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Chi dà il soldi a Sindona?
Tratto da «Soldi truccati: i segreti del sistema Sindona», Feltrinelli 1980

Nell’aprile 1974 non è solo la DC ad avere bisogno di soldi. Soprattutto ne ha bisogna Sindona sul cui impero soffia ormai vento di crisi. Le autorità americane hanno messo gli occhi addosso alla Franklin. Quelle tedesche sono ormai ostili alla Woolff e alla Herstatt. Le speculazioni dell’Edilnassau vanno a rotoli, mentre gli utili vanno altrove. Tra l’11 aprile e l’8 giugno 1974 l’Edilnassau assorbe sa sola più di sedici milioni di dollari. A marzo dello stesso anno arriva una scadenza contratti a termine di acquisto e vendita di dollari contro franchi svizzeri per complessivi due miliardi e 300 milioni di dollari.
Chi dà tutti questi soldi a Sindona?

Anzitutto un variopinto stuolo di «corrispondenti esteri». Ovviamente le collegate estere Amincor e Finabank. Poi le banche dell’Est Magjar Nemzeti Bank di Budapest e le sovietiche Moscow Narodny Bank, Bank for Foreign Trade of Urss, International Bank. Ma non sono tanto ingenue: a fronte dei dollari che versano di fanno depositare da Sindona dei marchi. Ingenue sembrano invece le banche di matrice cattolica tutte con depositi oltre i dieci milioni di dollari: l’IOR (Istituto per le Opere Religiose, la Banca del Vaticano), il Banco di Roma do Bruxelles, il Banco di Roma di Nassau, la Cisalpine Overseas di Nassau di Calvi e Marcinkus, la Banca Provinciale Lombarda del «nemicissimo» Pesenti. C’è poi una banca che solo di recente ha avuto gli onori della cronaca per l’affare delle bustarelle saudite: la Tradinvest, la banca dell’Eni di Nassau. I dollari che questa depositava presso le banche di Sindona, queste ultime li riversavano alla Tradinvest di Cayman Islands. Stranissimo percorso. Per andare dalle Bahamas alle isole Cayman basta sorvolare Cuba. Si preferisce invece passare per la Milano delle banche sindoniane.

Tra i corrispondenti italiani troviamo di nuovo la Banca Provinciale Lombarda del solito Pesenti, il Santo Spirito e poi una piccola banca, la Banca Mutua Popolare di Lodi che riesce a trovare 3,5 milioni di dollari, 10 milioni di franchi e 1 milione di marchi da prestare tutti contemporaneamente alle banche di Sindona.
Ovviamente per una banca depositare fondi presso un’altra è cosa del tutto consueta. Ognuno è libero di scegliere le banche che vuole ed è proprio in base a queste possibilità di scelta che la banca centrale tedesca non ha restituito ai corrispondenti esteri i depositi che essi tenevano presso la liquidata Herstatt.
Da noi si è scelto invece, come è noto, la via contraria. Soprattutto per difendere la credibilità all’estero del nostro paese. Così abbiamo salvato il prestigio dell’Italia di fronte ai creditori esteri delle banche di Sindona: l’IOR, Pesenti, il Banco di Roma di Bruxelles e di Nassau, l’Eni, Calvi e monsignor Marcinkus.
Ma c’è un particolare. A parte quelle che intrattengono operazioni di cambi con Sindona, le grosse banche non compaiono direttamente. Non compare neppure il Banco di Roma, come ricorderà Ventriglia in una precisazione indirizzata alla Lettera Finanziaria dell’Espresso- Infatti il Banco farà prestare i soldi dalle sue collegate estere contane dall’Italia e dalle leggi italiane.
(…)

Nel settembre 1979 il quotidiano «Lotta Comunista» pubblica il fitto elenco di enti pubblici che hanno depositato soldi presso lo sportello di via Veneto della Banca Privata Finanziaria (di Sindona), già sede del Credicomin, l’azienda di credito in liquidazione coatta di cui era presidente il principe nero Junio Valerio Borghese.
Un lungo elenco che comprende, con tanto di numero di conto corrente:
-          l’INPS (conto 1/31679)
-          l’INA (conto 1/30540)
-          l’INAIL (conto 1/31671)
-          l’INPDAI (conto 1/31675)
e poi Federconsorzi, l’Istituto romano dei Beni Stabili, l’Otomelara, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei giornalisti, la Sofid, l’Insud Spa.


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