventato nel 1938, con l’unico intento di stimolare gli acquisti, e nel corso degli anni le dimensioni sono aumentate permettendo di contenere più prodotti.
Oggi si trovano carrelli di dimensione ridotta dedicati ai bambini, e in questa maniera da una parte vengono abituati e indottrinati fin da piccoli a usarlo, dall’altra possono riempirlo con i prodotti posizionati alla loro altezza.

Esposizioni
Le industrie pagano per posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente dalle persone: un metro e mezzo da terra, a destra e a fine corsia.
Posizionano a fine corsia, dove c’è anche più spazio, prodotti ad alto profitto, come le cioccolate e che ispirano acquisti compulsivi.
Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelle esposizioni di fine corsia, rispetto quelli a metà corridoio, perché si pensa che “il vero affare è alla fine”.

Attenzione agli amici
Paradossalmente il persuasore occulto più potente sono proprio gli amici. Il marketing e le aziende non possono nulla in confronto all’influenza esercitata da un consumatore sull’altro. Nulla è più persuasivo quanto osservare una persona che conosciamo e rispettiamo intenta a usare un prodotto.
Quando un brand ci è raccomandato da un’altra persona, nel nostro cervello le aree razionali e procedurali si disattivano. Tali meccanismi spiegano come mai la pubblicità basata sul passaparola ci resta in testa per settimane, mentre non ricordiamo gli spot televisivi visti alla mattina.

Conclusione
Aveva ragione Edward L. Bernay, padre della Propaganda, quando scrisse nel 1928 che “gli uomini raramente sono consapevoli delle vere ragioni che stanno alla base delle loro azioni”.
Questo articolo è incompleto perché il materiale su tali argomenti è faraonico, ma dopo questa lettura forse saremo un po’ più consapevoli del piano diabolico del neuromarketing.
La consapevolezza, assieme a un percorso di crescita evolutivo-spirituale, rimangono gli strumenti più potenti per difendersi dalla persuasione….e non solo.
Partendo da hic et nunc, qui e ora, è molto importante essere presenti il più possibile nella nostra vita. La tv, in quanto strumento prìncipe della manipolazione, meno la guardiamo e meglio è per tutti, soprattutto per i bambini. Infine, evitare di fare la spesa durante gli orari di pranzo e cena, perché lo stimolo della fame incentiva acquisti compulsivi, non usare il carrello e portarsi sempre la lista della spesa.
Questi consigli sono banalità o possono far tremare i polsi alle multinazionali? Lo sapremo solo se li metteremo in pratica…

Tratto da:

- "Neuroschiavi: tecniche e psicopatologia della manipolazione politica, economica e religiosa", Marco Della Luna e Paolo Ciono, ed. Macro
- "Le bugie del neuromarketing: come le aziende orientano i nostri consumi", Martin Lindstrom, ed. Hoepli
- "Neuromarketing",Martin Lindstrom, ed. Apogeo
- "Il libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere", ed. Tascabili Newton
- "Propaganda: dalla manipolazione dell'opinione pubblica in democrazia", Edward Louis Bernays, ed. Fausto Lupetti
- "I persuasori occulti", Vance Packard, ed. Einaudi


Marcello Pamio

Che Big Pharma domini la ricerca medica globale è forse inevitabile, dato i 70 miliardi di dollari che ha da spendere ogni anno per trovare nuovi prodotti.
Per influenzare medici e pubblico poi le società dispongono di somme ancora maggiori.
In base al quadro proposto dalla dottoressa Marcia Angell sulla spesa complessiva delle industrie farmaceutiche la cifra destinata a marketing e amministrazione si aggira intorno ai 155 miliardi di dollari l’anno.
Si tratta in realtà di somme teoriche perché le case farmaceutiche custodiscono gelosamente i dettagli delle loro spese e la linea di demarcazione tra ricerca e marketing è a dir poco flessibile. Gli studi clinici volti a monitorare la sicurezza dei farmaci già sul mercato, sono di norma finanziati con i fondi per la Ricerca e Sviluppo (R&D). Ma si sa che fungono anche da veicoli di marketing, poiché servono a presentare i farmaci ai medici il prima possibile nel corso della loro vita limitata.
Il fatto stesso che questi prodotti si differenziano solo in base alla ricerca implica che le due funzioni siano necessariamente collegate. Anzi, in certa misura, la ricerca è marketing.
Gli studi clinici vengono condotti in preparazione al momento in cui il farmaco viene lanciato sul mercato. Questi studi sono progettati senza perdere di vista gli obiettivi di marketing perché la cosa più importante è che il prodotto goda di un sostegno forte dal punto di vista clinico.
Gli studi post-marketing, condotti dopo il lancio, passano a consolidare la piattaforma di marketing su cui si baserà ogni mossa per la conquista di una fetta del mercato.

La prima cosa che deve fare una casa farmaceutica è creare una tesi a favore dei suoi prodotti, il che significa progettare gli studi sia prima dopo l’approvazione per presentarli nella migliore luce possibile. Da direttore del «British Medical Journal» il dottor Richard Smith evidenziò alcuni degli espedienti più diffusi dalle case farmaceutiche:

Evitare di testare il farmaco contro un altro farmaco perché potrebbe non reggere il confronto;

Testarlo contro un piccolo gruppo di concorrenti per far vedere che non è da meno;

Fare il confronto con una dose troppo bassa o troppo alta di un’altra terapia in modo tale che questo risulti meno efficace o dia luogo ad effetti collaterali;

Riferire i risultati degli studi solo quando fanno fare bella figura. Pubblicare i risultati utili a sei mesi ma sotterrare quelli poco brillanti a 12 mesi.

Condurre gli studi in vari paesi, pubblicando i risultati separatamente per dare l’idea che il farmaco sia sostenuto da un gran numero di studi;

Continuare a ripubblicare gli studi positivi, gli altri studi si possono seppellire in una rivista sconosciuta;

Comunicare alle riviste che si acquisteranno ristampe per un milione di sterline nel caso in cui recensiscono il prodotto in modo favorevole…

 

E questo è solo l’inizio del procedimento.
Una volta in possesso dei dati clinici auspicati, bisogna spargere la voce. Il direttore di «The Lancet», dottor Richard Horton definisce queste pratiche riciclaggio di informazioni sporche.
Ecco come funziona.

Una società farmaceutica patrocina un convegno scientifico. Alcuni relatori sono invitati a parlare di un prodotto in cambio di un profumato ingaggio (di solito diverse migliaia di sterline).

Vengono scelti in base alle loro già note opinioni su un farmaco, oppure si sa che tendono ad accontentare le esigenze della società che li paga.

Si svolge il convegno e il relatore presenta il discorso. Una società di comunicazione specializzata registra la conferenza e la converte in un articolo per la pubblicazione, di solito nell’ambito di una raccolta di paper scaturiti dal simposio. Questa raccolta viene poi offerta una casa editrice specializzata per una cifra che può raggiungere le centinaia di migliaia di sterline.

La casa editrice cerca infine una rivista autorevole per pubblicarvi i paper basati sul simposio, in genere come supplemento alla rivista.

Il punto fondamentale è che, su un mucchio di giornali che si atteggiano a riviste scientifiche manca del tutto la revisione paritaria. Quel procedimento per cui altri scienziati competenti nel campo assicurano che il lavoro scientifico sia il più possibile immune da pregiudizi e distorsioni è, in altre parole inesistente.

Il processo di pubblicazione è stato ridotto a un’operazione di marketing travestita da scienza legittima - afferma Horton. Le società farmaceutiche hanno trovato il modo di eludere le norme di controllo della revisione paritaria. In troppi casi riescono a seminare letteratura settoriale di lavori scientifici di bassa qualità che possono poi usare per promuovere i loro prodotti presso i medici.
Le case farmaceutiche ci stanno imbrogliando – dichiara Smith. Ci arrivano articoli con su i nomi dei medici spesso scopriamo che alcuni di loro sanno poco o niente di quanto hanno scritto. Quando ce ne accorgiamo respingiamo il documento, ma è molto difficile. In un certo senso l’abbiamo voluto noi insistendo e ottenendo che si debba rendere esplicito ogni coinvolgimento di società farmaceutiche. Non hanno fatto altro che trovare il modo di aggirare l’ostacolo e agire di nascosto.

Pratiche simili sono ampiamente dimostrate. Si stima che quasi la metà di tutti gli articoli pubblicati sulle riviste siano stati scritti da ghostwriter.
Questa scienza passa a ogni livello di divulgazione, interpretata in ciascuna circostanza da persone che non hanno alcun incentivo a mettere in discussione la scoperta delle case farmaceutiche. D’altronde è con i soldi di queste ultime che a tutti gli effetti si pagano gli stipendi di chi scrive per i professionisti del settore, perché comprano gli spazi pubblicitari su cui si leggono tutte le pubblicazioni, sia online sia su carta. L’informazione sugli studi clinici e sui convegni scientifici è influenzata in ogni angolo dall’idea generale che è meglio non sputare nel piatto in cui si mangia.
Tutto ciò che è sconveniente per questi importanti committenti è relegato a uno spazio limitato perché è così che il Sistema funziona. Per i marketing team delle case farmaceutiche, i giornalisti svolgono un ruolo cruciale. Come per i medici, a nessuno si chiede di agire in modo immorale; solo di accettare ingaggi di gran lunga superiori a qualsiasi altra offerta immaginabile.
Un bravo giornalista scientifico che conosce anche bene il settore può guadagnare migliaia di euro dollari o sterline a progetto, anziché centinaia. Sono soldi facili e in genere molto ambiti. Oltretutto si tratta di un lavoro semplificato, perché i giornalisti ricevono già pronte le informazioni, il taglio da dare al pezzo e, se destinato al grande pubblico, i case study da presentare e i medici da intervistare. Spesso già tutto organizzato, trasporti e appuntamenti. Il giornalista non fa altro che mettere insieme il tutto…

Testimonial e influencer in busta paga…
L’impiego di personaggi famosi come testimonial dei farmaci è un valido esempio di come le regole siano distorte per adeguarsi alle norme sociali, perché è una pratica su cui è quasi impossibile vigilare.
Milioni di telespettatori avevano visto ad esempio l’attrice Kathleen Turner sulla CNN e sulla Abc parlare della sua artrite reumatoide e consigliare un sito web di informazione sull’argomento. Quello che non potevano sapere era che sia lei, sia il sito web erano stati finanziati dalla Immunex, società produttrice del farmaco contro l’artrite Enbrel.
E quando Lauren Bacall raccontò di un’amica che era diventata cieca in seguito alla degenerazione maculare e aveva trovato benefici da Visudyne, pensò bene di non specificare che la Novartis, casa produttrice del farmaco, le aveva pagato un compenso.
L’entità di questi compensi è segreta, ma si pensa che in gioco ci siano milioni.
Quando Pelè, in una serie di interviste concesse in Gran Bretagna, suggerì agli uomini di parlare alle compagne dei propri problemi sessuali, nessuno fece cenno al contratto che il calciatore aveva firmato con la Pfizer.
Pare che Kirk Douglas, Pierce Brosnan e di Angela Bassett prendono tutti il Pravachol, la statina della Bristol Meyer Squibb.
La Wyeth ha scelto la cantante Patti LaBelle per promuove la terapia ormonale sostitutiva Prempro e ingaggiato Debbie Reynolds e Rita Moreno, stelle dei musical, per spingere le donne a fare l’esame densitometrico.
Sia l’ex candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Bob Dole che il calciatore Pelè hanno invece pubblicizzato il Viagra della Pfizer.
All’epoca la Merck spese più di 150 milioni di dollari l’anno per promuovere il Vioxx, più di quanto era stato speso per pubblicizzare marchi molto noti quali la Pepsi-Cola e la Budweizer, anche in questo caso solo negli USA.

Oggi quanti medici o esperti vari, che ubiquitariamente occupano i canali televisivi e i giornali di Regime, che osannano farmaci e vaccini sono nella busta paga delle lobbies farmaceutiche?
Quanti borioni e sborioni di turno, che accattano a siringa spianata i genitori che giustamente mettono in discussione una pratica medica rischiosissima e massificata come quella vaccinale, ricevono ogni anno finanziamenti dalle industrie produttrici?

Tratto da «Big Pharma: come l’industria farmaceutica controlla la nostra salute», di Jacky Law