- Pagina TAV
Diario
dell’11 giugno 2004
L'inchiesta
vecchio stile
Tutto
quello che avreste voluto sapere sulla più grande mina vagante per i
conti pubblici del Paese...
di Alberico
Giostra
Assorbiti dalle disavventure finanziarie della Fiat prima,
di Cirio, Parmalat e Alitalia poi, ci siamo dimenticati della più
grande mina vagante dei conti pubblici del nostro Paese:
il treno ad alta velocità. Terminati i lavori costerà circa 80
miliardi di euro e la collettività ne pagherà i
debiti fino al 2040, al ritmo di 2 miliardi e 300 milioni di euro
l’anno. Nato da una costola della madre di tutte le tangenti, lo
scandalo Enimont, tra interessate distrazioni e complicità, è
sopravvissuto alla crisi del
1992, a
Mani pulite e alla più massiccia ondata di privatizzazioni d’Europa.
E infine a se stesso, ovvero alla caduta della bugia che lo ha sorretto
dall’inizio: che si trattasse di un’opera finanziata al 60 per cento
dai privati. Ormai nemmeno alla Tav negano che l’opera sarà tutta a
carico dello Stato, ovvero di Infrastrutture spa, mentre le maggiori
imprese di costruzione del Paese lucreranno per molti anni ancora
vantaggi economici ingiustificabili.
Secondo i
giudici perugini è
la Tangentopoli
2, ma quali siano i corrotti e i corruttori è ancora da chiarire. Il
maxiprocesso di Perugia, che raccoglie indagini iniziate a
La Spezia
nel 1996 e che dovrà rispondere a questa domanda, procede assai
lentamente.
Acqua.
I lavori della tratta Firenze-Bologna, che prevedono l’apertura di una
galleria di
73 km
con relative gallerie di servizio, hanno finora provocato la perdita di
73 milioni di metri cubi di acqua di falda (settembre 2003). Attualmente
le perdite ammontano a
700 litri
di acqua al secondo.
La Procura
di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio di 63 persone per aver
danneggiato 24 corsi d’acqua con scarichi di sostanze tossiche e per
averne depauperato o essiccato il corso in modo anche irreversibile. Di
questi 63, 16 sono tecnici del Consorzio Cavet, titolare dei lavori
della tratta e composto dalle aziende Impregilo, Fiat Engineering,
Consorzio ravennate di Produzione e lavoro e Cooperativa muratori e
cementisti. Secondo
la Procura
i responsabili dei lavori non hanno fatto approfonditi studi
idrogeologici, hanno omesso di sospendere i lavori una volta avvertita
la gravità dei problemi e non hanno monitorato i corsi d’acqua
inviando alle autorità le risultanze. Notevoli preoccupazioni sorgono
ora in relazione all’attraversamento sotterraneo delle città di
Firenze e Bologna.
Amato Giuliano.
La sua Finanziaria del 1993 elargì 9 mila miliardi di lire alla Tav.
Per evitare che, trascorso il termine del 31 dicembre 1992, si facessero
gare internazionali (V.) tre suoi ministri – Barucci, Reviglio e
Tesini – si riunirono d’urgenza il 29 dicembre, attribuendo senza
gare tutti i lavori. Il ministro del Bilancio Reviglio puntò
i piedi ottenendo almeno una gara per
la Milano-Torino
, l’unica non ancora appaltata. Per
la Fiat
significava rischiare di perdere 3 mila miliardi. Il 2.2.93 Gianni
Agnelli chiamò al telefono Amato. Parlarono 20 minuti. Amato resistette
alle richieste di Agnelli. Ma il governo Amato cadde e quella gara non
si fece mai.
Amato diventò poi presidente dell’Antitrust e, chiamato
a giudicare l’architettura societaria della Tav, il 10 gennaio 1996 si
liberò della questione con due righe di testo: l’indagine conoscitiva
sulla Tav è chiusa; è tutto a posto. Nel novembre 2000 il suo Governo
introdusse finalmente le gare europee nelle tratte non ancora appaltate.
Anatomia.
888 km
la lunghezza delle linee veloci;
254 km
già in esercizio e da adeguare (Roma-Firenze);
634 in
realizzazione (To-Mi, Mi-Bo, Bo-Fi, Ro-Na);
143 km
le nuove gallerie di linea; 491 i nuovi viadotti, i ponti, le trincee e
i rilevati;
58 km
le 15 nuove interconnessioni; 7 regioni attraversate; 18 province
attraversate; 150 i comuni attraversati (esclusi quelli sulla
Roma-Firenze);
228 km
le barriere antirumore; 280 di nuove strade al servizio dei cantieri;
1.664 ettari
di interventi a verde.
Aricò Natale.
Controllore della Corte dei conti. Nel 1995, mentre l’organo supremo
della magistratura contabile si stava occupando della Tav, venne
cooptato da Necci ai vertici di Metropolis, la società immobiliare
delle Fs.
Bond-Tav.
Il prestito di 5 miliardi di euro lanciato lo scorso gennaio da
Infrastrutture spa, per il finanziamento dell’Alta velocità.
Camorra,
penetrazione della. È l’ex giudice Ferdinando Imposimato a denunciare
in una relazione per
la Commissione
parlamentare antimafia che la camorra campana aveva messo le mani sui
lavori della tratta Tav Roma-Napoli e su 10 mila miliardi di lire. È il
27 luglio 1995.
Secondo Imposimato la torta sarebbe stata divisa per sei
decimi tra i partiti, tutti meno Rifondazione e Lega, mentre i rimanenti
quattro decimi erano per camorristi, mafiosi, affaristi e faccendieri.
La camorra penetrò attraverso i subappalti avuti da Icla e dalla Società
Condotte dell’Iri, con la fornitura di materiali e il noleggio di
autoveicoli, estorcendo danaro in cambio di tranquillità e
nascondendosi dietro aziende decotte per riciclare danaro sporco. Un
ruolo
importante lo rivestì anche la società Calcestruzzi di
Ravenna caduta in mano alla mafia siciliana. La relazione di Imposimato
non fu mai né discussa né votata dalla Commissione. Le indagini della
Dda napoletana il 18 marzo 2003 hanno prodotto 6 condanne e 14
assoluzioni.
Tra i condannati i boss camorristi Pasquale e Antonio Zagaria, titolari
della Edilmoter, società legata alla Icla. Il 13 giugno 2003 130 uomini
delle forze dell’ordine hanno ispezionato i cantieri Tav della
Roma-Napoli. Sono state identificate 300 persone molte delle quali con
precedenti penali e il sospetto che il clan camorristico dei Moccia
controlli i subappalti sta avendo delle conferme.
Castellucci Giorgio.
Sostituto procuratore della Procura di Roma. Fu il primo magistrato ad
aprire un fascicolo giudiziario sulla Tav in seguito alla denuncia di
Luigi Preti della primavera 1993. Si accordò con Antonio Di Pietro per
dividere l’inchiesta: a Roma quella sulle procedure di costituzione
della Tav, a Milano quella sulle tangenti negli appalti dell’Alta
Velocità.
L’inchiesta di Di Pietro restò nel cassetto dopo la sua
uscita dalla magistratura mentre Castellucci proseguirà con tempi e
modi particolari. Nel dicembre 1993 chiese una proroga alle indagini. Il
gip Augusta Iannini gliela concesse disponendo l’iscrizione sul
registro degli indagati di Ercole Incalza e Emilio Maraini. Castellucci
rifiutò e mantenne il procedimento a carico di ignoti. L’8 luglio
1994 chiese l’archiviazione dell’esposto di Preti, ma il gip Iannini
respinse la richiesta. Il 5 maggio 1995 reiterò la richiesta di
archiviazione ma il 23 dicembre il reggente dei gip, Carlo Sarzana,
dispose un’ulteriore proroga delle indagini. Castellucci si decise a
iscrivere nel registro degli indagati Incalza e Maraini, ma poi tornò
alla carica e il 17 febbraio 1996 chiese una nuova archiviazione. Il 25
marzo Sarzana dispose invece il rinvio a giudizio dei due manager. Sei
mesi dopo Castellucci finì nei guai, accusato di aver percepito soldi
per far archiviare l’inchiesta: è ora sotto processo a Perugia.
Cirino Pomicino Paolo.
L’autore dell’architettura economico-finanziaria della Tav. Dopo
aver coinvolto Fiat, Iri e Eni, 21 banche e le maggiori imprese di
costruzioni, si dovette a lui, allora ministro del Bilancio, la prima
grande bugia, che
la Tav
fosse un affare privato. Così si potè affidare a trattativa privata
l’incarico ai General Contractor (V.), altra invenzione pomiciniana.
Poi ‘O Ministro ricicciò la «concessione di sola
costruzione» e la «concessione di sola progettazione e costruzione»
(V.) utilizzate nella ricostruzione post terremoto in Campania e con cui
Tav affidò i lavori a Fiat, Iri e Eni e questi a loro volta affidarono
gli appalti ai sette consorzi. Secondo le norme europee le concessioni
erano appalti e ci sarebbe voluta una gara, ma non per Pomicino & C.
L’invenzione assoluta il ministro del Bilancio la partorisce quando si
tratta di scegliere il contratto tra Fs e Tav coniando la «concessione
per lo sfruttamento economico» (V. alla voce Tav).
Comitato dei nodi e
aree metropolitane.
Una delle due authority inventate da Necci il 23.1.1992. Ne facevano
parte Susanna Agnelli (in evidente conflitto di interessi essendo
la Fiat General
Contractor Tav) Carlo Maria Guerci, Giuseppe De Rita e Renzo Piano.
L’altra era il Garante dell’Alta Velocità, impersonata da Romano
Prodi per soli tre mesi. Le due trovate di Necci furono contestate dal
collegio dei revisori dei conti Fs per il costo: 9 miliardi di lire.
Concessione di
costruzione e progettazione. È il cuore delle discusse soluzioni contrattuali su cui è cresciuto
l’affare Tav e costituisce un’anomalia tutta italiana, estranea a
ogni normativa e logica di mercato. Viene sperimentata da Cirino
Pomicino (V.) in Campania e codificata dalla legge 80/1987 voluta da
Claudio Signorile, legge poi condannata dalla Corte europea di
Giustizia. Con la giustificazione dell’urgenza ed eccezionalità delle
opere, il concessionario, a differenza di quanto accade nei normali
appalti, gode di funzioni proprie del committente pubblico: direzione
dei lavori, espropri, progettazioni. Tutto meno la gestione dell’opera
che è invece la peculiarità dei contratti di concessione tradizionali
e grazie alla quale l’impresa recupera i soldi spesi per la
costruzione. Insomma si tratta di appalti mascherati: le imprese hanno
poteri pubblici e non sono sottoposte ai controlli ad esempio di un
direttore dei lavori espresso dalla Pubblica amministrazione. Risultato:
qualità scadente e costi altissimi. Questo perché quando un’impresa
deve recuperare con la gestione quello che ha speso nella costruzione ha
tutto l’interesse nel far bene i lavori e nel farli costare il meno
possibile.
Nell’affare alta velocità le concessioni di sola
costruzione e progettazione regolano i rapporti tra
la Tav
spa e i General Contractors (V.) mentre tra le Fs e
la Tav
spa vige una concessione di sola costruzione.
Costi.
Quando il treno ad alta velocità fu presentato, il 7 agosto 1991, il
costo previsto era di 26.180 miliardi di lire. Poi iniziò
l’escalation dei costi. Le tratte (dati Tav) sono passate dai 9.254
milioni di euro del
1991 a
23.241. I nodi ovvero le nuove stazioni da
1.063 a
3.460.
Aumenti oscillanti tra il 300 e il 400 per cento. Ma
secondo l’Istituto Qua.s.co. le cose stanno assai peggio e per le
tratte si prevede una spesa di 41.050 milioni di euro e per i nodi di
7.670.
A questi vanno aggiunti 2.660 milioni per le infrastrutture aeree, 6.390
per il materiale rotabile, 9.450 di costi diretti Fs, Tav, Italferr,
2.300 di opere indotte e 8.690 di interessi intercalari (V.). Totale
78.210 milioni di euro: 151.435.676 miliardi delle vecchie lire. Un
aumento del 525 per cento.
Crisci Giorgio.
Ex presidente del Consiglio di Stato. Era in carica quando il 1 ottobre
1993 il Consiglio di Stato, a proposito di Tav si pronunciò sulle
procedure e i tempi di entrata in vigore delle direttive europee sugli
appalti. Il Consiglio di Stato in seduta plenaria prese per buone tutte
le informazioni fornite da Fs a partire dal falso storico per cui la
maggioranza della Tav era privata. Crisci insieme ad altri membri del
Consiglio era stato collaudatore delle Fs, generosamente remunerato. Nel
1994 Berlusconi lo volle nel collegio dei tre saggi che doveva risolvere
il suo conflitto d’interessi. Nel 1995 venne nominato da Dini
presidente delle Fs spa.
Firenze-Bologna.
La tratta più difficile.
78,5 chilometri
di cui
73,3 in
galleria. Doveva essere terminata nel 2003, non lo sarà prima del 2008.
L’impatto ambientale nella zona del Mugello ovvero Monte Morello, il
Giogo, Sasso di Castro, la conca di Firenzuola, la colla di Casaglia,
Monte Beni, tutti siti di importanza comunitaria, è stato devastante e
con conseguenze idrogeologiche irreversibili (V. Acqua). Gli abitanti,
rimasti senz’acqua, hanno dovuto far ricorso alle autobotti e
lamentano danni anche all’agricoltura e alla zootecnia. A ciò vanno
aggiunti i rischi che corrono le meravigliose tombe etrusche di Sesto
Fiorentino. Il progetto iniziale della tratta risale al 1995, nel 1997
è stato modificato ma
la Valutazione
d’impatto ambientale non è stata rifatta. Non è l’unica
irregolarità tecnica e amministrativa. La galleria di soccorso non
esiste e addirittura Aurelio Misiti si è rifiutato di
firmare il collaudo. Le Autorità di Bacino, i servizi di Protezione
civile sono stati esclusi dalla consultazione e dall’approvazione del
progetto e
la Asl
10 di Firenze lo è stata dalla Conferenza dei servizi. I Comuni del
Mugello recalcitranti sono stati «minacciati» di perdita delle opere
di compensazione e i sindaci hanno accettato i tracciati contro il
parere dei Consigli comunali. Nell’Osservatorio ambientale nazionale (organo di controllo) il rappresentante della
Toscana è il dirigente responsabile del Servizio infrastrutture della
Regione Toscana che ha firmato la deliberazione di approvazione del
progetto esecutivo Tav Firenze-Bologna (Del. n. 03884 del 24/07/1995).
Controllore e controllato coincidono. Contro la previsione di legge non
è stato stilato il bilancio idrico del bacino dell’Arno, ossia il
confronto tra la quantità di acqua esistente nel bacino e la quantità
di prelievi effettuati per i diversi usi. C’è poi la questione del
Nodo di Firenze: da brivido le prospettive per il capoluogo toscano: il
treno ad alta velocità le passerà nel ventre con un tunnel di sette
chilometri. Oltre
1.700.000 metri cubi
di inerti,
300.000 metri cubi
di sabbia, 265.000 tonnellate di cemento, 110.000 tonnellate di acciaio,
372.000 tonnellate di conci prefabbricati stanno per piovere addosso
alla città di Brunelleschi. I materiali di risulta da portare a
discarica ammonteranno a oltre
3.800.000 metri cubi
di smarino, oltre a
145.000 metri cubi
provenienti da demolizioni. Per i cantieri saranno consumati
6.912.000 litri
d’acqua al giorno da attingere alle falde locali. 170 edifici e
la Fortezza
da Basso a rischio cedimenti, una scuola demolita e tre trasferite. Il
tunnel tagliando la falda locale provocherà un effetto diga con
allagamenti di scantinati e fenomeni di subsidenza. L’assessore
all’Ambiente della Regione Toscana ha dichiarato il 24 luglio 2002: «Nei
due anni di scavo che ancora ci saranno, ci aspettano dei problemi molto
gravi di impatti inevitabili e non mitigabili nella realizzazione della
galleria». Se lo dice lui.
Gare europee.
Sono le grandi assenti. Se si fossero fatte
la Tav
sarebbe costata la metà. In Spagna, con le gare europee, un chilometro
di alta velocità nel 1993 costava 9,5 miliardi di lire, in Italia 26
miliardi, senza contare le stazioni, il materiale rotabile e le
infrastrutture aeree. La vicenda delle gare europee comincia nel 1992
con il governo Amato (V. Amato). Reviglio e Tesini il 3 marzo 1993 si
rivolsero all’Antitrust e al Consiglio di Stato che però diedero
pareri favorevoli ai contratti assegnati senza gara. I successivi
governi Ciampi, Berlusconi I e Prodi non faranno nulla per introdurre le
gare europee. Fino all’Amato II che, grazie al ministro Bersani,
stracciò gli appalti già affidati senza gara nelle tratte
Milano-Genova e Milano-Verona per un totale di 10 mila miliardi di lire
e bandì gare europee. La decisione produsse subito un risultato
eccezionale: la gara bandita per il nodo di Bologna fu vinta da
un’impresa spagnola con un ribasso del 50 per cento. La decisione del
governo Amato provocò molti malumori. In aula l’Udeur di Mastella,
che faceva parte della maggioranza, votò contro e il governo Berlusconi
II rimise le cose a posto. Con l’art.10 della Finanziaria 2003 si
ristabilì la situazione degli appalti così com’era nel 1992,
evitando gare europee. L’art.10 è stato approvato nonostante il
presidente dell’Antitrust Tesauro avesse giudicato l’abrogazione
delle gare europee non conforme alle normative comunitarie. Tra le società
escluse dal governo Amato c’era, tra le altre, l’impresa dell’europarlamentare
di Forza Italia Luisa Todini. Le 32 imprese raggruppate nei 7 consorzi
hanno ottenuto gli appalti nel 1992 senza gara e senza applicare
ribassi, ma per assegnare le decine di appalti ad altre ditte hanno
indetto delle gare e ottenuto da queste ribassi notevoli.
General Contractor.
La più recente arma di distruzione di massa dei conti pubblici. Il G.C.
venne inaugurato proprio con
la Tav
e rappresenta la peggiore soluzione possibile per i lavori pubblici, al
punto che il governo Berlusconi l’ha prontamente adottato con la legge
obiettivo. Il G.C. è un concessionario con l’esclusione della
gestione ed è una soluzione tecnica che favorisce le imprese e
svantaggia il committente pubblico perché il G.C. ha tutti i poteri del
committente pubblico nella gestione dei subappalti, nella direzione dei
lavori, negli espropri ecc. ma non ha poi la gestione diretta
dell’opera e dunque non ha nessun interesse a far bene i lavori e a
spendere il meno possibile per recuperare più in fretta possibile i
soldi spesi. Pomicino aveva teorizzato e messo in pratica questo metodo
con le concessioni di sola committenza, con le quali l’impresa era
retribuita con una percentuale del costo finale dell’opera, tra il 17
e il 25 per cento. Per cui più l’opera costava più l’impresa
guadagnava. Questa percentuale con la legge obiettivo è stata portata
al 100 per cento. Gli effetti sui conti pubblici li avvertiremo nei
prossimi anni.
Incalza Ercole.
Ex presidente della Tav ed ex direttore generale del ministero dei
Trasporti. Attuale consulente del ministro Lunardi, secondo De Michelis
è il più importante tecnico italiano dei trasporti. Già implicato
negli scandali delle opere fantasma di Italia 90, il 7.2.1998 fu
arrestato su mandato dei giudici di Perugia. Accusato di concorso in
corruzione insieme a Necci (V.), Pacini Battaglia (V.), Maraini (V.)
avrebbe corrotto l’ex capo dei gip di Roma Squillante e il pm Giorgio
Castellucci (V.) che dovevano indagare sulla Tav, Incalza e Maraini
hanno affidato per quattro anni consulenze miliardarie a tre avvocati
amici di Castellucci: Di Amato, Grollino e Petrelli. Secondo i giudici
Incalza faceva parte integrante di quella
«struttura bene organizzata composta da manager pubblici e
privati» che manipolava gli appalti per «creare fondi extracontabili
per erogare tangenti verso
il potere politico che quei vertici avevano sponsorizzato e verso gli
stessi amministratori pubblici per garantire
il loro illecito arricchimento». Insomma il sistema Tav
come, secondo i giudici, fu ideato da Necci e Pacini.
Interessi intercalari.
Sono gli interessi che lo Stato sta già pagando ogni anno e che
continuerà a pagare fino a quando
la Tav
non entrerà in funzione. Si tratta di interessi su prestiti che laTav
ha avuto dalle banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti a tassi il cui
importo si conosce solo per
la Cassa Depositi
e Prestiti (5,5 per cento) ma che è sconosciuto per i prestiti avuti
dalla Bei o dal San Paolo di Torino. La spesa prevista per gli i.i. nel
1991 era di 770.000.000 euro. Nel 2010, quando (forse) i lavori Tav
saranno ultimati, avremo pagato 8.690.000.000 euro, una spesa undici
volte superiore.
Lavoratori.
Nel dicembre 2003 erano 13.779. Lavorano a ciclo continuo, ovvero 24 ore
su
24 in
squadre composte da sei operai. I turni possono impegnarli anche 48 ore
di seguito e la pausa mensa non è conteggiata nelle ore giornaliere di
lavoro. Le condizioni di
lavoro sono usuranti: in galleria si respira male,
l’aria è inquinata, l’illuminazione scarsa, i rischi molti.
Vivono in prefabbricati
privi di comfort e di intimità, in camerate e con docce comuni. La
maggioranza di loro viene dal Sud e vive lontano dalle proprie famiglie.
Ma soprattutto nei cantieri Tav si muore: l’1.2.03 al Careggi di
Firenze è spirato Giovanni Damiano, 42 anni, di Benevento, padre di due
figli. È solo l’ultimo in ordine di tempo. Il 31.1.00, nel tunnel di
Vaglia (Fi), al Carlone, moriva Pasquale Costanzo, 23 anni, elettricista
di Petilia Policastro. Il 26.6.00, moriva a Ponte Nuovo a Calenzano (Fi)
Giorgio Larcianelli, camionista, 53 anni, di Scandicci. L’1.9.00
moriva nella galleria di Monghidoro Pietro Giampaolo, 58 anni, di Chieti,
schiacciato dalle ruote di un camion. Il 5.1.01 moriva Pasquale Adamo,
55 anni, di Quarto (Na), sposato e padre di tre figli, stritolato dalla
coclea di un posizionatore nella galleria di Monte Morello. Tutti operai
dei cantieri Cavet della Fi-Bo. Il 29.11.01 la prima vittima della
tratta Milano-Bologna: nel cantiere Cepav nei pressi di Campogalliano,
è morto Francesco Minervino, 57 anni, travolto da un’escavatrice. Poi
il 26.1.04 è morto Biagio Paglia, travolto da una ruspa a Lesignana di
Modena. Il 19.4.04 è toccato a Kristian Hauber e il 10 maggio scorso
Mario Laurenza, un carpentiere campano di 37 anni, è rimasto folgorato
in un cantiere di Castelfranco Emilia.
Lodigiani Vincenzo.
Costruttore, nome storico di Tangentopoli. Finisce sotto inchiesta per
la Tav
nel filone milanese delle indagini. Di Pietro viene in possesso nel 1993
della cosiddetta agenda «Paparusso», dal nome del centravanti della
Lodigiani, la squadra del costruttore. In quell’agenda c’è
l’elenco delle mazzette che gli imprenditori dovevano pagare per
entrare nel giro degli appalti ferroviari. 1.510 milioni era la
richiesta del Dc Citaristi, 1.020 quella del socialista Balzamo, 500
quella delle Cooperative Rosse da destinare al Pds. Ma erano previsti
pagamenti anche ai ministri Bernini e Cirino Pomicino, al membro dc
della Commissione Trasporti della Camera Cesare Cursi (125 milioni) e ai
partiti minori, Msi compreso. Secondo L. questi soldi però non sono mai
stati effettivamente dati. L. riferisce a Di Pietro anche delle mazzette
date alla Cisl e alla Uil. 450 milioni a D’Antoni (che lo ha querelato
vincendo la causa a Roma e vedendosela archiviare a Milano) e 350 alla
Uil sotto forma di pubblicità sulla rivista Lavoro, circostanza che
verrà negata da Giorgio Benvenuto. In cambio L. avrebbe chiesto di non
creare problemi sindacali nei cantieri Tav. L. è tuttora sotto processo
a Perugia. Il pm Vinci, poi deceduto, aveva indagato e prosciolto L.
nell’inchiesta sui palazzi d’oro della capitale e per le sue
indagini, secondo l’accusa, volutamente superficiali, fu rinviato a
giudizio a Perugia. Vinci attraverso gli appunti di L. si sarebbe dovuto
accorgere dei suoi rapporti con il banchiere Pacini Battaglia
(l’annotazione «Karfinco 8000T Pappalardo» si riferiva al conto
Timor Overseas Corp della Karfinco di Pacini), e della congerie di
riferimenti all’Alta Velocità e a Necci. Vinci si difese addossando
alla Procura di Milano l’insabbiamento delle indagini. Ma Pacini
Battaglia è stato arrestato il 22.1.1998 su ordine della magistratura
milanese per le tangenti per lo scalo Tav Fiorenza. E a Milano si è
celebrato il processo. In primo grado, il 16.5.2000, L. e Necci sono
stati condannati per corruzione a cinque anni di reclusione, Pacini
Battaglia a quattro anni e tre mesi. Nel processo d’appello il
4.10.2001, le condanne sono state confermate ma le pene attenuate: tre
anni a L., tre anni e due mesi a Necci, tre anni e tre mesi a Pacini
Battaglia. Il 4.4.2003
la Cassazione
ordina la ripetizione del processo a L. Necci è invece riconosciuto
colpevole, ma
la Suprema Corte
chiede al Tribunale d’appello di attenuare la condanna a 3 anni e due
mesi di carcere.
La Lodigiani
è stata acquistata dalla Impregilo.
Maraini Emilio.
Numero uno della Italfer, la società incaricata dell’Alta Vigilanza
sulla Tav. Insieme a Incalza era il dirigente Fs più vicino a Necci. «Il
Munifico» lo nominò nel 1993 nonostante avesse due rinvii a giudizio a
Napoli e Milano e fosse indagato a Roma. M. era stato arrestato nel 1993
dal pool Mani pulite e nel corso degli interrogatori aveva ammesso
pagamenti di tangenti come amministratore delegato di Ansaldo Trasporti
per partecipare ai lavori della metropolitana di Roma e per quella
leggera di Milano. È stato nuovamente arrestato il 7.2.1998 per ordine
dei magistrati di Perugia.
Necci Lorenzo.
Il padre della Tav. Ex amministratore delegato delle Ferrovie dello
Stato e prima ancora presidente Enimont, Lorenzo «Il Munifico» Necci
ha avuto persistenti rapporti con la politica. Per anni nella direzione
del Pri, poi legato ad Andreotti, attualmente milita nel Nuovo Psi di De
Michelis. Necci è stato in corsa per diventare ministro nel naufragato
governissimo Maccanico del 1996, ma era così utile alle Fs, che Fiat e
Mediobanca posero un veto alla sua nomina per salvaguardare i 9 mila
miliardi investiti nei lavori Tav. Il regno di questo potente boiardo di
Stato finì il 15.9.1996 quando fu arrestato dai giudici spezzini.
Un’inchiesta nata per caso indagando su un autoparco della mafia prima
e su un traffico di armi poi e che vedeva coinvolto Pacini Battaglia. Il
cuore dell’affare alta velocità è infatti il legame di Necci con il
banchiere di Bientina dal quale riceveva 20 milioni al mese in nero
prelevati da un conto doubleface con il quale Pacini pagava anche la
domestica. Un prestito amichevole per pagare una casa a Parigi e un
terreno a Tarquinia, ha detto Necci. Una spiegazione che non regge, per
i giudici. Secondo i magistrati il sistema Necci-Pacini si metteva in
moto in occasione di ogni appalto ferroviario, immettendo le tangenti
raccolte in un complicato giro di conti bancari riconducibile a società
offshore, soldi infine utilizzati per pagare i magistrati romani del
cosiddetto «presidio giudiziario» che insabbiavano le inchieste su di
loro o pubblici ufficiali come il maresciallo D’Agostino e il capitano
della Guardia di Finanza Floriani. Il sistema Necci-Pacini, altrimenti
detto «Tangentopoli 2», era diverso dalla Tangentopoli
1 in
due punti: erano coinvolte non solo una ma tutte le maggiori imprese del
Paese e per schivare il reato di corruzione e far schizzare in alto i
ricavi, fu coniata la madre di tutte le bugie, che
la Tav
fosse un affare privato (V. alla voce Tav). Necci si è sempre
dichiarato estraneo alla presunta associazione
a delinquere contestatagli dai giudici e dice di essere stato assolto 42
volte. Non è vero: il 4.4.03 ha subìto una condanna definitiva per
corruzione nel processo per lo scalo Tav Fiorenza (V. Lodigiani). Il
12.3.1992 infatti Necci percepì a Parigi la tangente Derwood di un
miliardo e cinquecento milioni proveniente dalla Svizzera. «Sono figlio
di ferrovieri», dichiarò nel 1999 Necci «e volevo portare avanti un
progetto per il quale pensavo che mio padre sarebbe stato contento».
Nomisma.
Società bolognese fondata da Romano Prodi indagata dal pm Geremia di
Roma per aver ricevuto nel 1992 dalle Fs una consulenza miliardaria
sull’Alta Velocità. Nei 39 volumi si potevano leggere frasi del tipo
«il beneficio dell’alta velocità è la velocità» o «la velocità
consente di risparmiare tempo». L’inchiesta della Geremia è stata
archiviata.
Pacini Battaglia
Pierfrancesco.
Detto Chicchi, finanziere italo-svizzero. Insieme a Necci, Pacini è il
grande manovratore del sodalizio d’affari che ha sorretto
la Tav.
«In qualche modo P.B. ha svolto il ruolo più importante
dell’associazione di predatori. È riuscito ad assicurare ai suoi
complici disponibilità economiche assolutamente riservate all’estero.
Ha mosso una mole enorme di denaro. Ha ostacolato ogni possibile
ricostruzione della provenienza del denaro. Ha custodito il denaro e lo
ha smistato su fondi fuori contabilità per destinarlo al pagamento di
funzionari pubblici e al finanziamento illecito dei partiti» (Imposimato,
Pisauro, Provvisionato,
Corruzione ad alta velocità, Koinè). L’inchiesta sulla Tav nacque a
Firenze e
La Spezia
quando i pm Cardino e Franz indagando su un traffico di armi misero
sotto controllo i telefoni di P.B : dai colloqui con la segretaria
Eliana Pensieroso e con l’ex Dc e piduista Emo Danesi, emersero
smistamenti di denaro di P. B. oltreché a Necci anche a magistrati e
avvocati romani. Secondo i magistrati di Perugia che hanno ereditato le
indagini, P.B. «l’uomo un gradino sotto dio» avrebbe ideato un unico
disegno criminoso che si sviluppò dalla fine degli anni Ottanta fino al
biennio 1996-97, unendo le
vicende dei fondi neri dell’Eni, le tangenti ai partiti politici, gli
appalti per i grandi progetti ferroviari e la corruzione di magistrati
romani. È
la Tangentopoli
2 alla sbarra a Perugia. L’associazione descritta dal pm Della Monica
vede Pacini e Necci «attivi» fin dagli anni Ottanta a costituire
provviste di denaro illecite. Necci dopo aver lasciato l’Enimont per
passare alle Ferrovie, avrebbe continuato a operare con Pacini e gli
altri presunti componenti dell’associazione a delinquere. I progetti
Tav sarebbero stati il nuovo campo d’azione della lobby.
Portaluri Salvatore.
Presidente Tav dal 1991 al 1993. Fu costretto a dimettersi da Necci per
l’ostilità nei suoi confronti di Mediobanca, Imi, Banca di Roma e San
Paolo di Torino che premevano per avere più consulenze. Portaluri
voleva annullare i contratti con i general contractor Iri, Eni e Fiat,
per indire gare europee e abbassare i costi e Mediobanca temeva che
Portaluri favorisse consorzi stranieri. Portaluri voleva annullare anche
i contratti con
la Italferr
di Maraini (V.) perché arrestato due volte.
Preti Luigi.
Ex ministro Psdi nella primavera del 1993 inoltrò un esposto alla
Procura di Roma nel quale denunciava le procedure seguite per la
costituzione della Tav spa. Preti fu il primo ad accorgersi dei lati
oscuri della Tav. L’inchiesta venne affidata al pm Giorgio Castellucci
(V.).
Tav spa.
La storia della Tav spa comincia il 7 agosto 1991. Nacque pronunciando
un’enorme bugia, quella che i 100 miliardi di lire del suo capitale
fossero al 60 per cento capitale privato e al 40 per cento pubblico. Non
era vero, erano tutti pubblici. Le 21 banche presenti erano quasi tutte
pubbliche e le private arrivavano al 10 per cento del capitale. La
maggioranza assoluta era delle Fs, le quali detenevano il 45 per cento
delle quote più il 5,5 per cento attraverso
la Banca Nazionale
delle Comunicazioni, la banca delle Fs. Dalla madre di tutte le bugie
Tav scaturì la possibilità di affidare la costruzione delle
infrastrutture a dei general contractor (V.) mediante trattativa
privata. Di seguito venne propalata l’altra grande bugia, che
l’opera verrà finanziata sempre al 60 per cento da capitali privati.
Invece fu lo Stato a garantire «il finanziamento del 40 per cento in
conto capitale, mentre il 60 per cento doveva essere ricercato sul
mercato dei capitali con prestiti che ovviamente dovevano essere
restituiti con interessi di mercato; poco importava anzi bastava tenere
riservato il fatto che gli interessi fino alla realizzazione
dell’opera dovevano essere pagati dallo Stato così come la
restituzione dei prestiti doveva essere garantita dalle stesse Fs e
dallo Stato» (I. Cicconi, La storia del futuro di Tangentopoli, pag.188).
Nacque poi il problema di legare Fs e Tav. Le Fs dovevano finanziare
solo il 40 per cento dell’opera per cui
la Tav
con un contratto di concessione di gestione poteva rientrare del 60 per
cento sborsato privatamente tramite gli incassi della gestione. Ma per
rientrare dei soldi spesi Tav avrebbe impiegato almeno 350 anni. Allora
venne coniata la «concessione per lo sfruttamento economico» per
giustificare il trasferimento di risorse dallo Stato alle Fs. Un
trasferimento impossibile: negli accordi di programma non viene mai
detto come i privati dovevano finanziare il 60 per cento né come lo
avrebbero recuperato. Di fronte a questi silenzi, Eni e Iri, due dei tre
general contractor, si fanno da parte, indicando delle loro società
collegate, Snam e Iritecna mentre il terzo,
la Fiat
, firmò all’ultimo momento, il 15 settembre, solo quando ebbe la
certezza della copertura da parte dello Stato. Nel dicembre 1991 vennero
firmati i contratti tra Tav e i consorzi, Cepav uno e due, Iricav uno e
due, Cavet, Cociv, Cavtomi, accordi di massima con una sola certezza: «Tav
spa paga il 100 per cento dei costi previsti nei contratti, nessun
rischio è a carico degli imprenditori» (Cicconi, op. cit., pag. 192).
Il capolavoro è fatto. L’Italia potè rispettare il parametro di
Maastricht che impone al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil ed
entrare trionfalmente in Europa. Il 10.3.1998 cadde la maschera: le Fs
acquisirono il 100 per cento di Tav spa e dal 1.1.2003
la Tav
è entrata nell’orbita della società Infrastrutture spa con azionista
unico
la Cassa Depositi
e Prestiti. Infrastrutture si accolla quel 60 per cento finto privato e
trasforma in capitale sociale il 40 per cento pubblico, allungando al
2061 la concessione alla Tav. Lo Stato continuerà a coprire la quota
relativa agli interessi intercalari fino alla conclusione dei lavori;
quando
la Tav
funzionerà il debito sarà coperto, sia per la quota relativa agli
interessi che per quella relativa al capitale, dai proventi dello
sfruttamento economico. Lo Stato si farà carico anche di integrare
quella parte del debito che i proventi non riusciranno a coprire (50 per
cento. Appena Infrastrutture spa sarà operativa, Tav sarà finanziata
con il collocamento della prima emissione obbligazionaria.
Tempi di percorrenza.
Quando i treni andranno a
300 km
. all’ora da Roma a Milano si impiegheranno 3 ore anziché 4 ore e
mezzo; da Torino a Napoli 5 ore contro le 9 attuali. Se la stragrande
maggioranza degli utenti viaggiasse lungo queste tratte
la Tav
potrebbe essere davvero vantaggiosa. Purtroppo l’80 per cento dei
passeggeri effettua trasferte inferiori ai
100 km
. In nessun Paese del mondo l’Alta Velocità ferroviaria è stata un
affare. In Francia e in Giappone i treni superveloci hanno devastato i
bilanci delle aziende ferroviarie, portando al fallimento quella
nipponica.
Tempi di realizzazione.
Secondo il sito ufficiale della Tav
la Torino-Milano
sarà pronta nel 2008,
la Firenze-Milano
entro il 2007 e
la Roma-Napoli
per il 2005. Pochi sono disposti a credere a queste previsioni. Non ci
crede nemmeno Aurelio Misiti, che di lavori pubblici se ne intende e
dopo aver ammesso che il progetto della Firenze-Bologna «non era fatto
bene all’inizio» ha aggiunto: «Non credo che siamo alla fine del
percorso. Siamo al 55 per cento del lavoro. Otto anni fa si è
cominciato: ci sarà altrettanto da lavorare». Secondo l’ex
presidente del Consiglio dei lavori pubblici i lavori dunque finiranno
nel 2011. Dovevano finire nel 2003.
Terzo valico.
Il terzo valico dei Giovi è una parte della Milano-Genova (
138 km
) pari a
54 km
di cui
46 in
galleria a doppio foro. Secondo affermazioni mai smentite di Necci
stesso (Sole 24 Ore 15.5.1991)
la Mi-Ge
, nonostante un iniziale progetto lacunoso e privo di attendibilità, è
stata una carta di scambio per avere il via libera sulla Tav. Il
progetto non ha copertura economica (servono 4.339.000.000 euro) ma
intanto è già costato 415 miliardi di lire in progetti e fori pilota.
Dopo la bocciatura dei primi tre progetti, nel settembre
2003 ha
avuto il via libera del Cipe e dell’Ue, è rientrato nel Piano
Generale dei Trasporti (marzo 2001) e nel Contratto di Programma di Rete
Ferroviaria Italiana, ma i Comuni interessati non ne vogliono nemmeno
sentir parlare e l’opera manca della Valutazione ambientale strategica
obbligatoria per la normativa europea ed italiana. Nel 1998 i
carabinieri su denuncia del Wwf hanno chiuso i cantieri e il terzo
valico è finito in Procura a Milano. L’ipotesi di reato era truffa
aggravata ai danni dello Stato per 100 miliardi di lire. Secondo
l’accusa erano stati eseguiti dei falsi fori pilota in località
Fraconalto e Voltaggio che in realtà erano gallerie di servizio, e il
tutto senza alcun progetto. Inoltre i lavori eseguiti in base al
finanziamento suppletivo di 100 miliardi di lire del 16 giugno del 1995
risulterebbero gonfiati del 100 per cento. I 100 miliardi erano stati
stanziati dal governo Berlusconi I su pressione dell’allora
sottosegretario Grillo che però nega l’addebito. Sono stati rinviati
a giudizio il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, presidente della
Commissione lavori pubblici del Senato, Ettore Incalza (V.) e gli
imprenditori Marcellino Gavio e Bruno Binasco. Il terzo valico lo
dovrebbe costruire il Consorzio Co.civ il cui 94,5 per cento è della
Impregilo di Pier Giorgio Romiti.
Tpl.
Società di ingegneria da cui è iniziata la carriera di Necci.
La Tpl
secondo i giudici perugini era il crocevia dei traffici illeciti di
denaro tra Necci e Pacini Battaglia. Secondo l’ex presidente Snam
Raffaele Santoro, Necci la protesse e finanziò come fosse cosa sua. Nel
1991
la Tpl-Av
stipulò un contratto che prevedeva le stesse prestazioni affidate a
Italferr per
la Tav
: un incarico doppione del tutto inutile. Da Necci
la Tpl-Av
ha avuto un contratto da 60 miliardi per studi sull’Alta Velocità e
solo per le attività di consulenza
la Tpl-Av
ricevette anticipazioni finanziarie ampiamente superiori al suo
fatturato stesso: al 31.12.1996 erano ben sei miliardi di lire. Secondo
i Ros, il manager Tpl Mario Delli Colli ha riciclato 3 miliardi di lire
su ordine di Necci. Il suo presidente Mario Maddalonì, che ha
patteggiato un anno e sei mesi per i fondi neri Eni, esercitò enormi
pressioni per l’assunzione dell’ing. Savini Nicci, attuale
amministratore delegato Tav.
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