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Scoperta
del DNA e sua manipolazione
Tratto dal
libro di Paolo Girotto, "
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Come già accennato precedentemente il concetto di
selezione genetica ha sempre accompagnato la storia dell’uomo
utilizzando, però metodiche empiriche basate sull’accoppiamento dei
soggetti morfologicamente più idonei per specifici compiti collegati
all’attività dell’uomo stesso. Ma dopo la fine del secondo
conflitto mondiale, curiosamente, c’è stato un netto salto in avanti:
con il DNA, venne scoperta la struttura fisica più intima che consente
la trasmissione dell’ereditarietà, riuscendo anche a decifrare i
meccanismi e le leggi che regolano l’affascinante mondo biologico che
porta la vita.
Esattamente il sogno degli eugenetisti dei primi del
‘900: già, perché era evidente che tutta la loro visione del futuro
dell’uomo aveva come scopo la scoperta ed il controllo stretto della
conoscenza biologica per mettere le mani sui meccanismi fisici che
regolano, da sempre, la vita sulla terra. In questo senso tutta la
politica di selezione razziale del nazismo è stata nei fatti, al di là
delle intenzioni di cui non avremo mai conoscenza precisa, un
fondamentale laboratorio anche se di orrori sociali! Nulla dei risultati
ottenuti nei campi di sterminio è stato lasciato inutilizzato. Nemmeno
i ricercatori dei lager,
molto probabilmente sono rimasti disoccupati. Già, che fine fecero
tutti coloro che, a vario titolo, ebbero ruoli di prima linea nelle
mostruose sperimentazioni? Tutti assicurati alla giustizia? Processati a
Norimberga? Nulla di tutto questo…e allora? Sospettare che possano
essere stati reimpiegati in USA, Inghilterra ed in Unione Sovietica, cioè
nei paesi vincitori, come molti altri scienziati nazisti è ipotesi
troppo azzardata? O pensiamo che dalla Germania si sia preso solo
vonBraun il padre del programma Apollo? E’ ovvio che i vincitori si
sono accaparrati i cervelli in settori d’importanza strategica come il
campo delle nuove armi aero-navali, chimiche e batteriologiche. Così è
facilmente comprensibile come non possa essere stato ignorato il campo
della ricerca biologica-ereditaria con dati ottenuti con l’utilizzo di
cavie umane dei lager: quale migliore occasione per ottenere dati e
conoscenze direttamente con un abominevole sacrificio umano?
Arriviamo, così, al fatidico ’53, anno in cui viene
scoperta la struttura del DNA: momento storico davvero! Dopo soli 8 anni
dalla fine della 2° Guerra mondiale si è riusciti nel sogno inseguito
da decenni: solo una coincidenza? Agli scopritori, anzi agli Scienziati
Watson & Crick onore e gloria: è del 2 aprile del ’53 la famosa
lettera con cui i nostri
eroi annunciavano alla rivista “Nature”
il fatidico evento.
Cominciava così: “Desideriamo
proporre una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico”,
a cui seguiva un comunicato breve e stringato che spiegava la struttura
semplice e nello stesso tempo splendida, del DNA, costituito da una
molecola di desossiribosio (zucchero) alternata a gruppi fosfati
disposti spazialmente in lungo filamento. La struttura a doppia elica si
forma perché a questi filamenti, posti uno di fronte all’altro si
legano le basi nucleotidiche cioè Adenina, Guanina, Citosina e Timina
che si dispongono nello spazio come i pioli di una scala ideale
attorcigliata su se stessa. Una fantastica spirale della vita che,
guarda caso, è rappresentata da migliaia di anni come simbolo positivo
in tutte le culture di ogni epoca a livello planetario. In questa magica
scala è fondamentale l’ordine in cui si susseguono le quattro basi
citate. Sono loro che danno la chiave o il codice che comanda una certa
sintesi proteica. Il gene non è altro che un pezzo di DNA che è in
grado di comandare la produzione o sintesi di una proteina. In realtà
un gene non è mai da solo quando sintetizza una proteina ma collabora
con un dialogo fatto di migliaia e migliaia d’impulsi chimici con
altri geni posti in settori anche molto distanti del DNA. Ricordate
questo passaggio perché sarà di basilare importanza quando parleremo
di transgenesi!
Quindi potremmo definire Watson & Crick un’accoppiata
vincente, come si direbbe oggi, immersi come siamo nello spirito
competitivo della nostra epoca. In effetti mai termine è più
appropriato di questo per sintetizzare la storia della scoperta del DNA.
Watson era statunitense e zoologo mentre Crick era inglese e fisico:
davvero una strana coppia.
James Dewey Watson laureato in zoologia era poi passato alla genetica
sotto la guida del nobel italiano Salvador Luria. Quest’ultimo gli
aveva consigliato un periodo di studio in Europa
e così Watson passò per Copenaghen
e Napoli, dove, come ricorda egli stesso, passò la maggior parte
del tempo “a camminare per le
strade e visitare templi e castelli”, ma fece anche una importante
conoscenza: Maurice Wilkins, cristallografo del King’s college di
Londra che si stava occupando della struttura del DNA.
Che combinazione!
Dopo avere ascoltato una sua conferenza decise che il suo
futuro sarebbe stato sulla ricerca genetica e sempre sotto i buoni
uffici di Luria si fece trasferire a Cambridge. Qui avvenne il fatidico
incontro con l’altro protagonista: Francis Harry Compton Crick,
inglese di Northampton. Era un fisico che durante la guerra si era
specializzato in uno dei settori top secret della ricerca militare e cioè
lo sviluppo delle ricerche sul radar. Particolare interessante, vero?
Infatti è piuttosto insolito che un pur meritevole ricercatore di
sistemi elettro-magnetici top-secret venga quasi catapultato ad
occuparsi di genetica, aspetto curioso che meriterebbe ampi
approfondimenti fedeli al motto: “dimmi con chi vai e ti dirò chi
sei!”
I due, menti acute, erano complementari e il loro lavoro
procedette molto spedito in quegli anni, poi i diversi caratteri li
portarono ad una profonda inimicizia e le loro strade si separarono per
sempre. L’unione di questi due cervelli eccezionali portò a molti
importanti risultati quasi esclusivamente sulla base di un esercizio di
pura logica e speculazione mentale, ottenendo velocemente ciò che altri
colleghi trovavano dopo duro e noioso lavoro di verifiche sperimentali
in laboratorio. Anche questo modo di procedere poco scientifico,
francamente poco ortodosso, è singolare e meriterebbe maggiori ricerche
e chiarimenti!
In realtà la premessa basilare alla scoperta della
molecola fu attuata nel ’44 da un ricercatore americano, un certo
Avery, che rivelò al mondo che i geni, ovvero quelle perle componenti i
cromosomi erano costituiti da molecole di acido desossiribonucleico (il
DNA appunto). Non era stato per niente facile arrivarci ma questa
scoperta non portò alcun riconoscimento al suo scopritore: chissà
perché? A questo punto mancava ancora la comprensione di come fosse
strutturato nello spazio il DNA e chi l’avesse scoperto avrebbe aperto
la strada alla sua possibile manipolazione o modificazione: il potere
sulla vita, per l’appunto! Almeno questo era quello che si sperava di
ottenere in certi ambienti e avrebbe coronato decenni di finanziamenti
enormi, profusi con larghezza e generosità a qualsiasi centro di
ricerche senza alcuna distinzione di razza o paese o cultura o
religione. La posta in gioco era evidentemente troppo
importante per rischiare di ritardarne l’acquisizione con sciocche
remore etiche: in fondo il fine giustifica il mezzo, non è così?
Ecco allora che la gara era aperta e diversi laboratori nel
mondo stavano puntando tutte le energie al medesimo obbiettivo, anche
perché tutti erano finanziati generosamente per lo stesso scopo. Ora,
senza togliere nulla a Watson & Crick, va detto che non sarebbero
arrivati per primi se qualcuno non li avesse passato dati fondamentali
provenienti da ricerche fatte da altri! Proprio così, le loro ricerche
erano a buon punto ma mancava ancora la spintarella giusta. Essa si
concretizzò, quando il Wilkins, sì, quello conosciuto a Napoli da
Watson, direttore del King’s College di Londra, passò loro il
brillante lavoro di Rosalind Franklin all’insaputa dell’interessata.
In realtà esisteva già una collaborazione ufficiale tra la coppia
Watson & Crick e l’istituto con a capo il Wilkins, ma tra Rosalind
Franklin e il trio non correva buon sangue. Particolarmente duri erano i
rapporti tra la ricercatrice ed il suo capo Wilkins che si ostinava a
non riconoscerle il valore professionale ed umano di cui era invece
abbondantemente dotata. Fu proprio Wilkins a copiare, di nascosto, le
immagini del DNA ottenute con la diffrazione a raggi X fatte
dalla Franklin e passarle a Watson & Crick. La cosa fu basilare per
consentire al duo di bruciare tutti sul filo di lana. Watson, nelle sue
memorie ricorda: “Come vidi le
fotografie, rimasi a bocca aperta ed il cuore prese a battermi forte”.
Fu così che poche settimane dopo elaborarono la famosa e bellissima
struttura del DNA a doppia elica che srotolandosi ed aprendosi
consentiva il passaggio della informazione genetica: il tutto in 200
milionesimi di millimetro!
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