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Ogm: perché NO
A cura della D.ssa Marina Mariani, autrice dei libri: "Gli organismi geneticamente modificati", ed. Xenia - "Gli additivi. Come riconoscere le sostanze nocive aggiunte in ciò che mangiamo", ed Macro - "Alimenti geneticamente modificati", ed Hoepli  
Pubblicato su "Naturalmente"

Li conoscono in molti, anche se non tutti sanno davvero di cosa si tratta. Sono gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), esseri viventi ottenuti inserendo nelle cellule materiale genetico ad esse estraneo, proveniente da piante, animali, batteri, virus, e perfino da esseri umani. Questo tema così controverso ci riguarda tutti per fatto che la nostra dieta comprende già alcune piante che potrebbero rientrare in questa categoria. La soia e il mais sono state le prime colture sottoposte a modifiche genetiche e attualmente i brevetti depositati per specie geneticamente modificate sono più di 2000. In Europa è già stato dato il via a 37 di questi.

Illustri uomini di scienza si sono già pronunciati sia in favore che contro questo tipo di intervento, che nulla ha in comune con le tradizionali tecniche di selezione operate dagli agricoltori per secoli. Adesso l’ultima parola spetta al consumatore, a chi va a fare la spesa, che può decidere se vuole o non vuole trovarsi nel piatto questi alimenti.
Siamo perfettamente consapevoli del fatto che le biotecnologie sono una delle frontiere più avanzate e promettenti della ricerca e della innovazione tecnologica.
Ma la ricerca deve sempre essere valutata in base al rapporto tra i costi e i benefici.
Dopo aver ascoltato le grida di chi, in televisione e sui giornali, ha cercato di convincerci che gli ogm sono bravi, belli e buoni, addirittura meglio degli altri alimenti noi continuiamo ad essere scettici, non solo sulle loro caratteristiche nutritive, ma anche sul modo in cui ci vengono proposti.
In questo articolo vi spieghiamo perché.

NON SIAMO SICURI CHE SIANO INNOCUI
Ci riferiamo alle garanzie di sicurezza alimentare che, ancora oggi e dopo vent’anni di modifiche genetiche, ancora non ci sono.
Coloro che si oppongono alla diffusione di ogm sono stati spesso accusati di essere dei poveri ignoranti, paurosi del futuro e del progresso scientifico.
Noi, al contrario esigiamo prove condotte con il rigore che la scienza deve essere in grado di dare.
Quello che non sempre viene dichiarato è che non sono tutte rose e fiori: per esempio ci si è accorti che un tipo di soia modificata contiene sostanze ritenute responsabili di diminuire l’accrescimento.

Può darsi che particolari come questi, per qualcuno siano semplici dettagli. Per noi non lo sono.
Si ha un bel dire che, essendo state consumate da migliaia di Statunitensi per oltre un decennio, tutto sommato grossi guai non sono emersi, non ci si fa scrupolo ad affermare che “non è ancora morto nessuno”. Questa non è scienza e comunque non è vero.
Sono passati molti anni da quando, nel 1988,  negli USA 37 persone morirono dopo aver consumato un integratore alimentare ottenuto da microrganismi modificati.

In tempi più recenti si sono avuti casi di intossicazione (citati anche da quotidiani molto noti): alcune persone, negli USA, sono finite al pronto soccorso per aver consumato un alimento prodotto con un mais geneticamente modificato originariamente approvato solo per consumo animale.
Sono stati registrati casi di shock anafilattico e numerosi problemi, fortunatamente meno gravi, dovuti all'ingestione del mais StarLink finito per "errore" negli alimenti destinati agli umani. Quel mais non avrebbe dovuto essere lì, invece c’era. Come è stato possibile?
Molto banalmente, infine, notiamo che i casi di allergie e intolleranze alimentari sono in aumento tra la popolazione. Un'indagine condotta da 15 Centri della Società Italiana di gastroenterologia ed epatologia pediatrica su 17 mila studenti delle scuole medie inferiori ha dimostrato la presenza di celiachia, cioè l'intolleranza al glutine, in un caso su 150. Qualche anno fa la frequenza era di un caso su 1000/2000.

Dato che stiamo consumando frumento da secoli come alimento di base e senza aver acquisito intolleranza, sembra logico avanzare l’ipotesi che la causa sia da ricercare nel tipo di frumento che si sta attualmente consumando. Gli ogm potrebbero aggravare questa situazione. 
Il fatto è che non siamo in grado di ricondurre nessun malessere, temporaneo o duraturo, acuto o cronico, al consumo di ogm, perché per anni non sono stati dichiarati in etichetta, quindi non possiamo sapere se ci sono stati effetti sui parametri fisiologici e clinici; in altri termini, come si fa a sapere se qualcuno dei malanni che periodicamente ci disturbano può essere dovuto “anche” al consumo di ogm se per anni non sono stati riconoscibili?

Ci piacerebbe chiedere agli Statunitensi, che da anni consumano prodotti a base di mais  e soia gm, se sono contenti di aver fatto inconsciamente da cavia per tutti questi anni; crediamo di no, visto che alcune contee statunitensi (Mendocino, Stato della California, in testa) hanno già cominciato la loro battaglia per dichiararsi liberi da ogm.
Ecco il punto: nonostante le insistenze di molti comitati scientifici indipendenti e delle associazioni di consumatori, non è ancora successo che un gruppo di volontari, nutriti con alimenti gm, sia stato sottoposto a un controllo costante negli anni, che permettesse di capire se questi nuovi alimenti sono davvero sicuri come qualcuno dice.
Eppure di tempo ne è passato, se si fosse iniziato subito a quest’ora avremmo già le risposte e le rassicurazioni che vogliamo. Non vogliamo pensare che sia stato per mancanza di volontari, e vista la grande quantità di scienziati che sostengono i pregi di questi alimenti riteniamo che potrebbero essere proprio loro a dare questa prova, sottoponendosi con coerenza a un esperimento di nutrizione a base di ogm.

Non sono mancati scienziati che hanno già lavorato in questo senso, uno studio condotto in modo scientificamente attendibile è, per esempio, quello svolto dall’Università di Newcastle. 
Ma, per quanto utile e interessante, l’esperimento ha impiegato un numero di volontari molto ridotto (12) e, soprattutto, è durato poco tempo. E’ comunque servito a dimostrare che, contrariamente a quanto si pensava, il DNA resta integro nell’intestino per alcuni minuti, tempo potenzialmente sufficiente per interagire con la microflora intestinale.

NON E’ VERO CHE SONO STABILI
Oggi la scienza non dispone degli strumenti per capire cosa accade esattamente con una manipolazione genetica, tanto meno per prevedere i risultati a medio e lungo termine. Si è capito che nessun gene funziona isolatamente, e poco si sa delle interazioni che possono
avvenire tra i geni e con l'ambiente.

Nella relazione della Compagnia che detiene il brevetto del mais Bt11, recentemente accettato dall’Unione Europea, viene dichiara la presenza di una singola copia del transgene inserito. Invece le analisi condotte del Belgian Council for Biosafety hanno rivelato che questo inserto nel tempo ha subìto una specie di assestamento, sono stati rilevati frammenti in posizioni anormali e parti troncate.
Non si è neanche sicuri che sia presente solo una copia del transgene inserito originariamente.
Sembrerebbe infatti che il materiale genetico inserito si sia duplicato da solo e di propria iniziativa si sia inserito in parti diverse dei cromosomi.

Questo è un caso tutt’altro che strano, esistono infatti alcune porzioni di materiale genetico, note come trasposoni, in grado di autoduplicarsi e “saltare qua e là”. Si tenga presente che l’inserimento di un gene estraneo (il transgene), avviene sempre in modo casuale, quindi potrebbe benissimo essersi inserito in un trasposone.
Purtroppo questo significa che il suo destino è continuare a modificarsi da solo, in modo casuale e, quel che è peggio, totalmente fuori controllo.
Un'altra scoperta preoccupante è che questo mais potrebbe già essere stato contaminato da un altro mais transgenico (il Bt176), che nel 2001 è stato collegato alla morte di alcune vacche da latte in Germania. Infatti ci si è accorti che  per identificare il transgene di questi due tipi di mais è possibile usare lo stesso reagente (il cosiddetto primer) che  “funziona” in entrambi i casi.
Riteniamo che questi esempi dovrebbero far riflettere.

NON E’ VERO CHE SONO PIU’ SICURI DEI PRODOTTI BIOLOGICI
Recentemente sui giornali e in programmi televisivi alcuni noti scienziati, apertamente favorevoli agli ogm, hanno dichiarato che i prodotti biologici, che non usano fungicidi, sono più contaminati da aflatossine rispetto ai prodotti convenzionali e a quelli geneticamente modificati, dando ad intendere al pubblico che gli ogm potrebbero essere la soluzione anche per questo problema. Le aflatossine appartengono alla categoria delle micotossine, sono cioè sostanze molto tossiche, prodotte da alcuni ceppi di muffe (dei generi Fusarium e Aspergillus), con effetti potenzialmente cancerogeni sul fegato. Le infestazioni di queste muffe si hanno sui foraggi insilati quando le condizioni ambientali sono particolarmente calde e umide. Le aflatossine ingerite dagli animali vengono eliminate anche tramite il latte ed è per questa via che possono arrivare ai prodotti caseari.

Non vogliamo qui dilungarci spiegando come, nelle coltivazioni biologiche, l’estratto di agave sia risultato utile per inibire le crescita di muffe e la produzione di micotossine, ci riserviamo di farlo in una futura occasione.  Tuttavia teniamo a puntualizzare che l’effetto delle colture gm nell’ostacolare la produzione di aflatossine è solo indiretto: infatti le colture che sono state modificate inserendo il gene Bt, che ha effetto insetticida, evitano le infestazioni degli insetti parassiti, e quindi si limitano a ridurre la possibilità che sulle ferite aperte dagli insetti possano, eventualmente e in un secondo tempo, svilupparsi le muffe. A coloro che sostengono queste ipotesi vogliano citare le conclusioni apparse nel rapporto della FAO in occasione del congresso tenutosi a Porto nel luglio del 2000.

La FAO è ritenuta un organismo scientificamente attendibile, pertanto ci limitiamo a citare testualmente: “dagli studi presentati non si può concludere che le coltivazioni biologiche comportino un aumento del rischio di contaminazione da micotossine. E’ importante sottolineare che sono previste buone pratiche agricole e di stoccaggio, nell’agricoltura convenzionale e biologica, che servono a minimizzare i rischi di sviluppo di muffe e contaminazione da micotossine”. Inoltre la stessa FAO cita due studi che hanno dimostrato che i livelli di una aflatossina sono risultati addirittura inferiori nel latte biologico rispetto a quello convenzionale e conclude affermando che  “Buone pratiche di alimentazione del bestiame richiedono che i foraggi siano stoccati in modo da evitare la contaminazione. Dato che il bestiame allevato con il sistema biologico viene nutrito con maggiori proporzioni di fieno, erba e foraggi insilati, c’è una ridotta possibilità che alimenti contaminati da micotossine comportino la contaminazione del latte”.

I GENI CHE VENGONO INSERITI NON SONO UGUALI A QUELLI NATURALI
Molti dei geni introdotti nelle piante sono composti da frammenti di DNA di origine batterica che però sono stati prodotti ex-novo in laboratorio, in modo da includere alcune parti che servono a migliorare l’effetto finale, servono cioè a renderne più efficiente l’espressione nella pianta.
La sequenza del DNA della tossina, e quindi la sua formula chimica, è diversa da quella prodotta da un microbo, in quanto è stata modificata per rendere il gene più attivo nella coltura oppure per fare in modo che si possa sciogliere nella cellula vegetale.
Del resto una pianta e un batterio non potrebbero mai produrre la stessa identica sostanza, non fosse altro per il fatto che non dispongono degli stessi organi.

Ogni tossina che si fa produrre a una pianta coltivata è quindi diversa rispetto a quella naturale. I test condotti per verificare l’innocuità e la sicurezza delle piante gm sui mammiferi e sull’ambiente si sono basati sulla tossina naturale, non hanno affatto verificato quella “vera”, cioè quella che davvero è presente nella pianta, non si è preso in considerazione l’effettivo prodotto dei geni modificati, presente nella coltura gm.
Questo significa che le tossine presenti effettivamente nelle colture modificate non sono mai state sottoposte a una valutazione di tossicità.
Si è dato per scontato che le tossine prodotte dai geni modificati fossero identiche a quelle delle tossine naturali, ma così non è.
Sappiamo bene che si tratta di analisi che hanno costi molto elevati, ma riteniamo che la salute dei consumatori abbia un valore comunque maggiore.

NON E’ VERO CHE SONO IN GRADO SI SFAMARE IL TERZO MONDO
Nonostante le affermazioni che abbiamo sentito fare nelle recenti campagne elettorali da alcuni politici, e quelle delle ditte sementiere che vorrebbero far credere di essere opere pie di beneficenza, vogliamo che una cosa sia chiara: almeno per il momento, non esiste alcuna coltura geneticamente modificata in grado di rispondere alle esigenze delle popolazioni più povere. Siamo al corrente che è in fase di studio un tipo di frumento resistente alla siccità, ma allo stato attuale delle cose, purtroppo, non esiste semente gm che possa trovare impiego per sfamare le popolazioni del cosiddetto “terzo mondo”.

Avevamo sperato che il favoloso “golden rice” potesse almeno risolvere le carenze di vitamina A che affliggono alcune popolazioni, ma anche questa si è rivelata una delusione: non solo perché la vitamina  A presente nei semi è in una forma chimica scarsamente efficace dal punto di vista nutrizionale, ma soprattutto perché la quantità di questo riso che dovrebbe essere consumata da ogni persona, bambini compresi, supera abbondantemente i due chilogrammi al giorno. 
Un problema da non sottovalutare è inoltre la necessità che gli agricoltori acquistino i semi (costosi) ogni anno, senza avere la possibilità di riseminare una parte del raccolto dell’anno precedente.
Questa necessità comporta una dipendenza ancora più stretta degli agricoltori nei confronti delle ditte sementiere, che del resto devono in qualche modo rientrare delle ingentissime spese sostenute per mettere a punto queste sementi e non possono certo permettere che vengano acquistate una sola volta.

LE RIPERCUSSIONI SULL’AMBIENTE
Si parla molto del rischio che si perda la biodiversità: tanto tempo fa le varietà coltivate erano moltissime, oggi si rischia di vedere ridotto questo patrimonio a poche decine. In questo ambito le piante gm potrebbero prendere il sopravvento su tutte le altre, non solo diffondendo il loro polline, ma sostituendosi a tutte le varietà locali grazie alla loro resistenza ai parassiti e ai diserbanti.
Le prime coltivazioni a essere danneggiate saranno certamente quelle biologiche.
L’elemento che troppo spesso viene sottovalutato è il polline. Questa polverina impalpabile ha la possibilità di essere trasportata dal vento anche a distanze notevoli.

Vorremmo riflettere su un dato preciso: attualmente la presenza di ogm in un prodotto fino allo 0,9 % è legalmente considerata “accidentale”. Secondo noi proprio questo dettaglio  costituisce una dichiarazione implicita di incapacità di gestire la diffusione dei transgeni nell’ambiente.
Per definizione le colture biologiche sono esenti da ogm, ma come si può evitare che il polline estraneo le raggiunga? Ecco perché si discute molto della distanza da garantire tra i campi che ospitano colture gm e quelli con colture biologiche.
Restiamo davvero stupiti quando leggiamo, anche su giornali molto noti (si veda per esempio il Corriere della Sera del 4 novembre 2004), le affermazioni di alcuni genetisti secondo i quali il polline del mais non va oltre i 25 metri e quello del riso non supera distanze oltre il mezzo metro. Vorremmo far presente che, nella Pianura Padana, quando il riso e il mais sono in fioritura, normalmente c’è vento. Riteniamo non sia necessario essere degli esperti per comprendere che mezzo metro sia una distanza decisamente improbabile.

Del resto gli agronomi sanno bene che il polline del mais può giungere ben oltre i 2 chilometri dal campo in cui viene prodotto.
Questo è il problema: genetisti, oncologi e agronomi, sul tema degli ogm si consultano e collaborano troppo poco. A giudicare da quanto si sente, sembra proprio che ogni categoria di scienziati resti chiusa nel suo mondo, e non prenda in considerazione altri punti di vista, il che è un peccato.
Esiste perfino un gruppo di volontari, i seed savers, che va alla ricerca delle sementi tradizionali, quelle che hanno caratteri particolari e radici che affondano nella cultura stessa delle nostre regioni; anno dopo anno questi semi vengono coltivati e mantenuti vitali, per evitare che spariscano per sempre e perché un giorno, forse, qualcuno ne avrà bisogno.

Molti agricoltori italiani scalpitano, non vedono l’ora di iniziare a coltivare piante gm, ma stanno prendendo un abbaglio se pensano di risolvere così tutti i problemi di parassiti e piante infestanti. Infatti sta già avvenendo una selezione genetica di erbe infestanti e di insetti che non risentono di alcun danno dalle piante gm. La tossina prodotta dal mais Bt, ad esempio è già inefficace su alcuni insetti, che hanno sviluppato una naturale resistenza. I geni di resistenza a un certo diserbante sono già stati assorbiti anche da alcune piante infestanti, che quindi non ne risentono più.
In breve: facciamo attenzione perché gli eventuali vantaggi potrebbero essere comunque di breve durata e gli eventuali svantaggi tutti a carico degli agricoltori, che dovranno farsi carico dei rischi connessi alle loro colture e per questo motivo rischiano di essere fortemente penalizzati.

Vogliamo ricordare che nessuna compagnia di assicurazione ha mai accettato di accollarsi il rischio di possibili danni da parte di colture gm.
Per quanto riguarda la sicurezza e la tutela ambientale si deve applicare il cosiddetto “principio di precauzione”, ossia non si possono coltivare specie vegetali modificate fino a quando non si è dimostrato che queste colture non arrecano danni all’ambiente o alla salute dei consumatori. Siccome nei transgeni vengono impiegate anche porzioni di materiale genetico di virus, necessarie per ottenere l’inserimento nella cellula ospite, non si può escludere la possibilità che avvenga quello che si chiama “trasferimento orizzontale”, cioè la diffusione incontrollata di geni a specie diverse. 
Nell’incertezza è senz’altro preferibile non compiere scelte con effetti irreversibili: già, perché l’inquinamento genetico, cioè la diffusione dei geni per mezzo del polline, non è un evento che si può controllare, né fermare, né revocare. Si tratta di una macchina che, una volta avviata, non si potrà mai più “spegnere”.

LA LEGISLAZIONE VIGENTE
Il rapporto del Centro Comune di Ricerche della UE ha evidenziato gravi problemi di convivenza tra agricoltura transgenica, agricoltura biologica e convenzionale, affermando che l’agricoltura biologica sarebbe irreversibilmente compromessa dalla contaminazione da OGM e paventando, inoltre, forti rischi di perdita di competitività per l’agricoltura convenzionale.
Per cercare di tutelare i diversi tipi di coltivazioni e, specialmente, il diritto di scelta dei consumatori, in Italia è recentemente entrato in vigore il discusso  Decreto-Legge 22 novembre 2004, n.279, più noto come Decreto Alemanno.

In esso si afferma che “L'attuazione delle regole di coesistenza deve assicurare ai consumatori la reale possibilità di scelta tra prodotti transgenici e non transgenici e, pertanto, le coltivazioni transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche.” Questo ci sembra giusto, ma stiamo a vedere cosa faranno le regioni, delegate a decidere, entro la fine di quest’anno, secondo quali regole e criteri potranno essere coltivate piante transgeniche. Stiamo quindi a vedere come le nostre regioni risolveranno il problema della coesistenza tra le diverse coltivazioni.
Intanto 1300 comuni italiani hanno scelto di essere OGM free, cioè liberi da ogm.

FINALMENTE LE ETICHETTE
Dopo molte insistenze, e solo in tempi recenti (il 18 aprile 2004), nell’Unione Europea si è riusciti a ottenere che la presenza di ingredienti geneticamente modificati in un alimento sia dichiarata in etichetta. Si è trattato di un successo non da poco, vista la netta opposizione di tutte le multinazionali che producono sementi gm e di molti comitati scientifici.
In Italia per il momento non risulta siano coltivate piante geneticamente modificate, se non in via sperimentale e in campi confinati, ma è certo che da anni vengono importate molte sementi di questo tipo. Come dire che, anche senza avvisarci, ce le hanno fatte mangiare. Proprio su questo punto è incentrato il nostro maggiore dissenso: riteniamo che il consumatore debba poter scegliere e non ci sembra giusto che per anni gran parte del mais e della soia che abbiamo importato contenesse anche semi gm senza che questo fatto fosse dichiarato esplicitamente.

Anche la Coldiretti ha preso atto della grande diffidenza dei consumatori italiani nei confronti dei cibi che contengono ogm, tant’è che le industrie alimentari sono state scoraggiate a produrli e a commercializzarli. 
Molti italiani non si fidano, rispetto allo scorso anno sono aumentati del 12% coloro che comprano alimenti garantiti per l'assenza di ogm e oggi ben un italiano su due non si accontenta delle normali garanzie ma acquista cibi che sono certificati come Ogm free. 
La prova si è avuta quando è stato messo in commercio un olio alimentare che in etichetta dichiarava di essere stato ottenuto da semi gm. Si trattava del primo esempio di alimento ottenuto da materie prime gm messo in commercio in Italia: un olio di semi di soia, importata dall’America, raffinato in Italia e proposto a un prezzo molto basso, solo 89 centesimi al litro.
Probabilmente il prezzo basso non è stato sufficiente a convincere i consumatori. Non l’ha comprato quasi nessuno, e nel giro di 10 giorni è stato ritirato dal mercato.


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