Home Page - Contatti - La libreriaLink - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori

- Pagina economia

La prossima, grande abbuffata stretta sul ponte
Di Andrea Cinquegrani - "La Voce della Campania" www.lavocedellacampania.it 

Parte a maggio la kermesse miliardaria per l’aggiudicazione dei lavori sul Ponte della discordia. Tre cordate in prima fila e, soprattutto, le mani dei clan sui subappalti. Ecco nomi, sigle, accordi, connection per il nuovo ‘terremoto’ del 2000. Grandi affari in vista, comunque, anche per gli armatori, a partire dalla dinasty dei Franza, i padroni del Messina Calcio e, da qualche mese, dell’hotel più prestigioso della costiera amalfitana.
Una delle ultime e più lucenti perle? L’Hotel Cappuccini di Amalfi, il cinque stelle più in della Campania, il gioiello incastonato nella costiera che tutto il mondo ci invidia. Ora appartiene alla famiglia dei Franza, i padroni del Messina calcio e a capo di uno sterminato impero di sigle nei più svariati settori. La ristrutturazione, già avviata, verrà portata a termine entro il 2005, con un capodanno da festeggiare sotto i nuovi vessilli siculi. «L’acquisizione di una struttura storica, prestigiosa e di grande riferimento per la costiera amalfitana a livello nazionale e soprattutto internazionale - viene sottolineato fra le news del gruppo - permetterà alla Framon Hotels di affermare il consolidamento della mission aziendale che punta al posizionamento sull’arco della penisola italiana con dimore storiche localizzate in località di comprovata fama internazionale e a 5 stelle». Stile berlusconiano perfetto.
Framon sta per Franza-Mondello, ovvero la dinasty composta dai rampolli Vincenzo, Pietro ed Elga (figli dell’ingegner Giuseppe Franza) e dalla madre, Olga Mondello. Le imprese di Framon cominciano nel 1994, con l’acquisizione del Royal Palace Hotel di Messina: una escalation in piena regola, raggiungendo, dopo appena dieci anni, le 17 strutture alberghiere disseminate nei luoghi più incantevoli del Paese. «Framon Hotels, società presieduta dal Cav. Olga Mondello Franza - viene ancora descritto fra le news - è divenuta nel corso degli anni un’azienda leader nel mercato italiano dell’ospitalità di lusso». Per il 2006 l’obiettivo è di raggiungere quota 22, e di inaugurare a Roma il Giustiniano, «190 camere di cui “22 suites, 13 diplomatic suites e 3 presidential suites». Per tutti i palati.

Insomma, affari ovunque, per i rampanti Franza. Ovviamente anche fuori dai confini, ad esempio nei paesi dell’Est, in primis la Polonia, per aprire alberghi extra lusso. Oppure in Lussemburgo, dove a quanto pare è acquartierata la cassaforte di famiglia, ovvero VI.EL.PI., che sta per Vincenzo, Elga e Pietro. Il sangue, comunque, non è acqua. Però può esserlo. Proprio sulle acque, sopra le acque, infatti, continuano a fiorire o stanno per germogliare gli affari più preziosi. A parte, ovviamente, la chicca, il Messina Calcio, la passione pallonara per sentirsi - ancora una volta - i berluscones di Trinacria.
I Franza, infatti, sono praticamente l’unico gruppo al mondo che può vincere due volte, lungo le vie che portano verso la Sicilia. Hanno il monopolio dei trasporti su traghetto: «vuoi evitare le lunghe code di un’autostrada che sembra non finire mai come la Salerno-Reggio Calabria e scendere comodamente a Messina, la porta della Sicilia?», ammicca il bollettino di casa Framon. Ecco, servita, la soluzione: «approfitta di una splendida nave, la Cartour, dotata di tutte le comodità e ti troverai in un balzo, nella grande Isola mediterranea, disteso e riposato per riprendere il viaggio verso indimenticabili mete turistiche». Dal continente alla Sicilia, dunque, in un battibaleno.
E in un lampo vi potrai arrivare attraverso il mitico, ormai prossimo ponte sullo stretto. Vuoi vedere che i Franza non lo vogliono e danno battaglia perché porta via clienti ai traghetti? Macche! E’ proprio il cavalier Olga Mondello Franza a dissipare ogni dubbio a metà anni novanta, quando si comincia a parlare in concreto del faraonico progetto: «per noi la costruzione del ponte sarebbe un grande business.
Durante i dieci anni occorrenti per la sua realizzazione, il nostro lavoro aumenterebbe notevolmente. E poi lavoreremmo a pieno ritmo per diversificare l’attività».

Così commenta un attento studioso di cose siciliane, Antonio Mazzeo, autore di un documentatissimo dossier, La mafia del Ponte, che è possibile consultare solo via internet, sul sito  terrelibere.org. «Il gruppo Franza è pronto per concorrere direttamente alla realizzazione dell’opera, sia per capitalizzare il presumibile aumento del traffico nello Stretto in concomitanza con i lavori di esecuzione, e sia per ampliare la quota del proprio mercato quando, a ponte ultimato, l’alto costo del pedaggio spingerà sempre più automobilisti a scegliere la fedeltà con il traghettamento. E’ forse casuale che sia stata proprio Olga Franza a fare da anfitrione del ministro Pietro Lunardi, durante la sua visita a Messina nell’aprile 2002, in compagnia dell’allora presidente della Società Stretto di Messina Nino Calarco e del presidente della Regione Totò Cuffaro?».
E fu proprio il direttore della Gazzetta del Sud Calarco (alla guida del quotidiano per oltre un trentennio) a raccogliere le prime emozioni del ministro per le Infrastrutture: «sarà un’opera eccezionale dal punto di vista ingegneristico e ambientalistico, un po’ come il Colosseo o le Piramidi». Peccato che il primo firmatario dell’emendamento “consociativo” sul Ponte sia stato Pietro Folena, a inizio anni ’90, allora pci, oggi sinistra ds. Peccato che, a seguire, sia arrivato il premier Massimo D’Alema a benedire il progetto. Peccato che della società Stretto di Messina abbia fatto parte l’ex deputata pci Angela Bottari (il suo compagno, Gioacchino Silvestro, è stato capogruppo dei Ds alla Regione). Peccato che un altro diessino doc, Francesco Aiello, sia stato in prima linea a favore del progetto-ponte. Un ponte, due capanne.

Migliorista sarà lei…
E due amici, per la pelle. Si tratta di Sergio La Cava e Carlo Borrella. Due nomi, però, scomodi. Vediamo perché.
Il primo è il braccio destro - e operativo - della famiglia Franza, al vertice di una sigla strategica nell’arcipelago imprenditoriale della dinasty messinese, la Navigazioni Generale Italiana, che gestisce il trasporto via traghetti per le isole Eolie.  Uno che di destra se ne intende, La Cava, vicepresidente  dell’amministrazione provinciale, fedelissimo del senatore Domenico Nania, plenipotenziario di Alleanza Nazionale in Sicilia, e non solo.  Arrestato un paio di mesi fa e poi rimesso in libertà, La Cava è implicato nella maxi inchiesta “Ecomafia”, che vede sotto i riflettori la MessinAmbiente, per un decennio leader incontrastata nel business della raccolta dei rifiuti.
Una società pubblico-privata, MessinAmbiente, con la partecipazione, nell’azionariato, di Altacoen, il cui patron Francesco Gulino è ugualmente finito nella rete degli investigatori (e per un breve periodo dietro le sbarre, così come un altro vertice della sigla mista, Antonino Conti, ex amministratore delegato). Per tutti, una pesante accusa, quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Sponsor di una squadra di pallamano che milita in A1, mister Gulino è il tipico esemplare “consociativo” che vede in campo un parte del centro sinistra e il centro destra. Gulino, infatti, è di area diessina, degli ex “miglioristi”, il cui uomo forte in zona  è Vladimiro Crisafulli. Da sempre favorevole al ponte sullo stretto, Crisafulli è ora in minoranza fra i Ds locali, capeggiati dal suo rivale,  Claudio Fava, europarlamentare e figlio del direttore dei Siciliani, Pippo Fava, finito sotto il fuoco della mafia.

Passiamo al secondo, ingombrante “amico” dei Franza, il geometra Carlo Borrella, ovviamente legatissimo a La Cava. Un triangolo perfetto. «Carlo Borrella - racconta Antonio Mazzeo, autore di una serie di dossier al vetriolo sugli affari del Ponte - è da anni il re del movimento terra, e non solo in Sicilia, con la sua Demoter. Ha commesse e appalti miliardari in tutta Italia, perfino in Trentino».    
Il nome di Borrella fa capolino nell’azionariato di una delle sigle che hanno fatto man bassa di terreni - a prezzi molto convenienti -  in vista degli espropri per la realizzazione dei piloni che dovranno sorreggere il mitico ponte sullo stretto. Nella compagine azionaria di So.ge.T.Im., infatti, compaiono Renato Irrea, alla guida della Due Torri (a sua volta in prima fila per il business); Vincenzo Cambria, figlio di Francesco, socio degli esattori mafiosi Nino e Ignazio Salvo; una misteriosa società anonima lussemburghese, Scoha; e, appunto, Borrella. Scavando ancora un po’, si scopre al vertice della Due Ponti è da anni Rosario Pizzino, attuale sottosegretario al ministero delle Infrastrutture retto da Lunardi.
Non solo “vile” movimento terra nei destini arcimiliardari dei Borrella. Ma tante società pronte a portare danari e profitti: dalla Risanamento Messina alla Iniziative Immobiliari, dall’Agenzia per l’Energia Messina-Apem al Consorzio Costruttori Messinesi, da Pett fino alle sfilza di Opere (non pie, ma immobiliari) in partnership con soci che vanno dalla Sicilia fino a Monza. Per finire con la ciliegina sulla torta, Duomo, una società a responsabilità limitata che, a un passo dal palazzo della Provincia, sta realizzando un maxi parcheggio da tre piani: «un percorso che da una srl - denunciano alcuni cronisti locali - porta con un gioco di parentele societarie anche all’ex sindaco di Messina Giusepe Buzzanca».

Il gioco del ponte
Il grande affare. Il maxi business degli anni duemila. Il super Ponte. «C’è bisogno ciclicamente di affari stramiliardari per le mafie - nota qualcuno fuori dal coro - quando dopo la fine degli anni ottanta si è esaurita la spinta del dopo terremoto in Campania e in Basilicata, è arrivata l’alta velocità. Poi i lavori per il raddoppio della Salerno-Reggio Calabria. Ora quelli per il ponte. Niente cambia, grandi lavori affidati ai general contractor, appalti a scatole vuote, subappalti a imprese della criminalità organizzata». Il solito copione, insomma.
«Abbiamo denunciato decine di illegalità – punta l’indice Fausto Morrone, numero uno della Cgil a Salerno - subappalti alla camorra, lavori irregolari, ribassi fuori da ogni logica. Negli ultimi mesi c’è una maggiore calma nei cantieri della tratta salernitana». Una pax mafiosa, o che? Commenta il senatore della Margherita Tommaso Iannuzzi, responsabile per il settore Infrastrutture e autore di un volume, Uscire dal Tunnel, sui maxi sperperi per i lavori pubblici in Italia e, soprattutto, al Sud. «Altro che ponte sullo stretto - sottolinea - ci sono da portare a termine lavori nelle regioni meridionali per assicurare ancora il minimo vitale, a partire dalla Salerno Reggio Calabria, per la quale mancano 3 miliardi di euro, e nessuno lo dice. I soldi vanno erogati, presto, per completare un’opera essenziale. E la pubblica amministrazione deve nel modo più assoluto attrezzarsi per vigilare e monitorare sui vari segmenti dei lavori, che vanno dal movimento terra al calcestruzzo, fino ai subappalti sui lotti». Che, a quanto pare, sarebbero sotto il controllo dei clan, o delle cosche. Così come, esattamente venti anni fa, era accaduto per la realizzazione della terza corsia (peraltro - incredibile ma vero - ancora in corso) della Napoli-Caserta-Roma. Con una sequela di appalti e subappalti  regolarmente gestiti dalla camorra spa.

Proprio quindici anni fa - secondo attendibili ricostruzioni - Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avrebbero cominciato a indagare a fondo sui primi maxi lavori pubblici nel Sud Italia. A partire proprio dall’alta velocità che, secondo i primissimi progetti, avrebbe dovuto raggiungere Reggio Calabria (a partire da Milano). E’ proprio il “ministro dei lavori pubblici” del governo mafioso di Totò Riina, Angelo Siino, a raccontare ai magistrati napoletani (il processo è poi passato a Roma), alcuni particolari inediti dei primissimi anni ’90. Con un “amico”, il massone siculo-napoletano Salvatore Spinello, fa esplicito riferimento agli appalti per la Tav, fa il nome di alcune imprese nell’orbita mafiosa (alcune napoletane, come la Icla-Fondedile), precisa addirittura che i clan avrebbero “caldeggiato” il passaggio di Falcone da Palermo a Roma, alla corte di Claudio Martelli, allora guardasigilli. Insomma, emerge con chiarezza, dalle parole del cassiere di Riina & C. che il lavoro investigativo di Falcone dava fastidio, perché rischiava di alzare il coperchio sui rapporti fra i big della politica, le imprese di partito e i clan. Un lavoro - guarda caso - condotto in sinergia con Antonio Di Pietro, allora sconosciuto pm, che esattamente un anno dopo avrebbe inaugurato la (mezza) stagione di Mani pulite. Quel livello, però, non venne mai lontanamente toccato.
Torniamo a bomba (dopo quelle che uccisero le due toghe). E cioè al ponte sullo stretto. Per il quale siamo arrivati alla stretta - è il caso di dirlo - finale. Per metà aprile era prevista l’aggiudicazione del super appalto ma - secondo fonti ministeriali - il tutto slitterà a metà, fine maggio. In lizza tre general contractor in pectore, come si dice in gergo, tre cordate (perché alla capofila, evidentemente, segue il codazzo di altre sigle, senza contare poi l’interminabile trafila dei subappalti, al 90 per cento dei casi gestiti dalla delinquenza organizzata).  Due gruppi sono italiani, il terzo è straniero. Si tratta di Astaldi, Impregilo e Strabag-Vinci. Società in grosse difficoltà finanziarie - secondo radio piazza Affari - le prime due, vale a dire le nostrane Astaldi e Impregilo (ex Fiat quest’ultima, poi passata nell’orbita Romiti). Senza particolari problemi il tandem austro-canadese, che può contare su liquidità aziendali e non solo. Secondo gli investigatori, infatti, i clan mafiosi da sempre vincenti nelle americhe del nord - i Caruana e i Cuntrera - avrebbero deciso di giocarsi la scommessa del ponte. E per questo si sarebbe rimboccato le maniche l’ottantenne ingegner Giuseppe Zappia, un paio di mesi fa arrestato per associazione mafiosa, in ottimi rapporti col boss Vito Rizzato, oggi plenipotenziario di Cosa nostra in Canada.

«Con ogni probabilità vincerà la gara una delle due italiane - commentano in ambienti vicini alla Direzione Investigativa Antimafia - ma c’è da chiedersi su quali fondi potrà poi contare il raggruppamento aggiudicatario. E se non troverà poi accordi con i canadesi». I clan, a quanto pare, possono gettare sul tavolo delle “liquidità” la bella cifra di 5 miliardi (di euro). Non poco, in tempi di vacche magre come questi.
Del resto, in tema di maxi appalti dalle nostre parti la mafia internazionale è stata sempre in prima linea.
Proprio per l’affare Monteruscello, la Pozzuoli bis-monstre realizzata dopo l’invenzione del bradisisma a inizio anni ’80 (ministro per la protezione civile, all’epoca, Enzo Scotti), i canadesi si erano ben attrezzati: tramite Paul Violi, allora emissario dei clan, in ottimi rapporti con alcune imprese partenopee, soprattutto in odore di calcestruzzo.
Ma chi dovrà pronunciare l’ultima parola sulla fatidica gara? Il sempreverde Giuseppe Zamberletti, oggi presidente onorario della Società Ponte sullo Stretto, e al tempo stesso al vertici della IGI (Istituto Grandi Opere), che raduna sotto il suo ombrello i colossi mattonari delle infrastrutture. Tanto per cambiare, il controllore che controlla se stesso. E Zamberletti è stato per anni il deus ex machina della protezione civile: anzi “La Protezione Civile”, dalla buona gestione del post terremoto in Friuli alle discutibili performance in Campania e non solo.

La camorra è servita
La camorra, comunque, non può stare certo alla finestra. Controllo sui subappalti lungo l’autostrada Salerno-Reggio (tratta campana) a parte, anche il ponte può far gola. E i legami - via cosca - a quanto pare si stanno intensificando.
Tutto ruota intorno a un nome, quello di Michelangelo Alfano, origini partenopee, presto trasmigrato in Sicilia, oggi acquartierato a Barcellona Pozzo di Gotto, il vero crocevia degli affari che dall’isola portano in mezzo mondo. «E’ la Corleone del ventesimo secolo - descrive Antonio Mazzeo - e non da oggi. Non a caso lì venne deciso e organizzato l’attentato a Falcone, da lì partì il carico esplosivo che fece saltare per aria la sua auto. Ed è lì che, per fare un solo esempio, Marcello Dell’Utri era solito organizzare i suoi incontri con Nitto Santapaola». E proprio su queste circostanze, su questi agghiaccianti dettagli criminali - secondo ambienti giudiziari - avrebbe vuotato il sacco il vecchio boss barcellonese Pino Chiofalo, oggi collaboratore di giustizia, uno che conosce tutti i crimini & i misfatti in terra siciliana, e non solo.
Torniamo ad Alfano. Ex presidente proprio del Messina calcio (negli anni ’80), ras nel settore delle imprese di pulizia - specializzato nel comparto delle ferrovie, storicamente appetito dai clan - il suo nome fa capolino tra i faldoni di scottanti inchieste giudiziarie che portano in Campania. Nel 1981 gli investigatori segnalarono la presenza di una grossa Bmw sotto l’abitazione dell’allora latitante Antonio Bardellino, a San Cipriano d’Aversa: quella Bmw apparteneva a lui, Alfano. Secondo Antonio Mazzeo «l’allora numero uno della Nuova Famiglia, Bardellino, era a quel tempo molto legato a Chiofalo», il quale, con ogni probabilità, sta ricostruendo davanti agli inquirenti la fitta e intricata rete di rapporti - fra sangue & affari - intercorsa lungo l’asse Sicilia-Campania. Alfano, a suo tempo, sostenne di aver venduto quell’auto a un autosalone di Milano: ma tutte le connection restano più che mai in piedi.

E restano, ancora più in piedi e più forti che mai, i legami di un altro capoclan  partenopeo, Giuseppe Misso, con le cosche messinesi. In particolare, con quelle che fanno capo a Gerlando Alberti junior. Da sempre legato alla destra eversiva e bombarola, Misso sta tornando in auge nell’empireo camorristico del cuore di Napoli, soprattutto all’indomani dell’omicidio di Nunzio Giuliano. E della faida tra i Di Lauro e gli scissionisti che da mesi sta insanguinando Napoli e popolando le cronache dei giornali di mezzo mondo. «Accusato e processato per la strage di Natale al rapido 904 - ricostruisce Mazzeo - Misso si è difeso sostenendo di non essere stato a Napoli in quei giorni, perché si trovava a Barcellona. Quella siciliana, non quella spagnola. E lo stesso Misso è implicato in un’altra vicenda, quella della rapina al caveau del Banco di Roma, pochi giorni prima di quel terribile attentato in Val di Sambro». Scrive Mazzeo: «Secondo gli inquirenti fin dagli anni ’70 Misso era in contatto con i gruppi neofascisti veneti da sempre ritenuti tra i protagonisti delle stragi di Stato. Il boss napoletano fu sorpreso a Moiarello a pranzo con alcuni guardaspalle in una clinica abbandonata, trasformata in “centrale operativa” della banda con tanto di stazione radio. Alla vigilia della strage, il gruppo criminale di Napoli utilizzato da Cosa nostra per il trasporto di una parte dell’esplosivo risiedeva tranquillamente a Messina dove preparava una ingegnosa rapina a uno degli istituti di credito della città».

Così parlò Calò
Ma cosa disse, a caldo, dopo la strage dell’Italicus Pierluigi Vigna, allora procuratore capo a Firenze e oggi ancora al vertice della Dia nazionale? «E’ sicuro che a Napoli operava la mafia, c’erano gruppi camorristi inseriti in Cosa nostra. Fu provato, per esempio, che nel gruppo di Misso figurava Gerlando Alberti junior, nipote di Gerlando Alberti senior, braccio destro di Pippo Calò». «Non c’era neppure bisogno di parlare di alleanza tra mafia e camorra - aggiungeva Vigna - era la mafia che in un certo senso si alleava con se stessa». Così come è capitato per l’omicidio Siani: un accordo mafia-camorra per eliminare il cronista scomodo. Trovati e condannati gli esecutori, sono però ancora come fringuelli - e soprattutto a piede libero - i mandanti “politici” di quel crimine.
Per un altro orrendo crimine, invece, è stata fatta luce. «Dopo anni e anni di articoli e denunce - sottolinea Mazzeo - finalmente si è celebrato il processo per l’omicidio di una diciassettenne, Graziella Campagna, colpevole di aver annotato in una agendina nomi, fatti e misfatti che vedeva intorno a sé. Abitava a Villafranca Tirrena, un paesino a pochi chilometri da Messina. Alberti junior è stato condannato in primo grado. Poca luce invece, fino ad ora, su un altro buco nero, il deragliamento dell’espresso a Rometta, una ventina di chilometri da Messina. Anche stavolta, lavori fatti con i piedi, materiali scadenti per rammodernare una linea ferroviaria. E i soliti subappalti ai clan. Poi la tragedia».
A chi erano andati i lavori in subappalto? Alle imprese del signor Alfano. In buona parte - sottolineano in ambienti giudiziari messinesi - provenienti dalla Campania.

Caronte nel pallone
L’ultima impresa, quella del Messina calcio. Per darsi look e visibilità, per trasformarsi d’incanto nel mini Berlusconi made in Sicilia. E poi, caso mai, trattare affari a molti zeri, come quello del ponte sullo stretto.
Rampante al punto giusto, Pietro Franza, il secondo tra i rampolli della famiglia messinese, presidente della squadra, punta in alto. «Vuole superare il Palermo - raccontano in zona,“vuole battere lo “straniero”, il veneto Zamparini venuto giù per governare la squadra del capoluogo, a bordo dei suoi affari milionari tra super e iper mercati».
Per dar voce voce alle istanze pallonare della squadra nei palazzi della Federcalcio che conta, Pietro Franza ha scelto Mario Bonsignore,  ex sindaco fino al ’93, inquisito e condannato a tre anni per associazione mafiosa. A breve comincerà il processo di appello.
Un fiore all’occhiello, il Messina, che corona un sogno imprenditoriale in grado di spaziare tra i più diversi settori. E, però, non manca di dare già dei grattacapi. Sul Messina calcio, infatti, è in corso un’inchiesta giudiziaria che riguarda sia la passata che la presente gestione della squadra. I cronisti di giudiziaria glissano sull’argomento, in città pochi ne parlano, preoccupati per la sorti della squadra, in lotta per non retrocedere in serie B

Ma le imprese di ”palazzo” sono tante, multiformi e variegate. Dallo “shipping” - il settore marittimo per i comuni mortali - con la corazzata NGI, la quasi corazzata Cartur, e le più familiari Tourist Ferry Boat, Travel Tickets e Tourist Shipping. Passiamo al mare, dove troviamo schierate in prima fila la Rodriquez Cantieri Navali, e le consorelle Semar, Picciotto, Ancora e Di Maio. Sul fronte mattonaro fanno segnare la loro presenza quattro team: Siceas Buildings, Imfra, Trade Immobiliare e Siceas.
Seguendo fedelmente l’organigramma societario, passiamo al comparto “Finanza e Servizi”, rappresentato da Cofimer, Fipe, Siceas Service e Filmar.
Last but not least, il turismo, il core business di casa Franza. Ecco, in rapida carrellata, i vessilli familiari: la capogruppo Framon Hotel (fresca acquirente del Cappuccini di Amalfi). Poi una sfilza di sigle. In primis Thesauron, lo scrigno di famiglia, a seguire Novamusa, GrandTourAssistance, Biosport Management, Prismi e Montagne in Libertà. Secondo le ultime notizie, però, casa Franza avrebbe deciso di dismettere il ramo’ delle nevi per gettarsi, anima e corpo, nei business marinari.
«E’ comunque nel settore finanziario che la famiglia Franza concentra da anni i suoi interessi - commenta Antonio Mazzeo - con una serie di investimenti mirati. Avevano cercato di entrare nel Medio Credito Centrale a fine anni novanta, tramite il Banco di Sicilia. Operazione non riuscita. Ma il colpo, poi, è stato messo a segno con la banca Antonveneta (che sta per passare sotto il controllo del Banco di Bilbao, ndr), attraverso l’acquisizione di ingenti quote della Popolare di Siracusa».
Piccolo dettaglio a latere:  alla direzione generale dell’Antonveneta e alla vice presidenza della banca siracusana è stato chiamato Silvano Pontello, un pupillo di Michele Sindona, candidato al vertice della sua Banca Privata. Prosit. (a. c.)


www.disinformazione.it