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Questo articolo, firmato
da Beppe Grillo e pubblicato dall'ottimo settimanale
"Internazionale", meritava di essere pubblicato integralmente,
nonostante la lunghezza. Per questo è stato spezzato in due: il primo su "Il
caso Parmalat" e il secondo su "il crepuscolo
dell'Italia".
Un plauso va al grande Beppe Grillo per essere riuscito, come solo lui
sa fare, a esporre senza mezzi termini la situazione dell'Italia. Una
situazione decisamente allarmante - nonostante le innumerevoli fiction
televisive che ovattano la realtà - provocata da un susseguirsi di
eventi e soprattutto personaggi. Tra questi ultimi: Calisto Tanzi e
Silvio Berlusconi...
Il caso
Parmalat e il crepuscolo dell’Italia
(Parte II)
Di
Beppe Grillo – da «Internazionale» nr. 524, 30 gennaio
2004
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Il sistema
Fininvest
Il sistema
Fininvest e il sistema Italia per certi versi sono analoghi al sistema
Parmalat: molta apparenza, conti falsi, corruzione, poca qualità,
futuro in declino.
Parmalat aveva
conti falsi, ma produce milioni di tonnellate di alimenti che generano
benessere reale per decine di milioni di persone in trenta paesi.
Fininvest non è una multinazionale, come Parmalat, ma una «ipernazionale».
I suoi profitti provengono quasi esclusivamente dall’Italia e si
basano su uno stretto legame con il sistema della politica italiana e
della corruzione. La gran parte dei suoi guadagni viene dalla pubblicità
obbligatoria, un’attività controversa che crea alla popolazione più
danni che benefici. Più che profitti in un mercato competitivo, si
tratta di una rendita senza rischi, basata sul monopolio, sullo
statalismo, sulla produzione di niente di concreto.
Sono miliardi di
euro che, con il sistema della pubblicità obbligatoria, Fininvest «preleva
dalle tasche degli italiani» quando questi -
anche quelli che non guardano le sue televisioni – comprano i
molti prodotti resi più cari dalla pubblicità. Meriti e rischi ne ha
pochi, perché il bombardamento pubblicitario è forzato e non è
evitabile dai cittadini (altro che Casa delle libertà!), perché la
televisione commerciale – privata o statale – è l’unico tipo di
televisione in Italia e perché questa rendita pubblicitaria di fonda su
concessioni statali di frequenze televisive ottenute corrompendo il
potere politico ai tempi di Craxi. Senza queste concessioni statali, in
quasi monopolio e in parte illegali, le rendite e il potere di Fininvest
crollerebbero.
Da
due anni inoltre la Fininvest è ulteriormente garantita dalle centinaia
di suoi uomini che hanno preso il controllo del governo, del parlamento
e della televisione pubblica e che cercano ora di conquistare il
controllo anche della magistratura e della banca centrale.
La rendita senza
rischi di Fininvest è inoltre facilitata dal fatto che molti dei
settanta avvocati che Berlusconi ha fatto eleggere in parlamento usano
nei processi contro Berlusconi e i suoi uomini le leggi a favore di
Berlusconi che loro stessi propongono o approvano come parlamentari.
Questi stessi avvocati – per esempio Pecorella, Taormina o Ghedini –
sono ospiti frequenti nei talk show televisivi, dove continuano la loro
difesa di Berlusconi nel «tribunale» italiano più importante, quello
di milioni di telespettatori ed elettori, e spesso parlano in tv per ore
senza un avversario al loro livello. Questo tipo di avvocati miliardari,
star del foro, della televisione e del parlamento, rappresentano bene la
concentrazione che è avvenuta in Italia del potere economico,
esecutivo, legislativo e informativo nelle mani di un’unica azienda,
la Fininvest.
Grazie a una legge
di Berlusconi – valida retroattivamente anche per i suoi falsi – il
falso in bilancio è stato quasi completamente depenalizzato. Così è
restato o è diventato una pratica diffusa non solo per aziende italiane
come Parmalat, Fininvest e altre, ma anche per il governo. In Italia il
vero rapporto tra deficit e pil nel 2003 non è inferiore al 3 per
cento, come dichiarato dal governo, ma sarebbe superiore al 4 per cento
se la contabilità creativa del ministro Tremonti – un ex
commercialista di Berlusconi – non avesse contabilizzato per il 2003
gli introiti derivanti da enormi condoni fiscali ed edilizi e da vendite
e alienazioni di beni dello stato ce andrebbero distribuiti si molti
anni. Quasi tutti sanno che questa contabilità è una truffa, ma fanno
finta di non vedere. Come fingevano di non vedere la realtà Parmalat.
Un paese al
crepuscolo
Se la situazione
reale di Parmalat, di Fininvest e dello stato italiano non è
all’altezza delle apparenze e della propaganda, la situazione
dell’economia e delle società italiane – lo dico con tristezza e
rabbia – non è migliore. Purtroppo la realtà dell’Italia non è
all’altezza dell’immagine che la Ferrari e Armani diffondono nel
mondo.
L’Italia è in
declino rapido, è un paese al crepuscolo. E’ per questo che il mio
spettacolo si chiama Blackout e io entro in scena in una sala al
buio, con in mano un candelabro.
Faccio l’attore
comico, il declino dell’Italia lo percepisco principalmente con gli
occhi e le orecchie: vedo la pubblicità e la volgarità dilagare
ovunque nel paesaggio, nei mezzi d’informazione, nella vita
quotidiana. Dove prima c’erano capannoni industriali, oggi ci sono
lunghe file di cartelloni pubblicitari; ritraggono spesso merci che una
volta erano prodotte in quei luoghi ma oggi sono importate. Vedo il degrado dell’ambiente e della grandi città, sento
il traffico e il rumore aumentare ovunque. Sento la gente: avvilimento,
mancanza di prospettive, ignoranza e disinteresse per ciò che succede
nel resto del mondo, egoismo, cattiveria e volgarità crescenti,
chiusura nei propri affari e nella famiglia, declino del senso civico e
della solidarietà.
Anche se come
artista avrei il diritto di farlo, non mi baso solo sulle mie
impressioni. Io – attore vero – non voglio fare come Berlusconi –
statista falso – che parla in televisione nascondendo i fatti e le
statistiche, evocando sogni, promesse, miracoli e rivoluzioni.
Mi piace
documentarmi con dati e cifre nudi e crudi, senza lifting. Ai pochi
stranieri che volessero ancora investire in Italia e ai molti italiani
che volesse votare di nuovo per il sistema Fininvest-Forza Italia
consiglio due piccoli libri: «Il mondo in cifre 2004», una sintetica
raccolta di statistiche internazionali curata dall’Economist (e
pubblicata da Internazionale) e «Il declino dell’Italia», un
inquietante libro del giornalista economico Roberto Petrini (Laterza).
Spendendo meno di trenta euro in questi due libretti, chi si volesse
documentare sul crepuscolo italiano può forse schivare ulteriori guai e
investimenti sbagliati.
Se parlo di
crepuscolo dell’Italia, non mi baso solo sulle mie impressioni del
presente, ma anche sugli indicatori che ci segnalano il futuro del
paese. E questi indicatori mettono tristezza.
L’Italia sta
diventando un ex paese industriale che ha smantellato o sta smantellando
buona parte della sua industria, una volta ben piazzata nel mondo:
chimica, farmaceutica, informatica, elettronica, aeronautica, forse
presto anche automobilistica. L’Italia è il paese con più persone
anziane al mondo e con la minore fertilità tra i paesi
industrializzati: da anni le nascite sono meno delle morti. I nostri
livelli di istruzione, di cultura, di ricerca scientifica e tecnologica
sono tra i più bassi al Europa. Tra i paesi industriali abbiamo una
delle più basse percentuali di laureati e il più alto numero di maghi,
pubblicitari e guaritori. Invece di investire e lavorare per il futuro
stiamo consumando allegramente le ultime risorse che ci rimangono. Nella
quota delle esportazioni mondiali in dieci anni siamo scesi dal 5 al 3,6
per cento. Nelle esportazioni mondiali di prodotti tecnologici stiamo
scomparendo con un piccolo 2,5 per cento, mentre Francia e Germania sono
al 6 e all’8 per cento.
Esaminando la
posizione dell’Italia nel contesto internazionale non c’è da
stupirsi se siamo il paese industriale che attira meno capitali
stranieri. Gli investimenti delle multinazionali in Italia sono
diminuiti dell’11 per cento nel 2001, del 44 per cento nel 2002.
Per bocca di due
dei suoi ministri più influenti il governo italiano afferma che
l’Unione europea è dominata dai «nazisti rossi». Uno di loro dice
che l’Europa è «forcolandia», che con il fallimento della
costituzione europea a Bruxelles «siamo riusciti a fermare l’impero
comunista che stava tornando», che «l’euro è la rapina del
millennio. L’hanno inventata i massoni». Se foste un investitore
straniero mettereste i vostri soldi in un paese governato da gente così?
Indicatori
desolanti
Se osserviamo la
posizione dell’Italia in alcune classifiche internazionali può
sembrare quella di un paese fortunato: settimo pil al mondo, quarto
posto tra i grandi paesi per numero di automobili e di telefonini per
abitante. Ma se analizziamo gli indicatori che danno un’immagine più
completa dell’Italia e soprattutto delle sue opportunità per il
futuro, allora siamo al crepuscolo.
In una ventina dei
principali indicatori internazionali che delineano il futuro e la
dinamica di un paese, l’Italia di trova tra il ventesimo e il
quarantesimo posto. Gli stati che più spesso ci accompagnano in queste
classifiche sono paesi in via di sviluppo (Colombia, Namibia, Sri Lanka,
Cina, Brasile), paesi dell’Europa dell’est in transizione (Slovenia,
Estonia, Slovacchia) o nel migliore dei casi i meno sviluppati tra i
paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia).
La differenza
preoccupante tra l’Italia e questi paesi è che loro da anni stanno
salendo nelle classifiche internazionali, noi invece stiamo scendendo.
Ogni anno ci incontriamo con loro sui pianerottoli della scala
internazionale: li vediamo salire e noi scendiamo di un’altra rampa.
(…)
Fine di un’era
E’ incredibile la
profondità del declino italiano. Nel rinascimento siamo stati un faro
della cultura, della scienza, dell’innovazione e della finanza in
Europa. Nella musica e nella tecnica bancaria ancora oggi molti termini
tecnici in tedesco e in inglese sono parole italiane (sonata, adagio,
fortissimo oppure aggio, incasso, sconto, lombard) a testimonianza dei
secoli in cui eravamo il paese di riferimento in quei campi. Più tardi
abbiamo inventato l’elicottero, l’aliscafo, il batiscafo, il
telefono, la radio. Oggi però non inventiamo quasi niente, l’Italia
ha meno premi Nobel del solo Politecnico di Zurigo, il nostro export si
basa su prodotti di bassa tecnologia che presto vedranno la concorrenza
dei paesi emergenti, mentre nei prodotti ad alta tecnologia non possiamo
competere con le nazioni più avanzate. I nostri manager in compenso
vogliono orientarsi per i loro stipendi agli Stati Uniti e per quelli
dei loro dipendenti alla Bulgaria o alla Cina. Il numero dei laureati
italiani che lavorano all’estero è sette volte maggiore del numero
dei laureati stranieri che lavorano in Italia.
Per decenni buona
parte della grande industria e dell’export italiano hanno prosperato
grazie alla benevolenza dello stato e dei partiti e alle periodiche
svalutazioni della lira. Oggi che questo non è più possibile, il
declino italiano si accelera. Paghiamo il prezzo delle modernizzazioni
che non abbiamo fatto negli ultimi anni.
Al crepuscolo
industriale, tecnologico e culturale dell’Italia si aggiunge il
declino sociale con un rapido aumento della ricchezza dei ricchi e
l’estensione e l’approfondimento della povertà. Nella
disuguaglianza dei redditi abbiamo superato perfino gli Stati Uniti: in
un decennio (1991-2001) il 20 per cento degli italiani è diventato più
ricco, l’80 per cento più povero. Il reddito del decimo di italiani
più ricchi è cresciuto del 12 per cento, mentre il reddito del decimo
di italiani più poveri è sceso del 22 per cento. Otto milioni di
italiani vivono sotto la soglia di povertà e altri quattro milioni
vivono appena sopra. Molti di questi poveri e quasi poveri hanno un
lavoro o due o tre, ma non gli bastano per vivere decentemente. Lo
stipendio medio di un tranviere a Zurigo (5500 franchi) è quasi il
triplo di quello di un tranviere di Milano, ma il costo della vita e dei
biglietti del tram a Zurigo è solo il 50 per cento più alto che a
Milano. Stipendi reali sempre più bassi e lavori sempre più precari
fanno crescere la conflittualità selvaggia – come quella dei
guidatori di tram e autobus – che frena ulteriormente la qualità
della vita e lo sviluppo del paese.
La resa della
sostanza all’apparenza
Il declino della
Fiat è forse uno dei migliori indici del declino italiano: dieci anni
da Fiat vendeva in Italia un’auto su due, oggi una su tre.
L’immagine più forte del crepuscolo italiano è stata per me quella
della carovana di limousine scure che in una sera del 2002 – al
culmine di una crisi della Fiat che sembrava mortale – ha portato
l’intero stato maggiore della Fiat a un consulto drammatico, non al
ministero dell’industria o delle finanze ma nella grande villa di
Arcore si Silvio Berlusconi, padrone della Fininvest e capo del governo.
Le immagini del telegiornale sembravano quelle di un film sulla mafia,
quando avviene un regolamento di conti e un cambio della famiglia al
vertice del potere. Era la resa di ciò che resta dell’Italia
industriale alla nuova egemonia, all’Italia della pubblicità e della
televisione commerciale. La resa della sostanza all’apparenza.
Non è un caso che
l’industria che ha conquistato il potere politico in Italia non
fabbrichi cosa ma sogni, non venda merci ma promesse.
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