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Ogm:
perché NO
A cura della
D.ssa Marina Mariani, autrice dei libri: "Gli organismi
geneticamente modificati", ed. Xenia - "Gli additivi. Come
riconoscere le sostanze nocive aggiunte in ciò che mangiamo",
ed Macro - "Alimenti geneticamente modificati", ed
Hoepli
Pubblicato su "Naturalmente"
Li conoscono in molti, anche se non tutti sanno davvero di
cosa si tratta. Sono gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM),
esseri viventi ottenuti inserendo nelle cellule materiale genetico ad
esse estraneo, proveniente da piante, animali, batteri, virus, e perfino
da esseri umani. Questo tema così controverso ci riguarda tutti per
fatto che la nostra dieta comprende già alcune piante che potrebbero
rientrare in questa categoria. La soia e il mais sono state le prime
colture sottoposte a modifiche genetiche e attualmente i brevetti
depositati per specie geneticamente modificate sono più di
Illustri uomini di scienza si sono già pronunciati sia in
favore che contro questo tipo di intervento, che nulla ha in comune con
le tradizionali tecniche di selezione operate dagli agricoltori per
secoli. Adesso l’ultima parola spetta al consumatore, a chi va a fare
la spesa, che può decidere se vuole o non vuole trovarsi nel piatto
questi alimenti.
Siamo perfettamente consapevoli del fatto che le biotecnologie sono una
delle frontiere più avanzate e promettenti della ricerca e della
innovazione tecnologica.
Ma la ricerca deve sempre essere valutata in base al rapporto tra i
costi e i benefici.
Dopo aver ascoltato le grida di chi, in televisione e sui giornali, ha
cercato di convincerci che gli ogm sono bravi, belli e buoni,
addirittura meglio degli altri alimenti noi continuiamo ad essere
scettici, non solo sulle loro caratteristiche nutritive, ma anche sul
modo in cui ci vengono proposti.
In questo articolo vi spieghiamo perché.
NON SIAMO SICURI CHE
SIANO INNOCUI
Ci riferiamo alle garanzie di sicurezza alimentare che,
ancora oggi e dopo vent’anni di modifiche genetiche, ancora non ci
sono.
Coloro che si oppongono alla diffusione di ogm sono stati spesso
accusati di essere dei poveri ignoranti, paurosi del futuro e del
progresso scientifico.
Noi, al contrario esigiamo prove condotte con il rigore che la scienza
deve essere in grado di dare.
Quello che non sempre viene dichiarato è che non sono tutte rose e
fiori: per esempio ci si è accorti che un tipo di soia modificata
contiene sostanze ritenute responsabili di diminuire l’accrescimento.
Può darsi che particolari come questi, per qualcuno siano
semplici dettagli. Per noi non lo sono.
Si ha un bel dire che, essendo state consumate da migliaia di
Statunitensi per oltre un decennio, tutto sommato grossi guai non sono
emersi, non ci si fa scrupolo ad affermare che “non è ancora morto
nessuno”. Questa non è scienza e comunque non è vero.
Sono passati molti anni da quando, nel 1988, negli USA 37 persone
morirono dopo aver consumato un integratore alimentare ottenuto da
microrganismi modificati.
In tempi più recenti si sono avuti casi di intossicazione
(citati anche da quotidiani molto noti): alcune persone, negli USA, sono
finite al pronto soccorso per aver consumato un alimento prodotto con un
mais geneticamente modificato originariamente approvato solo per consumo
animale.
Sono stati registrati casi di shock anafilattico e numerosi problemi,
fortunatamente meno gravi, dovuti all'ingestione del mais StarLink
finito per "errore" negli alimenti destinati agli umani. Quel
mais non avrebbe dovuto essere lì, invece c’era. Come è stato
possibile?
Molto banalmente, infine, notiamo che i casi di allergie e intolleranze
alimentari sono in aumento tra la popolazione. Un'indagine condotta da
15 Centri della Società Italiana di gastroenterologia ed epatologia
pediatrica su 17 mila studenti delle scuole medie inferiori ha
dimostrato la presenza di celiachia, cioè l'intolleranza al glutine, in
un caso su 150. Qualche anno fa la frequenza era di un caso su
1000/2000.
Dato che stiamo consumando frumento da secoli come alimento
di base e senza aver acquisito intolleranza, sembra logico avanzare
l’ipotesi che la causa sia da ricercare nel tipo di frumento che si
sta attualmente consumando. Gli ogm potrebbero aggravare questa
situazione.
Il fatto è che non siamo in grado di ricondurre nessun malessere,
temporaneo o duraturo, acuto o cronico, al consumo di ogm, perché per
anni non sono stati dichiarati in etichetta, quindi non possiamo sapere
se ci sono stati effetti sui parametri fisiologici e clinici; in altri
termini, come si fa a sapere se qualcuno dei malanni che periodicamente
ci disturbano può essere dovuto “anche” al consumo di ogm se per
anni non sono stati riconoscibili?
Ci piacerebbe chiedere agli Statunitensi, che da anni
consumano prodotti a base di mais e soia gm, se sono contenti di
aver fatto inconsciamente da cavia per tutti questi anni; crediamo di
no, visto che alcune contee statunitensi (Mendocino, Stato della
California, in testa) hanno già cominciato la loro battaglia per
dichiararsi liberi da ogm.
Ecco il punto: nonostante le insistenze di molti comitati scientifici
indipendenti e delle associazioni di consumatori, non è ancora successo
che un gruppo di volontari, nutriti con alimenti gm, sia stato
sottoposto a un controllo costante negli anni, che permettesse di capire
se questi nuovi alimenti sono davvero sicuri come qualcuno dice.
Eppure di tempo ne è passato, se si fosse iniziato subito a quest’ora
avremmo già le risposte e le rassicurazioni che vogliamo. Non vogliamo
pensare che sia stato per mancanza di volontari, e vista la grande
quantità di scienziati che sostengono i pregi di questi alimenti
riteniamo che potrebbero essere proprio loro a dare questa prova,
sottoponendosi con coerenza a un esperimento di nutrizione a base di
ogm.
Non sono mancati scienziati che hanno già lavorato in
questo senso, uno studio condotto in modo scientificamente attendibile
è, per esempio, quello svolto dall’Università di Newcastle.
Ma, per quanto utile e interessante, l’esperimento ha impiegato un
numero di volontari molto ridotto (12) e, soprattutto, è durato poco
tempo. E’ comunque servito a dimostrare che, contrariamente a quanto
si pensava, il DNA resta integro nell’intestino per alcuni minuti,
tempo potenzialmente sufficiente per interagire con la microflora
intestinale.
NON E’ VERO CHE
SONO STABILI
Oggi la scienza non dispone degli strumenti per capire cosa
accade esattamente con una manipolazione genetica, tanto meno per
prevedere i risultati a medio e lungo termine. Si è capito che nessun
gene funziona isolatamente, e poco si sa delle interazioni che possono
avvenire tra i geni e con l'ambiente.
Nella relazione della Compagnia che detiene il brevetto del
mais Bt11, recentemente accettato dall’Unione Europea, viene dichiara
la presenza di una singola copia del transgene inserito. Invece le
analisi condotte del Belgian Council for Biosafety hanno rivelato che
questo inserto nel tempo ha subìto una specie di assestamento, sono
stati rilevati frammenti in posizioni anormali e parti troncate.
Non si è neanche sicuri che sia presente solo una copia del transgene
inserito originariamente.
Sembrerebbe infatti che il materiale genetico inserito si sia duplicato
da solo e di propria iniziativa si sia inserito in parti diverse dei
cromosomi.
Questo è un caso tutt’altro che strano, esistono infatti
alcune porzioni di materiale genetico, note come trasposoni, in grado di
autoduplicarsi e “saltare qua e là”. Si tenga presente che
l’inserimento di un gene estraneo (il transgene), avviene sempre in
modo casuale, quindi potrebbe benissimo essersi inserito in un
trasposone.
Purtroppo questo significa che il suo destino è continuare a
modificarsi da solo, in modo casuale e, quel che è peggio, totalmente
fuori controllo.
Un'altra scoperta preoccupante è che questo mais potrebbe già essere
stato contaminato da un altro mais transgenico (il Bt176), che nel 2001
è stato collegato alla morte di alcune vacche da latte in Germania.
Infatti ci si è accorti che per identificare il transgene di
questi due tipi di mais è possibile usare lo stesso reagente (il
cosiddetto primer) che “funziona” in entrambi i casi.
Riteniamo che questi esempi dovrebbero far riflettere.
NON E’ VERO CHE
SONO PIU’ SICURI DEI PRODOTTI BIOLOGICI
Recentemente sui giornali e in programmi televisivi alcuni
noti scienziati, apertamente favorevoli agli ogm, hanno dichiarato che i
prodotti biologici, che non usano fungicidi, sono più contaminati da
aflatossine rispetto ai prodotti convenzionali e a quelli geneticamente
modificati, dando ad intendere al pubblico che gli ogm potrebbero essere
la soluzione anche per questo problema. Le aflatossine appartengono alla
categoria delle micotossine, sono cioè sostanze molto tossiche,
prodotte da alcuni ceppi di muffe (dei generi Fusarium e Aspergillus),
con effetti potenzialmente cancerogeni sul fegato. Le infestazioni di
queste muffe si hanno sui foraggi insilati quando le condizioni
ambientali sono particolarmente calde e umide. Le aflatossine ingerite
dagli animali vengono eliminate anche tramite il latte ed è per questa
via che possono arrivare ai prodotti caseari.
Non vogliamo qui dilungarci spiegando come, nelle
coltivazioni biologiche, l’estratto di agave sia risultato utile per
inibire le crescita di muffe e la produzione di micotossine, ci
riserviamo di farlo in una futura occasione. Tuttavia teniamo a
puntualizzare che l’effetto delle colture gm nell’ostacolare la
produzione di aflatossine è solo indiretto: infatti le colture che sono
state modificate inserendo il gene Bt, che ha effetto insetticida,
evitano le infestazioni degli insetti parassiti, e quindi si limitano a
ridurre la possibilità che sulle ferite aperte dagli insetti possano,
eventualmente e in un secondo tempo, svilupparsi le muffe. A coloro che
sostengono queste ipotesi vogliano citare le conclusioni apparse nel
rapporto della FAO in occasione del congresso tenutosi a Porto nel
luglio del 2000.
I GENI CHE VENGONO
INSERITI NON SONO UGUALI A QUELLI NATURALI
Molti dei geni introdotti nelle piante sono composti da frammenti di
DNA di origine batterica che però sono stati prodotti ex-novo in
laboratorio, in modo da includere alcune parti che servono a migliorare
l’effetto finale, servono cioè a renderne più efficiente
l’espressione nella pianta.
La sequenza del DNA della tossina, e quindi la sua formula chimica, è
diversa da quella prodotta da un microbo, in quanto è stata modificata
per rendere il gene più attivo nella coltura oppure per fare in modo
che si possa sciogliere nella cellula vegetale.
Del resto una pianta e un batterio non potrebbero mai produrre la stessa
identica sostanza, non fosse altro per il fatto che non dispongono degli
stessi organi.
Ogni tossina che si fa produrre a una pianta coltivata è
quindi diversa rispetto a quella naturale. I test condotti per
verificare l’innocuità e la sicurezza delle piante gm sui mammiferi e
sull’ambiente si sono basati sulla tossina naturale, non hanno affatto
verificato quella “vera”, cioè quella che davvero è presente nella
pianta, non si è preso in considerazione l’effettivo prodotto dei
geni modificati, presente nella coltura gm.
Questo significa che le tossine presenti effettivamente nelle colture
modificate non sono mai state sottoposte a una valutazione di tossicità.
Si è dato per scontato che le tossine prodotte dai geni modificati
fossero identiche a quelle delle tossine naturali, ma così non è.
Sappiamo bene che si tratta di analisi che hanno costi molto elevati, ma
riteniamo che la salute dei consumatori abbia un valore comunque
maggiore.
NON E’ VERO CHE
SONO IN GRADO SI SFAMARE IL TERZO MONDO
Nonostante le affermazioni che abbiamo sentito fare nelle recenti
campagne elettorali da alcuni politici, e quelle delle ditte sementiere
che vorrebbero far credere di essere opere pie di beneficenza, vogliamo
che una cosa sia chiara: almeno per il momento, non esiste alcuna
coltura geneticamente modificata in grado di rispondere alle esigenze
delle popolazioni più povere. Siamo al corrente che è in fase di
studio un tipo di frumento resistente alla siccità, ma allo stato
attuale delle cose, purtroppo, non esiste semente gm che possa trovare
impiego per sfamare le popolazioni del cosiddetto “terzo mondo”.
Avevamo sperato che il favoloso “golden rice” potesse
almeno risolvere le carenze di vitamina A che affliggono alcune
popolazioni, ma anche questa si è rivelata una delusione: non solo
perché la vitamina A presente nei semi è in una forma chimica
scarsamente efficace dal punto di vista nutrizionale, ma soprattutto
perché la quantità di questo riso che dovrebbe essere consumata da
ogni persona, bambini compresi, supera abbondantemente i due chilogrammi
al giorno.
Un problema da non sottovalutare è inoltre la necessità che gli
agricoltori acquistino i semi (costosi) ogni anno, senza avere la
possibilità di riseminare una parte del raccolto dell’anno
precedente.
Questa necessità comporta una dipendenza ancora più stretta degli
agricoltori nei confronti delle ditte sementiere, che del resto devono
in qualche modo rientrare delle ingentissime spese sostenute per mettere
a punto queste sementi e non possono certo permettere che vengano
acquistate una sola volta.
LE RIPERCUSSIONI
SULL’AMBIENTE
Si parla molto del rischio che si perda la biodiversità: tanto
tempo fa le varietà coltivate erano moltissime, oggi si rischia di
vedere ridotto questo patrimonio a poche decine. In questo ambito le
piante gm potrebbero prendere il sopravvento su tutte le altre, non solo
diffondendo il loro polline, ma sostituendosi a tutte le varietà locali
grazie alla loro resistenza ai parassiti e ai diserbanti.
Le prime coltivazioni a essere danneggiate saranno certamente quelle
biologiche.
L’elemento che troppo spesso viene sottovalutato è il polline. Questa
polverina impalpabile ha la possibilità di essere trasportata dal vento
anche a distanze notevoli.
Vorremmo riflettere su un dato preciso: attualmente la
presenza di ogm in un prodotto fino allo 0,9 % è legalmente considerata
“accidentale”. Secondo noi proprio questo dettaglio
costituisce una dichiarazione implicita di incapacità di gestire la
diffusione dei transgeni nell’ambiente.
Per definizione le colture biologiche sono esenti da ogm, ma come si può
evitare che il polline estraneo le raggiunga? Ecco perché si discute
molto della distanza da garantire tra i campi che ospitano colture gm e
quelli con colture biologiche.
Restiamo davvero stupiti quando leggiamo, anche su giornali molto noti
(si veda per esempio il Corriere della Sera del 4 novembre 2004), le
affermazioni di alcuni genetisti secondo i quali il polline del mais non
va oltre i
Del resto gli agronomi sanno bene che il polline del mais
può giungere ben oltre i
Questo è il problema: genetisti, oncologi e agronomi, sul tema degli
ogm si consultano e collaborano troppo poco. A giudicare da quanto si
sente, sembra proprio che ogni categoria di scienziati resti chiusa nel
suo mondo, e non prenda in considerazione altri punti di vista, il che
è un peccato.
Esiste perfino un gruppo di volontari, i seed savers, che va alla
ricerca delle sementi tradizionali, quelle che hanno caratteri
particolari e radici che affondano nella cultura stessa delle nostre
regioni; anno dopo anno questi semi vengono coltivati e mantenuti
vitali, per evitare che spariscano per sempre e perché un giorno,
forse, qualcuno ne avrà bisogno.
Molti agricoltori italiani scalpitano, non vedono l’ora
di iniziare a coltivare piante gm, ma stanno prendendo un abbaglio se
pensano di risolvere così tutti i problemi di parassiti e piante
infestanti. Infatti sta già avvenendo una selezione genetica di erbe
infestanti e di insetti che non risentono di alcun danno dalle piante gm.
La tossina prodotta dal mais Bt, ad esempio è già inefficace su alcuni
insetti, che hanno sviluppato una naturale resistenza. I geni di
resistenza a un certo diserbante sono già stati assorbiti anche da
alcune piante infestanti, che quindi non ne risentono più.
In breve: facciamo attenzione perché gli eventuali vantaggi potrebbero
essere comunque di breve durata e gli eventuali svantaggi tutti a carico
degli agricoltori, che dovranno farsi carico dei rischi connessi alle
loro colture e per questo motivo rischiano di essere fortemente
penalizzati.
Vogliamo ricordare che nessuna compagnia di assicurazione
ha mai accettato di accollarsi il rischio di possibili danni da parte di
colture gm.
Per quanto riguarda la sicurezza e la tutela ambientale si deve
applicare il cosiddetto “principio di precauzione”, ossia non si
possono coltivare specie vegetali modificate fino a quando non si è
dimostrato che queste colture non arrecano danni all’ambiente o alla
salute dei consumatori. Siccome nei transgeni vengono impiegate anche
porzioni di materiale genetico di virus, necessarie per ottenere
l’inserimento nella cellula ospite, non si può escludere la
possibilità che avvenga quello che si chiama “trasferimento
orizzontale”, cioè la diffusione incontrollata di geni a specie
diverse.
Nell’incertezza è senz’altro preferibile non compiere scelte con
effetti irreversibili: già, perché l’inquinamento genetico, cioè la
diffusione dei geni per mezzo del polline, non è un evento che si può
controllare, né fermare, né revocare. Si tratta di una macchina che,
una volta avviata, non si potrà mai più “spegnere”.
Il rapporto del Centro Comune di Ricerche della UE ha evidenziato
gravi problemi di convivenza tra agricoltura transgenica, agricoltura
biologica e convenzionale, affermando che l’agricoltura biologica
sarebbe irreversibilmente compromessa dalla contaminazione da OGM e
paventando, inoltre, forti rischi di perdita di competitività per
l’agricoltura convenzionale.
Per cercare di tutelare i diversi tipi di coltivazioni e, specialmente,
il diritto di scelta dei consumatori, in Italia è recentemente entrato
in vigore il discusso Decreto-Legge 22 novembre 2004, n.279, più
noto come Decreto Alemanno.
In esso si afferma che “L'attuazione delle regole di
coesistenza deve assicurare ai consumatori la reale possibilità di
scelta tra prodotti transgenici e non transgenici e, pertanto, le
coltivazioni transgeniche sono praticate all'interno di filiere di
produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche.”
Questo ci sembra giusto, ma stiamo a vedere cosa faranno le regioni,
delegate a decidere, entro la fine di quest’anno, secondo quali regole
e criteri potranno essere coltivate piante transgeniche. Stiamo quindi a
vedere come le nostre regioni risolveranno il problema della coesistenza
tra le diverse coltivazioni.
Intanto 1300 comuni italiani hanno scelto di essere OGM free, cioè
liberi da ogm.
FINALMENTE LE
ETICHETTE
Dopo molte insistenze, e solo in tempi recenti (il 18
aprile 2004), nell’Unione Europea si è riusciti a ottenere che la
presenza di ingredienti geneticamente modificati in un alimento sia
dichiarata in etichetta. Si è trattato di un successo non da poco,
vista la netta opposizione di tutte le multinazionali che producono
sementi gm e di molti comitati scientifici.
In Italia per il momento non risulta siano coltivate piante
geneticamente modificate, se non in via sperimentale e in campi
confinati, ma è certo che da anni vengono importate molte sementi di
questo tipo. Come dire che, anche senza avvisarci, ce le hanno fatte
mangiare. Proprio su questo punto è incentrato il nostro maggiore
dissenso: riteniamo che il consumatore debba poter scegliere e non ci
sembra giusto che per anni gran parte del mais e della soia che abbiamo
importato contenesse anche semi gm senza che questo fatto fosse
dichiarato esplicitamente.
Anche la Coldiretti
ha preso atto della grande diffidenza dei consumatori italiani nei
confronti dei cibi che contengono ogm, tant’è che le industrie
alimentari sono state scoraggiate a produrli e a
commercializzarli.
Molti italiani non si fidano, rispetto allo scorso anno sono aumentati
del 12% coloro che comprano alimenti garantiti per l'assenza di ogm e
oggi ben un italiano su due non si accontenta delle normali garanzie ma
acquista cibi che sono certificati come Ogm free.
La prova si è avuta quando è stato messo in commercio un olio
alimentare che in etichetta dichiarava di essere stato ottenuto da semi
gm. Si trattava del primo esempio di alimento ottenuto da materie prime
gm messo in commercio in Italia: un olio di semi di soia, importata
dall’America, raffinato in Italia e proposto a un prezzo molto basso,
solo 89 centesimi al litro.
Probabilmente il prezzo basso non è stato sufficiente a convincere i
consumatori. Non l’ha comprato quasi nessuno, e nel giro di 10 giorni
è stato ritirato dal mercato.