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L’Ogm
che parla
Di
Maria Tarantino da «Scritto e mangiato» supp.to «Il
Manifesto»
Da anni
l’ostacolo maggiore alla penetrazione degli Ogm sul mercato globale è
un nome familiare dai confini incerti: si chiama opinione pubblica.
Soprattutto quella del Vecchio
Continente, dove gli Ogm vengono guardati con sospetto e dove persino i
britannici, tradizionalmente in simbiosi con gli Stati Uniti su tutte le
questioni che provocano attriti con l’Europa, non ne vogliono sentir
parlare. Forse è tutta colpa di scandali come quello della mucca pazza
o dei polli alla diossina, che hanno mostrato fino a che punto profitto
e produttività riescono a imporsi sulla qualità e sulla difesa della
salute. Il risultato è che, a torto o a ragione, la manipolazione
genetica viene vissuta come una modificazione potenzialmente pericolosa,
di cui si preferirebbe farne a meno. Cosa che non possono permettersi le
multinazionali, che hanno speso fondi consistenti per mettere a punto le
sementi geneticamente modificate e che sono impegnate nella
realizzazione di un mercato globale regolato dal monopolio dei brevetti.
Se
sul fronte diplomatico la chiusura dell’Europa agli Ogm si può
vincere a colpi di pressioni politiche e ricorsi all’Organizzazione
mondiale per il commercio, per agganciare la bizzarra costellazione che
va sotto il nome di «opinione pubblica» bisogna conoscere il profilo
psicologico e culturale che l’opinione pubblica assume nei diversi
paesi. Le multinazionali hanno imparato che il modo migliore per
affermare il proprio punto di vista è stare in disparte e lasciare che
a sostenerlo siano dei comuni cittadini. La gente che non ha interessi
propri da difendere risulta più convincente ed è più facile che venga
presa sul serio. Le multinazionali come la Monsanto affidato i propri
messaggi a società come la Bivings Group, che manipolano l’opinione
pubblica grazie al «marketing virale», intrufolandosi nei forum di
discussione su internet e diffondendo le opinioni delle multinazionali
sotto le sembianze do «comuni cittadini»(1)
La
tattica della Biving Group funziona. Nel novembre del 2001, gli autori
di una ricerca sul rischio di contaminazione da colture Ogm pubblicata
sulla rivista scientifica «Nature», vennero fatti a pezzi dalle
relazioni di un’opinione pubblica sapientemente manovrata dai messaggi
infamanti di due «cittadini comuni», rilevatasi in seguito nomi
fittizi che facevano capo alla Bivings (2)
Da solo, il marketing virale non basta. Occorre inserirlo in una
strategia più ampia e dimostrare che la posizione anti Ogm finisce per
provocare danni ben più gravi di quelli che vorrebbe evitare.
L’applicazione più evidente di questa strategia è osservabile in
Gran Bretagna, dove chi dice «no» agli Ogm viene accusato di essere
all’origine del possibile tracollo del settore della ricerca
scientifica. (3) Se l’opinione pubblica inglese si ostina a rifiutare
gli Ogm, sostiene la lobby pro-Ogm, il paese dovrà dire addio ai suoi
scienziati migliori, che per lavorare si sposteranno altrove. (4)
Peccato che sia stata proprio la dottrine pro-Ogm ad aver già provocato
il brutale accantonamento dei ricercatori che non utilizzano
l’ingegneria genetica. Persino quando le ricerche riguardavano nuovi
metodi applicabili alle colture tradizionali nei paesi africani, con
rese più alte e costi minori dei loro corrispondenti transgenici. (5)
Per
capire in quale direzione si muovano i ricercatori biotech britannici
basta considerare che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale ha
messo a disposizione 13 milioni di sterline per sviluppare colture
geneticamente modificate nei paesi poveri. (6) Non a caso la strategia
attuale pro-Ogm fa leva sulla millantata correlazione tra gli Ogm e la
possibilità di risolvere il problema della fame del mondo.
L’intenzione è chiara: se gli Ogm vengono presentati come la
soluzione ad un problema globale rispetto al quale nessuno può dirsi
indifferente, l’opposizione agli Ogm viene automaticamente screditata
e relegata nel campo di chi si ostina a negare fatti evidenti.
Poco importa che il problema della fame nel mondo sia un problema di
distribuzione iniqua delle risorse anziché un problema di cibo
sufficiente. Poco importa che gli Stati Uniti si servano dell’agenzia
USAID per propinare derrate alimentari Ogm a paesi africani come lo
Zimbawe e il Malati e che minaccino di sospendere gli aiuti quando lo
Zambia osa chiedere derrate Ogm-free. (7) Nonostante questi fatti,
l’opinione pubblica dovrebbe convincersi che gli Ogm sono stati
pensati per aiutare i paesi del terzo mondo.
E’
la dimensione etica, religiosa, sociale e politica dell’opinione
pubblica a fare l’oggetto della colonizzazione invasiva e saudente del
dogma biotech. In Italia, l’obbiettivo cui lavora la lobby pro-Ogm è
un pronunciamento favorevole da parte del Vaticano. Non è un caso che
se il simposio internazionale sugli Ogm svoltosi in Vaticano il 10 e 11
novembre scorso ha visto la partecipazione massiccia di relatori
favorevoli alle biotecnologie. Nonostante ciò, le reazioni contrarie
dei missionari che lavorano in Africa e nell’America del Sud hanno
obbligato il cardinale Renato Martino a trattenere l’entusiasmo verso
gli Ogm come strumento per risolvere il problema della fame nel mondo.
In Gran Bretagna è il governo ad essersi trovato in una situazione
imbarazzante lo scorso ottobre, quando i risultati della più importante
ricerca sugli effetti degli Ogm sulla biodiversità condotta dalla Royal
Society, che nelle intenzioni del governo dovevano servire a avallare la
già adottata linea pro-Ogm, hanno messo in evidenza l’impatto
negativo sulla biodiversità di alcune colture transgeniche. (8)
Il problema è che sulla questione Ogm, il ruolo della politica non sembra essere quello di dare ascolto all’opinione pubblica. Si tratta piuttosto di studiarne i meccanismi, come ci si prepara a fare una conferenza organizzata dalla Commissione europea a Bruxelles il prossimo dicembre. Dallo studio dei meccanismi che fanno sì che il pubblico percepisca qualcosa (gli Ogm) come pericoloso, agli strumenti che possono aumentare la fiducia nei regolamenti fondati sulle ricerche scientifiche, davvero un bel programma.
Note:
(1)
George Monbiot, «The Fake Persuaders», «The Guardian», 14
maggio 2002
(2)
Ibidem
(3)
George Monbiot, «The Enemies of Science», «The Guardian», 6
ottobre 2003
(4)
Ian Sample e James Meikle, «Brain drain threatens GM crop
research», «The Guardian», 25 settembre 2003
(5)
Aaron di Grassi, «Genetically Modified crops and Sustainaable
Poverty Alleviation in Sub-Saharan Africa», «Third World Network»,
Africa June 2003
(6)
Britain fund £ 13,4 million Gm programme in Third World, «Independent
on Sunday, 15 settembre 2002
(7)
On Eve of USDA Sacramento Biotech Ministerial, «African Voices
Counter Bush Claims About GMOs and African Hunger», «Global Trade
Watch», 18 giugno 2003
(8)
Agenzie, GM trials reveal mixed impact on wildlife, «The
Guardian», 16 ottobre 2003