Dopodomani il papa
santificherà Escrivá de Balaguer, il sacerdote che ha fondato
l'organizzazione più segreta (e più discussa) della Chiesa. Ma che cos'è?
E quali sono le regole? Abbiamo provato a indagare
ROMA.
Dopodomani la Chiesa cattolica avrà un nuovo santo: Josemaria Escrivá de
Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, morto nel 1975 e beatificato dieci anni
fa. E’ l'ultimo segnale di un rapporto strettissimo tra l'istituto e
Giovanni Paolo II, lo stesso papa che, dopo anni di diffidenza vaticana,
concesse all'Opus Dei, nel 1982, lo status di «prelatura personale»:
un'organizzazione che non risponde alla gerarchia, ma solo al papa in
persona.
L'istituzione, quanto poche altre, è da sempre circondata da un velo di
mistero e da sentimenti fortissimi: dall'adesione assoluta dei suoi 80
mila fedeli, all'odio assoluto dei moltissimi detrattori.
Come per ogni organizzazione religiosa, è importante capirne il Dna.
Nasce in Spagna, a Madrid, il 2 ottobre 1928. Balaguer (nato a Barbastrio,
9 gennaio 1902), rispetto agli altri giovani cattolici, ha studiato in una
università statale, che allora corrispondeva ad un privilegio, e conosce
il mondo. Qui, in un clima di cattolicesimo perseguitato, si forma l'idea
che solo un'organizzazione vasta, rigida e specializzata potrà opporsi al
crescente ateismo e alle sue violenze (che allora, spesso, erano reali e
terribili). Dunque: un rigidissimo anti‑comunismo che diventa presto
anti‑modernismo totale. I movimenti non sono partiti né filosofie:
faticano a rinnovarsi, e ogni adeguamento appare tradimento. Così i più
feroci critici dell'Opus Dei, in questi anni, sono coloro che ne sono
usciti: come Maria Del Carmen Tapia, ex adepta, che con il suo “Oltre la
soglia” (1996, Baldini & Castoldi, pp. 380, 16,53 €) getta una
luce sinistra sull'istituzione: manipolazione, segretezza parossistica,
affari illegali, plagio, violenze. Non è la sola: Balaguer, per strada,
perde alcune delle sue colonne portanti, uomini che avevano creato
l'opera, come il teologo Raimundo Panikkar, suo delfino, divenuto poi
fautore dell'incontro tra diverse religioni e della lettura intertestuale.
L'Opus Dei ha una «quida», il Prelato, e una gerarchia di adederenti.
Che sono sacerdoti solo per una piccolissima parte (circa 1500), e laici
per il resto. Laici che si dividono in «numerari», poche migliaia che
fanno voto di castità, ed abitano, normalmente, in case comuni devolvendo
all'Opus Dei tutto ciò che guadagnano; «soprannumerari», che possono
sposarsi e vivere in famiglia; e infine «cooperatori», che collaborano
professionalmente e possono, addirittura, essere non cattolici. Nelle
case, di solito piccole, sparse nel mondo (in Italia l'Opus Dei ha circa 4
mila aderenti), può accadere che un laico sia gerarchicamente superiore
ad un sacerdote. Conta lo spirito.
L'Opus Dei si trasferisce a Roma negli Anni Quaranta e cresce
organizzandosi. Secondo dati fatti filtrare dall'Opus stesso, la prelatura
avrebbe «influenza» in 179
università, 630 quotidiani e riviste, 52 catene televisive. Con ciò
surclassando il potere dei Gesuiti che, infatti, sono tra i più ostili
all'istituto.
La svolta dei potere dell'Opus Dei è proprio nell'avvento del nuovo
papa. Si dice che Giovanni XXIII dell'Opus Dei avesse timore e che
Paolo VI li avversasse apertamente. Certo, Montini non riceveva neppure
Escrivá de Balaguer. C'era un buon motivo. Proprio durante il suo
pontificato, il papa aveva espresso l'intenzione di fondare un partito
cristiano in Spagna. L'Opus Dei, in odore di grande vicinanza al regime di
Franco (alcuni ministri del regime venivano dall'opera), fu incaricato di
attuare il proposito. Ma da Escrivá venne un gran rifiuto. Disobbedire al
papa era grave in sé, ma ancor di più per chi era accusato di voler
formare una chiesa parallela.
Dopo la morte di Paolo VI, si racconta, l'Opus Dei cerca di influire sul
successore. Alla morte, improvvisa e misteriosa, di Luciani (comunque
gradito all'Opus Dei), inizia uno scontro di potere che si dipanerà per
tutto il pontificato di Wojtyla. Vedendo un papa mediatore tra più
fazioni, ma con il cuore vicino all'Opus Dei. Il paolino Paolo Rocca fa
una ricerca, lunga e osteggiatissima, sull'Opus Dei. E conferma: ci sono
norme palesi e norme occulte. La segretezza, sempre negata a parole, è
fondamentale. Due regole lo ímporrebbero, anche nei confronti dei vescovi
(ancora: ribelli alla gerarchia). E poi ci sono i «cooperatori», che
sarebbero sponsor ricercati tra uomini d'affari, avvocati, medici, notai,
docenti universitari, giornalisti.
Pochi fanno outing, cioè si rivelano espressamente: lo fa, per esempio,
il celebre chirurgo Raffaello Cortesini, allora «numerario» (oggi
sposato), che all'Europeo rivela
la sua vita povera e austera, difende le pratiche di mortificazione, gli
orari monacali, e i suoi lauti guadagni devoluti all'opera. Lo fa il
giornalista Rai Claudio Angelini. Di moltissimi «si dice» (e nessuno
smentisce): da Ettore Bernabei, ex direttore generale Rai, a Ombretta
Fumagalli Carulli, da Marcello Dell'Utri a Roberto Mezzaroma, il
costruttore. Non mancano i simpatizzanti, da Andreotti a Cossiga (che non
si perde una cerimonia, come il presidente di Bankitalia, Fazio).
Dopo lo scandalo P2 e la legge contro le associazioni segrete, la
questione Opus Dei arriva in Parlamento (interpellanza di Franco Bassanini
e Stefano Rodotà, febbraio 1986), ma l'allora ministro dell'Interno
Scalfaro replica secco, sollevando il fastidio dell'aula con lunghe
citazioni in latino: che i nomi di chi aderisce all'Opus Dei non siano
pubblici non configura la segretezza. Amen.
E poi, è davvero potente l’Opus Dei? Per i primi dieci anni di
pontificato di Wojtyla non c'è dubbio, l'influenza è evidente. Viene
dall'Opus il portavoce Navarro Vals, ed è in stile Opus «il papa
viaggiatore», esternatore, anticomunista come solo un polacco (o un
vecchio spagnolo cattolico) può esserlo.
L'Opus Dei accetta, a differenza di altri, di fare il «lavoro sporco» in
Sudamerica. Si tratta di smantellare la teologia della liberazione e
tornare all'antico. Ciò avviene senza mediazioni. La Chiesa deve gestire
la vergogna degli appoggi vaticani ai dittatori sanguinari in Cile e
Argentina, di un nunzio (Pio Laghi) che giocava a tennis con il capo dei
torturatori di Pinochet, il comandante della Marina ammiraglio Massera (lo
racconta Italo Moretti nel suo In
Sudamerica, Sperling&Kupfer, 2000, pp. 256, 12,39 €),
dell'amicizia tra il cardinal Sodano e lo stesso Pinochet. Eppure sembra
preoccuparsi di più dei preti del popolo. Vengono sostituiti, quasi
tutti, con uomini dell'Opus Dei. Il più clamoroso è Femando Sáenz
Lacalle, che diventa arcivescovo di San Salvador. dopo il martire Oscar
Romero e il salesiano Arturo Rivera.
La beatificazione di Balaguer, nel '92, riapre le polemiche. Molta
gerarchia si rivolta. Ex dell'Opus tirano fuori tutto il male possibile.
Balaguer si comprò un titolo nobiliare. E’ un atto da santi? Balaguer
era franchista e antisemita. Nel suo libro, Il
Cammino, si trova l’immagine di un uomo deciso, autoritario. Newsweek
parla dì processo di beatificazione manipolato. L'opera, certo, si
occupa anche di cose molto terrene: attacca i giudici di Palermo che
incriminano Andreotti. Attacca l'Ue che se la prende con Haider. Si
sostiene che nella sede centrale di via Bruno Buozzi, a Roma, passino
tutte le informazioni e arrivino tutti i documenti possibili. Anche un
agente della Cia, arrestato, confessa di essere dell'Opus Dei. Infine, ed
è storia recente, si accusa la prelatura di prefigurare l'elezione del
nuovo papa. Il candidato? Sarebbe l'attuale, nuovo, arcivescovo di Milano,
Dionigi Tettamanzi. Ha insegnato, a Roma, all'università dell'Opus Dei.
E’ conservatore, soprattutto su famiglia e genetica. Un suo libro del
'99 ha la prefazione di Antonio Fazio. E sulla Stampa di Torino ha
incensato Escrivá. Il santo è stato ottenuto, e finirà sugli altari per
la devota soddisfazione di uno stuolo di fedeli grati e invaghiti. Dice un
teologo: «Lo sa quanti sono i cardinali controllati dai Focolarini?
Trecentocinquanta. E perché si parla poco dei Focolarini e tanto dell'Opus
Dei?». Potere del mistero.
Attilio
Giordano |