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della crescita bovina
Storia
della Monsanto
Tratto
dal libro: «Transgenico NO», Malatempora
La chiamano la
Microsoft del transgenico, del biotec, ma lei non dovrebbe essere divisa
in due o tre, dovrebbe essere spazzata via, messa in condizione di non
fare danni spaventosi, come ha fatto, sta facendo e farà, se non sarà
fermata.
La
storia. Nasce nel 1901 a East St. Louis, nell’Illinois, come
produttrice di saccarina. Nella grande crisi del ’29 mentre milioni di
americani senza lavoro non riescono a mangiare, lei si mangia una ditta
che ha giusto messo a punto un nuovo composto, i policlorobifenili,
detti PBC. Sono inerti, resistenti al calore, utili all’industria
elettrica allora in grande espansione e come liquidi di refrigeranti nei
trasformatori.
La Monsanto fa i soldi, ma già negli anni Trenta viene fuori che il PCB
è un composto chimico tossico, ma l’elettrico è troppo importante, e
la Monsanto va avanti pressoché indisturbata.
Negli anni Quaranta si occupa di diossine e comincia a fabbricare
l’erbicida noto come 245T, il nome gli deriva dal numero di atomi di
cloro del famigerato composto. Così efficace che già negli anni
Sessanta le grandi praterie americane, così infestate, diventano «silenti»
ed uscirà un libro famosissimo a denunciare «the silent spring», la
primavera silenziosa, senza uccelli, che darà il via alle prime
campagne ecologiche americane.
L’erbicida è così potente che l’esercito americano lo usa come
defoliante nella sua guerra in Vietnam, dove concepisce l’idea
demenziale che distruggendo tutte le foglie degli alberi del Nord e
Centro Vietnam riuscirà a scovare i Vietcong. Che invece arriveranno
fino a Saigon, e faranno scappare l’ambasciatore americano dal tetto
dell’ambasciata, con la bandiera a stelle e strisce arrotolata, sotto
il braccio, mentre si alza su un elicottero che lo riporterà via, per
sempre. Ma questa è un’altra storia.
La Monsanto, durante tutta quella sciagurata guerra, la prima che gli
Americani perdono nella loro storia, ha venduto all’esercito il
tristemente famoso «agente orange», un misto di 245T della Monsanto e
del 24D della sua rivale Dow Chemical, sua alleata per la patriottica
distruzione delle foreste del Vietnam. Scienziati ed opinione pubblica,
oltre alle diserzioni in massa dei giovani americani fanno sospendere,
nel 1971, lo spargimento dell’agente orange, di cui si conoscono gli
effetti delle diossine sull’ambiente.
Ed è cancerogeno, ha provocato danni immunitari e alla riproduzione che
non hanno finito di fare male ai vietnamiti. Come si vede, la Monsanto
viene da lontano davvero. Ma questo è ancora poco. Negli anni Ottanta
scopre il glifosato, sostanza base per molti erbicidi, e soprattutto del
tristemente famoso Roundup. Il Roundup è un pesticida potente, e
conveniente, che dà alla Monsanto profitti del 20% annui, proiettandola
ai vertici. Però ha un difetto: fa male agli umani. I disordini
provocati dal glifosato sono noti e documentati, ma le lobbies
pro-pesticidi sono ormai potentissime, inarrestabili.
Il solo piccolo neo di questi tempi, mentre leggete, gli scade la
patente del Roundup, insomma, la fine della pacchia. Ma ormai la
Monsanto, da grande multinazionale qual è, sa guardare lontano. Nel
1997 scorpora chimica e fibre sintetiche e le mette in una società di
nome Solutia e spende miliardi (di dollari) che le vengono dai profitti
del Roundup nel campo biotech, che, insieme a quello del software, sta
diventando il darling di Wall Street. Capisce alla svelta che quello
sono le due grandi strade del futuro: informatica e biotecnologie. La
Monsanto viene fuori con la grande pensata.
La grande pensata è questa: fabbrichiamo una specie di semente
resistente al glifosato, così possiamo vendere le sementi
super-resistenti, che si chiameranno Roundup ready, insieme al Roundup
stesso. Così possiamo continuare a prendere due piccioni con una fava:
vendere le sementi, e ancor più pesticida Roundup, un pacchetto doppio
che abbiamo solo noi.
Splendido, no?
Così, dal 1997 la Monsanto comincia a vendere soia, mais e colza
transgenici, cioè con un gene che, dice lei, li fa resistenti al
Roundup. Ci prova anche con il cotone, ma gli va male. Però soia, mais
e colza vanno bene, e arriveranno, per vie traverse e spesso complicate,
sulle tavole di tutto il mondo, ormai abituate a prodotti con dentro di
tutto.
Basta che siano colorati, pubblicizzati e venduti nei supermercati come
prodotti nuovi, con i nomi degli ingredienti così piccoli che non li
legge neanche un notaio di Catania.
E non è finita. Nel 1998 una delle nuove aziende Biotech, la Delta e
Pine Land, si è inventata e brevettata una tecnica di nome «sistema di
protezione della tecnologia» che è una modifica genetica alla pianta,
a molte piante, che le fa sterili. Come ogni persona di buon senso può
capire, è peggio della bomba atomica.
Possono sterilizzare una pianta, e quindi, se ti costringono a usare i
loro semi, te li possono rivendere anno dopo anno: sei nelle loro mani
peggio di quanto il contadino servo della gleba del medioevo era nelle
mani del suo signore feudale.
Il brevetto prende il nome di Terminator. La Monsanto, dopo due mesi dal
brevetto, si compra la Delta & Pine Land, con l’evidente scopo di
vendere le sementi transgeniche, che vengono chiamate «suicide» ai
mercati dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. (…)
… Ma la verità, si sa, alla fine viene fuori, e le bugie hanno le
gambe corte. Un giornale tra i pochissimi, The Ecologist, inglese, fa un
numero speciale sul transgenico, e fa i nomi della gente delle lobbies
che hanno fatto passare le leggi sui brevetti. Sono spesso quelli che
poco prima erano nel biotech: era così e lo è ancora nel farmaceutico
come negli armamenti, la chiamano la «revolving door». Entrano nelle
multinazionali e escono dalle lobbies o dalle burocrazie ministeriali
che decidono, e viceversa, da sempre.
La Monsanto e quelli del biotech premono sulla distribuzione del
giornale, e lo fanno saltare. Ma alla fine esce, in inglese, in francese
e in spagnolo e com’è come non è, in pochi mesi l’Europa si
allerta ai transgenici, e al Terminator, suo aspetto più
orrificante, e non vuole ne soia ne altro di quel genere. (…)
La Monsanto si fonde con Pharmacia Upjohn, che fa un marchio separato
per il transgenico agricolo, Che vogliono spacciare, spacciare è il
termine giusto, anche in Italia, nel nome della fame del mondo, e dei
prodotti che contengono la vitamina qui, e l’antibiotico là.
Con la connivenza, ovviamente, dei giornali e TV, insomma del mediatico
tutto, che bisogna vi abituate a considerare per quello che è: la longa
manus dei peggiori profittatori. Se poi ci siete chiesti cosa c’era di
così terribile nel numero di The Economist, la risposta è: tutto.
Dalla storia che ormai ha fatto il giro del mondo, denunciata in prima
battuta da «Pure food» gruppo di ONG che hanno tirato fuori la
sempreverde combine della revolving door, della porta girevole che
funziona da sempre per le industrie belliche, i ricercatori e gli uomini
chiave passano dall’industria alle organizzazioni statali che queste
controllano.
Cioè controllori e controllati sono sempre le stesse persone, che da
quella porta girevole passano, ogni due o tre anni. Nel nostro caso, è
una ricercatrice della Monsanto, chiamata dalla FDA a controllare le sue
stesse ricerche. Lo stesso per una certa Ann Foster, passata da
direttrice dello Scottish Consumer Council alla Monsanto, ed ancora
membro di diverse commissioni di consulenza britanniche, tra cui quella
degli aspetti medici degli alimenti. Evviva!
Le guardie fanno i ladri, e poi ancora le guardie! Ma non crediate che
la Monsanto si fermi davanti a queste quisquilie.
Nel gennaio 1997 la procura di New York ha costretto la Monsanto a
ritirare annunci pubblicitari che sostenevano che il suo diserbante,
l’ormai famigerato Roundup, è biodegradabile e non nuoce
all’ambiente, perché menzogneri.
Secondo la facoltà di Igiene della Università di California, il
glifosato occupa il terzo posto nelle cause di malattie legate ai
pesticidi contratte dai lavoratori. Ma la Monsanto, come le grandi
multinazionali, può tranquillamente perdere una battaglia, dieci
battaglie, perché alla fine vince, grazie ai suoi avvocati, e alle
lobbies, le guerre. Anzi è
così forte che riesce ad imporre quel che vuole agli organismi mondiali
come il WTO.
Progresso che passerebbe per la vittoria totale dei commerci senza
barriere. Ma i ricchi non comprano il cibo dei poveri, per cominciare,
così, noi europei tutti, dobbiamo accettare le importazioni di carne e
latte che provengono dagli USA, da bestiame trattato con Prosilac, l’ormone
prodotto dalla Monsanto, che fa crescere gli animali, e i
profitti, con i risultati che sappiamo.
E sulle carni ormonate, della Monsanto, la guerra tra USA, che li ormoni
ce li mettono, e l’Europa, che non ci sta, è diventata una guerra
commerciale a tutti gli effetti.
Dal 1997 la Monsanto si è scissa in due. La cosiddetta MS si dedica
esclusivamente alle biotecnologie e alla produzione di cibo, per gli
animali e per gli uomini, entrambi geneticamente modificati, oltre alla
fabbricazione di diserbanti e fertilizzanti.