|
Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
- Pagina
alimentazione
- Pagina Ogm
- Libro sulla Celiachia
Claudia
Benatti – tratto da AAM
Terranuova n.193
E’ mai possibile che la diffusione pressoché «epidemica» della cellachia, cioè dell'assoluta intolleranza al glutine che può innescare anche gravi patologie conseguenti, possa essere dovuta ad una modificazione genetica approntata sul frumento? Questa ipotesi non è nuova e su di essa si sono spesso avventati, smentendola con ferocia, i sostenitori delle biotecnologie e dei cibi Ogm. Ma ora, grazie all'intuizione di uno scienziato di esperienza pluridecennale in campo medico, pare possa arricchirsi di ulteriori dettagli, chiarendosi all'opinione pubblica.
Un frumento nanizzato
Il professor Luciano Pecchiai, storico fondatore dell'Eubiotica
in Italia e attuale primario ematologo emerito all'ospedale Buzzi di
Milano, ha avanzato una spiegazione di questa possibile correlazione
causa-effetto su cui occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed
epidemiologiche accurate. «E’
ben noto che il frumento del passato era ad alto fusto - spiega
Pecchial - cosicchè facilmente
allettava, cioè si piegava verso terra all'azione del vento e della
pioggia. Per ovviare a questo inconveniente, in questi ultimi decenni il
frumento è stato quindi per così dire “nanizzato” attraverso una
modificazione genetica».
Appare fondata l'ipotesi che la modifica genetica di questo
frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in
particolare di una frazione di questa, la gliadina, proteina basica
dalla quale per digestione peptica-triptica si ottiene una sostanza
chiamata frazione III di Frazer, alla quale è dovuta l'enteropatia
infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico della celiachia.
«E’ evidente - ammette lo
stesso Pecchiai - la necessità di
dimostrare scientificamente una differenza della composizione
aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente
modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse
dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento
prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine».
E non è da escludere che sia proprio questo uno degli scogli più
difficili da superare.
400.000 malati in
Italia
La riconversione della produzione, una volta che questa sia
entrata a regime e abbia prodotto i risultati economici sperati, diviene
impresa assai ardua e incontrerebbe senza dubbio molte resistenze. Di
qui la probabile mancanza di interesse ad approfondire una simile
ipotesi per trovarne l'eventuale fondamento.
D'altra parte, nessuno ancora ha trovato una spiegazione al fatto che
l'incidenza della celiachia è aumentata in maniera esponenziale negli
ultimi anni e l'allarme non accenna a rientrare. «Mentre qualche decennio fa l'incidenza della malattia era di 1 caso ogni
mille o duemila persone, oggi siamo giunti a dover stimare 1 caso ogni
100 o 150 persone», spiega Adriano Pucci, presidente
dell'Associazione Italiana Celiachia. «Siamo
dunque nell'ordine, in Italia, di circa 400 mila malati, di cui però
soltanto 55 mila hanno ricevuto una diagnosi certa e seguono una dieta
che può salvare loro la vita».
In molti sostengono che l'aumento dei casi di celiachia sia
una conseguenza del miglioramento delle tecniche diagnostiche, ma la
spiegazione non convince, appare eccessivamente semplicistica e
riduttiva. Fatto sta che, anziché cercare spiegazioni sulle cause, cosa
che permetterebbe di provvedere poi alla loro rimozione, la ricerca oggi
percorre direzioni opposte, ipotizzando e sperimentando ulteriori
modificazioni genetiche del frumento stesso per «deglutinare», cioè
privare del glutine, ciò che ne è provvisto o «immettere» nel
frumento caratteristiche proprie di cereali naturalmente privi di
glutine.
Il mistero dei Creso
A proposito torna alla mente una questione dibattuta
qualche anno fa alla quale non è mai stata fornita risposta e che
rimane a tutt'oggi un problema apertissimo e attuale: il cosiddetto
grano Creso. Nel 1974, all'insaputa dei più, viene iscritto nel
Registro varietale del grano duro il Creso. Nove anni dopo, la
superficie coltivata a Creso in Italia era passata da pochi ettari a
oltre il 20% del totale, con 15 milioni di quintali l'anno per un
valore, di allora, di circa 600 miliardi di vecchie lire.
Da una pubblicazione del 1984 si ricavò poi che quel grano era stato «inventato»
e sviluppato presso il centro di studi nucleari della Casaccia (1). Nel
lavoro, come ricordò nel 2000 anche il fisico Tullio Regge su Le
Scienze, si sottolineava l'efficacia della mutagenesi e
l'introduzione di nuovo germoplasma e di ibridazioni interspecifiche.
In sostanza, il Creso era il risultato dell'incrocio tra
una linea messicana di Cymmit e una linea mutante ottenuta trattando una
varietà con raggi X. Per altre varietà in commercio erano stati
utilizzati neutroni termici. In che misura, per esempio, il consumo
continuativo di questo frumento può avere influenzato l'organismo di
chi lo ha ingerito? Non si sa, né pare che alcuno voglia scoprirlo. Lo
stesso Regge si limitò ad affermare che comunque «lo
hanno mangiato tutti con grande gusto».
E se la celiachia fosse il risultato di decenni di ripetuti e differenti
interventi sulle varietà di grano che sta alla base della maggior parte
del cibo che mangiamo? Chissà se a qualcuno, prima o poi, verrà voglia
di capirlo.
Claudia Benatti
Note
«Il miglioramento genetico dei
frumento duro: bilancio di un ventennio di attività» su
L’informatore Agrario, Verona 40, n. 29, 1984, di Bozzini, Mosconi,
Rossi, Scarascia-Mugnozza.