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Morte
di un dogma
Tratto dal
libro “Medicina Epigenetica”, Dawson Church, ed. Mediterranee
L’idea che i geni costituiscano i ricettacoli delle
nostre caratteristiche è nota anche come Dogma centrale. Esso venne
avanzato da uno degli scopritori della struttura elicoidale del DNA, sir
Francis Crick, il quale usò per la prima volta questo termine in un
discorso del 1953, per poi riaffermarlo in un articolo sulla rivista
Nature, intitolato "Il dogma centrale della biologia molecolare”.
Eppure, per circa trent'anni, gli scienziati hanno continuato a portare
alla luce dati anomali che non risultano compatibili con tale dogma. I
risultati di questi esperimenti richiedono interazioni molto più
complesse di quelle spiegabili con il solo
Uno dei molti problemi con il Dogma centrale, ad esempio,
è il fatto che il numero dei geni nel cromosoma umano non può
contenere tutte le informazioni richieste per creare e far funzionare un
corpo umano; è anche insufficiente a rappresentare il codice genetico
della struttura (meno che mai del funzionamento) di un organo complesso
come il cervello, o a giustificare l'enorme quantità di connessioni
neurali presenti nel nostro corpo. Due eminenti studiosi lo esprimono in
questo modo: "Ricordando che le informazioni contenute nel genoma
umano devono assicurare lo sviluppo di tutte le altre strutture del
corpo, oltre al cervello, questa non rappresenta che una frazione
dell'informazione richiesta per strutturare in dettaglio uno qualunque
dei moduli cerebrali significativi, e soprattutto la strutturazione del
cervello nel suo insieme".
Inizialmente,
il Progetto Genoma Umano si concentrò sulla catalogazione di tutti i
geni nel corpo umano. All'inizio degli anni Novanta, i primi ricercatori
si aspettavano di trovarne almeno 120.000, il minimo che, secondo i loro
progetti, sarebbe stato necessario per codificare tutte le
caratteristiche di un organismo complesso come l'essere umano. Il nostro corpo fabbrica
circa 100.000 proteine, gli elementi costitutivi delle cellule, che
devono essere tutte assemblate con esatta coordinazione per poter
sostenere la vita. All'inizio
del Progetto Genoma Umano, l'ipotesi di lavoro eriche doveva esistere un
gene che fornisse il progetto per produrre ciascuna di quelle 100.000
proteine, più altri 20.000 geni regolatori la cui funzione era quella
di orchestrare la complessa danza dell'organizzazione proteica.
Più il progetto avanzava, più le previsioni sul numero
dei geni si riducevano. Quando la catalogazione ebbe termine, la
mappatura dimostrò che il genoma umano era composto soltanto da 23.688
geni. L'immensa orchestra sinfonica dei geni che ci si era aspettato di
trovare si era ridotta alle dimensioni di un quartetto d'archi. Le questioni poste da questo piccolo
numero di geni sono le seguenti: se tutte le informazioni richieste per
costruire e mantenere un essere umano - o anche un solo grande organo,
come il cervello - non sono contenute nei geni, da dove vengono? E chi
guida la complessa danza dell'organizzazione dei molti sistemi di
organi?
Il punto centrale della ricerca, pertanto, è stato
spostato dalla catalogazione dei geni alla rappresentazione di come essi
operano nel contesto di un organismo che si trova in uno "stato di
cooperazione sistemica [nella quale] ciascuna parte sa che cosa ogni
altra parte sta facendo; ogni atomo, molecola,'cellula e tessuto è in
grado di partecipare a un'azione voluta".
La mancanza nei geni di informazioni sufficienti a costruire e gestire
un corpo rappresenta solo uno dei punti deboli del dogma centrale. Un
altro è nel fatto che i geni possono essere attivati e disattivati
dall'ambiente interno come da quello esterno del corpo. Gli scienziati
stanno apprendendo di più sul processo che accende e spegne i geni, e
sui fattori che ne influenzano l'attivazione. Sui nostri hard drive
potrebbero essere presenti moltissime informazioni, e in un dato momento
potrebbe avvenire che ne utilizziamo solo una parte. Inoltre, quei dati
potrebbero anche essere modificati, come quando si rilegge una lettera
prima di inviarla a un amico. Uno dei fattori che influiscono su quali
geni sono attivi è la nostra esperienza, un fatto assolutamente
incompatibile con la dottrina del determinismo genetico.
E perfino le nostre esperienze sono solo una parte del
quadro. Noi prendiamo fatti ed esperienze e poi assegniamo loro un
significato, il quale spesso, da un punto di vista mentale, emotivo e
spirituale è importante quanto i fatti stessi per l'attivazione
genetica. Stiamo scoprendo che i geni danzano con la nostra
consapevolezza. Pensieri e sentimenti attivano e disattivano insiemi di
geni nelle relazioni complesse. La scienza sta scoprendo che, pur avendo
nei nostri cromosomi una serie fissa di geni, quale di essi è attivo ha
moltissimo a che fare con le nostre esperienze soggettive e sul modo in
cui le elaboriamo.
Le emozioni e il comportamento modellano il cervello mentre stimolano la formazione di percorsi neurali che possono o rafforzare vecchi schemi oppure crearne di nuovi. Come l'ampliamento di una strada che si rende necessario con l’incremento di traffico, così quando il flusso dei pensieri su un dato argomento aumenta considerevolmente o una data azione viene praticata in modo intensivo, si accresce il numero dei neuroni che il corpo esige per convogliare quelle informazioni. Nello stesso modo in cui la massa muscolare si incrementa proporzionalmente all'esercizio fisico, le dimensioni dei fasci neurali aumentano quando quei percorsi vengono usati più spesso. Pertanto, i pensieri che formuliamo, la qualità della nostra coscienza, espandono il flusso di informazioni lungo i percorsi neurali. Secondo Ernest Rossi: "potremmo dire che il significato viene continuamente modulato dal complesso e dinamico campo delle molecole-messaggero che continuamente rileggono, reinquadrano e risintetizzano le reti neurali in schemi in continuo mutamento". Per dirla con le sintetiche parole di un altro pioniere della medicina, “la credenza diviene biologia" nei nostri sistemi ormonali, neurali, genetici ed elettromagnetici, oltre che in tutte le complesse interazioni che vigono tra loro.
Tratto
dal libro “Medicina epigenetica”, Dawson Church, ed. Mediterranee