Quando
si parla o si sente parlare di prostata quasi sempre non si vuole discutere
di quella piccola ghiandola, grande quanto una castagna, che sta sotto
la base della vescica nell’uomo ma purtroppo degli esami ad essa
associati o peggio ancora la patologia che più la colpisce: il cancro.
Il
tumore alla prostata infatti è una tra le forme più diffuse, seconda
causa di morte tra la popolazione maschile sopra i quarant’anni[1].
Nel nostro paese per esempio colpisce ogni anno circa 11 mila persone[2].
Le
armi di punta delle scienza medica, oltre alle consuete tecniche
chirurgiche e chemioterapiche, sono le diagnosi preventive di massa
meglio conosciute come screening: una indagine preventiva a tappeto che
riguarda tutti gli uomini sopra i sessant’anni e dove il Pubblico
Ministero di turno è rappresentato da quella sigla tremenda che è il
PSA.
Quanti di noi hanno sentito
persone di una certa età scambiarsi tra loro numeri e valori del PSA,
tipo lotteria di Agnano? Il cui obiettivo però non è il Bingo ma bensì
la salvaguardia della propria salute!
Ma
cos’è effettivamente questo benedetto o maledetto PSA? Letteralmente
è l’acronimo di Antigene Prostatico Specifico: ora non è forse più
chiaro?
Per
coloro invece che non digeriscono le nozioni mediche, il PSA è una
sostanza chimica presente nel sangue, prodotta prevalentemente dalle
cellule epiteliali della prostata. Una notevole quantità di questa
glicoproteina (in numeri circa 10ng/ml) è correlata con la presenza di
cancro ed è per questo che il PSA viene usato come indicatore
neoplastico (marker) ideale.
Quindi
si può affermare che il PSA è un infallibile strumento diagnostico?
Purtroppo, no!
Essa
è prodotta dalla ghiandola prostatica normale e da quella iperplastica
(ingrossata) ma anche dal tumore vero e proprio; perciò il PSA non è
un marker ideale in senso stretto e capace di rispecchiare unicamente
l’andamento della neoplasia[3].
Una
neoplasia che fino ad oggi non è possibile distinguere la forma che
rimarrà silente da quella che evolverà fino ad uccidere il paziente[4].
Quello che emerge invece, è la consapevolezza che le tecniche di
screening fanno aumentare l’incidenza talvolta in modo drammatico[5]:
negli Stati Uniti dopo la diffusione del test del PSA, l’incidenza del
carcinoma è più che raddoppiata.[6]
Adesso
si comprendono le motivazioni per cui l’intervento preventivo è
oggetto da anni di controversi e accesi dibattiti nella comunità
scientifica internazionale: pochissimi la ritengono utile, alcuni
potenzialmente dannoso, mentre la maggior parte degli esperti lo ritiene
semplicemente non raccomandabile per l’impossibilità di prevederne i
risultati.[7]
Ma
allora, se non ci sono prove sufficienti per raccomandare lo
screening prostatico tramite PSA[8],
come mai viene raccomandato almeno una volta all’anno a tutti i
soggetti maschi sopra i cinquant’anni? E ancora, se non è in grado di
individuare i tumori latenti e che rimarranno tali da quelli che invece esploderanno,
non è meglio evitare inutili allarmismi e lasciare che la vita segua il
suo corso naturale?
Mistero
della prostata umana, o qualche piccolo interesse legato a
stanziamenti economici? Naturalmente quest’ultima ipotesi è da
aborrire, perché indicherebbe un sistema medico freddo e spietato dove
la salute della povera gente passa in secondo piano rispetto al denaro.
Per cui la risposta rimane celata nella prostata!
Questa
ghiandola ha tra le altre, la funzione biologica di presiedere alla
funzione genitale permettendo all’uomo di rimettere in moto la
macchina della riproduzione[9],
quella stessa struttura organo-riproduttiva messa a dura prova dai
continui bombardamenti e/o condizionamenti della società. Basta infatti
accendere la tv, guardare un film, leggere un giornale o collegarsi a
internet per ricevere messaggi che descrivono l’uomo e come dev’essere:
uno che non deve mai chiedere niente, con il fisico scultoreo e
possibilmente capace di cavalcare tipo Marlboro Adventure.
Per non parlare dei nonnetti felici e perfetti che con amore danno la
merenda ai nipoti -bellissimi anche loro- saltando lo steccato con una
sola gamba?
Certamente
questa è una bella realtà, ma è molto distante dalla vera e unica
esperienza che è la vita: qui il tempo che passa solca la pelle e
gradualmente indebolisce gli organi tra cui quelli riproduttivi
generando fisiologici problemi sessuali con la logica conseguenza
emotiva .
Un
calo del desiderio o una disfunzione erettile dovute alla normale
degenerazione fisica oppure ad un momento psicologico en passant,
non devono per forza di cose essere vissute in maniera traumatica!
Purtroppo è quello che ci viene trasmesso: se non riesci a far
l’amore allora sei… o se hai un calo del desiderio prendi
questa…
Quindi
perché puntare esclusivamente su screening massificati, su test messi
in discussione dagli stessi scienziati e non rivedere invece determinati
modelli sociali, rivalutando tra le altre cose l’importanza della
sessualità? Una sessualità non volgare intesa come pura conoscenza del
proprio corpo!
Forse
non risolverà alcunché però magari i nostri figli non cresceranno
dentro stampi e cliché prestabiliti come vuole il bon ton, con la
convinzione che per avere fortuna nella vita e stare in salute bisogna
assomigliare a questo o a quello, e i loro nonni magari si potranno
finalmente scambiare il numero di rughe che la vita ha regalato loro,
anziché quello discutibile del PSA!
Marcello
Pamio
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