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Non
c’erano arabi sull’aereo 77
Maurizio Blondet –
www.effedieffe.com
L’11 settembre,
l’aereo della American Airlines AA 77 fu lanciato a schiantarsi contro
il Pentagono. Guidato, ci è stato detto, da alcuni terroristi arabi. Le
foto di tali terroristi furono persino diramate dall’Fbi. Oggi Thomas
R. Olmsted, un medico psichiatra ed ex ufficiale della Marina Usa che
vive a New Orleans, ha ottenuto la prova definitiva che non c’era a
bordo nessun arabo (1).
Lo ha fatto nel modo più
semplice: esigendo, in forza della legge sulla libertà d’informazione
(Freedom of information Act, FOIA) i risultati delle autopsie sui resti
umani dell’attentato.
L’ente che ha compiuto le autopsie è quanto di più ufficiale esista:
l’Istituto di Patologia delle Forze Armate (AFIP), che ha condotto la
triste indagine sui resti con la consulenza di esperti dello Smithsonian
capaci (ha vantato il Washington Post) di “leggere scheletri come
una complessa mappa. Capaci di identificare la razza del morto dai
denti, e il sesso dall’arcata sopracciliare. Possono dirti chi era un
operaio, perché certe ossa s’ingrossano per aggiustarsi a certi
movimenti abituali dei muscoli, e chi è stato un sarto o un tessitore,
dai piccoli solchi sui denti con cui usavano trattenere i fili…a volte
riescono a identificare un individuo da un pezzo di cranio grande come
una moneta”.
Diciassette
mesi dopo la richiesta, il dottor Olmsted ha finalmente ottenuto dall’AFIP
– a quanto pare obtorto collo – l’elenco degli identificati e le
relative risultanze delle autopsie. Da queste risulta che l’AFIP ha
identificato con sicurezza sia tutti gli uccisi (125) che lavoravano al
Pentagono, sia i 64 passeggeri dell’AA 77. Il solo corpo che
l’Istituto dice di non aver potuto identificare è quello di Dana
Falkenberg, una neonata i cui genitori, e la cui sorellina, sono stati
identificati, e che doveva essere a bordo: evidentemente il corpicino è
stato così maciullato dall’impatto, da non lasciare resti
riconoscibili.
Un lavoro egregio. Che mostra che nessun arabo è stato identificato fra
i corpi, e anche qualche sospetto mistero in più.
Uno: la lista dell’AFIP comprende 64 passeggeri, mentre quella
diramata nelle ore dell’attentato dall’American Airlines ne ha solo
58. Come mai, visto che le compagnie aeree contano e identificano
scrupolosamente i passeggeri al momento dell’imbarco? Il dottor
Olmsted, che aveva in mano solo la lista dell’American Airlines
diramata dalla CNN in quel terribile giorno, ha chiesto alla compagnia
di ricevere la lista ufficiale. L’ha chiesto per ben tre volte:
invano. La compagnia, per qualche motivo, si rifiuta di confermare una
lista resa pubblica da anni, e persino di dire se quella della CNN è
vera o incompleta. Curioso.
Ma anche più curiosi i profili professionali di un buon numero di
passeggeri che risultano morti a bordo del Volo 77. Per quanti più ha
potuto, Olmsted ha rintracciato il mestiere, la ditta per cui lavoravano
e la loro specializzazione. Ecco il risultato.
I signori Don Lee, Ruben Ornado e Chad Keller lavoravano tutti e tre
per la Boeing, e Lee anche per la National Security Agency (NSA), il
segretissimo ente della sicurezza interna americana.
Stanley Hall lavorava alla Raytheon, la nota compagnia
missilistica, ed era considerato “il decano dei sistemi bellici
elettronici”.
William Caswell, fisico delle particelle, lavorava per la US Navy.
Il suo lavoro era così segreto, che la famiglia non ha la minima idea
di quel che facesse per la Marina, e nemmeno per quale motivo quel
giorno si trovasse su quel volo diretto in California.
Charles Droz, un altro dei morti, era un alto ufficiale della US Navy;
in pensione, lavorava come specialista di software per la “EM
Solutions”, un’azienda altamente dedicata alle comunicazioni
militari, che produce i cosiddetti “Wide Area Networks”,
dalle ovvie applicazioni belliche.
Robert Penniger, anche lui a bordo dell’AA 77, lavorava per la BAE
System, una ditta che si definisce “leader industriale nei
sistemi di controllo di volo”, e i cui dirigenti paiono provenire
tutti dai servizi segreti: da Richard Kerr ex vicedirettore della Cia, a
William Schneider, già sottosegretario di Stato per la scienza e la
tecnologia, a Robert Cooper, già direttore di un ente celebre per la
ricerca militare: la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA),
alla quale si devono i primi sviluppi della rete che oggi conosciamo
come Internet, pensata originariamente come un sistema di comunicazione
capace di resistere ad un attacco nucleare.
John Sammartino e Leonard Taylor, anch’essi a bordo del tragico volo,
lavoravano per la Xontech, un’altra compagnia missilistica, legata
alla Boeing.
Vicki Yancey prestava la sua opera per la Vreedenberg Corporation,
un’altra ditta collegata all’intelligence militare (la vedova di
Yancey lavora tuttora alla Northrop-Gruman, missili e aerei da caccia).
John Yamnicky, 71 anni, era un capitano della US Navy a riposo
che adesso operava come “defense contractor” (mercenario
specializzato) per la Veridian (fornitrice di soldati a noleggio) e,
secondo suo figlio, aveva partecipato a diverse “operazioni
coperte”.
La signora Mary Jane Booth era addirittura segretaria del general
manager della American Airlines, la compagnia che stava per perdere
l’aereo nell’attentato.
Robert Ploger, nome aggiunto nella seconda lista aggiornata della CNN
insieme alla moglie, era anch’egli collegato al mondo militare: era
figlio del generale Robert Ploger.
Insomma:
una folta comitiva di scienziati militari, specialisti di controlli
elettronici del volo, alti tecnologi dell'aviazione e della missilistica
ed esperti di telecomunicazioni avanzate, o comunque vicini al mondo
dell’aeronautica e della marina da guerra. Il tipo di profili
professionali che è più facile immaginare nella stanza dei bottoni che
ha guidato il dirottamento e il lancio dei quattro aerei l’11
settembre – impresa altamente tecnologica – che nelle vesti di
ignare e impotenti vittime dell’attentato.
Che dire? Vero è che Washington e i suoi dintorni (in cui sorge il
Pentagono) sono meta di un gran numero di personaggi nel business della
difesa, che ci vanno di frequente a condurre i loro affari ed a vedere
ministri e senatori; può essere pura coincidenza che tanti di quei
signori fossero nello stesso volo. Olmsted avanza un’ipotesi estrema:
che tutti costoro fossero in qualche modo a conoscenza del complotto e
dei suoi dettagli tecnici, e che siano stati “attratti” su
quel volo destinato al disastro per farli morire coi loro segreti. Gente
di cui il sistema di potere voleva liberarsi.
Ma non occorre arrivare a tale ipotesi omicida. Ce n’è una a portata
di mano, meno tragica e più inquietante. Bisogna ricordare che nel
lontano 1962 l’ammiraglio Lyman Lemnitzer sottopose seriamente al
presidente Kennedy un progetto di attentati simulati clamorosi per
ferire l’opinione pubblica: di tali attentati la propaganda avrebbe
incolpato Fidel Castro, e questo avrebbe giustificato l’invasione di
Cuba (2).
Ebbene:
uno di questi progetti – come si legge nella proposta di Lemnitzer,
oggi pubblicata – prevedeva di creare “un esatto duplicato di un
aereo civile di linea” per poi “a un momento dato riempire
l’aereo duplicato con passeggeri selezionati, imbarcati sotto nomi
falsi. Il volo sarebbe stato convertito in un drone (aereo senza
pilota, telecomandato) …e poi distrutto con un comando dato da un
segnale radio”.
Non è rimasta traccia dei motivo di certi curiosi particolari della
proposta. A che scopo riempire l’aereo di “passeggeri
selezionati”, per di più “sotto falso nome”? E che
significa “passeggeri selezionati”? Selezionati per morire,
oppure per…
Per scomparire dall’anagrafe. Vivi in realtà, ma morti ufficialmente
nel falso attentato, liberi ormai di agire sotto una nuova identità.
Per esempio: un gruppo di scienziati militari preziosi per l'industria
bellica, di specialisti di operazioni segrete utili alla causa: ancora
più utili se si finge che siano morti in un attentato aereo, mentre in
realtà continuano a lavorare in laboratori sconosciuti a tutti, in una
segretezza ormai resa perfetta dalla loro “scomparsa”,
comprovata da una lista di vittime e dalle loro autopsie. Con nuovi
nomi, altre vite ricostruite, altre mogli e figli magari. Perché no? In
fondo è il sogno di ogni agente segreto: far credere al nemico di
essere morto. La copertura più sicura e invulnerabile (3).
Note
1) Thomas R. Olmsted, MD, “No arabs on flight 77”, Part I e
Part II, pubblicato da Sierra Times (il periodico dei cattolici Sierra
Club) il 6 e 7 luglio 2003 e ripubblicato il 26-27 marzo 2005.
Nell’articolo integrale sono le fotocopie delle autopsie eseguite
sulle vittime dall’Armed Forces Institute of Pathology.
2) L’intera vicenda è stata narrata da James Bamford, giornalista
della ABC, nel suo libro “Body of Secrets”: l’ho riportata
nel mio “11 Settembre colpo di Stato in Usa”, Effedieffe,
pagg. 122-124.
3) Fatto singolare: il 2 marzo 2001, dunque molti mesi prima del fatale
11 settembre, la Fox News diffuse una fiction televisiva del titolo “The
Lone Gunman” (l’assassino solitario) in cui s’immagina quanto
segue: dei “cattivi” prendono da terra il controllo di un
aereo di linea carico di passeggeri, grazie ad un sistema di
telecomando, con l’intenzione di lanciarlo contro (indovinate?) il
World Trade Center. Nella fiction, i cattivi non sono terroristi arabi,
ma congiurati del settore militare-industriale che intendono, con
l’attentato spettacolare, infiammare l’opinione pubblica,
convincerla a reclamare la “guerra al terrorismo globale”, e
così vendere al Pentagono nuovi sistemi d’arma.