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Pagina sulla "Mucca Pazza"
- Mucche
folli di Rudolf Steiner
Perché
le mucche si ammalano
Dal libro «Speculazioni e abusi in campo
sanitario» di Riccardo Iacoponi ed. MACRO
«Le
mucche crescono in allevamenti intensivi, munte 365 giorni all’anno, in spazi
ridottissimi, gonfiate con ormoni, trattate con antibiotici, nutrite con farine
derivate da carcasse animali, integrate con liofilizzati di materiale estratto
dalle fogne dei mattatoi. Tutto questo per avere la maggiore produzione
possibile con la minima spesa. Ci sarebbe da meravigliarsi se dopo qualche anno
non sviluppassero alcuna malattia, che in questo caso non è una malattia
infettiva, ma una malattia organica, probabilmente tossica. Certo gli allevatori
preferiscono sacrificare qualche capo, ritenuto infetto, che mettere in
discussione questi sistemi di allevamento.
Invece la comunità scientifica vuole
attribuire la malattia a questa proteina, il prione, non considerando che le
proteine (come per esempio l’albumina o l’emoglobina) sono sostanze inerti e
non microrganismi capaci di riprodursi e infettare. Quest’ipotetica proteina,
per contagiare un uomo che mangia la carne che la contiene, dovrebbe non subire
l’attacco dei succhi digestivi, passare nel sangue e non essere attaccata
dagli anticorpi, passare poi nel cervello e restare lì per 20 anni senza essere
rigettata, incominciare quindi a replicarsi sa sola per virtù dello spirito
santo: tutte ipotesi da fantascienza e in ogni modo non dimostrate. La carne
delle mucche trattate in questo modo non è certo salubre, né di prima qualità,
ma non è infetta, anche perché negli allevamenti c’è una grande attenzione
a proteggere gli animali (il loro capitale) dalle infezioni».
Bibliografia:
«Liberazione» del 18 novembre 2000
E
se il prione fosse un abbaglio?
Dal libro «Speculazioni e abusi in
campo sanitario» di Riccardo Iacoponi ed. MACRO
Gajdusek attribuì
ad un virus ipotetico la responsabilità di malattie come il kuru, che egli
studiò fin dal 1957 in Nuova Guinea (dove gli indigeni mangiavano, secondo lui,
anche il cervello dei loro morti). Per riuscire a dimostrare che la malattia era
infettiva tentò di trasmetterla agli scimpanzé, ma nessuno di essi si ammalò.
Sempre più determinato iniettò un
liquido contenente parti del cervello di persone decedute per kuru, attraverso
dei fori trapanati nel cranio, direttamente nel cervello delle scimmie vive. Le
scimmie non si ammalarono e nessun potente microscopio elettronico poté
riscontrare virus. In seguito ricercatori inglesi attribuirono la stessa causa
(cioè un virus) a una malattia del cervello delle pecore, lo scrapie.
La stessa origine virale fu attribuita poi a malattie come la sclerosi multipla,
il morbo di Alzheimer, la malattia di Creutzfeldt-Jakob e la «mucca pazza»
(non fa differenza se patologie animali o umane). Non c’è nessuna relazione
tra queste malattie, tranne quella di colpire in qualche modo il sistema
nervoso. Nessuno scienziato dopo decine di anni di lavoro riuscì mai ad isolare
il virus responsabile e le istituzioni incominciarono a tagliare i fondi.
A far riprendere l’erogazione dei finanziamenti
ci pensò Prusiner. Egli prima affermò che la definizione stessa di
virus «avrebbe dovuto essere cambiata», poi ipotizzò che l’agente di certe
malattie cerebrali potesse essere una proteina (cioè una sostanza chimica priva
di vita, che chiamò prione) che comunque è presente in ogni cervello. La sua
folle teoria (sciaguratamente presa per buona attualmente da organi sanitari e
dalla stampa) prevedeva una forma mutante della proteina che poteva riprodursi e
propagarsi in altri individui.