Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Climi di guerra
(parte II)
di
Carlo Stracquadaneo – tratto da www.AnalisiDifesa.it
Nel 1991, grazie alla “Glasnost”, fu svelato un programma di ricerca
militare avviato dall’Unione Sovietica tra gli anni sessanta e
settanta, destinato a provocare terremoti artificiali, causati mediante
esplosioni nucleari sotterranee, da sfruttare come arma di attacco
preventivo, da utilizzare prima di un attacco convenzionale. Si trattava
del programma “Kontinent”, i cui esperimenti sono forse stati la
causa di numerosi terremoti negli Urali, in quel decennio, di cui si
ricorda quello del nono grado della scala Richter, che rase al suolo la
città di Gasli.
Senza dubbio un’attività di manipolazione dell’ambiente naturale a
fini militari, è stata realizzata nella primavera del 1991 durante la
Guerra del Golfo, quando per effetto dell’incendio dei pozzi
petroliferi del Kwait, ordinato da Saddam Hussein durante la ritirata
del suo esercito, il cielo fu oscurato per parecchie settimane, rendendo
l’aria irrespirabile e limitando di fatto le operazioni aeree e
terrestri, rivolte contro l’esercito iracheno; anche il mare, coperto
da una densa patina di greggio, fu inquinato in parecchie miglia di
costa, con conseguente disastro all’ecosistema. La circostanza fu
oggetto di particolare preoccupazione per il Comando interalleato che
vide la spessa coltre di fumo come un’efficace cortina antiluce atta a
consentire una prolungata sopravvivenza sul terreno a virus ed agenti
patogeni, protetti in tal modo dall’azione dei raggi solari.
La circostanza non è
confermata, ma sembra tuttavia che anche tale timore, abbia concorso
nella
La
diversa interpretazione delle tutele tra Protocolli Aggiuntivi e
Convenzione Enmod
Nella seconda metà
degli anni settanta, la formazione di nuovi Stati nazionali, la guerra
di Corea, l’Indocina, l’Algeria, i conflitti Arabo-Israeliani, la
guerra del Vietnam come pure le guerre civili in Africa, Asia e Sud
America, evidenziarono la necessità di aggiornare le Convenzioni di
Ginevra del 1949 alla nuova realtà geopolitica e sociale.
Nel 1977, l’adozione dei due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni
del 1949 consentì di ridefinire le tipologie di conflitto armato,
includendo fra quelli a carattere internazionale le guerre di
liberazione contro le dominazioni coloniali, l’occupazione straniera e
i regimi razzisti.
Nel I Protocollo Aggiuntivo
(I-PA77), facendo riferimento a metodi e mezzi di guerra, l’art. 35
ribadisce il principio fondamentale già contenuto sia nella
Dichiarazione di San Pietroburgo del 1868, che nelle convenzioni dell’Aja
del 1899 e del 1907: “In ogni conflitto armato, il diritto delle
Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è
illimitato”. E’ vietato l’impiego di armi proiettili e
sostanze, nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o
sofferenze inutili. E’ vietato l’impiego di metodi o mezzi di guerra
concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si può attendere
che provochino, danni estesi e durevoli all’ambiente naturale”.
L’art. 48 enuncia la regola fondamentale in tema di protezione della
popolazione civile imponendo alle parti di fare, “in ogni momento”,
distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra beni
di carattere civile e gli obiettivi militari.
L’art. 51, vieta inoltre gli attacchi diretti nei confronti
della popolazione civile anche a titolo di rappresaglia nonché gli
“attacchi indiscriminati” .
Il successivo art. 52 offre la
definizione di “obiettivo militare” vietando contestualmente
l’attacco o la rappresaglia su beni di carattere civile All’art. 55
sono inoltre introdotte disposizioni destinate a salvaguardare
l’ambiente naturale da danni estesi, durevoli e gravi come quelli
causati dall’uso di napalm e defoglianti, già vietate
rispettivamente dal III Protocollo del 1981 sulle armi che producono
sofferenze inutili e della Convenzione del 1977 (Convenzione “Enmod”)
relativa al divieto di utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente
naturale per scopi militari o per qualsiasi scopo ostile. Infine,
l’art. 56, indica le norma di protezione per le opere e installazioni
che racchiudono forze pericolose, a causa dei danni che possono derivare
all’incolumità della popolazione civile.
Il II Protocollo (II-PA77), memore delle guerre civili combattute in
Africa, Asia ed America del Sud (in Argentina i desaparecidos furono
circa 30.000 in soli quattro anni), detta in 28 articoli la disciplina
dei conflitti armati non internazionali, le cui vittime erano state,
fino a tale momento, abbandonate alla tutela minimale offerta
dall’art. 3 comune alle quattro Convenzioni del 1949.
Il contenuto dei Protocolli segna fine alla tradizionale
bipartizione fra diritto dell’Aja, relativo a mezzi e metodi di
combattimento e diritto di Ginevra, relativo alla protezione delle
vittime dei conflitti armati, dando origine al moderno Diritto
Internazionale Umanitario.
Come accennato, in risposta a quanto avvenne in Vietnam, a seguito
dell’impiego massiccio di Agente Orange (vedasi l’articolo “Veleni
di guerra” di C. Stracquadaneo, su Analisi Difesa, n. 42, Febbraio
2004) vennero quindi adottati nel 1977 i due Protocolli Aggiuntivi alle
Convenzioni di Ginevra, i cui artt. 35, comma 3 e 55, introdussero il
divieto di adottare mezzi e metodi di guerra concepiti per provocare
danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.
La Conferenza del Comitato sul disarmo, tenutasi a Ginevra il 18 maggio
1977, diede a sua volta origine alla Convenzione sulla proibizione
dell’uso militare o di qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di
modificazione dell’ambiente, (ormai nota con l’acronimo “Enmod”).
Tuttavia, nonostante i principi tutelati dal Primo Protocollo Aggiuntivo
e dalla Convenzione “Enmod” siano identici, sorprendentemente i
termini di riferimento non hanno ottenuto la medesima interpretazione.
Il Primo Protocollo è orientato alla protezione dell’ambiente in
quanto tale, indipendentemente dal fatto che il suo danneggiamento si
ripercuota direttamente sulla popolazione civile; perciò al termine
“danno durevole” viene associato un effetto che si protragga per un
periodo di vari decenni, mentre negli “understandings” della
Convenzione “Enmod” l’implicazione temporale è ben più
restrittiva: per “durevole” si intende un danno ambientale protratto
per un periodo di mesi, pari a circa una stagione. Sempre per la
Convenzione “Enmond” il termine “esteso” viene riferito ad
un’area di parecchie centinaia di chilometri quadrati e per
“grave” si intende una seria e significativa distruzione e
pregiudizio per la vita umana, alle risorse economiche e naturali.
Inoltre, l’obbligo di proteggere l’ambiente naturale in tempo di
conflitto armato è stato ribadito dal XXIV
Principio della Dichiarazione di Rio del 1992 sull’ambiente e lo
sviluppo e dalla Corte Internazionale di giustizia (ICJ) nel 1996, che
nel parere sulla liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari,
ha dichiarato l’esistenza di un obbligo internazionale di proteggere
l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi (ICJ,
Reports, par. 31).
Allora che dire della cancellazione di migliaia di ettari di
foreste indocinesi durante la guerra del Vietnam? Purtroppo a
quell’epoca - la guerra terminò nel 1975 - queste norme non erano in
vigore, né era noto l’altissimo livello di pericolosità della
diossina, che solo nel 1994 è stata riconosciuta come una grave
minaccia alla salute pubblica. Pertanto, le devastanti operazioni di
deforestazione (Area denial missions) condotte in quel teatro operativo
mediante defolianti, non possono essere retroattivamente considerate
alla stregua di crimini di guerra.
Ancora
oggi gli erbicidi e i defolianti non sono considerati armi chimiche e il
loro uso è proibito solo se provoca effetti estesi, durevoli e gravi
all’ambiente naturale. La proibizione pertanto riguarda l’uso che ne
viene fatto, come del resto è riconosciuto nel preambolo della
Convenzione sul disarmo chimico (Parigi 1993) che condanna gli erbicidi
come “metodo” di guerra. Un altro schiaffo alle convenzioni
internazionali, è la rivelazione che gli studi e le ricerche
scientifiche del programma “Kontinent” proseguirono in Russia ancora
per quasi venti anni dopo la Convenzione Enmod, sollecitata dalla stessa
Unione Sovietica. Secondo quanto dichiarato dallo scienziato Giancarlo
Bove,: “abbandonati i test nucleari sotterranei, diventati ormai
pericolosi per l’impatto ambientale e l’inquinamento provocato dalle
esplosioni, i responsabili scientifici e militari si orientarono verso
la TeleGeoDinamica e i sistemi d’arma a energia diretta EM (electronic
pulse weapon) per concludersi definitivamente nel 1996” (!).
Cos’è la salvaguardia della
popolazione civile senza la tutela ambientale?
Il Primo Protocollo
Aggiuntivo del 1977 non attribuì alla guerra ambientale la categoria di
“grave violazione” del diritto internazionale umanitario, ma si
limitò a proibire l’uso indiscriminato di mezzi bellici intesi
deliberatamente a causare danni all’ambiente naturale e pregiudicare
la salute e la sopravvivenza della popolazione, nonché il divieto di
modificazione dell’ambiente a scopo di rappresaglia. Oggi invece lo
Statuto della Corte Penale Internazionale annovera fra i crimini anche
il fatto di “causare danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente
naturale”.e ascrive altresì tra i crimini, i danni collaterali
all’ambiente, se questi sono estesi, durevoli e gravi, tenendo come
riferimento gli “understandings” della Convenzione “Enmod”. In
questo caso, attraverso l’imputabilità di crimine internazionale
anche per danni collaterali, lo Statuto ha inteso rafforzare la tutela
dell’ambiente, nella considerazione di poter realizzare, per mezzo di
esso, una forma di ulteriore protezione nei confronti dei civili che non
prendano parte alle ostilità.
Quello che per Emmerich può rappresentare il futuro non è
quindi fantascienza ma realtà. Proiettata che sia nel futuro o nel
passato, allude sempre al presente, ma pochi film del genere
catastrofico sono più vicini ai rischi contemporanei di The Day After
Tomorrow - L'alba del giorno dopo: i disastri meteorologici del film
somigliano troppo alle nostre stagioni confuse di grandi freddi o grandi
caldi, i guai climatici sono troppo simili ai nostri, il
surriscaldamento globale e il buco dell'ozono certo non ci sono
estranei.
Il punto inquietante della
storia però è dato dalla risposta del Pentagono alla fuga di notizie
sul rapporto Schwartz e Randall: “lo scenario descritto nel
rapporto non è plausibile” insiste da Washington il portavoce
Daniel Hetlage, “serve solo a dare al Pentagono un tema di
riflessione per un futuro lontano”: una secca smentita, i due
scienziati hanno solo lavorato su ipotesi; ma perché il Pentagono
dovrebbe pagare un contratto da 100mila dollari per farsi raccontare
della fantascienza? Come si è visto, gli Stati non hanno rinunciato ai
loro esperimenti anche dopo la convenzione “Enmod”, chi può
assicurare che le potenzialità tattiche di una volta non siano
diventate capacità strategiche? Forse è giunta l’ora che tutti gli
Stati si impegnino a osservare davvero il Protocollo di Kyoto e forse
anche riaffermare e rinnovare i termini sul rispetto della Convenzione
“Enmond”, per garantire in questo settore applicazioni veramente
pacifiche e confacenti con la salute dell’uomo, il benessere e
l’equilibrio naturale.
c.stracquadaneo@analisidifesa.it