|
Non
c’è peccato originale ma solo malattia
Dal
libro: «Il fanciullo difficile» di Alexander S. Neill, 1927
Quando osserviamo un bambino ci rendiamo conto che non c’è in lui cattiveria più di quanto ce ne sia in un cavolo o in una piccola tigre. Il bambino reca con sé una forza vitale. La sua volontà, cioè a dire il suo inconscio impulso, è di vivere. La sua forza vitale lo stimola a mangiare, a esplorare il suo corpo, a soddisfare i suoi desideri. E’ come se obbedisse alla volontà di Dio. Ma per l’adulto codesta volontà di Dio che è nel bambino rappresenta la volontà del diavolo. Per questo avviene che tutti i genitori incominciano ad insegnare al bambino come vivere. E il bambino cresce presto contro tutto un sistema di proibizioni: questo è cattivo; codesto è buono; fare così e così è da egoisti. Cosicché la voce originale di Dio trova di contro la voce dell’istruzione. La Chiesa definirebbe la prima voce, voce del diavolo, e quella dell’insegnamento morale voce di Dio. Per me sono convinto che i termini dovrebbero essere capovolti, e credo che sia proprio l’insegnamento morale a rendere cattivo il fanciullo. Scopro difatti che tutte le volte che riesco a smantellare l’educazione morale che un cattivo ragazzo ha ricevuto, questi diventa automaticamente buono.
Ci può essere, per
quanto io ne dubiti, qualche giustificazione per ciò che concerne
l’educazione morale degli adulti. Ma non c’è alcun buon argomento
che giustifichi l’educazione morale dei fanciulli. Essa è
psicologicamente un errore. E’ un errore chiedere a un bambino di non
essere egoista. Ogni bambino è un egoista. Il mondo gli appartiene; la
sua capacità di desiderare è forte; egli ha solo da desiderare ed è
di fatto il re della terra. Quando possiede una mela il suo unico
desiderio è di mangiarsela. E il risultato principale che ottiene la
madre quando lo incoraggia a dividerla coi fratellini è quello di
fargli odiare i fratellini. L’altruismo viene in seguito e viene come
cosa naturale se al bambino non si è insegnato a non essere egoista; ma
con ogni probabilità non verrà mai quando al bambino si sia insegnato
a non essere egoista. L’altruismo è l’egoismo stesso avanzato di
grado. L’altruista è semplicemente colui che ama compiacere gli altri
al tempo stesso che soddisfa al proprio egoismo.
Reprimendo l’egoismo al bambino la madre fissa codesto egoismo. Un
desiderio che resti insoddisfatto continua a vivere nell’inconscio. Il
bambino al quale si insegna a non essere egoista rimarrà egoista per
tutta la vita. L’insegnamento morale frustra così il proprio scopo.
Lo stesso avviene
nel campo sessuale. Le proibizioni morali del periodo della fanciullezza
fissano l’interesse infantile nel sesso. I poveri individui che di
continuo vengono arrestati per atti sessuali infantili – come quello
di mostrare cartoline oscene alle scolarette, o di compiere atti di
esibizionismo – sono uomini che hanno avuto madri moraliste. L’atto
o l’interesse tutt’affatto innocente della fanciullezza veniva
stigmatizzato come un peccato detestabile. Il bambino reprime così il
desiderio infantile il quale però continua a vivere nell’inconscio e
si manifesta in seguito nella sua forma originale o più spesso in una
forma simbolica. Così la signora che ruba borsette da Selfridges
(emporio londinese) compie solo una atto simbolico che ha la sua origine
in una repressione dovuta all’insegnamento morale durante la
fanciullezza.
Tutta questa povera gente è gente infelice. Non è della natura umana
essere antisociale. Lo stesso egoismo basta da solo a rendere sociale la
gente normale. Rubare significa andare incontro alla disapprovazione del
proprio gruppo e l’istinto di gruppo è un istinto forte. Pochissimi
uomini e pochissime donne ardiscono vestirsi diversamente da quella che
è la moda. Avere l’approvazione dei nostri vicini è un fattore
naturale nella vita umana. E solo un fattore più forte può renderci
antisociali.
Qual è questo
fattore più forte? E’ il desiderio di essere fedeli a se stessi.
Allorché il conflitto fra i due io – l’io che Dio ha creato e
l’io che l’educazione morale ha modellato – diviene troppo aspro,
l’egoismo ritorna allo stadio infantile. L’opinione della gente
viene a occupare un posto secondario.
(…)
Nella vita umana c’è una continua urgenza alla perfezione. Le parole
di Coue: «Io divengo ogni giorno migliore» esprimono codesto
universale desiderio. Se il desiderio di porzione si limitasse a
desideri concreti – come quello di farsi artigiano più bravo o di
cantare meglio o di sapere di più – sarebbe davvero un’esigenza
ammirevole. Disgraziatamente codesto desiderio universale è incline a
limitarsi a ciò che concerne il comportamento. Inoltre esso è soggetto
a proiettarsi, e negli adulti noi troviamo codesto desiderio di
perfezione trasformato nel desiderio di rendere migliori gli altri.
Tutti i predicatori e i maestri si sforzano di rendere perfetti gli
altri, ma il motivo risposto è nel loro io. Essi, cioè, non fanno
altro che proiettare quel desiderio; sentono di essere internamente dei
miserabili peccatori, ma sono incapaci di affrontare codesta amara verità
sul proprio conto e credono in buona fede che il peccatore da ricondurre
al pentimento sia il vicino di casa.
I moralisti e i rigoristi della disciplina sono uomini che si rendono
oscuramente conto delle proprie imperfezioni.
La madre che
punisce il figlio per una piccola abitudine sessuale è sempre la donna
la cui disposizione al sesso è di quelle basse. Il profittatore che
siede al banco dei magistrati è in buona fede pieno di sdegno contro
l’accusato che ha rubato una borsa. E’ perché non abbiamo il
coraggio di affrontare la nostra anima a nudo che noi siamo moralisti.
Cristo poteva unirsi con pubblicani e peccatori perché sapeva di non
essere né migliore né peggiore di loro.
Il nostro guidare i fanciulli è soggettivamente un guidare noi stessi.
Inconsciamente noi ci identifichiamo con i fanciulli e il fanciullo che
più disapproviamo è sempre quello che è più simile a noi stessi. Noi
odiamo negli altri ciò che odiamo in noi stessi. E poiché ciascuno di
noi è un odiatore di se stesso i ragazzi ne subiscono le conseguenze in
schiaffi e botte, proibizioni e prediche morali.
Perché odiamo noi stessi? E’ un circolo vizioso. I nostri genitori
hanno cercato di migliorare quella natura che Dio ci ha dato. Ci
troviamo, così, ad essere sempre in conflitto fra i nostri istinti e la
nostra educazione, cioè a dire fra Dio e la coscienza.
E codesto conflitto lo trasmettiamo alla nuova generazione.
(…)