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OGM:
le incertezze della comunità scientifica
e le paure della società civile
La scoperta del DNA e l'avvento della biologia molecolare
hanno consentito all'uomo la possibilità di modificare direttamente il
codice genetico non più solo attraverso i processi naturali di
selezione ed ibridazione. E' diventato possibile, attraverso le
tecnologie dell'ingegneria genetica, prelevare da un organismo una
sequenza di DNA che codifica per una determinata funzione (gene) e
trasferirla ad un organismo diverso anche molto lontano dal punto di
vista filogenetico.
Questo ha reso possibile lo sviluppo degli OGM (Organismi Geneticamente
Modificati). La creazione degli OGM è ormai una realtà consolidata;
gli utilizzi di queste nuove biotecnologie hanno coinvolto inizialmente
settori come la produzione di farmaci, (primi ad essere modificati
geneticamente furono i batteri, fino a fargli produrre sostanze utili
per l’uomo, come l’insulina umana), e la medicina in generale, per
poi passare anche ad altri settori come l'agroalimentare e la tutela
dell'ambiente.
I prodotti agricoli transgenici esistono già da alcuni anni, coltivati
soprattutto in Canada e negli USA. Nel 1990 i raccolti geneticamente
modificati praticamente non esistevano; a distanza di soli 10 anni più
di 40 milioni d’ettari sono coltivati con queste tecniche in tutto il
mondo. L'incremento di queste coltivazioni è stato addirittura
esponenziale negli ultimissimi anni (si è passati da 2,8 milioni
d’ettari nel 1996 ai 53 milioni di ettari nel 2001), secondo le ultime
statistiche pubblicate ISAA [1].
La produzione è concentrata in quattro Paesi: 68% in USA,
22% in Argentina, 6% in Canada e 3% in Cina per un totale pari al 99%;
dedicata principalmente a quattro tipi di colture: 63% di soia, 19% di
mais, 13% di cotone e il 5% di colza.
Negli USA circa il 60% della soia coltivata è transgenica; questo dato
rende l'idea di quanto imponente e rapida sia stata la penetrazione di
queste nuove varietà in agricoltura; inoltre, considerando che gli USA
sono i maggiori esportatori al mondo di soia, si può affermare che il
5% circa della soia che circola nel mondo è transgenica.
In Europa la situazione è abbastanza diversa: oltre alla prudenza
manifestata dai governi dell'Unione Europea (che difendono il principio
della "massima precauzione"), l'ostilità abbastanza diffusa
da parte dei consumatori ha frenato la massiccia coltivazione e
commercializzazione dei prodotti dell'agricoltura biotecnologica.
In Italia, la coltivazione in campo di OGM è proibita, se
non a scopo sperimentale, e comunque, in aree confinate e opportunamente
individuate tramite specifiche autorizzazioni. Le attenzioni poste dal
nostro Paese al settore primario si estendono anche alle attività a
valle: dalla trasformazione fino alla distribuzione.
Le varietà più sperimentate sono: soia, mais, colza, riso, cotone,
pomodoro, cicoria, tabacco, barbabietola, patata, olivo, vite, kiwi,
fragola, ciliegio, melone, crisantemi, girasoli.
Le principali modifiche riguardano: resistenza ad erbicidi (soprattutto
al glifosato) ed insetti (specialmente alla piralide), maschiosterilità
(i famosi semi Terminator della Monsanto), inibizione della marcescenza
(in particolare nei pomodori). Il numero dei geni impiegati in queste
modificazioni non è superiore alla decina.
In particolare, la resistenza ad erbicidi ed insetti è la modifica più
sfruttata in campo agronomico; infatti, il 90 per cento circa delle
piante transgeniche sono piante con queste caratteristiche. Secondo i
produttori, però, queste sono state le piante biotecnologiche di prima
generazione create allo scopo di aumentare la produttività; le piante
di seconda generazione, che si stanno attualmente sperimentando e che
entreranno in commercio tra alcuni anni, consentiranno un miglioramento
qualitativo di alcune caratteristiche alimentari. Ad esempio la
produzione di vegetali con un contenuto elevato di alcuni particolari
nutrienti utili alla salute umana (come le vitamine o alcuni
aminoacidi).
Incertezze sugli
effetti
L’inserzione artificiale di un transgene, può
interferire fisicamente con l’espressione dei geni adiacenti alla zona
d’inserimento. Una volta inserito in una cellula, infatti, il gene è
incorporato nel genoma in modo casuale (randomly spliced), ma
sempre in regioni attive dove ne è possibile l’espressione.
L’inserimento può impedire, deprimere o stimolare l’espressione dei
geni associati alle regioni attive del DNA dell'ospite ed è quindi in
grado di influire anche su caratteristiche legate con la comparsa di
sostanze impreviste.
I motivi cui è legata la possibilità che negli organismi GM compaiano
sostanze allergeniche o tossiche possono essere ricondotti ai seguenti
aspetti principali:
Al fatto che tecniche attuali non permettono un’inserzione mirata dei
geni estranei nel genoma ospite implicando la possibilità che la
struttura (e quindi la funzionalità) di geni endogeni correlati al sito
di inserzione venga disturbata. Questa possibilità è resa più
concreta dalla necessità di inserire i geni estranei in zone del DNA
molto attive per quanto riguarda l'espressione genetica.
Al fatto che i promotori, che sono
sequenze di regolazione sempre associate al transgene strutturale,
possono interferire con l’espressione genetica a vari livelli.
Inoltre, all’insieme promotore-gene strutturale sono spesso associate
altre sequenze regolatrici, dette enhancers, che stimolano
notevolmente l’espressione del transgene ma che possono avere lo
stesso effetto anche sull’attività dei geni nativi circostanti,
addirittura riattivando quelli normalmente disattivati in un certo
tessuto o gruppo di cellule differenziate. Per questo motivo non si può
escludere, per esempio, che geni codificanti per proteine dannose
espresse normalmente solo nelle parti non edibili di una pianta, possano
risvegliarsi e determinare la sintesi di queste sostanze anche in
tessuti edibili e normalmente innocui. Il complesso promotore-enhancer,
quindi, può influire sui delicati meccanismi che concertano l’attività
genetica influenzando la biochimica cellulare in modo
imprevedibile.
Nella maggior parte dei casi il gene inserito non appartiene alla stessa
specie dell’organismo ospite. Non c’è modo di sapere come
l’organismo reagirà alla presenza di una proteina estranea, né come
questa influenzerà il metabolismo e la biochimica cellulare. Anche
questo può generare effetti imprevisti.
L’effetto di un gene dipende dal contesto in
cui si trova. In un ambiente nuovo è attualmente impossibile
prevederlo.
La maggior parte delle proteine estranee inserite in organismi edibili
non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana. Quindi non è
possibile prevedere se l’alimento è sicuro se non attraverso una
valutazione estensiva del rischio alimentare.
Anche se la tipologia dei geni utilizzati attualmente rende questa
categoria di fenomeno di rischio meno probabile delle altre, non si può
escludere la possibilità che nel DNA inserto possano finire,
inavvertitamente, delle sequenze di regolazione in grado di provocare
complicazioni impreviste. La presenza di una sequenza di DNA inserito
con attività di regolazione impreviste e in grado di influire anche
sull’attività di altri geni, può manifestarsi con effetti diversi
tra i quali la produzione di sostanze pericolose.
L’ingegneria genetica porta alla produzione di "proteine di
fusione" che possono risultare allergeniche. Queste proteine si
generano da legame di sequenze di DNA che provengono da diverse
sorgenti; la regione in cui le proteine vengono unite tende ad assumere
conformazioni molto diverse da quelle originarie e piuttosto differenti
da quelle che si riscontrano nelle proteine naturali. Tali conformazioni
anomale possono essere facilmente riconosciute come "epitopi"
dal sistema immunitario e sono quindi in grado di indurre una risposta
allergica alla proteina.
Anche tra le sostanze note prodotte da alcune
linee transgeniche, ovviamente, ce ne sono alcune che possono risultare
tossiche o allergeniche.
D’altra parte, se un certo numero di complicazioni biochimiche
impreviste a carico del metabolismo di piante transgeniche è stato già
riscontrato e documentato, a causa della politica industriale portata ad
esagerare i vantaggi del biotech ed a oscurare tutto ciò che ne
evidenzi i rischi, c’è il sospetto che molti dati possano non essere
stati riportati. Un esempio che giustifica questa affermazione, è
quello della scoperta di danni intestinali in topi nutriti con pomodori
transgenici FlavrSavr. I risultati di questa ricerca, portata avanti
dagli stessi scienziati della FDA e volta a valutare l'eventuale
necessità di introdurre test più approfonditi per la valutazione del
rischio legato alla commercializzazione degli OGM, avevano motivato la
richiesta di ulteriori test per valutare i dati emersi dal primo studio:
ma tale richiesta non ha avuto alcun seguito e gli esperti della FDA
conclusero, quindi, che i dati presentati dalla compagnia non erano
sufficienti a dimostrare la sicurezza dell’OGM e che diverse domande
restavano aperte. Nonostante questo,
Altro caso del genere è quello relativo
all’ormone ricombinante della crescita bovina, alla dichiarazione
della sua equivalenza con la sua controparte tradizionale e alla
successiva scoperta di differenze capaci di modificare le proprietà e
gli effetti di questa proteina (Violand BN et al. Protein Science.
3:1089-97, 1994).
Tra le pubblicazioni scientifiche che dimostrano la presenza di effetti
imprevisti a carico delle piante GM, se ne possono ricordare alcune.
Per esempio: una linea di tabacco GM per produrre l’acido
gamma-linoleico che ha inaspettatamente prodotto principalmente acido
octadecatetranico tossico e non esistente nelle varietà naturali (Reddy
SA, Thomas TL. Nature Biotechnology, vol 14, sid 639-642, May
1996); una linea di lievito GM per aumentare la fermentazione ha
prodotto un metabolite imprevisto (il metyl-glyoxal) in quantità
tossiche e mutagene (Inose, T. Murata, K. Int. J. Food Science Tech.
30: 141-146, 1995); una linea di soia GM con un gene proveniente dalla
Noce Brasiliana che ha determinato reazioni allergiche in persone non
sensibili alla soia tradizionale (Nordlee, J.A. et al. The New
England Journal of Medicine 14: 688-728; 1996); una linea di patate
GM con un gene proveniente dal Bacillus thuringiensis (gene CryI
var. kurstaki, ceppo HD1) che ha provocato danni intestinali a topi (
Nagui H. Fares, Adel K. El-Sayed. Natural Toxins Volume 6, Issue
6, 1998. Pages: 219-233); il caso drammatico del triptofano prodotto da
un ceppo batterico ingegnerizzato che è stato responsabile della morte
di 35 persone e dell’invalidità di altre 1500 (Mayeno, AN et al
Tibtech 12:364, 1994).
Un’altra ipotesi di rischio per la salute umana è la
possibilità che i geni per le resistenze agli antibiotici (inseriti
come marcatori dell'avvenuto trasferimento di materiale genetico in un
organismo geneticamente modificato) possano diffondersi rapidamente
arrivando ai microrganismi presenti nell'ambiente esterno o all'interno
degli organismi animali (ad esempio la flora intestinale). Il passaggio
di materiale genetico da organismi superiori a microrganismi è un fatto
reale e non ipotetico, in quanto già osservato, tanto che a lanciare
questo allarme sono stati alcuni ricercatori e scienziati dell'istituto
Pasteur. La trasmissione di resistenze agli antibiotici da alimenti ogm
ai microrganismi che popolano l'ambiente, l'uomo e gli animali avrebbe
conseguenze catastrofiche (soprattutto per i microrganismi patogeni) in
quanto tutta la chemioterapia contro i batteri diventerebbe presto
inefficace.
I rischi per la salute umana appena descritti
rendono l'idea della posta in gioco; sarebbe di fondamentale importanza
per lo meno poter scegliere, cioè poter discriminare gli alimenti di
origine transgenica per permettere, almeno alla frazione della
popolazione particolarmente suscettibile (bambini, individui con
problemi di natura allergica, ecc.) di evitare rischi del tutto
superflui. Risulta però molto problematico, allo stato attuale,
ottenere filiere agroalimentari "ogm-free". Il sistema
americano per il maneggio delle granaglie è stato disegnato per grandi
quantità e non per operare differenziazioni. Secondo Kim Nill, della
American Soya Association, ci sono 10 punti durante il percorso dalla
fattoria alla nave durante il quale tipi differenti di semi di soia
vengono deliberatamente mischiati per incrementare la loro qualità. In
questo senso molto importante sarà l'applicazione della recentissima
legislazione europea (Regolamenti UE 49/2000 e 50/2000) che impone
l'etichettatura agli alimenti che contengono più dell'1 per cento di
ogm per ogni singolo ingrediente (l'1 per cento è da considerarsi come
contaminazione casuale, e non volontaria).
A questo proposito va sottolineato che le metodologie per analisi
quantitative di questo tipo non permettono ancora una estrema precisione
nel produrre risultati certi ed inequivocabili. Il metodo per
rintracciare ogm negli alimenti è basato sulla tecnica della PCR (polimerase
chain reaction), una tecnica di biologia molecolare che sequenziando il
DNA è in grado di determinare la presenza di geni esogeni; con questa
tecnica si può arrivare a identificare un contenuto percentuale
inferiore allo 0,1 per cento, ma con una variabilità del 20-30 per
cento. Tutto ciò comporta il fatto che due laboratori diversi possono
arrivare a determinare sullo stesso campione due concentrazioni diverse
(ad esempio 0,9 per cento e 1,1 per cento); ci si troverà quindi di
fronte ad una serie di contenziosi per l'etichettatura che metteranno a
confronto i laboratori privati che certificano per l'industria
alimentare ed i laboratori pubblici che eseguono i controlli.
Questa legge riguarda comunque alimenti che
contengano ancora DNA o proteine di origine transgenica (vengono esclusi
quindi gli alimenti purificati come gli oli di soia). Per adesso, almeno
in Italia, è vietato l'utilizzo di prodotti transgenici per gli
alimenti destinati alla prima infanzia (D.P.R. 128/99).
Il rischio ambientale
Un altro aspetto che andrebbe anche considerato
è la valutazione del rischio ambientale. Infatti la coltivazione su
larga scala di questi organismi geneticamente modificati può comportare
effetti dannosi, non solo alla salute degli uomini, ma anche alla
stabilità e agli equilibri degli ecosistemi con effetti che
indirettamente si possono ripercuotere anche sull'uomo.
Tra questi rischi il principale è quello relativo all'inquinamento
genetico: i pollini di questi ibridi ogm possono diffondere
nell'ambiente anche per alcuni kilometri dalla coltura di partenza ed
andare ad incrociarsi con varietà naturali comportando la diffusione
incontrollata dei geni artificialmente immessi nell'ogm; a questo
proposito va registrata l'assoluta inidoneità della legge che regola
l'immissione deliberata di ogm nell'ambiente, la quale impone un limite
di soli
Inoltre, considerando che spesso queste piante ogm possiedono caratteri
che le rendono avvantaggiate rispetto alle varietà naturali, è facile
immaginare che possano prendere il sopravvento sulla flora naturale con
notevoli ripercussioni negative sulla biodiversità.
Un altro problema ambientale correlato con gli
ogm, anche se in maniera più indiretta, riguarda il fatto che molte
delle modificazioni genetiche inserite riguardano l'assunzione di
resistenza ad alcuni pesticidi: in sostanza rendendo la pianta coltivata
(ma non le altre) resistente ad un determinato pesticida (soprattutto
erbicidi a base di glifosato, sulla cui presunta innocuità si stanno
ponendo forti dubbi), l'agricoltore si sentirà incentivato ad
utilizzare grandi quantità di pesticidi con un notevole aumento
dell'inquinamento di natura chimica e dell'esposizione degli agricoltori
a queste sostanze (che si sono dimostrate più pericolose di quanto non
si presumeva inizialmente).
Inoltre, potendo trattare le coltivazioni con l'erbicida in tutte le
fasi vitali della pianta (e non solo prima della germinazione) i residui
di queste sostanze tossiche sulle parti eduli aumenteranno sicuramente a
discapito della salute dei consumatori.
Concludendo va rilevato che il mais
biotecnologico, producendo in continuo la tossina che normalmente viene
prodotta solo in alcuni momenti del ciclo della pianta, porterà
probabilmente alla diffusione rapida della resistenza alla tossina da
parte degli insetti, invalidando un ottimo insetticida naturale usato in
agricoltura biologica.
Infine un recente studio riporta la rintracciabilità di questa tossina
nel terreno (di campi coltivati con mais biotecnologico) per lunghi
periodi ed in elevata quantità con conseguenze sconosciute.
Dall'esame della letteratura scientifica sull'utilizzo delle
biotecnologie nel settore agroalimentare si evince che esistono due
fronti di pensiero in contrasto tra di loro: coloro che ipotizzano
alcuni rischi per la salute umana e per l'ambiente ed altri che, invece,
minimizzano questi rischi o non li accettano per niente.
Questa divisione è ormai diventata anche politica e culturale, tanto
che si possono identificare le due scuole di pensiero: l'europea
(massima precauzione, prima si deve confermare l'innocuità poi si può
commercializzare) e l'americana (prima si deve provare la pericolosità,
poi si può ritirare dal commercio).
Negli ultimi mesi sono comparsi alcuni studi che criticano
l'atteggiamento di precauzione manifestato soprattutto dai consumatori
europei.
Alcuni di questi riguardano la potenziale
pericolosità della tossina prodotta dal mais biotecnologico che si
autoprotegge così dalla piralide; si ritiene, infatti, che è
sicuramente più dannoso per la salute umana e per l'ambiente l'utilizzo
di pesticidi organofosforici usati per combattere gli insetti che la
tossina naturale biotecnologica. Secondo una ricerca della Iowa State
University, inoltre, grazie al mais biotecnologico l'uso di pesticidi è
diminuito del 15 per cento - 25 per cento, quindi un'ottima ricaduta per
l'ambiente.
Inoltre, il mais biotecnologico ha mostrato come effetto secondario di
diminuire l'attacco e la contaminazione da parte dei funghi che
producono le pericolosissime aflatossine; quindi meno aflatossine meno
trattamenti con fungicidi pericolosi per l'uomo e per l'ambiente.