Home Page - Contatti - La libreriaLink - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori

- Pagina religioni

Dissertazioni intorno alla figura di Gesù Cristo (parte I)
D.ssa Laura Scafati -  www.popobawa.it

Prima di entrare nel fulcro della trattazione  desidero precisare che-  se è pur vero che mi occupo di tale argomento-  non provo, tuttavia, nessun desiderio di voler mettere in discussione né la  fede,    le convinzioni personali di nessuno; il mio unico desiderio è quello di parlare del Cristo, che ha realmente percorso le sabbie della Palestina duemila anni fa! Il Gesù storico in tutti i suoi aspetti umani e terreni, con la consapevolezza che per fare ciò bisogna spogliarsi di ogni preconcetto ed essere pronti ad esaminare i fatti storici del tutto spassionatamente.
I Vangeli -  documenti riportati in maniera semplice -  ritraggono un mondo idilliaco ben poco somigliante alla realtà storica mentre la Palestina - all'inizio dell'era cristiana - non era propriamente un "regno da fiaba!"
Al contrario era un luogo reale, popolato da veri individui; soggetto ad un complesso di fattori:  sociali, psicologici, politici, economici e culturali spesso in contrasto tra loro.
Un mondo nel quale venivano stipulati accordi in segreto ed interessi occulti si contendevano il potere.
I Vangeli trasmettono ben poco o nulla di tutto questo per un  motivo  facilmente comprensibile: gli evangelisti ed i loro lettori vivevano  in quel contesto storico; al pari di Gesù e dei suoi discepoli, erano sudditi dell'Impero romano le cui istituzioni erano loro note e con i cui rappresentanti avevano a che fare giorno dopo giorno.
Dal 63 a.C. Israele era diventato provincia dell'Impero romano con a capo Erode - un re  marionetta - considerato un perfido usurpatore; nato in Idumea (regione non giudaica) sentiva molto il problema di non appartenere alla casta ebraica;  pertanto cercò di legittimarsi sposando una principessa giudaica e per ingraziarsi la popolazione, ricostruì il Tempio di Gerusalemme su una scala senza precedenti; episodi, che non riuscirono – in ogni caso – a sanzionarne l’autorità.

Al contrario, nella Palestina del tempo di Gesù si era diffuso il desiderio di un leader spirituale che riportasse la Nazione a Dio, che effettuasse una riconciliazione con il divino.
Questo "capo" spirituale, quando fosse apparso, sarebbe stato riconosciuto come il  re legittimo: il "Messia".
Noi cristiani siamo sempre stati abituati a considerare il ruolo del Messia come avulso dalla politica,  come una figura esclusivamente spirituale;  tuttavia, gli studi biblici degli ultimi anni hanno reso sempre più insostenibile questa interpretazione.
Il giudaismo dell'epoca non faceva, infatti, distinzioni tra politica e religione o per meglio dire: nella misura in cui la  funzione religiosa del Messia comprendeva la liberazione del popolo dalla schiavitù, il Suo ruolo spirituale era anche politico.
Chi meglio di Gesù Cristo, quindi, avrebbe potuto impersonare tale ruolo? Egli era – secondo i Vangeli di Matteo e Luca – un vero legittimo re, discendente in linea diretta di Davide e Salomone.
Chi meglio di Lui avrebbe potuto avanzare una rivendicazione tecnicamente legale al trono dei suoi regali antenati?
Chi più di Lui aveva al suo seguito individui, provenienti dai ceti più disparati, pronti a sostenerlo in tali rivendicazioni?

Basta dare uno sguardo ad alcune frasi dedotte dagli stessi Vangeli per capire l’entità storica e politica rappresentata dal Cristo:
Luca 23:2 Gesù è così accusato"……sobillava la nostra gente alla rivolta, si opponeva al pagamento dei tributi a Cesare e proclamava di essere il Cristo, un Re" In Matteo 21:9 nella sua trionfale entrata a Gerusalemme, Gesù è salutato da una moltitudine che urla "Osanna al figlio di Davide" e in Giovanni 1:49, Natanaele dice chiaramente a Gesù; "tu sei il re d'Israele".
Come non rimanere perplessi di fronte all’ iscrizione "re dei Giudei" che Pilato ordina di affiggere alla Croce?
La tradizione cristiana ascrive questo gesto di Pilato ad un intento derisorio,  ma,  considerandolo sotto tale veste, l'iscrizione non avrebbe in ogni caso senso a meno che Gesù non fosse stato  "realmente" considerato re dei Giudei.
Cosa ci avrebbe guadagnato, infatti, un tiranno prepotente, che cercava, in quel preciso momento ed a tutti i costi di imporre la propria autorità, nell’etichettare un profeta come re?
Avrebbe avuto, invece, un senso se Cristo fosse stato un legittimo re poiché, Pilato,  nell’atto stesso di umiliarlo, avrebbe imposto la propria autorità su un legittimo discendente di una casa reale.

Ma non basta, si riscontrano ulteriori prove della regalità di Gesù nella narrazione evangelica del massacro degli innocenti da parte di Erode ( Matteo 2:3 - 14); anche se può essere discutibile tale documento da un punto di vista storico, questo racconto ci passa un'ansia molto concreta da parte di Erode per la nascita del Cristo: "…all' udir ciò Erode fu preso da grande turbamento….convocò tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi …….e domandò loro dove dovesse nascere il Cristo"; "A Betlemme in Giudea - essi dissero - poiché così ha scritto il profeta.
Se Erode si  sentiva tanto minacciato da un neonato, può essere stato solo per ciò che il bambino intrinsecamente rappresentava:  un legittimo re  con una rivendicazione al trono che persino Roma, nell'interesse della pace e della stabilità, avrebbe potuto riconoscere.
Solo una concreta sfida politica di questo tipo avrebbe potuto, secondo me,  giustificare l'ansietà di Erode!
Ma se il Cristo era, realmente, un discendente regale come si può rapportare tale immagine con l’icona del “povero falegname di Nazareth” al quale siamo abituati da secoli?
E’ il caso di sottolineare alcuni punti fondamentali per avere delle idee più chiare:
è sulla base del Vangelo di Marco 6:3 che si sviluppa la storia di Gesù come falegname ed è proprio a tale Vangelo che lo storico Geza Vermes, della Oxford University, si riferisce  nel suo libro “Jesus the Yew per segnalare il comune uso dei termini: “falegname” e “figlio di falegname”, nell’antica letteratura ebraica.
La parola generalmente tradotta come “falegname” non indica, nell’originale greco, un semplice artigiano del legno bensì un “maestro” padrone di ogni arte, manualità e disciplina.
Pertanto, secondo Vermes, il termine starebbe a significare: un insegnante, una persona di profonda cultura!
E’ inutile negare, infatti, che  il linguaggio usato da Cristo appare di gran lunga superiore a quello su cui tanto abilmente scivola l'attuale iconografia.
Egli viene dipinto, in tutti i resoconti, come un uomo colto; un uomo capace di discutere, apertamente, nel Tempio al cospetto dei Saggi; situazione non molto usuale per un povero falegname!
Man mano si sta delineando una figura storica molto diversa da quella tramandata nel corso degli anni: un discendente reale; un uomo colto; un essere dotato di un forte carisma da essere seguito da una moltitudine di seguaci;  proseguendo nella ricerca si evidenzia un altro falso storico:

Cristo non poteva essere nato nella cittadina di Nazareth poiché la stessa fu edificata nel III secolo, quindi “Gesù di Nazareth” rappresenta una errata traduzione dell’originale greco: “Gesù il Nazareno”!
Il “Nazareno”, termine che Lo identifica come appartenente ad uno specifico gruppo o setta con un ben preciso orientamento politico-religioso! Ma di questo aspetto parleremo fra poco……
Tornando alla regalità del Messia, ci sono prove inconfutabili, che dimostrano la sua unzione; da alcuni frammenti, che si possono ricavare dal Nuovo Testamento, si può ricostruire una parte della verità:
Matteo 26:7 e Marco \4:3 - 5, si legge di un'unzione regale, cioè gli era stato versato sul capo un olio speciale - lo stesso olio che veniva usato per ungere gli appartenenti alla Casa reale – gli evangelisti  precisano che detta unzione aveva comportato una spesa di trecento denari, l'equivalente forse di 3000 euro dei nostri giorni.
A sua volta, Giovanni 12:3 - 5, tenta di negare il significato di questa cerimonia, precisando che vennero toccati dall'olio solo i piedi di Gesù;   tuttavia ci comunica che tale rito fu eseguito da Maria di Betania, sorella di Lazzaro e svela il senso della cosa specificando che il rito si svolse il giorno prima del trionfale ingresso di Cristo a Gerusalemme.
All’unzione, si aggiunge  il Battesimo nel Giordano, che assume il significato di   una vera e propria investitura come Messia o legittimo re.
Investitura di estrema importanza dal momento che il modus operandi di Gesù, dopo l'avvenuto rituale del Battesimo, subisce un cambiamento significativo; Egli inizia a viaggiare in ogni luogo della regione,  mischiandosi a folle sempre più numerose e soprattutto suscitando l'interesse del pubblico che accorreva per ascoltarlo.
E’ ormai indubbio che i Vangeli sono stati privati di valenze politiche ben presenti nella vera realtà!
Realtà che appare in tutte le sue articolazioni se si prova ad analizzare il processo subito dal Cristo, in tutte le sue angolazioni, compresa quella legale.

Confesso che nel leggere gli avvenimenti accaduti, dopo la sua unzione ed il Battesimo, mi sono posta delle domande; poiché non amo speculare a vuoto, ho tentato di trovare delle risposte esaustive ai tali quesiti:
quali possono essere stati i motivi per i quali le stesse persone che si affollavano intorno a Lui per darGli in benvenuto mentre entra a Gerusalemme, a soli pochi giorni di distanza richiedono a gran voce la Sua morte?
Perché la stessa moltitudine che ha invocato la benedizione divina sul figlio di Davide dovrebbe gioire nel vederlo mortificato ed umiliato dall'odiato oppressore romano?
Perché, ammesso che i resoconti biblici abbiano una qualche veridicità, la stessa popolazione che venerava Gesù dovrebbe aver fatto   un improvviso e completo voltafaccia nel  chiedere che una figura come Barabba venisse  risparmiata?
Probabilmente le risposte sono contenute proprio nella particolare situazione politica nella quale sono avvenuti determinati fatti e nel “ particolare” giudizio al quale Egli è stato sottoposto!
Gli storici ci dicono che la Palestina si ribellò nel 66 d.C. e non fu certo un avvenimento improvviso in quanto la rivolta " covava sotto le ceneri"!  Dall'inizio del secolo, infatti, le fazioni militanti erano diventate sempre più attive; avevano condotto una guerriglia prolungata rapinando carovane di rifornimento dei romani, attaccando contingenti isolati di truppe romane, sfidando le guarnigioni e creando più caos possibile.
Gesù, sempre secondo taluni storici, era un combattente ma non un rivoluzionario qualunque in quanto se fosse stato simile ad altri avrebbe potuto conquistare il favore popolare ma non certo essere acclamato Messia! Come è stato già detto: possedeva una legittima base di riconoscimento.
A differenza del normale rivoluzionario, Egli va visto per ciò che gli stessi Vangeli ammettono fosse: un pretendente al trono di Davide, un legittimo re, il cui scettro implicava una sovranità sia spirituale sia temporale.

Del processo di fronte a Pilato sappiamo praticamente quanto riportato dai Vangeli benché  l'Imperatore Massimino ( antagonista e predecessore di Costantino) nel contesto della sua persecuzione verso i cristiani ( avversari politici in quanto favorevoli al suo avversario) predispose la stampa e la diffusione delle memorie di Pilato ( acta Pilati) integralmente tratte dagli archivi imperiali.
Eusebio, vescovo cristiano, ci dice che furono inviate copie presso le scuole affinchè i bambini le imparassero a memoria e si rendessero conto della pericolosità sociale dei cristiani.
Strano è il fatto che con l'avvento di Costantino, questa documentazione venne letteralmente fatta sparire, mentre nessun tentativo di contestarla o ricercarla risulta compiuto dalla Chiesa cristiana dell'epoca.
Le altre descrizioni del processo e la relazione di Pilato sono costituite dal resoconto di Anania ( 425 d.C.).
Da tali documenti e da innumerevoli ricerche effettuate nel tempo, mi sento di dire che  il processo a Gesù Cristo è un procedimento giudiziario, che - in qualche modo- intendeva fermare la potenza rivoluzionaria della parola e del pensiero, ma che   ebbe un evidente significato politico perché la dottrina divulgata  dall'Imputato costituiva una vera sfida al potere dominante!
" Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire perché si è fatto figlio di Dio" con queste parole i pontefici ebrei ed i loro seguaci si scagliano contro Ponzio Pilato, il praefectus Judaeae, uscito dal Pretorio per spiegare che ritiene innocente quel Gesù che loro hanno denunciato e intende liberarlo; presa di posizione altamente osteggiata poiché nessuno dei presenti intende accettare le prove a favore dell’imputo, presentate dal prefetto.
A Pilato, pertanto, non resta che rientrare nel Palazzo per proseguire quel processo inutile nella  piena consapevolezza che la “ condanna” sia stata già decisa, prima ancora del giudizio.

Si pone davanti al condannato e Gli chiede: “ Tu, di dove sei?” senza ottenere nessuna risposta;  questo atteggiamento lo irrita ed, allora, prosegue dicendo;” Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti ed il potere di crocifiggerti?”
Con tale minaccia Pilato riesce a spezzare il silenzio di Gesù, che, invece di andargli incontro, gli rende manifesto quali siano i termini autentici del suo potere" Non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo ha una colpa più grande chi mi ha consegnato a te!"
Non vi sono molte scene nella letteratura mondiale che mostrino con maggiore efficacia il problematico rapporto tra diritto e potere come questo passo del Vangelo secondo Giovanni ( 19,7 - 11).
I moduli espressivi ed il pensiero del quarto evangelista hanno contribuito forse in misura maggiore dello scarno resoconto dei tre sinottici a far sì che le immagini del processo a Gesù da quasi duemila anni si presentino vive agli occhi dei cristiani e che le stesse immagini  abbiano costantemente ispirato scrittori, pittori e musicisti.
Al di là dell'effetto plastico, è indiscutibile che per un numero infinito di esseri umani, che avevano subito i soprusi del potere, ai quali era negata giustizia, il proprio destino si rifletteva nelle scene archetipiche del processo e della crocifissione di Gesù, dalle quali traevano conforto.
Il racconto della passione proposto dai quattro evangelisti acquista, pertanto,  il suo significato storico universale proprio per  il fatto che in un certo senso rappresenta l'atto costitutivo di una religione alla quale oggi aderisce un terzo dell'umanità; ma le critiche suscitate dalla testimonianza degli evangelisti sono determinate dalle contraddizioni esistenti all'interno di ogni singolo Vangelo come pure fra i vari Vangeli.
Fonti non cristiane, in particolare gli Annali di Tacito (XV, 44,3) confermano che Cristo fu condannato da Ponzio Pilato e che la crocifissione era una pena prettamente romana e non ebraica.
Il racconto della passione proposto da Marco è il più breve, il più semplice e probabilmente il più antico.
L'evangelista dovrebbe averlo scritto circa una generazione dopo la morte di Gesù, basandosi oltre che sulla tradizione orale su documenti scritti.
Giovanni si avvicina al resoconto storico introducendo dei testimoni oculari: dopo l'arresto e la consegna al pontefice, uno dei discepoli che conosceva quest'ultimo, ebbe la possibilità di entrare nel cortile ( Gv18,15).
Questo testimone risulta anonimo al pari di colui che vide che dal costato trafitto con la lancia usciva sangue ed acqua, la veridicità di questa testimonianza è particolarmente sottolineata dall'evangelista ( Gv 19,35).

Un parametro significativo per effettua una   critica può essere rappresentato dall’ amministrazione provinciale romana in generale e dall’ 'amministrazione della provincia della Giudea in particolare, della quale ci informa Giuseppe Flavio nella Guerra giudaica ( Bellum Iudaicum BI) e nell'Antichità giudaiche ( antiquates Iudaicae, AI).
Questo scrittore ci offre ,  infatti,   un quadro della personalità e del modo di amministrare di Ponzio Pilato che – storicamente parlando- deve essere   rapportato all'immagine di lui e del suo modo di condurre il processo che ci offrono  gli evangelisti.
E’ lecito chiedersi, infatti, fino a che punto i discepoli di Gesù erano informati sulle sue ultime ore!
Un buon numero di testimoni era a conoscenza dei meri fatti esterni: gli inviati dei pontefici e gli scribi, con i quali Gesù aveva avuto screzi anche in passato, lo arrestarono la sera di Pasqua, quindi il 14 nisan, nel giardino di Getsemani e subito la mattina successiva, i pontefici lo consegnarono legato al Governatore.
Quella stessa mattina, Pilato lo fece condurre al Golgota dai suoi soldati, dove venne crocefisso: apparve evidente che era stato flagellato.
Al processo la decisione sarebbe addirittura stata presa davanti ad un vasto pubblico,
I Vangeli concordano sul fatto che l'esito del processo non fu determinato dal diritto, romano o ebraico che fosse, bensì dal potere.
Come già detto,  Pilato aveva deciso di liberare Gesù ma nella successiva lotta di potere era stato sconfitto dai pontefici che lo avevano messo sotto pressione usando come argomento le moltitudini radunatesi davanti al Pretorio per chiedere l' amnistia tradizionalmente concessa per Pasqua.
E' probabile che sull'udienza vera e propria nel Pretorio nessuno dei discepoli di Gesù e della cerchia più vasta dei suoi seguaci avesse notizie di prima mano.
Lo stesso dicasi per il presunto interrogatorio nel sinedrio che sarebbe avvenuto la sera stessa dell'arresto.
Su questa udienza preliminare Marco, Luca e Giovanni danno infatti informazioni diverse.
Molti storici hanno sostenuto e con buone ragioni che le diverse descrizioni siano  state aggiunte dopo l'interrogatorio da parte di Pilato.
Mi sembra palese che un interrogatorio su questioni di fede non sarebbe servito a nulla dal momento che   i pontefici avevano sin dal principio mirato ad una decisione politica.
La brutalità dell'arresto svelò subito a Gesù le loro intenzioni " Siete venuti come contro un ladro e un ribelle con spade e bastoni a catturarmi - Ogni giorno ero presso di voi nel tempio a insegnare e non mi avete preso" ( Mc 14,48 - 49; Mt 26, 55; Lc 22, 52 - 53).
Queste due frasi, che rappresentano una reazione logica e perciò credibile, furono le ultime che i discepoli udirono dalle labbra di Gesù prima di fuggire per andarsi a nascondere.
Dalle circostanze dell'arresto potevano prevedere, infatti, che davanti al prefetto, i pontefici avrebbero accusato il Cristo del delitto di lesa maestà; per i pontefici era questo il modo più facile per sbarazzarsi di un pericoloso avversario.
Per farlo sfruttarono la Pasqua, quando il prefetto dalla sua residenza di Cesarea fece ritorno a Gerusalemme per svolgere la sua attività di giudice.
Al di là di come si sarebbe potuta motivare l'accusa nel dettaglio, essa sarebbe in ogni caso culminata nell'imputazione di Gesù, che sosteneva di essere il re dei Giudei.
Con il desiderio di Pilato di liberare l'innocente Gesù il processo avrebbe potuto concludersi ma proseguì come era logico aspettarsi visto la situazione politica del tempo.
Proviamo noi ora a chiederci se il processo avvenne davvero in pubblico, con il popolo a contatto diretto con Pilato: senza dirlo esplicitamente Marco dà l'impressione che si tratti di un processo pubblico;  il suo resoconto è coerente con il fatto che un prefetto di norma amministrava la giustizia pubblicamente.

II parte

 
www.disinformazione.it