“Sarebbe
di interesse universale nella storia dell’umanità scoprire che è
stata la coltivazione della canapa a inventare l’agricoltura e di
conseguenza la civiltà”.Non sono le speranze di un hippy un po’ attempato in vena
di rivincite ma le parole di Carl Sagan, l’astrofisico consulente
della NASA, padre del progetto S.E.T.I. (Serch for ExtraTerrestrial
Intelligence) e fondatore della Planetary Society.
La forte “attrazione” tra il divulgatore scientifico migliore del
mondo e la Cannabis
“fumantis” (perdonate la licenza poetica) è risaputa, mentre la
cosa poco nota è che nelle parole di Sagan si nasconde una profonda
verità: la canapa effettivamente è una delle piante più antiche che
l’uomo conosca!
A conferma di ciò vi sono numerose testimonianze archeologiche in ogni
angolo della Terra che indicano senza ombra di dubbio come la canapa era
conosciuta e coltivata in epoche remotissime: uno per tutti, il
ritrovamento a Catal Huyuk, antica Mesopotamia, di manufatti in canapa
risalenti, secondo i ricercatori, a circa 8000 anni prima di Cristo.
Non sappiamo con certezza se la canapa è stata la prima o la seconda
pianta coltivata dall’uomo e sinceramente non siamo qui a stabilire
una graduatoria di anzianità ma semmai per comprendere le vere
motivazioni che portarono al suo divieto in moltissimi paesi di tutto il
mondo. Una proibizione che di punto in bianco dopo millenni di utilizzo
nelle più svariate applicazioni, che vedremo in seguito nel dettaglio,
rese illegale una pianta messa a disposizione per noi dalla Natura.
Le motivazioni ufficiali certamente saranno state validissime per
mettere al bando una pianta che cresce velocemente senza l’ausilio di
prodotti chimici, da cui si produce carta di ottima qualità, tessuti
resistentissimi, materiali plastici per l’edilizia, combustibili poco
inquinanti, medicinali. Non ci credete? Be’, non ci volevo credere
nemmeno io!
I papiri egizi e cinesi che nonostante tutto questo tempo sono giunti
integri fino ai nostri giorni, le antichissime mappe cartografiche della
Terra, la prima Bibbia di Gutemberg, avevano una sola cosa in comune: la
canapa. Per non parlare dei primissimi preparati erboristici che
sciamani e curanderos, dalla Siberia al Sud America passando per
l’intera Europa, utilizzavano per alleviare le più svariate
patologie, e più recentemente almeno la metà dei medicinali usati per
tutto l’Ottocento!
Come mai queste informazioni importanti si sono perse negli anni, e
perché i media in generale il cui unico servizio è appunto quello di
informare hanno sempre taciuto?
Lungi
da me l’idea di un controllo globale della stampa da parte di potenti
corporazioni, però bisogna ammettere che certamente è una strana
coincidenza il recentissimo interesse giornalistico e quello
medico-scientifico delle multinazionali chimico-farmaceutiche alla
canapa, che ne dite? Fintantoché nessuno aveva in mano, anzi quotato in
borsa, il medicinale non se ne parlava, oggi che hanno sintetizzato in
laboratorio il principio attivo della cannabis, il THC, e si stanno
preparando a venderlo sotto forma di farmaco se ne parla. Non è molto
strano?
Oggi sono riemerse dall’oblio le proprietà antibiotiche,
antidolorifiche
e antiepilettiche della pianta, come pure la sua efficacia contro
l’anoressia, la depressione e il glaucoma.
Ultimamente sta avendo risultati positivi anche nei malati di sclerosi
multipla
e nei malati di cancro per sostenere nausea e vomito causati dalla
chemioterapia.
Insomma dalla canapa si produce tutto o quasi tutto quello che si può
ottenere dal petrolio e dai suoi derivati con la piccola differenza che
questi ultimi hanno un costo e un impatto ambientale incalcolabili,
mentre la canapa è naturale e i prodotti di scarto si integrano meglio
nell’ambiente.
Il punto è allora, come mai abbiamo scelto la strada del
petrolio e abbandonato, anzi sbarrato, la strada della canapa? Per
meglio comprendere questo punto, che sarà fondamentale ai nostri fini,
dobbiamo tornare seppur nella carta indietro di un secolo e mezzo e
rivivere per un momento la situazione economica e industriale di allora.
Ci troviamo a Pittsburg (ricordatevi questo nome), negli Stati Uniti e
davanti a noi si erge la prima raffineria petrolifera al mondo.
L’anno è il 1850.
Saltiamo in avanti di qualche decennio e arriviamo nel 1917 quando la
Compagnia Du Pont, della omonima famiglia, grazie a finanziamenti della
Mellon Bank entra a far parte delle primissime industrie petrolchimiche.
La Du Pont per chi non la conoscesse, è la beneficiaria della maggior
parte dei brevetti sulle materie plastiche: nylon, rayon, cellophan,
vernici, ecc.
La Mellon Bank di Andrew Mellon è una delle principali banche americane
la cui sede principale, guarda caso, è a Pittsburg!
Apro una parentesi per gli amanti del cospirazionismo perché sembra che
Andrew Mellon e la famiglia Du Pont facessero parte del Comitato dei
Trecento, il gruppo nato per controllare il sistema bancario
mondiale.
Chiudiamo la parentesi e ritorniamo a Pittsburg.
I soldi forniti dalla Banca di Mellon permisero alla Du Pont di entrare
in possesso della General Motor, una delle più grandi case
automobilistiche di allora e delle principali tecnologie per la
fabbricazione della carta dalla cellulosa del legno.
Il 1919 fu un anno molto significativo perché succede qualcosa che avrà
ripercussioni notevoli nella finanza e nell’industria: inizia il
proibizionismo in America. Un periodo abbastanza lungo e oscuro (fino al
1933) in cui fu bandito totalmente l’alcol. Non tutti sanno però che
all’epoca il carburante e/o combustibile era basato anche sull’alcol
etilico
detto etanolo, derivante dalla fermentazione di vegetali e cerali, e
sull’alcol metilico o metanolo derivante dalla fermentazione del
legno.
Proibendo l’alcol da bere di conseguenza si proibiva anche l’alcol
per uso industriale.
Non finiscono le coincidenze perché il ‘33 è l’anno in cui termina
il proibizionismo ma anche quello in cui Mitscherlich produce quella
sostanza scoperta nel 1825 da Faraday: la benzina!
Ora ipotizzare che il Proibizionismo americano fu inventato per
boicottare le “altre benzine” è un po’ forte, però rimane il
fatto che effettivamente all’epoca chiunque poteva prodursi in proprio
il combustibile…e forse questo poteva dare fastidio a qualcuno.
Risolto il problema dei combustibili, rimaneva quello delle materie
plastiche di origine vegetale: miscelando infatti steli di canapa e
calce si può ottenere un materiale da costruzione simile al cemento ma
molto più elastico e leggero.
Questo è un altro gravoso problema per l’impero Du Pont che nel 1937
aveva brevettato un procedimento per la fabbricazione di materiali
plastici dal petrolio! Come risolverlo?
Una mano gliela diede la campagna mediatica disinformante del più
grande magnate del giornalismo statunitense: William Randolph Hearst. Attraverso
i suoi numerosi giornali divulgò notizie false in merito alla
cosiddetta Marijuana. Lo stesso termine Marijuana fu una sua invenzione
letteraria. Adottò dal dialetto di Sonora, località messicana famosa
oggi come ieri per l’esportazione di droghe, una parola allora
sconosciuta e la usò come strumento di propaganda terroristica
psicologica. Fa certamente più paura avere a che fare con una sostanza
che non si conosce rispetto ad una nota.
Menzogne, che rasentavano il razzismo, diffamavano intere popolazioni
come i messicani colpevoli secondo Hernst di essere solamente dei pigri
fumatori di erba, o che mettevano in relazione le violenze sessuali
nei confronti delle donne bianche da parte dei negri all’uso della
droga.
L’altra mano fu di un certo Harry Aslinger, il fortunato nipote di
Andrew Mellon, quello della banca che nel frattempo è stato eletto
anche Segretario del Tesoro, che usò gli articoli diffamanti di Hernst
davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America. Aslinger era a capo
del Federal Bureau of Narcotics and Dangerous, l’Ufficio
Federale Narcotici, e il risultato fu la famosissima Marijuana Act
Tax!
La prima legge che proibiva dopo oltre diecimila anni l’uso e la
coltivazione della canapa.
Risolto anche questo!
Per la Du Pont, e tutti gli investitori dell’epoca che puntavano
esclusivamente sul petrolio, la Marijuana Act Tax fu una vera e
propria manna dal cielo: tolse dai piedi una scomoda pianta dai mille
usi e lasciò all’oro nero la strada sgombra.
Ma soprattutto chi ne ha beneficiato di più è stata la lungimirante
banca Mellon. Lungimirante perché oggi la Mellon Financial Corporation
ha capitali in centinaia di aziende e/o multinazionali legate al
petrolio e all’energia come la Chevron Texaco, Exxon, Mobil,
Occidental Petroleum, Teco Energy, Total Fina, Ford, General Electric,
oppure all’ editoria come l’International Paper, The New York Times,
Reader’s Digest Association, ecc.
Quindi tornando al discorso iniziale, le motivazioni erano e sono
tuttora molto valide!
Tutti felici e contenti…gli industriali, molto meno quelle persone che
da anni “combattono” per rivalutare la canapa rendendole finalmente
giustizia dopo decenni di proibizionismo. Uno stop che penalizza non
solo noi costringendoci ad utilizzare i derivati del petrolio, ma
soprattutto la nostra Terra che ne paga le conseguenze in termini
ambientali.
Provate ad immaginare cosa sarebbe successo se quel giorno, i magnati
della Du Pont e le sorelle del petrolio, supervisionati da mamma Mellon,
avessero deciso per lo sviluppo della canapa invece del petrolio. “All’interno
della sala ovale a Pittsburg, li ho visti mentre sorseggiando alcol di
ottima qualità in barba al proibizionismo ipotecavano il futuro
dell’intero pianeta. La decisione non era certo facile: il grasso e
puzzolente petrolio che pochi potevano estrarre oppure la verde e
profumata canapa che tutti erano in grado di coltivare?
Il
dilemma è stato risolto con un voto plebiscitario: dodici voti su
tredici indicavano la canapa!”.
Poi
purtroppo è suonata la sveglia…
Marcello
Pamio, tratto
da Nexus ed.
italiana nr. 39 (luglio-agosto 2002)
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