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Climi di guerra
(parte I)
di
Carlo Stracquadaneo – tratto da www.AnalisiDifesa.it
6 Giugno 2004 - Fra tre anni, nel 2007,
una tempesta particolarmente violenta farà scatenare l’oceano sulle
coste dell’Olanda. Una serie di città come L’Aia diventeranno
invivibili; un’ondata di disperati senza tetto si riverserà sulle
frontiere d’Italia e Spagna che, a loro volta, subiranno improvvisi e
intermittenti raffreddamenti, mentre il clima dell’Europa
nord-occidentale sarà secco, gelido e ventoso come quello siberiano. La
pianura padana assomiglierà a una steppa, partirà una corsa al riarmo
nucleare in preparazione di un’inevitabile apocalisse, chiusure di
frontiere e guerre scatenate per mancanza d’acqua, nel 2022 Germania e
Francia entreranno in conflitto per lo sfruttamento del Reno e
l’Unione Europea collasserà.
Questa non è la sceneggiatura
in chiave europea del film The Day After Tomorrow di Roland Emmerich, né
un’apocalittica previsione di ambientalisti, bensì gli esiti di un
rapporto di 22 pagine, dei climatologi Peter Schwartz e Doug Randall,
redatto su commissione di Andrew Marshall, che al Pentagono dirige
l’ufficio Net Assesment, un think-tank che redige rapporti segreti
sugli scenari futuribili per i governo americano.
“An Abrupt Change and Its Implications for United States
National Security” (“Un violento cambiamento climatico e le sue
implicazioni per la sicurezza degli Stati Uniti”. Sottotitolo:
“Immaginare l’impensabile”) questa è l’etichetta sul dossier di
Schwartz e Randall, redatto nell’ottobre 2003. Il documento avrebbe
dovuto rimanere segreto e invece dai cassetti del Pentagono è scivolato
sulle pagine di Fortune e dell’Observer per poi essere ripreso dai
giornali di tutto il mondo con un clamore giustificato
dall’autorevolezza del destinatario, la cui commessa è costata
100mila dollari.
Guerra fredda, clima rovente
Non è la prima volta che
in tema di mutamenti climatici si evocano gli scenari più
agghiaccianti.
All’inizio degli anni settanta, la stampa scientifica
internazionale dedicò grandi spazi al progetto poco conosciuto di
“immissione” e “interdizione” di talune azioni in ambiente
meteorologico e geofisico a scopo militare.
Il giornale americano
“Christian Science Monitor” scrisse, nel 1973, che “il
Pentagono assegna annualmente più di due milioni di dollari per la
realizzazione di una nuova arma che permetterebbe di creare
artificialmente inondazioni, siccità, maremoti, uragani e modifiche
dello strato dell’ozono atmosferico”. Il Senato americano,
l’11 luglio 1973, aveva infatti autorizzato il Governo a procedere
nella realizzazione di tale progetto, anche con riferimento
all’interdizione dagli effetti passivi degli eventi ambientali ed
atmosferici.
La prevenzione di azioni destinate a modificare l’ambiente a
scopi militari, fu oggetto di un approfondito esame nel vertice di Mosca
tra Nixon e Breznev, nel luglio 1974, che diede luogo alla
“Dichiarazione relativa all’ambiente naturale e al suo utilizzo per
scopi militari”.
Poco dopo, gli organi centrali
della stampa sovietica denunciavano i danni eventuali della guerra
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite giudicò indispensabile
raccomandare al Comitato di Ginevra per il disarmo, di lavorare per un
testo concertato, atto a interdire tutte le azioni condotte
sull’ambiente naturale e sul clima, per scopi militari o altro.
Nel giugno del 1975 furono tenuti a Ginevra i negoziati preliminari
relativi all’eventuale interdizione della guerra meteorologica. I
negoziati avvennero “a porte chiuse” e nessuna notizia trapelò
oltre al fatto che le delegazioni erano guidate da T.A. Davies,
direttore aggiunto dell’Agenzia americana per il disarmo ed il
controllo degli armamenti (ACDA) e dall’ accademico sovietico E.K.
Fedorov, noto meteorologo.
Il mese precedente l’Unione Sovietica aveva, peraltro, ottenuto che
l’Assemblea Mondiale della Sanità, riunita a Ginevra, stigmatizzasse
l’eventuale ricorso ad armi meteorologiche.
Nell’ agosto 1975, in seno ad
una Conferenza ufficialmente consacrata ai problemi ambientali, si parlò
così per la prima volta di “guerra meteorologica”. All’uscita, il
rappresentante americano, l’ambasciatore Joseph Marin, e quello
sovietico, l’ambasciatore Alexei Rochtchine, si rifiutarono di fare
qualsiasi dichiarazione in merito, limitandosi ad affermare sorridendo
che “tutto era andato per il meglio”.
Il Congresso meteorologico aveva intanto deciso di impiantare un
registro internazionale di tutte le attività collegate alla
modificazione artificiale del clima, di cui venne data ampia
descrizione, ufficialmente per la prima volta, in occasione della
conferenza dell’Associazione internazionale per la meteorologia e
fisica dell’atmosfera, tenutasi nel 1973 a Tashkent, allora in Unione
Sovietica.
Il divieto di utilizzare tecniche di modificazione dell’ambiente a
fini militari o per ogni altro fine ostile fu quindi oggetto, nel 1976,
di un’ apposita dichiarazione, adottata con la Ris. 32/76
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Conferenza del
Comitato sul disarmo, tenutasi a Ginevra il 18 maggio 1977, diede
origine alla Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di
qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di modificazione
dell’ambiente, Convenzione nota anche con il sinonimo “ENMOD” (Envitoment
Modification), ratificata dagli Stati Uniti nel 1980.
L’art.
1 della Convenzione recita: “Ciascun
Paese dell’ONU si impegna a non impiegare, per uso militare o
qualsiasi altro uso ostile, quelle tecniche di modifica dell’ambiente
naturale che abbiano ampi, duraturi e rovinosi effetti quali mezzi di
distruzione e che danneggino ogni altro Stato membro. Ciascun Paese
membro si impegna a non assistere, incoraggiare o indurre alcun altro
Paese ad intraprendere attività in contrasto con quanto previsto da
questo articolo”.
Il ruolo di iniziatore
delle azioni dell’uomo nel campo della formazione, prevenzione e
dispersione delle nebbie, delle precipitazioni provocate (pioggia e
neve) e in certa misura dei lampi, spetta al Naval Weapon Centre (NWC)
della Marina statunitense, per lungo tempo leader mondiale in questo
campo e oggi affiancato dall’Air Force Combat Climatology Center di
Ashville (North Carolina).
Un certo numero di operazioni relative a piogge provocate, sono state
effettuate con successo, all’estero dal NWC, su richiesta degli Stati
interessati. Fra queste, quelle avvenute in India nel 1967, nelle
Filippine nel 1969 (operazioni ripetute da allora ogni anno dagli stessi
filippini), a Okinawa nel 1971 e nelle Azzorre nel 1972.
Fra
le ricerche intraprese da organizzazioni militari e civili, vanno
annoverate:
- la realizzazione, il dissolvimento e la prevenzione delle nebbie;
- le precipitazioni provocate;
- le tempeste di fulmini;
- l’intervento sullo strato di ozono atmosferico;
- la manipolazione delle onde elettriche celebrali mediante elettricità
atmosferica;
- la realizzazione di terremoti e maremoti;
- l’intervento su ghiacciai.
I
modi e i materiali messi a punto sono oggi, per alcuni di essi,
completamente declassificati e impiegati nel mondo intero a fini di
utilizzazione pacifica.
E’ chiaro che le tecniche di modificazione artificiale del
clima e del sistema meteorologico potrebbero portare benefici enormi
all’umanità, ma è altrettanto chiaro che esistono problemi di
diritto internazionale che potrebbero nascere a causa delle potenziali
conflittualità nelle operazioni di impiego di queste tecniche e degli
eccezionali rischi sull’uso incontrollato di esse come arma bellica,
con conseguenze distruttive imprevedibili.
Mezzi di autodistruzione di massa
Esistono dunque possibilità reali di condurre operazioni di guerra
meteorologica. Fino alla metà degli anni 70 le possibilità di azione,
in alcuni casi noti, erano sicure ma limitate. Gli esperimenti che
allora vennero dimostrati non superavano il livello tattico; ma il
divieto relativo all’impiego dell’arma in questione era (ed è)
tuttavia unanimemente richiesto dall’opinione pubblica in ragione di
una visione apocalittica che vede l’uomo manipolare a suo piacimento
le condizioni atmosferiche.
E’ bene soffermarsi sul concetto che le manipolazioni dell’ambiente
naturale non riguardano solo il clima e la meteorologia ma bisogna
annoverare anche le attività di tipo nucleare sistematiche. Si pensi,
per esempio alla Francia, che dal 1975 al 1988 ha condotto più di mille
test nucleari nell’Oceano Pacifico, presso l’atollo corallino di
Mururoa, con la conseguente contaminazione radioattiva dell’isola e
delle acque circostanti, rendendo inabitabile un paradiso
dell’ecosistema, in aperta violazione del Trattato di Rarotonga, che
dal 1985 ha dichiarato il Pacifico meridionale zona esente da armi
nucleari.