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La
dieta carnea: informazioni su cui riflettere
Realizzazione:
Maurizio
Sabbadini
Tratto
da http://www.procaduceo.org/it_mater/articoli/salute/no_carne2.htm#costi
Uno degli aspetti che forse sfuggono ai più è
che il dissennato sfruttamento dell'ambiente che l'umanità mette in
atto, non mette a rischio il pianeta su cui viviamo.
Si può notare che sentiamo spesso parlare di "pianeta a
rischio", di "fine del mondo", di "natura a
rischio", ma dietro a queste parole è nascosta una sottile falsità,
una mistificazione significativa, purtroppo in molti casi anche
inconsapevole:
la terra e la vita su di essa, in qualche modo, sotto qualche forma,
continueranno ad esistere, a prescindere dal comportamento
irresponsabile dell'umanità.
A rischio è "solo" la specie umana. E' un concetto semplice
quanto incompreso.
E' l'uomo che mette a rischio se stesso, o meglio la sua specie.
C'è qualcosa di perverso e terribile in questo: possibile che l'uomo
non abbia a cuore nemmeno sé stesso?
Purtroppo è così, e per una semplicissima ragione: l'uomo "non
spirituale" non ha ancora capito che il mondo è stato, è, e sarà,
il mezzo unico e necessario alla sua anima, nelle susseguenti e
molteplici vite, per evolvere.
L'uomo, materialistico e miope, vede solo il tornaconto della sua
presente esperienza, e intende massimizzare l'accumulo di agi e
ricchezze fini a se stessi in una sola breve vita: quale miserevole
intento!
Vorrei proporre in queste pagine un breve excursus di come l'uomo metta
in atto il suo –"relativamente inconsapevole"- disegno di
autodistruzione, partendo da considerazioni sui principali meccanismi in
atto, sul come tali automatismi siano vicini ad ognuno di noi
occidentali, su quanto sarebbe possibile fare per modificare il tragico
andamento, per giungere infine a considerazioni che possano dare una
collocazione spirituale a tutto il tema. Un tema la cui importanza è
tale da richiedere la più grande attenzione che ognuno di noi, abitanti
del "primo mondo", possa dedicarvi.
Una delle espressioni più efferate dello sfruttamento che l'umanità
impone al pianeta ci riguarda molto da vicino. Ma questa vicinanza ad
ognuno è un fatto positivo, in quanto -come vedremo- ognuno di noi è,
o meglio, sarebbe, in grado di fare qualcosa per il suo pianeta. Si
tratta dell'uso di carne per l'alimentazione umana.
I veri costi dell'alimento carneo
L'economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente
alla Wharton School of Finance and Commerce e presidente della
Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, uno
dei più famosi "teorici" no-global, ha scritto un famoso
libro: Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, (Mondadori),
nel quale con mirabile acume analizza il costo che ha per l'umanità
questa "attitudine", sviluppatasi esponenzialmente nell'ultimo
secolo.
La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli
uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere ma, come al
solito, l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti
(fragili).
Egli illustra come il "racket dell'Hamburger", assorbendo il
36 per cento della produzione mondiale di grano per l'allevamento del
bestiame, impedisca di eliminare il problema nella fame nel mondo.
Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la
fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la
coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali
destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne
bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con
foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a
livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più
alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a
foraggio.
Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne
stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il
patrimonio dell'intero pianeta.
Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali
per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli
animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui
conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature
di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.
Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è
destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino.
Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i
convertitori di alimenti meno efficienti.
Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac"
delle fattorie animali.
Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento,
occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono
cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è
paglia tritata.
Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo
diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come
energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le
normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non
sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.
Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà
consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente
Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali,
legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono
destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate
di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno.
Un nuovo fenomeno agricolo
I bovini e il resto del bestiame stanno
divorando gran parte della produzione di grano del pianeta.
È necessario sottolineare che si tratta di un nuovo fenomeno agricolo,
del tutto diverso da quanto sperimentato prima d'ora.
Ironicamente, la transizione dal foraggio al mangime è avvenuta senza
troppe polemiche, nonostante si tratti di un fatto che ha avuto, nella
politica di utilizzo del territorio e di distribuzione alimentare, un
impatto maggiore di qualunque altro singolo fattore.
In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a
crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla
richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi.
Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell'agricoltura, negli Stati Uniti
e in Europa, due terzi dell'aumento di produzione di grano sono stati
destinati alla fornitura di cereali d'allevamento per lo più bovino.
Nei paesi in via di sviluppo, la questione della riforma agricola ha
periodicamente chiamato a raccolta intere popolazioni di agricoltori,
nonché generato sommosse politiche populiste.
Tuttavia, mentre le questioni della proprietà e del controllo della
terra sono sempre state temi di grande rilevanza, il problema di come la
terra venisse utilizzata ha sempre suscitato meno interesse nell'ambito
del dialogo politico.
Eppure, è stata la decisione più iniqua della storia quella di usare
la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato
alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo.
È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali
produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di
terra destinato all'allevamento di carni; i legumi e le verdure possono
produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto.
Le grandi multinazionali che producono semi e prodotti chimici per
l'agricoltura, allevano bestiame e controllano i mattatoi e i canali di
marketing e distribuzione della carne, hanno tutto l'interesse di
pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali.
La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di
sviluppo equiparano ed associano all'allevamento di bovini nutriti a
foraggio il prestigio di quel dato paese.
Salire la scala delle proteine è diventato un simbolo di successo che
assicura l'entrata in un club elitario di produttori che sono in cima
alla catena alimentare mondiale.
Il periodico americano "Farm Journal" riflette con queste
parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: "Incrementare
e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di
ogni paese in via di sviluppo". Iniziano tutti con l'allevamento di
polli e con l'installazione di attrezzature per la produzione delle
uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre
proteine non vegetali.
Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono "la scala delle
proteine" e spostano la loro produzione verso carne suina, latte,
latticini, manzo nutrito al pascolo.
Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano
raffinato".
La scalata alle proteine animali
Incoraggiare altri paesi a salire la scala delle proteine promuove gli
interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle
società agro-industriali.
Molti di noi saranno sorpresi di sapere che due terzi di tutto il grano
esportato dagli Stati Uniti verso altri paesi è destinato
all'allevamento del bestiame più che a soddisfare il fabbisogno di cibo
dei popoli.
Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la scala delle
proteine all'apice del boom agricolo, quando la tecnologia della
"rivoluzione verde" produceva grano in eccesso.
Nel 1971
Il governo americano incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti
all'estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato
dei cereali foraggieri.
Società come
Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di
rimanere in cima a questa scala anche dopo che gli eccessi della
"rivoluzione verde" erano svaniti.
Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è
quintuplicata.
Il passaggio dal cibo al mangime continua velocemente in molti paesi in
modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che
muoiono di fame.
Le conseguenze di queste trasformazioni - e il significato che hanno per
l'uomo - sono state drammaticamente dimostrate da quanto accaduto in
Etiopia nel 1984, quando migliaia di persone sono morte di fame.
L'opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento
l'Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la
produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da
esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali
foraggieri destinati alla zootecnia.
Al momento sono milioni gli acri di terra che nel Terzo mondo vengono
utilizzati esclusivamente per la produzione di mangime destinato
all'allevamento del bestiame europeo.
Statistiche quanto minimo sconcertanti
Purtroppo, l'80 per cento dei bambini che nel
mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus
alimentare che viene però per lo più prodotto sotto forma di mangime
animale e che di conseguenza viene utilizzato solo da consumatori
benestanti.
Al momento, uno sconcertante 36 per cento della produzione mondiale di
grano è consacrato all'allevamento del bestiame.
Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota-parte di grano
destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21 per cento del
totale di grano prodotto.
In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è
triplicata (dall'8 al 26 per cento).
Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta dal 5 al
45 per cento, in Egitto dal 3 al 31, ed in Thailandia dall'uno al 30 per
cento.
L'ironia dell'attuale sistema di produzione è che milioni di ricchi
consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie
legate all'abbondanza di cibo - attacchi di cuore, infarti, cancro,
diabete - malattie provocate da un'eccessiva e sregolata assunzione di
grassi animali; mentre i poveri del Terzo mondo muoiono di malattie
poiché viene loro negato l'accesso alla terra per la coltivazione di
grano e cereali destinati all'uomo.
Le statistiche parlano chiaro: sarebbero 300 mila gli americani che ogni
anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso.
Un numero destinato ad aumentare. Secondo gli esperti, nel giro di
qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani
moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo
delle sigarette.
Attualmente il 61 per cento degli americani adulti è in sovrappeso.
Ma contrariamente a quanto si crede, gli americani non sono i soli ad
essere grassi.
In Europa, oltre la metà della popolazione adulta fra i 35 e i 65 anni
ha un peso superiore al normale.
Nel Regno Unito il 51 per cento della popolazione è in sovrappeso e in
Germania si registra un eccedenza di peso nel 50 per cento degli
individui.
Anche nei paesi in via di sviluppo, fra le classi più abbienti della
società, il numero degli obesi va velocemente crescendo.
Il Who (World Health Organization) sostiene che la ragione principale di
tutto ciò è "l'assunzione di cibi ad alto contenuto di grassi la
predilezione dell' "hamburger life style".
Secondo il Who, il 18 per cento della popolazione dell'intero globo è
obesa, più o meno quante sono le persone denutrite.
Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi
fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali,
nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l'anno muoiono di fame e
di malattie collegate.
Ma i consumatori di carne non sanno né vogliono sapere
Secondo le stime, la fame cronica contribuisce
al 60 per cento delle morti infantili.
Il consumo di grandi quantità di carne, specie quella di bovini nutriti
a foraggio, è visto da molti come un diritto fondamentale e un modo di
vita.
La società dell'hamburger di cui fanno parte anche persone alla
disperata ricerca di un pasto al giorno non viene mai sottoposta al
giudizio della pubblica opinione.
I consumatori di carne dei paesi più ricchi sono così lontani dal lato
oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere,
in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri
esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni.
Il punto è questo.
A Roma nel giugno 2002 si è svolto l'ultimo "vertice mondiale
sull'alimentazione" organizzato sotto l'egida della FAO (Food and
Agricultural Organization)
Ma cosa succede in questi faraonici summit
sulla fame nel mondo?
- Si parla molto di come incrementare la produzione alimentare.
- Le società bio-tecnologiche fanno propaganda ai loro "super
semi" geneticamente modificati.
- I paesi del G-7 e le Organizzazioni non governative parlano della
necessità di estendere gli aiuti alimentari.
- Gli stati del Sud del mondo chiedono accordi più equi per il
commercio globale e di come assicurare prezzi più alti per le proprie
merci e i propri prodotti.
- Si discute persino della necessità di una riforma agricola nei paesi
poveri.
Ma il tema assente dal panorama dei dibattiti
sono le abitudini alimentari dei consumatori dei paesi ricchi che
preferiscono mangiare prodotti animali pieni di grassi e altri cibi al
top della catena alimentare globale, mentre i loro fratelli del Terzo
mondo muoiono di fame perché gran parte del terreno agricolo viene
utilizzato per la coltivazione di cereali destinati agli animali.
Da troppo tempo ormai si attende una discussione globale su come meglio
promuovere una dieta vegetariana diversificata, ad alto contenuto di
proteine e adatta all'intera umanità.
Purtroppo invece, quando i delegati terminano gli incontri giornalieri
previsti nei summit e si siedono a tavola, la vera politica
dell'alimentazione è seduta lì ed è proprio di fronte ai loro occhi,
nei loro piatti, abbondanti di carne…
Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più
di chi non lo fa
Possiamo fare qualcosa in prima persona per
sfruttare di meno le risorse della terra: cominciare ad essere
vegetariani.
Potrebbe parere un affermazione troppo forte, una sorta di diktat, ma è
tutt'altro che così.
Si tratta solo della conseguenza di una auspicabile consapevolezza, di
elevare –come per altro previsto dal Grande Piano Evolutivo di cui
ognuno di noi fa parte- il livello di coscienza.
Quando si mangia una bistecca bisognerebbe essere consapevoli.
Consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle
foreste disboscate, del deserto conseguente, dell'anidride carbonica e
del metano che intrappolano il globo in una cappa calda.
Ogni bistecca equivale a
Consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da
mangiare alla fonte delle bistecche.
Consapevoli degli 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e dei 9
milioni che ne hanno tanta da morirne.
Consapevoli che il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli
Usa serve a sfamare animali. Non uomini.
Tale consapevolezza dovrebbe portarci a comprendere che mangiare meno
carne, o magari non mangiarne affatto, non è più solo un segno di
rispetto per gli animali è una scelta sociale. Una scelta solidale con
chi ha fame e con il futuro del pianeta.
Ed è questo il più significativo elemento che emerge dai dati
sull'impatto ambientale ed economico dell'alimentazione carnivora.
Carne
come alimento = sofferenza per gli uomini e per il pianeta
Durante il vertice mondiale sull'alimentazione
della FAO di cui abbiamo già accennato, questi temi sono stati
sostenuti dalla Global Hunger Alliance, una coalizione internazionale
non-profit che promuove soluzioni ecologiche ed equo solidali per
risolvere il problema della fame nel mondo.
Al suo appello (www.ebasta.org, www.progettogaia.org) hanno aderito
movimenti da 30 Paesi del Nord e del Sud del mondo.
Dall'Italia, vegetariani, ambientalisti e difensori degli animali si
sono associati con la campagna "Contro la fame un'altra
alimentazione è possibile" (www.novivisezione.org).
Cosa chiedevano?
All'Unione Europea di disincentivare gli allevamenti intensivi e
mangiare meno carne, e alla FAO di scoraggiare il trasferimento della
zootecnia intensiva nei Paesi in via di sviluppo.
Ma perché?
Perché il nostro pianeta viene saccheggiato per perseguire quello che
è un vero e proprio business collegato alla soddisfazione di un
piacere, alla gola di tanti umani ricchi e ben pasciuti.
Non si starà ad approfondire più di tanto, in questa sede, ad
obiezioni sulla necessità della carne per l'alimentazione umana. Chi
vuole può approfondire l'argomento con la massa ormai enorme di
notizie, libri, siti (ad esempio http://web.tiscali.it/vitasenzacarne) e
quant'altro, che affermano quanto sia migliore e salutare questa dieta,
nonché quanto siano infondate le teorie che sostengono come solo la
carne contenga le proteine utili all'uomo e che la sua carenza renda più
deboli.
Che non sia così potrebbe essere intuito facilmente anche solo da
semplici considerazioni sull'alimentazione necessaria agli animali che
ci forniscono tali proteine, o dal fatto che elefante e cavallo sono gli
animali più forti e resistenti alla fatica…
Altri dati che fanno pensare (1)
Ogni volta che addentiamo un hamburger si
perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di
uccelli, mammiferi e rettili.
Dal
In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di
ettari di pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle
specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo.
Dove prima c'erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo
mandrie.
"Vacche ovunque", scrive Rifkin nel suo "Ecocidio":
"attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo
di bovini. Quest'immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente,
il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantità di
cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone".
Per farvi posto occorre terreno da pascolo e deforestazione per creare
pascoli significa desertificazione.
Dopo tre, al massimo cinque anni, il suolo calpestato e divorato da
milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione
al mese!) ed esposto a sole, piogge e vento, diventa sterile e i
ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta.
Ci vorranno da
Ma non basta: un quarto delle terre emerse vengono usate per nutrire il
bestiame.
E che dire dell'acqua? Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli
States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: e'
stato calcolato che un chilo di manzo si beve
Il risultato è che le falde acquifere del Mid-West e delle Grandi
Pianure statunitensi si stanno esaurendo.
Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche
tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: "tutti prodotti
dalle stesse, poche, multinazionali che detengono il monopolio dei semi
usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il
bestiame", fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista,
nelle pagine del suo "Le fabbriche degli animali" (Edizioni
Cosmopolis).
"Ogni anno in Europa", incalza Marinella Correggia, attivista
della Global Hunger Alliance e autrice, per
E tutti vanno a finire nelle falde acquifere.
Un dato italiano, che riferisce Roberto Marchesini, docente di bioetica
e zoo-antropologia, autore di "Post-human", (ed. Bollati
Boringhieri): "Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190
mila tonnellate di deiezioni animali. Contengono metalli pesanti,
antibiotici e ormoni".
Con quali conseguenze? Ricordate il problema delle alghe abnormi nel Mar
Adriatico?
Marchesini parla di "fecalizzazione ambientale" e Rifkin ci
illumina sulla portata del problema riportando che un allevamento medio
produce 200 tonnellate di sterco al giorno.
C'è dell'altro: i bovini sono responsabili dell'effetto serra tanto
quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell'uso di
petrolio (
Un chilo di vegetali per
Vogliamo riassumere?
E' la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati
dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione
del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni,
piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca.
E tutto questo per cosa?
Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di "Diet for a small
planet" definisce "fabbriche di proteine alla rovescia".
Significa che ci vuole un chilo di proteine vegetali per avere
E inoltre: "per produrre una bistecca che fornisce 500
calorie", spiegano gli autori di "Assalto al pianeta"
(ed. Bollati Boringhieri), "il manzo deve ricavare 5 mila calorie,
il che vuoi dire mangiare una quantità d'erba che ne contenga 50 mila.
Solo un centesimo di quest'energia arriva al nostro organismo: il 99%
viene dissipata... Usata per il processo di conversione e per il
mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non
si mangiano come ossa o peli".
Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed
energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed
energia.
E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta.
Quel 20% che sfrutta l'80% delle risorse mondiali.
Per dare a quel 20% la sua bistecca quotidiana.
"Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per
l'ingordigia di alcuni", diceva Gandhi.
Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti. "Dal Dopoguerra a
oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite
all'anno a 85-90 (110-120 negli States)", riferisce Marchesini.
Secondo Moore Lappé le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli
animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a
tutti gli esseri umani per un anno.
E
Ma c'è una spiacevole sorpresa
La domanda di carne sta crescendo.
Paesi come
Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!).
Secondo l'IFPRI entro il 2020 la domanda di carne nei Paesi in via di
sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di
tonnellate di bistecche.
E raddoppierà, sempre nei Paesi in via di sviluppo, la domanda di
cereali per nutrire queste tonnellate di carne.
Fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate.
Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo
sfruttamento delle risorse.
Il manzo globale sta diventando una realtà.
Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud del mondo
la produzione di carne.
Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per
sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger.
Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la
popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni", scrive
Rifkin, "si sta preparando una crisi alimentare planetaria".
Incalza Correggia: "è stato calcolato che l'impronta ecologica,
cioè il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4
mila metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un
vegetariano".
E allo stato attuale, la disponibilità di terra coltivabile per ogni
abitante della terra è di
Secondo
Una scelta etica e responsabile
Economia, ecologia e cibo per tutti sì
fondono. Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di
risorse che la terra mette a disposizione di ciascun essere vivente.
Se qualcuno consuma di più c'è un altro costretto a digiunare.
Naturalmente non è così semplice. La fame nel mondo non è solo una
questione di quantità di risorse, ma di distribuzione.
O meglio, con Marchesini "è una questione di produzione, consumo e
distribuzione insieme".
Essere vegetariani è una scelta personale, frutto di un percorso
(certo, se cominciassimo a ridurre quei 90 chili di carne all'anno...).
Marchesini la definisce una scelta di etica privata (etica pubblica,
obbligo collettivo, deve essere, invece, l'attenzione al benessere degli
animali).
Ma essere vegetariani è anche un atto di responsabilità e sensibilità
sociale ed ecologica.
Scrive Rifkin: "milioni di occidentali consumano hamburger e
bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto delle loro
abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel
pianeta".
Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un
territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di
milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate
nell'atmosfera"...
Se ogni volta che decidiamo di comprare una bistecca pensassimo a tutto
questo forse per quel giorno cambieremmo menù, e chissà, magari
sostituiremmo la carne con un piatto di germogli di soia consapevoli di
fare del bene non solo all'umanità e al pianeta che così gentilmente
ci ospita e sopporta, ma anche a noi stessi a alla nostra salute…
Una citazione emblematica
Rifkin chiude il suo libro con considerazioni
veramente significative:
"I ricchi consumatori del Primo mondo si godono i piaceri di una
dieta carnea, ma patiscono le conseguenze degli eccessi che la posizione
dominante nell'artificiosa scala delle proteine comporta: con il corpo
intasato di colesterolo, vene e arterie occluse dai grassi animali, sono
vittime delle "malattie del benessere", degli attacchi
cardiaci, dei tumori del colon e della mammella, del diabete.
In una civiltà che ancora misura il male in termini individuali, il
male istituzionale, nato dal distacco razionale e perseguito freddamente
con metodi calcolati di espropriazione tecnologica, deve ancora trovare
una posizione sulla scala morale.
La riprovazione morale continua a essere legata ad atti d'individuale
malvagità; se un membro della società commette un atto di violenza,
priva il suo prossimo della vita, della proprietà o della libertà,
l'individuo e il suo gesto sono universalmente condannati.
Il male è manifesto, visibile, diretto e passibile di giudizio.
Il mondo moderno riconosce il male individuale che cagiona un danno
diretto ad altri individui.
Ma non sa ancora riconoscere una nuova e ben più pericolosa forma di
male, che ha premesse tecnologiche, imperativi istituzionali e obiettivi
economici.
La società contemporanea continua a tutelarsi dal male individuale e
diretto, ma ancora non è riuscita a integrare nella propria griglia
morale di riferimento il senso di giusta indignazione e di riprovazione
morale nei confronti della violenza istituzionalmente certificata.
Ma cosa accade di un altro genere di malvagità: quella implicita
all'origine, nelle premesse medesime su cui si fondano le istituzioni?
La chiesa accenna, con molta timidezza, all'idea di combattere "le
potenze e i principati terreni", ma anche qui riconosce solo un
concetto tradizionale di moralità, ispirato ai Dieci Comandamenti.
Cosa dire, invece, del male che scaturisce da metodi razionali di
confronto, obiettività scientifica, riduzionismo meccanicista,
utilitarismo ed efficienza economica?
Il male inflitto al mondo moderno dal complesso bovino ha questa natura:
avidità, inquinamento e sfruttamento hanno accompagnato il complesso
bovino durante tutta la millenaria migrazione verso Ovest.
La nuova dimensione del male è intimamente connessa con il complesso
bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, e
discende direttamente dai principi illuministi su cui si fonda gran
parte della moderna visione del mondo.
Questo male occulto viene inflitto a distanza; è un male camuffato da
strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali; un male cosi
lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce,
da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale. E' un
male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale.
Lasciare intendere che un individuo sta facendo il male coltivando
cereali destinati all'alimentazione animale o consumando un hamburger,
può sembrare strano, perfino perverso, a molti.
Anche se i fatti fossero espliciti e incontrovertibili, e il percorso
del male fosse tracciato nei suoi più minuti dettagli, è improbabile
che molti, nella società, avvertirebbero il medesimo senso di
riprovazione morale che provano di fronte a un male diretto e
individuale, come una rapina, uno stupro, la deliberata tortura del cane
dei vicini.
E' probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di
bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la
disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie
allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di
prodotti destinati esclusivamente all'esportazione.
E che i ragazzi che divorano cheeseburgers in un fast-food non siano
consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta
e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto.
E che il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si
senta responsabile del dolore e della brutalità patiti dagli animali
nei moderni allevamenti ad alta tecnologia.
In una civiltà completamente imbevuta di principi illuministi, come la
meccanizzazione e l'efficienza economica, la sola idea che questi
medesimi principi siano, potenzialmente, causa del male è censurata.
La maggior parte delle relazioni che regolano le società moderne sono
mediate dalla razionalità, dal distacco obiettivo, dalla ricerca
dell'efficienza, da considerazioni utilitariste e interventi
tecnologici.
Il moderno complesso bovino, come abbiamo appreso attraverso le pagine
di questo libro, è stato fra le prime forze istituzionali a mettere in
pratica le idee dell'Illuminismo, a integrare gli standard
ingegneristici della moderna visione del mondo in ogni aspetto della
propria attività.
Nell'era moderna, queste idee e questi standard sono stati utilizzati
efficacemente per tagliare gli intimi legami fra uomo e natura.
I principi fondamentali dell'Illuminismo hanno spogliato la natura della
propria vitalità e derubato le altre creature della propria essenza
originale e del proprio valore intrinseco.
Nel mondo moderno, freddo e calcolatore, abbiamo scambiato la salvezza
eterna con l'interesse materiale personale, il rinnovamento con la
convenienza, la capacità generativa con le quote di produzione.
Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell'esistenza, trasformando il
mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e
standard di performance economica.
Il male occulto viene perpetuato da istituzioni e individui mossi da
principi organizzativi razionali, che a far loro da guida per scelte e
decisioni, hanno solo forze di mercato e obiettivi utilitaristici (la
globalizzazione del profitto).
In un mondo di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la
creazione, essere in sintonia con le altre creature, gestire l'ambiente
e proteggere i diritti delle future generazioni.
L'effetto sull'uomo e sull'ambiente del modo moderno di pensare e di
strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli
ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle
comunità umane.
La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro
della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che
sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono
essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle
ai ristretti obiettivi dell'utilitarismo e dell'efficienza economica.
Il primo passo necessario è diventare consapevoli dei meccanismi di
sfruttamento del pianeta di cui siamo complici.
Il secondo passo necessario non è fare la rivoluzione, e non è neanche
aderire a questa o quest'altra organizzazione alternativa (per quanto
possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni
personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell'ambiente e del
prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi
stessi".
(1) Da Carne amara. Supplemento D -