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La Coca
Cola mette la foglia in bottiglia
Di
Luis A. Gomez* - tratto da “CARTA” 24 febbraio/2 marzo 2005
La Commissione nazionale per lo sviluppo e la vita senza droghe del Perù sostiene che Coca Cola compra migliaia di tonnellate di foglie di coca in Perù e Bolivia.
Questa volta non si
tratta dei cocaleros peruviani. Si tratta invece dello zar antidroga del
Perù, Nils Ericsson, presidente della Commissione nazionale per lo
sviluppo e la vita senza droghe [Devida]. Quest'uomo, che giura che il
narcotraffico è “il braccio finanziario del terrorismo” parla
spesso a vanvera, ma ogni tanto dice qualcosa d'interessante. Come per
esempio quando conferma che la Coca Cola compra foglie di coca in Perù
e Bolivia. La storia merita un po' di approfondimento.
Fra le altre cose, Ericsson sostiene di non sapere quanti ettari siano
coltivati a coca in Perù e quanti ne siano stati eradicati, ma
ultimamente ha deciso di scontrarsi con alcune aziende che producono
bevande, e perfino con l'Empresa nacional de coca [Enaco] peruviana,
sulla questione dell'industrializzazione della foglia millenaria. Prima
si è detto contrario all'industrializzazione, poi ha detto “forse”,
e infine ha detto «sì». In meno di due mesi, si è contraddetto
diverse volte, fino ad arrivare al punto di dover fare un comunicato
ufficiale sul sito web di Devida per negare appunto di essere contrario
allo sfruttamento industriale della coca.
Per contraddire questa affermazione, basta ricordare che da poco più di
un anno sono comparse in Perù due nuove marche di bevande, Vortex coca
energy drink e K-Drink. Sono prodotte da aziende peruviane, sconosciute
sia in Perù che altrove, e sono entrambe a base di coca. Tutto legale.
A maggio del 2004 è intervenuto l'International narcotics control board
[ufficio internazionale di controllo sugli stupefacenti], che ha
stabilito che le suddette bevande contenevano alcaloidi. Non è stato
chiarito quali [la coca ha ben 16 differenti alcaloidi], ma poiché
questa è l'istituzione incaricata di far rispettare la Convenzione di
Vienna sugli stupefacenti, siglata nel 1961, Ericsson e Devida hanno
cominciato a preoccuparsi.
Eliminare la concorrenza
In effetti, le bevande peruviane contenevano alcaloidi, perciò
tanto la Vortex come la K-Drink hanno “ripulito” le proprie formule
per eliminarli. Stranamente però Ericsson ne ha deciso ugualmente la
sospensione delle vendite. Un fatto piuttosto singolare, visto che era
stato proprio lui a negoziare la licenza di una delle due aziende.
Secondo Ricardo Vega Llona, predecessore di Ericsson al comando di
Devida, “tutto sembra molto strano e poco ragionevole, a meno che non
ci sia dietro una pressione politica, qualcosa del tipo “andiamo a
cercare tutto ciò che ha a che fare con la coca e cancelliamolo”.
Clara Cogorno, amministratrice delegata della Amadeus corporation,
produttrice di Vortex, aggiunge: «Se spariscono le imprese che lavorano
legalmente la foglia di coca, i cocaleros non avranno a chi appoggiarsi
per evitare la distruzione delle loro coltivazioni». Oltre che essere
d'accordo con Vega, Cogorno ha aggiunto che si tratta di un pretesto per
far rispettare la politica antidroga degli Stati uniti. La disputa sulle
bevande potrebbe arrivare in tribunale, perché le due aziende non hanno
alcuna intenzione di mollare.
Il 10 dicembre Ericsson ha pubblicato un editoriale sul quotidiano El
Comercio con un titolo suggestivo: “Teorie e bugie sulla foglia di
coca”. Nel testo utilizza le parole coca e cocaina come sinonimi, poi
afferma che nessun paese comprerebbe prodotti contenenti cocaina”, e
che dunque «nessuna industria simile risulterebbe sostenibile e con un
futuro economico». «Per l'elaborazione di altri prodotti”, aggiunge,
«oltre alla questione della qualità, c'è il fatto che la foglia di
coca costa immensamente cara». Probabilmente Ericsson si riferiva al
fatto che, con l'aumento delle eradicazioni della coca, il prezzo è
salito enormemente. Ma evidentemente il signor Ericsson non conosce le
regole della domanda e dell'offerta [se la produzione aumenta, il prezzo
cala] oppure, come dicevano Vega e Cogorno, c'è dell'altro?
Il 26 gennaio del 2005 dovrebbe essere una data da ricordare. Quel giorno, infatti, la Devida ha lanciato un comunicato in dieci punti per chiarire la posizione ufficiale sulla questione dello sfruttamento industriale della coca. Al punto 5, nel paragrafo finale, si dice: «La Coca Cola, azienda riconosciuta a livello mondiale per la produzione di bevande gassate, compra dal Perù 115 mila tonnellate di foglia di coca ogni anno e dalla Bolivia 105 mila tonnellate, con le quali produce, senza alcaloidi, 500 milioni di bottiglie al giorno» Avete letto bene. La Coca Cola compra foglie di coca, lo dice il governo peruviano. E questo giochetto le ha fruttato 13 miliardi di dollari di ricavi lordi nello scorso anno. Eppure, nel dicembre del 2002 la rappresentante messicana della multinazionale, Adriana Valladares, aveva detto che “Coca Cola non compra foglie di coca”.
«Non
usiamo foglie di coca»
E il 17 dicembre 2002 la
portavoce della Coca Cola, Karyn Dest, consultata dal quotidiano
messicano El Universal, diceva che «l'impresa non usa cocaina, non è
mai stata parte dei nostri ingredienti». Cocaina no, ma foglie di coca
sì, secondo il governo del Perù. Se ne potrebbe concludere che la
logica dell'eradicazione della coca in Perù abbia dei parametri
particolari. Perché se, come sembra, si tratta di eliminare la «coca
illegale» e restringere il suo sfruttamento industriale ai prodotti che
non contengono alcaloidi [rispettando la Convenzione di Vienna], viene
permessa solo la coltivazione per usi tradizionali e quella necessaria a
garantire alla Coca Cola il monopolio della produzione delle bevande. E
il prezzo proibitivo di cui parla Ericsson? Serve forse a fare sì che
solo Coca Cola possa comprare coca ?
Nella cosiddetta «guerra contro le droghe» si dimostra ancora una
volta che, tra bugie e mezze verità, c'è molto denaro in ballo. I
cocaleros peruviani, che fino ad ora non ne hanno ricavato che morte e
repressione, hanno dichiarato "patrimonio culturale" la foglia
di coca nella regione di Huánuco.
Bushito, atto secondo
Grandi manovre per garantire un secondo mandato al presidente Alvaro
Uribe. Il 30 novembre il Congresso colombiano ha approvato un progetto
di legge che consentirebbe la defezione di «Bushito», piccolo Bush,
come viene chiamato confidenzialmente il presidente che fa da trincea
all'espandersi di governi «fuori controllo» Usa in Sudamerica. Il Plan
Colombia, nato come guerra «al narcotraffico» e cambiato in corso
d'opera nella più attuale lotta al terrorismo, può finanziare la
rielezione di Uribe. L’ambasciatore Usa a Bogotà William Wood ha
detto: «Le Farc hanno 40 anni, il mandato presidenziale è di soli 4.
Il popolo colombiano ricordi che la tattica delle Farc, di fronte a
presidenti fermi e popolari come Uribe, è stata sempre di attenderne la
scadenza dei mandato».
* Luis Gómez l’autore di questo articolo, Luis Gómez, è un giornalista boliviano. Scrive corrispondenze peri il quotidiano messicano la Jornada da La Paz ed è una delle firme più autorevoli di Narco News, una rete di reporter di «giornalismo autentico» che si occupa principalmente di «guerra alla droga e democrazia in America latina». Tra i collaboratori dei Narco News Bulletin c'era anche GaryWebb, il giornalista californiano che aveva vinto il Premio Pulitzer per un'inchiesta sui traffici di cocaina della Cia. Luis Gémez, che è da tempo un amico ed estimatore di Carta, ha recentemente scritto il miglior libro uscito in Bolivia sulla «guerra dei gas» a El Alto, la città satellite di La Paz. L’articolo che ci ha inviato è uscito su The Narco News Bulletin il 29 gennaio. Luis annuncia che proseguirà l'inchiesta.