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Allarme
sui contenitori per pizze da asporto
Tratto da www.prontoconsumatore.it/detail.asp?idn=4508
I cartoni da asporto delle pizze conterrebbero sostanze non autorizzate e quindi potenzialmente pericolose per la salute. L’annuncio viene dalla Lega Consumatori Acli Toscana che ha scovato su Internet i risultati di uno studio...
I
cartoni da asporto delle pizze conterrebbero sostanze non autorizzate e
quindi potenzialmente pericolose per la salute. L’annuncio viene dalla
Lega Consumatori Acli Toscana che ha scovato su Internet i risultati di
uno studio - condotto dai Laboratori di Ricerche Analitiche (Alimenti ed
Ambiente) dell’Università degli Studi di Milano - volto
all’identificazione di ftalati in alcuni materiali destinati al
contatto con alimenti. I ricercatori di Milano, analizzando diversi
contenitori di materiale cellulosico destinati al trasporto di pizza
comunemente utilizzati su tutto il territorio nazionale, avrebbero
identificato la presenta di una sostanza (il di-isobutilftalato) “in
quantità altamente preponderante rispetto a tutti gli altri componenti
della frazione volatile evidenziabile (…) già alla temperatura di 60°C
(…) simulante la condizione meno drastica di stoccaggio della pizza in
fase di ‘home delivery’.” Un fatto molto grave: la direttiva
2004/14/CE, infatti, non contempla questa sostanza tra quelle ammesse
per la fabbricazione di contenitori di cartone destinati a venire a
contatto con gli alimenti. “Il sospetto - spiegano alla Lega
Consumatori Toscana Acli Toscana - è che i cartoni analizzati dai
ricercatori di Milano siano stati fabbricati con cellulosa riciclata:
una pratica illegale, in quanto la normativa italiana vieta
categoricamente l’utilizzo di carta di recupero per i prodotti
‘umidi’ ed impone ai fabbricanti di utilizzare, almeno nello strato
di carta che deve venire a contatto con l’alimento, l’uso di pasta
di carta vergine.”
Il senso di questi divieti è chiaro: impedire la migrazione di
composti, potenzialmente pericolosi per la salute umana, dai contenitori
di cartone riciclato agli alimenti. Di certo non giova pensare che una
pizza fumante, appena uscita dal forno, venga chiusa in una scatola di
cartone riciclato per poi finire sulle nostre tavole. Non solo. Ad
aggravare le cose c’è anche l’abitudine di consumare la pizza
direttamente nel cartone, previo ulteriore riscaldamento nel forno di
casa, dopo aver asportato il coperchio della scatola. Prosegue Lega
Consumatori Acli Toscana: “Il rito della pizza a domicilio è
un’abitudine orami consueta per moltissime famiglie italiane: si
calcola infatti che siano circa 1.300.000 le pizze da asporto che ogni
giorno finiscono sulle nostre tavole. Tavole alle quali siedono anche
numerosi bambini. Il problema è quindi valutare con urgenza l’entità
del fenomeno sul territorio ed il grado di pericolosità del
di-isobutilftalato, nonché di altre sostanze che potrebbero essere
presenti in modo analogo nei cartoni da asporto delle pizze confezionati
con materiale riciclato.”
Le brutte sorprese, infatti, non finiscono qui. I risultati di
un’inchiesta condotta dal settimanale ‘Il Salvagente’ oggi in
edicola, mette in luce conferme inquietanti: un laboratorio di Pavia,
incaricato di svolgere dei controlli sui cartoni destinati al trasporto
di pizza, avrebbe infatti rilevato la presenza di altri pericolosi
composti: fenoli, naftaleni e addirittura benzeni. “Quello che più ci
sconcerta – conclude Lega Consumatori Acli Toscana – è che
l’indagine dei ricercatori di Milano è online dal 22 febbraio 2006.
Possibile che in tutto questo tempo nessuno si sia preso la briga di
fare dei controlli o di avvisare i consumatori? Evidentemente la vicenda
della contaminazione dei cartoni di latte artificiale con l’ITX non ci
ha insegnato nulla. Ad ogni modo, lo scorso lunedì abbiamo inviato un
fax urgente al Ministero della Salute, allo scopo di chiedere
delucidazioni sui controlli. Ancora attendiamo la sua risposta.”
Dal
cartone alla pizza passa un carico di veleni
Tratto
da “Il Salvagente”
www.ilsalvagente.it/modules.php?name=News&file=article&sid=67
Un milione e trecentomila pizze al giorno escono dal forno,
entrano in un astuccio di cartone, pronte per essere portate a casa. Vi
restano per molti minuti, il tempo di essere trasportate a destinazione,
e, una volta giunte, di essere mangiate nello stesso contenitore. Sempre
che non finiscano nei forni di casa per essere riscaldate, sempre negli
stessi cartoni, prima di finire in tavola. Un rito, un piacere
collettivo per molte famiglie italiane ma, secondo quanto ha scoperto Il
Salvagente, anche una fonte di pericolo alimentare non sottovalutabile.
Il rischio, in questo caso, è legato proprio alle scatole non a norma
che circolano nel nostro paese e rilasciano una quantità enorme di
sostanze che non dovrebbero esserci, che alterano innanzitutto l’odore
e il sapore dell’alimento. Un elenco di molecole i cui nomi fanno
rabbrividire ed evocano timori fortissimi per la salute dei consumatori:
benzene, ftalati, fenoli, naftalene. Solo il nome di queste sostanze
dovrebbe essere sufficiente per allertare le autorità sanitarie e
spingerle ad approfondire la questione. Tanto più che si tratta di
composti non ammessi nella carta destinata a venire a contatto con i
cibi.
Il primo segnale
Che molti di questi contenitori siano fuori legge lo dimostra un
test di laboratorio di cui siamo entrati in possesso, effettuato qualche
mese fa dal laboratorio LabAnalysis di Pavia su campioni prelevati da
cartone per pizza, provenienti da quattro fabbriche diverse, una delle
quali è tra le leader di mercato del settore. Scopo di queste analisi,
compiute seguendo le procedure standard europee, era individuare le
cause di quelle che vengono chiamate in linguaggio tecnico “molestia
olfattiva” e “molestia gustativa”. Il laboratorio, in parole
povere, cercava di stabilire le cause del pungente odore che a volte si
avverte aprendo una scatola di pizza, e lo sgradevole, benché leggero,
retrogusto che a volte accompagna la degustazione. Gli analisti hanno
dunque testato i ritagli dei contenitori nella loro parte interna,
quella che viene a contatto con l’alimento, non è stampata e deve
essere per legge, almeno nello strato che viene a contatto con
l’alimento, di pura cellulosa vergine. I campioni sono stati
sottoposti a una corrente di vapore, simulando le condizioni in cui si
trova la scatola quando viene a contatto con la pizza appena sfornata,
dopo di ché hanno realizzato le prove di migrazione. E i risultati sono
stati sorprendenti. Sottoposti alla gascromatografia (ossia a una
macchina in grado di leggere i diversi componenti “rilasciati”
all’alimento), tutti i cartoni hanno mostrato chiaramente di essere in
grado di contaminare il cibo con composti fenolici (almeno sei tipi
diversi), individuati nei test di migrazione sia olfattiva che
gustativa. A questi si aggiungono diversi benzeni e naftaleni, tutte
sostanze il cui utilizzo nell’industria è regolamentato da rigide
regole, e che non devono assolutamente venire a contatto con gli
alimenti. Le sorprese non sono però finite. Il cromatogramma evidenzia
anche la presenza di dietilesilftalato, una sostanza che l’Unione
europea ha bandito da tutti gli oggetti di largo consumo, ultimi i
cosmetici, per la sua possibile tossicità. Pure se le analisi non
riportano in quale quantità questa molecola è passata all’alimento,
e dunque non è possibile valutare l’importanza della sua presenza, il
solo fatto di trovarla nella pizza è un chiaro segnale di allarme.
Tanto più che è proprio il laboratorio a concludere come esistano
tutte le evidenze per dichiarare che gli imballaggi analizzati non sono
conformi alla normativa vigente.
La conferma
Passano i mesi e altri esperti arrivano a una conclusione simile,
altrettanto sconcertante. Questa volta a fare la preoccupante scoperta
sono gli uomini del laboratorio di Ricerche analitiche alimenti e
ambiente dell’Università di Milano diretto dal professor Fernando
Tateo. Nella ricerca di ftalati nei contenitori per alimenti l’équipe
finisce per analizzare 8 cartoni per la pizza comunemente utilizzati su
tutto il territorio nazionale. E trova il di-isobutilftalato “in
quantità altamente preponderante rispetto a tutti gli altri componenti
della frazione volatile (...) già alla temperatura di 60°”. Così
scrivono nella relazione che pubblicano sul sito dell’università il
22 febbraio scorso. Lo ftalato, scrivono i ricercatori, non rientra tra
le sostanze autorizzate per la fabbricazione di pellicole di cellulosa.
Dunque, ancora una volta, siamo di fronte a contenitori fuori legge. Il
laboratorio milanese, interpellato dal Salvagente, non ha voluto
rivelare ulteriori particolari sugli esiti delle proprie analisi, ma i
risultati confermano l’allarme lanciato diversi mesi prima dalle
analisi condotte a Pavia. Ma da dove vengono questi contaminanti? Alcuni
tra quelli individuati derivano presumibilmente dalla carta riciclata,
usata contrariamente a quanto prevede la legge italiana. Si tratta di
collantie sbiancanti (questi ultimi utilizzati per dare al materiale
riciclato le caratteristiche della carta vergine) perfettamente in grado
di migrare sull’alimento alterandone odore e sapore. Per verificare se
la sola presenza di queste sostanze possa essere potenzialmente dannosa
per la salute umana, bisogna studiare attentamente le quantità
rintracciate, e confrontarle con i limiti fissati dall’Unione europea.
Ma nessuno, nonostante almeno una delle due ricerche (quella del
laboratorio milanese) sia di dominio pubblico, ha ritenuto opportuno
verificare l’innocuità dei contenitori.
Nessuna risposta
Il ministero della Salute, interpellato da “Il Salvagente”, non
ha ancora fornito una risposta in merito. E ne è preoccupata Linda
Grilli, della Legaconsumatori Acli Toscana, che ha segnalato il caso
della ricerca dell’Università di Milano sia a Il Salvagente che al
ministero: “Stupisce che nessuno si sia ancora preoccupato di
approfondidere questa vicenda. I risultati della ricerca milanese sono
sul sito del laboratorio da più di un mese, ed evidenziano che i
contenitori sono quantomeno fuori legge”, dice
Inchiesta completa nel numero 14/2006 de "Il Salvagente" in
edicola dal 6 al 13 aprile