Non dovevo occuparmene più!
Dopo
aver scritto Cannabis
connection, mi ero promesso di regalare alla pianta più
boicottata dell’umanità un meritato e doveroso riposo. Invece…parlando con diverse persone ho potuto constatare quanto sia
ancora radicata la disinformazione sulla canapa. Una disinformazione
medica che mi ha costretto a riprendere in mano la questione e
trattare una volta per tutte l’aspetto forse più importante della
pianta: quello terapeutico.
A tal proposito esiste una documentazione faraonica: libri, articoli,
antichissimi erbari, ricerche e pubblicazioni scientifiche, esperienze
di volontari, ecc. Tutto testimonia a favore della cannabis nella cura
di patologie che vanno dai dolori muscolo-scheletrici, al glaucoma,
dall’anoressia e depressione a malattie tremende come epilessia e
sclerosi multipla, per non parlare del validissimo aiuto
nell’alleviamento degli effetti secondari dei trattamenti
chemioterapici nel cancro, come nausea e vomito, e negli stati
debilitanti della Sindrome da Immunodeficienza (AIDS).
I risultati sono così entusiasmanti che oggi sperimentazioni mediche
controllate sono iniziate in Stati Uniti, Germania, Spagna, Inghilterra,
Belgio, Israele, Olanda e Canada. In quest’ultimo paese addirittura, l’Associazione
Medica che riunisce tutti i 52 mila medici canadesi vorrebbe
rimuovere dal codice penale l’uso personale della cannabis e
sostituirlo con una semplice ammenda.
Cosa dire poi del recentissimo studio sull’abuso della droga da parte
di una Commissione governativa inglese la cui conclusione è a dir poco
incredibile: “Lo spinello dà meno assuefazione delle sigarette e
dell’alcol”.
Non solo, il gruppo di esperti incaricati dal Ministro dell’Interno
britannico per valutare i pro e i contro di un alleggerimento della
legge sulle sostanze illecite, sostiene che la cannabis potrebbe
addirittura fare bene alla salute: “l’azione cardiovascolare
– spiega il rapporto – è simile agli effetti dell’esercizio
fisico”.
Ma cosa sta succedendo? Una delle piante più antiche viene prima
messa al bando rendendola illegale per decine di anni - paragonata ad
una droga tossica e pericolosa per la salute - per poi saltare agli
onori delle cronache vivendo oggi un periodo di quasi religiosa
redenzione.
Una redenzione ostacolata da pochi e osannata da molti per via delle
altre numerose applicazioni pratiche da guinness dei primati. Dalla
canapa infatti oltre a medicinali che funzionano, e questo basterebbe,
si possono ottenere: carta indistruttibile, materiale tipo plastica,
coloranti, solventi, tessuti resistentissimi, cordame e molto altro
ancora. Per questo, molto probabilmente, è stata oggetto della più
grande opera di boicottaggio mai realizzata nella storia a noi
conosciuta. Una fitocospirazione da fantascienza, che se non lo avete
ancora letto vi consiglio di farlo al più presto (Cannabis
connection)
Questo recente riconoscimento è la presa di coscienza di un errore
passato di proibizionismo gratuito - anche se di gratuito non ha proprio
nulla - o la riabilitazione obbligatoria per via di un numero sempre
maggiore di utilizzatori e di prove della sua efficacia, almeno in
termini medici? La cosa certa è che oggi chi giova di tutto questo,
tranne pochissime persone autorizzate dai rispettivi governi a fumarsi
la “piantina”, sono le corporazioni chimico-farmaceutiche che
approfittando della situazione stanno commercializzando prodotti di
sintesi, i cosiddetti analoghi, che emulano il principio attivo della
cannabis: il THC. Una emulazione che vedremo in seguito presenta qualche
piccolo inconveniente.
Prima però osserviamo a livello fisiologico come agiscono questi
cannabinoidi “colpevoli” degli eccezionali risultati terapeutici.
Il THC, come abbiamo detto è il principio attivo della cannabis, cioè
quello che agisce direttamente sull’organismo. Per essere più precisi
interagisce con un sistema detto cannabinoide normalmente presente nel
corpo umano, e produce i suoi effetti agendo sui recettori del sistema.
I recettori sono delle proteine molto speciali che si trovano sulle
superfici di determinate cellule. La droga, in soldoni, forma una specie
di ponte, un legame con queste proteine e per così dire attiva delle
funzioni cellulari interne molto precise. Sono stati identificati due
tipi di recettore: il CB1 e il CB2.
I CB1 sono presenti sui neurociti encefalici e spinali come in certi
tessuti periferici; i CB2 si trovano principalmente sulle cellule del
sistema immunitario ma non nel cervello.
Questo è molto interessante: abbiamo recettori della cannabis sul
cervello e addirittura nel sistema immunitario.
Per dover di cronaca è doveroso anche sottolineare che non esiste solo
il THC, questo indubbiamente è il più famoso e il più presente nella
pianta, ma esistono oltre 60 cannabinoidi diversi l’uno dall’altro.
Al momento attuale non si sa molto sulle proprietà di questi
cannabinoidi se non che sembrano essere privi di effetti psicoattivi e/o
psicotropi sul cervello. Quindi l’ipotesi che anch’essi influenzino
positivamente gli effetti terapeutici della cannabis senza però
interferire sul comportamento umano non è da scartare.
In definitiva questi cannabinoidi di origine naturale interagiscono con
parecchie funzioni organiche e sono in grado tra le altre cose di
bloccare la liberazione dell’acido glutammico, il principale
neurotrasmettitore implicato nella patogenesi dell’ictus;
liberare dopamina, un altro importantissimo neurotrasmettitore collegato
alla capacità di controllare i movimenti, e tanti altri aspetti più
sottili che sono in fase avanzata di studio. A proposito di studi: prima
ho accennato alle numerose sperimentazioni che si stanno facendo in
tutto il mondo. Bene. Le sperimentazioni per chi non lo sapesse sono
sempre costosissime, e nessun istituto di ricerca si sognerebbe di
spendere soldi senza la certezza matematica di un notevole tornaconto.
Un tornaconto che si materializza molto spesso in un farmaco o una
terapia. Nel caso della cannabis abbiamo, per il momento, due tornaconti
sintetici: Dronabinolo e Nabilone. Ce ne sarebbero altri, come il
Levonantradolo, l’HU-210, il SR141716A, ecc. ma per il momento sono
disponibili solo per usi sperimentali. Per il momento però. Domani…è
un altro giorno.
Il Dronabinolo, il cui nome
commerciale è Marinol® è prodotto dalla Unimed Pharmaceuticals Inc.,
una compagnia della Solvay Pharmaceuticals Corporation. Il Nabilone
detto anche Cesamet® è prodotto in Inghilterra dalla Cambridge
Selfcare Diagnostics Ltd per conto della Eli Lilly & Corporation,
quella del Prozac® per intendersi.
Naturalmente a questo punto era d’obbligo spulciare i foglietti
illustrativi di questi farmaci. Cosa secondo voi abbiamo trovato? Siamo
sempre alle solite: svariati effetti collaterali! Fin qui nulla di
strano, visto che non esistono medicinali di sintesi privi di
controindicazioni. Però se vi dicessi che le reazioni avverse sono le
stesse curate però dalla pianta naturale, come anoressia, depressione,
astenia,
la cosa non assume una aspetto tragicomico? Se uso per esempio la “cannabis
sintesis” per aiutare un’astenia potrei vedere insorgere una
depressione accompagnata pure da vertigini. Oppure, che ne so, per
alleviare nausea e vomito provoco palpitazioni e/o ansietà.
Interessante vero? Si cura da una parte e si pagano le conseguenze
dall’altra! L’onnipresente rovescio della medaglia. Sicuramente il
dritto sarà un basso costo di vendita al pubblico, giusto? Sbagliato.
Una ventina di capsule di Cesamet® per esempio, costano 102 sterline
circa! E il Marinol è ancora più
costoso.
Avete capito? Una singola pastiglia, per capirci, costa oltre 15mila di
vecchie lire! Più che un dritto, mi sembra un altro rovescio! Il
problema è che nessuno sta giocando a tennis, qui abbiamo a che fare
con la vita e la salute, già precarie, di tantissime persone
sofferenti.
Allo stato attuale quindi, abbiamo da una parte una pianta illegale a
gratis che si potrebbe coltivare quasi ad ogni latitudine senza necessità
di pesticidi e con un tempo di maturazione rapidissimo di pochi mesi,
dall’altra dei prodotti sintetici che costano molto, richiedono
diversi anni di studi e presentano inconvenienti secondari da non
sottovalutare.
Cosa fare a questo punto? Legalizzare la pianta proibita per
antonomasia, catalogata fin dagli anni ’60 nel campo delle “droghe
senza alcun effetto terapeutico”,
oppure continuare a non vederne i risultati in ambito terapeutico
puntando esclusivamente nella chimica di sintesi? Secondo voi cosa
opteranno i governi democratici dell’unione europea indirizzati magari
dalle potenti corporazioni transnazionali della chimica e della
farmaceutica? Una vaga idea io ce l’ho, non so voi…
Nessuno certamente vorrebbe una società in cui persone sane si
spacciano per malati immaginari inventandosi patologie o peggio ancora
falsificando esami per farsi prescrivere dal proprio medico una sigarettina
farcita, o peggio ancora vedere malati che soffrono realmente di
gravose patologie debilitanti che non possono utilizzare i derivati
della cannabis se non da degenti ospedalieri, come sta succedendo oggi
nel nostro paese. La farmacia del Policlinico Umberto I per esempio, ma
questo è valido per tutti gli ospedali, può somministrare il farmaco
derivato dal THC solo dopo il ricovero.
Non è questa una burocratica assurdità all’italiana? Una persona in
grado tranquillamente di seguire la terapia nella comodità del focolare
domestico, magari con la vicinanza dei propri cari, si vede costretta a
entrare nell’ambiente asettico e freddo di un nosocomio.
Speriamo allora che passi il recente Disegno di Legge che introdurrebbe
l’uso terapeutico della cannabis. Questo almeno permetterebbe di
trovare i fitofarmaci sintetici direttamente in farmacia, previa
naturalmente ricetta di un medico del servizio sanitario.
Nell’attesa di questo Disegno concludiamo con una comparazione dal
punto di vista pratico e farmacologico tra la pillola sintetica e la
sempreverde pianta plurimillennaria.
Apro una parentesi doverosa perché i fattori influenzanti nel caso
della cannabis naturale sono numerosissimi: stati d’animo della
persona, quanto e come il fumo viene aspirato, quanta cannabis contiene
la sigaretta, quanto THC è presente nella pianta, dal tipo di pianta,
ecc.
Chiudiamo la parentesi e prepariamoci ad entrare in campo.
Il fumo di una sigaretta di cannabis rilascia in circolo oltre il 30%
del THC totale, mentre per via orale, la pillola, è di 2 o 3 volte
inferiore perché dopo essere stata assorbita attraverso l’intestino
viene metabolizzata dal fegato prima di raggiungere il grande circolo.
Uno a zero per la cannabis e palla al centro.
Per essere onesti ci sarebbe una punizione per la chimica se
consideriamo le supposte rettali che bypassando il fegato permettono un
maggior assorbimento del THC in circolo.
Una volta entrato nel torrente circolatorio il THC si distribuisce
in tutto il corpo principalmente nel tessuto adiposo perché
essendo liposolubile si scioglie solo nel grasso. Questa proprietà
intrinseca della cannabis è un grosso limite per la formulazione dei
preparati cannabinoidi, oltre a rallentare il loro assorbimento
intestinale.
Due a zero e di nuovo palla al centro.
Per quanto riguarda gli effetti farmacologici della cannabis documentati
finora sono relativi alle vie respiratorie. Uno studio del Western
Journal of Medicine del 9 giugno 1993
afferma che chi fuma cannabis rischia malattie alle vie respiratorie per
il 19% in più di chi non fuma, e che nessuna dipendenza e/o
assuefazione fisica è stata dimostrata se non una sporadica dipendenza
psicologica in alcuni soggetti. Dall’altra
abbiamo gli effetti secondari del Marinol® e del Cesamet® visti
prima.
Diamo un punto alla sintesi chimica perché non tutte le persone
sarebbero disposte a utilizzare la pianta attraverso la sigaretta. Se
però consideriamo che dei sessanta cannabinoidi naturali contenuti
nella canapa, i prodotti farmacologici attualmente in commercio sono
basati quasi esclusivamente nel Tetraidrocannabinolo (THC), l’unico
con effetti psicotropi, tralasciando gli altri cinquantanove privi di
attività sul cervello, è lecito pensare che al momento attuale la
pianta potrebbe essere almeno sessanta volte più completa di
qualsivoglia prodotto uscito da un laboratorio di ricerca. Calcolando
infine i costi rispettivi decisamente incomparabili il risultato finale
è di quattro a uno per la cannabis! Avrete capito che questa è una
gara surreale perché se avvenisse realmente l’arbrito, rappresentato
dalle lobby del farmaco, fischierebbe almeno due o tre rigori per la
chimica espellendo magari qualche cannabinoide per “intervento” troppo
deciso. Non ci resta che sperare quindi in una invasione di campo che
metta fine una volta per tutte a questa assurda e controproducente
rivalità. Un “invasione pacifica” da parte di una maggiore
consapevolezza che dia, anzi ri-dia, al malato il suo ruolo principale
di essere vivente e che santifichi una volta per tutte uno dei diritti
più importanti: quello della libera scelta terapeutica. Una scelta che
spetta esclusivamente ai singoli individui e non alle organizzazioni
sanitarie, tanto meno alle corporazioni; perché…una volta imboccata
la strada terapeutica siamo noi a pagarne le conseguenze e/o goderne i
benefici. Nessun altro!
Marcello Pamio
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