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alimentazione
La
cena è clonata
di Paola Emilia Cicerone – tratto
da www.espressonline.it
Le
autorità sanitarie degli Stati Uniti danno il via libera al consumo di
animali duplicati. Sono come gli altri, dicono. I consumatori insorgono.
Sono
hamburger da cento dollari l'uno, quelli che potrebbero arrivare tra
poco sulle nostre tavole. È il prezzo della carne di animali clonati.
Che l'Fda, l'organismo americano che tutela la sicurezza alimentare, sta
per mettere sul mercato, insieme al latte da loro prodotto. Per ora è
stata diffusa una dichiarazione preliminare da cui risulta che questi
prodotti sono da considerarsi sicuri, rinviando alla prossima primavera
le normative sull'etichettatura delle bistecche clonate.
Normative che potrebbero anche non arrivare, se l'Fda confermasse il
punto di vista espresso finora. E cioè che non è necessario informare
i consumatori dell'origine di ciò che stanno acquistando, dato che gli
animali clonati (e il loro latte ) sono uguali a quelli prodotti con
metodi naturali.
O almeno, la precisazione è d'obbligo, naturali quanto ci si può
aspettare da animali di allevamento, quasi tutti figli della
fecondazione artificiale, generati da sperma congelato di pochi maschi
iperselezionati e da ovociti di mucche già macellate da impiantare poi
in una fattrice, oppure da femmine di cui è stata sincronizzata
chimicamente la fase dell'ovulazione per rendere più economico ed
efficiente il processo riproduttivo. La clonazione dunque non è che il
punto di arrivo di un processo avviato anni fa. "Per la precisione,
quella di cui si sta discutendo ora è la clonazione da cellule
somatiche di individui adulti", spiega Cesare Galli, docente
all'Università di Bologna e direttore del Laboratorio di Tecnologie
della Riproduzione di Cremona dove sono nati il toro Galileo e altri
animali clonati. Esiste poi la clonazione da cellule embrionali, già
diffusa senza troppo clamore alla fine degli anni '80, quando negli
Stati Uniti c'erano aziende come la Granada Corporation o l'American
Breeder Service che puntavano su questo nuovo business. "Di questi
animali ce ne sono ancora in circolazione, in Giappone la carne di manzo
clonato è sul mercato da dieci anni", sostiene Galli. Ma oggi gli
allevatori preferiscono pensare di poter sfruttare in eterno le copie
dei loro animali più belli e redditizi. "La tecnica è
sostanzialmente la stessa, ma piuttosto che utilizzare le cellule di un
embrione, di cui non si conosce la riuscita, si preferisce prenderle dal
corpo di individui adulti scelti per le loro caratteristiche",
spiega Galli. O addirittura da bistecche, come hanno fatto nel 2002 i
ricercatori dell'Università della Georgia insieme a Prolinia, un
azienda specializzata in clonazione: per la buona ragione che certe
informazioni sulla qualità della carne si ottengono solo dopo la
macellazione.
L'autorizzazione dell'Fda è arrivata dopo più di due anni di indagini
e polemiche, quando già nel 2002 la National Academy of Sciences
americana aveva decretato sicure le carni degli animali clonati. Per ora
si tratta di una decisione limitata, che riguarda solo cloni
convenzionali, anche se la clonazione è uno dei metodi con il quale
potrebbero essere prodotti animali transgenici. La Fda ha comunque
ammesso di aver bisogno di nuovi dati, visto che quelli disponibili sono
scarsi e riguardano quasi solo i bovini.
E mentre i pochi produttori già in possesso di bovini clonati (negli
Stati Uniti dovrebbe essercene qualche centinaio, molti dei quali però
nati da clonazione embrionale) da anni buttano tonnellate di latte e
congelano decine di provette di seme, in attesa di tempi migliori, la
parziale apertura alle carni clonate annunciata a fine ottobre è
bastata a scatenare le polemiche. Creando un'inedita alleanza tra
movimenti dei consumatori, ricercatori prudenti che invocano il
principio di precauzione e animalisti preoccupati del benessere degli
animali. "La clonazione è ammissibile in un'ottica riduzionista
che considera gli animali esseri senz'anima, macchine per produrre carne
o latte", dice la Humane society americana.
Molte preoccupazioni nascono dalla diffusione di malformazioni e aborti
spontanei tra gli animali clonati: "Sono fenomeni analoghi a quelli
riscontrati negli altri bovini, solo più frequenti, con una percentuale
del 20 per cento invece dell'abituale 8", precisa Galli. C'è poi
il problema dell'invecchiamento: la morte precoce di Dolly, la prima
pecora clonata, era stata attribuita al fatto che l'animale avrebbe
ereditato l'età genetica delle cellule da cui era nata. Un dato
dimostrato da un anomalo accorciamento dei suoi telomeri, porzioni di
Dna poste all'estremità dei cromosomi, utili a valutarne
l'invecchiamento dato che si accorciano con il passare del tempo.
"Ma queste preoccupazioni sono state smentite da successivi
studi", spiega Galli: "E si è visto che l'ovocita che riceve
il nucleo ha la capacità di far ricrescere i telomeri".
La faccenda è talmente scottante che proprio in questi giorni in
Francia si riuniscono esperti di mezzo mondo, convocati dall'Ocse, per
valutare la fisiologia degli animali clonati e la qualità degli
alimenti da essi derivati. "Finora gli studi non mostrano
differenze: c'è anche una ricerca giapponese sui formaggi ottenuti con
latte di mucche clonate che ha dato ottimi risultati", racconta
Galli, unico relatore italiano al workshop, che sta realizzando studi di
questo genere : "Il problema è che si tratta delle cosiddette
regulatory research, poco interessanti dal punto di vista scientifico,
difficilmente pubblicate su riviste importanti. Ma necessarie per
ottenere le autorizzazioni". Forse anche per questo la maggior
parte delle ricerche arriva proprio dalle aziende che si stanno
preparando a mettere sul mercato gli animali clonati, "e che
difficilmente", ha dichiarato alla stampa un rappresentante dell'Fda,
"diffonderebbero notizie contrarie ai loro interessi".
Ma i problemi potrebbero essere anche altri: "Non si è tenuto
conto della frequenza di malattie e infezioni batteriche tra questi
animali, della contaminazione con mercurio o residui di pesticidi, di
possibili allergie", avverte Michael Hansen, ricercatore del
Consumer Policy Institute americano. La Fda sostiene che non ci sono
"differenze significative" tra la carne clonata e quella
normale, ma non è facile valutare un alimento la cui qualità
nutrizionale dipende da molti elementi, soprattutto micronutrienti,
vitamine e minerali. "A tutt'oggi non sappiamo bene cosa avviene
nell'organismo di questi animali, e ci sono dati discordanti sulla loro
salute. Quanto basta per dire che finché non se ne sa di più non è
opportuno utilizzarne la carne né i derivati", sottolinea Ginevra
Lombardi-Boccia, primo ricercatore dell'Inran, l'Istituto Nazionale di
Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione: "La carne è un alimento
di valore che deve essere consumato in quantità moderata,
particolarmente se si tratta di carni rosse. E oggi, più che di
bistecche clonate, abbiamo bisogno di bistecche più sane".
L'allarme si estende ai produttori, preoccupati da una decisione che
potrebbe riflettersi negativamente sui consumi. "Oltre al via
libera dell'Fda ci serve quello dei consumatori", osserva Kathleen
Nelson, dell'International Dairy Food Association, un'associazione di
produttori di latticini. I primi segnali non incoraggiano: un'indagine
fatta nei giorni scorsi da supermarketguru.com, un sito specializzato
nei problemi dell'industria alimentare, mostra che l'84 per cento dei
consumatori americani non mangerebbe prodotti derivanti da animali
clonati.
"Anche i consumatori italiani hanno già espresso chiaramente la
loro preferenza per prodotti sani e di qualità", ricorda Stefano
Masini, responsabile area ambiente della Coldiretti: "Non si vede
la ragione di mettere in commercio animali che finora appaiono più
vulnerabili degli altri, non sono competitivi perché richiedono
procedure assai costose e oltretutto potrebbero essere messi in
commercio senza avvertenze, ledendo il diritto dei consumatori ad essere
informati. Siamo davvero sicuri che questi organismi non contengano
proteine in grado di scatenare intolleranze e reazioni allergiche? O per
scoprirlo pensiamo di usare i consumatori come cavie?".
"È una notizia scioccante che rischia di creare allarmi anche al
di là dei rischi reali", aggiunge Paolo Martinello, presidente di
Altroconsumo: "Un'ennesima dimostrazione dell'atteggiamento
disinvolto degli Stati Uniti nei confronti di questi problemi. Sui quali
invece ci aspetteremmo delle prese di posizione chiare da parte
dell'industria alimentare italiana".
Per ora le normative europee non consentono di importare questi prodotti
e richiedono per la carne protocolli di qualità e tracciabilità. Ma
l'apertura alla carne clonata rischia di acuire la tensione commerciale
tra Europa e Usa, già alta a causa del bando comunitario sulla carne
americana agli ormoni. Non solo: preoccupa il movimento che si riscontra
negli ultimi mesi nelle aziende. Smithfield Foods Inc., il principale
produttore Usa di carne di maiale, ad esempio, avrebbe affidato un
incarico per sviluppare nuove tecnologie riproduttive alla Viagen, una
società texana che si occupa di genetica animale. Che proprio pochi
mesi fa ha acquisito la Prolinia, una piccola azienda che da anni si è
specializzata nella clonazione animale. Agli allevatori le aziende
promettono animali più resistenti alle malattie, trasmissione di
caratteristiche genetiche desiderabili, un bestiame dalle
caratteristiche uniformi che dovrebbe ridurre i costi di gestione e
perfino adattarsi senza soffrirne alle condizioni di vita offerte dagli
allevamenti intensivi.
Al momento, a interessare i produttori non sono tanto le superbistecche
- improponibili sul mercato, visto che clonare un bovino costa circa 19
mila dollari - quanto le preziose provette di sperma ottenuto dagli
animali clonati, che permetterebbe agli allevatori di mezzo mondo di
fare nascere in eterno i figli dei campioni più quotati: "Con il
seme di un buon riproduttore si potrebbe arrivare a fatturare 500 mila
euro all'anno", sottolinea Galli. Già, perché il primi via libera
alle bistecche biotech coincide con il momento in cui alcuni tori
clonati americani sono pronti alla riproduzione, e quindi a guadagnarsi
da vivere vendendo il loro seme.
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