Il petrolio centroasiatico, una chiave di lettura  del conflitto
di Domenico Walter Izzo

TUTTE LE NOTIZIE SULL'OPERAZIONE MILITARE DA RAI NEWS 24
Il petrolio centroasiatico, una chiave di lettura del conflitto

Le indagini sul terrorismo fondamentalista bloccate e il vice direttore dell’FBI che, da buon irlandese, sbatte la porta e si dimette. Gli emissari dei Talebani, accolti amichevolmente a Washington, con la mediazione della
nipote dell’ex direttore della Cia; e ancora il vicepresidente di una grande compagnia petrolifera che disegna in un audizione al Congresso la strategia Usa per l’Asia centrale e l’Afghanistan in particolare; un plenipotenziario
statunitense che dice, chiaro e tondo, ai Talebani di scegliere tra l’oro e il piombo. Sono solo alcune delle mosse giocate negli ultimi anni sulla grande ed impervia scacchiera dell’Asia centrale.

La chiave per il petrolio dell’Asia centrale documenti Al centro della partita ci sono due lunghi serpenti d’acciaio. Per adesso ancora solo sulla carta, ma dovrebbero tagliare in due l’Afghanistan. In uno, viaggeranno ogni giorno un milione di barili di greggio proveniente dai giacimenti dell’ex URSS, nel secondo correrà il gas che sgorga dai giacimenti di Dauletabad in Turkmenistan. Due arterie strategiche per rendere accessibile alle grandi compagnie petrolifere americane le immense riserve di idrocarburi dell’Asia centrale. 

Il 65% delle riserve mondiali Per dare solo un’idea della proporzione della posta in gioco, basta ricordare che la stima delle riserve del Caspio è di circa 263mila miliardi di piedi cubici di gas naturale e di 60 miliardi di barili di petrolio, pari al 65% delle riserve mondiali. Un tesoro immenso che ha un solo handicap: la distanza dai mercati. La soluzione? Ecco cosa propone John J. Maresca, vicepresidente delle relazioni internazionali di Unocal Corporation, una delle principali compagnie mondiali nel campo delle risorse energetiche e dei progetti. La Unocal farà parte del consorzio Cent-Gas, fino alla fine del 1998, quando sarà costretta, dalle pressioni dell'opinione pubblica americana, ad uscire ufficialmente dalla struttura che mediava con il regime dei Talebani, salvo poi a mostrare un forte interesse a rientrare a pieno titolo nel progetto nel marzo del 2000, pochi mesi prima delle elezioni nelle quali era favorito il candidato repubblicano. Al progetto la Unocal aveva lavorato sin dal 1994. Lo riferisce Ahmed Rachid, in uno studio pubblicato nel marzo scorso dalla Yale University.
"C'erano altre compagnie in campo - scrive Rachid - come l'argentina Bridas. Ma Washington e Riad si sono impegnate per convincere tutti i diretti interessati ad escludere Bridas. All'epoca Unocal aveva aperto i suoi uffici di rappresentanza nelle zone controllate dai Talebani"

L’audizione al Congresso  documenti John J. Maresca si presenta il12 febbraio 1998 davanti al sottocomitato del Congresso degli Stati Uniti pere l’Asia e il Pacifico per parlare proprio dei progetti della Unocal e delle altre compagnie petrolifere sugli idrocarburi dell’Asia centrale. Il problema come abbiamo detto è il trasporto. Maresca spiega nella sua audizione - che RaiNews24 è in grado di documentare - lo stato dell’arte e i progetti. Al memento gli unici sbocchi possibili sono il Mar Nero e il Mediterraneo, con delle linee di oleodotti che attraversano le ex repubbliche sovietiche e la Turchia. Se tutti questi progetti fossero però realizzati - spiega il vicepresidente della Unocal - non potrebbero garantire tutta la distribuzione e soprattutto puntano verso mercati che non potrebbero assorbire questa produzione. Sentiamolo. "Noi dell'Unocal - afferma Maresca - riteniamo che il fattore centrale nella progettazione di questi oleodotti dovrebbe essere la posizione dei futuri mercati energetici che verosimilmente assorbiranno questa nuova produzione. L'Europa occidentale, l'Europa centrale e orientale e gli stati ora indipendenti dell'ex Unione sovietica sono tutti mercati a crescita lenta, in cui la domanda crescerà solo dallo 0,5% all'1,2% all'anno nel periodo 1995-2010".

L’Asia sarà il grande cliente del futuro "L'Asia è tutto un altro discorso - sostiene Maresca - Il suo bisogno di consumo energetico crescerà rapidamente. Prima della recente turbolenza nelle economie dell'Asia orientale, noi dell'Unocal avevamo previsto che la domanda di petrolio in questa regione si sarebbe quasi raddoppiata entro il 2010. Sebbene l'aumento a breve termine della domanda probabilmente non rispetterà queste previsioni, noi riteniamo valide le nostre stime a lungo termine.
Devo osservare che è nell'interesse di tutti che vi siano forniture adeguate per le crescenti richieste energetiche dell'Asia. Se i bisogni energetici dell'Asia non saranno soddisfatti, essi opereranno una pressione su tutti i mercati mondiali, facendo salire i prezzi dappertutto."

Come portare gas e petrolio ai clienti asiatici?
"La questione chiave è dunque come le risorse energetiche dell'Asia centrale possano essere rese disponibili per i vicini mercati asiatici. Ci sono due soluzioni possibili, con parecchie varianti. Un'opzione è dirigersi a est attraversando la Cina, ma questo significherebbe costruire un oleodotto di oltre 3.000 chilometri solo per raggiungere la Cina centrale. Inoltre, servirebbe una bretella di 2.000 chilometri per raggiungere i principali centri abitati lungo la costa. La questione dunque è quanto costerà trasportare il greggio attraverso questo oleodotto, e quale sarebbe il netback che andrebbe ai produttori. (...)
La seconda opzione è costruire un oleodotto diretto a sud, che vada dall'Asia centrale all'Oceano Indiano. Un itinerario ovvio verso sud attraverserebbe l'Iran, ma questo è precluso alle compagnie americane a causa delle sanzioni.

Afghanistan scelta obbligata
"L'unico altro itinerario possibile è attraverso l'Afghanistan - dice il vicepresidente di Unocal - e ha naturalmente anch'esso i suoi rischi. Il paese è coinvolto in aspri scontri da quasi due decenni, ed è ancora diviso dalla guerra civile. Fin dall'inizio abbiamo messo in chiaro che la costruzione dell'oleodotto attraverso l'Afghanistan che abbiamo proposto non potrà cominciare finché non si sarà insediato un governo riconosciuto che goda della fiducia dei governi, dei finanziatori e della nostra compagnia. Abbiamo lavorato in stretta collaborazione con l'Università del Nebraska a Omaha allo sviluppo di un programma di formazione per l'Afghanistan che sarà aperto a uomini e donne, e che opererà in entrambe le parti del paese, il
nord e il sud."

Un gigante di oltre mille miglia
"La Unocal ha in mente un oleodotto che diventerebbe parte di un sistema regionale che raccoglierà il petrolio dagli oleodotti esistenti in Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan e Russia. L'oleodotto lungo 1.040 miglia si estenderebbe a sud attraverso l'Afghanistan fino a un terminal per l'export che verrebbe costruito sulla costa del Pakistan. Questo oleodotto dal diametro di 42 pollici (poco più di un metro, ndt) avrà una capacità di trasporto di un milione di barili di greggio al giorno. Il costo stimato del progetto, che è simile per ampiezza all'oleodotto trans-Alaska, è di circa 2,5 miliardi di dollari."
Ecco il nostro progetto
Poi Maresca spiega quali sono in dettaglio i progetti sull’Afghanistan."Lo scorso ottobre è stato creato il Central Asia Gas Pipeline Consortium, chiamato CentGas, e in cui la Unocal ha una cointeressenza, per sviluppare un gasdotto che collegherà il grande giacimento di gas di Dauletabad in Turkmenistan con i mercati in Pakistan e forse in India. Il prospettato gasdotto lungo 790 miglia aprirà nuovi mercati per questo gas, viaggiando dal Turkmenistan attraverso l'Afghanistan fino a Multan in Pakistan. Il prolungamento proposto porterebbe il gas fino a New Delhi, dove si collegherebbe a un gasdotto esistente. Per quanto riguarda il proposto oleodotto in Asia centrale, CentGas non può cominciare la costruzione finché non si sarà insediato un governo afghano riconosciuto internazionalmente."
Le nostre richieste
E avanza le richieste delle Compagnie all’Amministrazione e al Congresso. "Noi chiediamo all'Amministrazione e al Congresso di sostenere con forza il processo di pace in Afghanistan condotto dagli Stati Uniti. Il governo Usa
dovrebbe usare la sua influenza per contribuire a trovare delle soluzioni per tutti i conflitti nella regione. L'assistenza Usa nello sviluppare queste nuove economie sarà cruciale per il successo degli affari".Orecchie attente sulle rive del Potomac Le parole di Maresca trovano orecchie attente nei circoli della politica americana e soprattutto nella nuova Amministrazione guidata da Bush, dove non mancano gli uomini e le donne che con il petrolio hanno una certa dimestichezza a cominciare proprio dal Presidente e dal vicepresidente Cheney, presidente e azionista quest’ultimo della Oil Supply Company. Ma non solo il ruolo di Consigliere per la Sicurezza nazionale è ricoperto da Condoleeza Rice, un’affascinante signora che prima di entrare nello staff presidenziale era stata dirigente della Chevron sin dal 1991. Inutile dire che la Chevron è una delle grandi compagnie petrolifere interessate allo sfruttamento dei giacimenti del Caspio. Solo per citare i soggetti di maggiore rilievo.
I Talebani sono i benvenuti in Usa documenti.
Nel 1995 - spiega lo scrittore pakistano Ahmed Rashid nel suo recente libro "Talebani, Islam Petrolio e il grande scontro in Asia centrale" - dopo che i Talebani hanno conquistato Herat e cacciato dalle scuole migliaia di ragazze, non c’è stata una sola parola di critica da parte degli Stati Uniti. In realtà gli Usa, insieme all’ISI, consideravano la caduta di Herat un aiuto ad Unocal e un ulteriore stretta al cappio intorno all’Iran". I dirigenti Talebani dopo la presa del potere vengono accolti con favore negli Usa e loro rappresentanti - racconta John Pilger - volano in Texas dall’ allora governatore Bush, dove incontrano i dirigenti dell’Unocal che fanno loro un’offerta precisa riguardo all’oleodotto: una fetta dei profitti pari al 15%. Ma ci sono alcune condizioni da rispettare.

Il racconto di una trattativa finita male
Il racconto di quella mediazione lo si trova in un libro (Ben Laden, la vérité interdite) uscito pochi giorni fa in Francia. Gli autori sono Jean Charles Brisard e Guillaume Dasquieré. Brisard è l’autore, per conto del DST francese del dossier sulle strutture economiche di Osama bin Laden, che il presidente Chirac ha consegnato a Bush nella sua visita dopo gli attentati alle Torri. Dasquieré dirige il prestigioso bollettino Intelligence online.
Insomma due esperti autorevoli.

Una brillante quarantenne
A reggere le fila dei contatti è Laila Helms, la nipote dell’ex direttore della Cia ed ex ambasciatore Usa in Iran, Richard Helms. Laila, è una brillante quarantenne, che da sempre ha mantenuto contatti privilegiati con gli Afghani. Ma soprattutto ha ottimi rapporti negli ambienti dei servizi segreti e del Dipartimento di Stato. Negli ultimi sei anni - spiegano Brisard e Dasquieré nel loro libro - si è dedicata alla supervisione di alcune azioni di influenza a nome dei Talebani soprattutto preso le Nazioni Unite: La sua azione non si attenua neppure dopo il 1996, quando il Mullah Omar diventa ufficialmente meno frequentabile agli occhi degli americani e neppure quando i capi Talebani accolgono bin Laden che sarà poi ritenuto responsabile degli attentati contro le ambasciate americane. Arriva persino a realizzare un documentario sulle donne afghane, talmente filo talebano da esser rifiutato da tutte le reti televisive americane.
Per Laila le cose si mettono bene con il ritorno dei Repubblicani al potere che rimette molti suoi amici funzionari nei posti chiave della Cia e del Dipartimento di Stato. I risultati non si fanno attendere.

Il viaggio del consigliere di Omar
Tra il 18 e il 23 marzo di quest’anno Laila organizza un viaggio negli Stati Uniti per Sayed Rahmatullah Hascimi. Ha solo 24 anni, ma è già l’ambasciatore itinerante dei Talebani e consigliere personale del Mullah Omar. Non si tratta ovviamente di un giro turistico o culturale. Si parla di petrolio e di oleodotti. Gli interlocutori sono alti funzionari della Cia e del Dipartimento di Stato. Laila riesce ad ottenere per il consigliere del Mullah un’intervista televisiva alla ABC e alla Radio pubblica. Il tutto con la benedizione dei coircoli politici vicini all’Amministrazione, che punta ad un miglioramento dell’immagine dei Talebani, in relazione al negoziato per "normalizzare" l’Afghanistan.

Le indagini bloccate
A dare nuovo impulso al negoziato è lo stesso Presidente Bush che promuove la nascita del cosiddetto gruppo dei 6+2 (i paesi confinati con l’ Afghanistan più Usa e Russia).
Ma non solo. Brisard e Dasquieré raccontano che John O’Neill, il vicedirettore dell’FBI si era dimesso improvvisamente. Dietro l’abbandono di O’Neill, spiegano i due analisti francesi, c’era un duro scontro tra il Bureau e il Dipartimento di Stato. L’amministrazione avrebbe infatti stoppato le indagini, condotte proprio da O’Neill sul terrorismo fondamentalista ed in particolare sugli attentati contro le ambasciate Usa a Nairobi e Dar El Salaam e contro la nave Cole. Questo per favorire un accordo con i Talebani. Uno stop che portò - secondo il racconto fatto ai due analisti francesi che dedicano il loro libro alla sua memoria - alle dimissioni dal Bureau. O’Neill accetterà l’incarico di capo delle sicurezza del WTC e morirà insieme ad altre 5000 persone nell’attacco terroristico dell’11 settembre.

Il gruppo dei 6+2
A coordinare il gruppo dei 6+2 è chiamato Francesc Verdell, rappresentante di Kofi Annan, che incontra a Roma anche l’ex re Zahir Sha, per verificare un suo possibile coinvolgimento in un governo di coalizione. Il "gruppo" si riunisce più volte, senza grandi risultati. La proposta che arriva ai Talebani (siamo assai prima dell’11 settembre) è la seguente: mollare bin Laden, creazione di un governo di coalizione che comprenda i Talibani (la stessa proposta avanzata in piena guerra dagli Usa) in cambio di aiuti economici e riconoscimento internazionale. Quel riconoscimento internazionale e quella stabilità chiesta da più di due anni dalle compagnie interessate alla costruzione degli oleodotti.

Scegliete: Oro o piombo?
Gli americani - raccontano Brisard e Dasquieré - non esitano ad usare anche le maniere forti. A raccontare come è l’ex ministro degli esteri del Pakistan il signor Naif Naik che, in un’intervista televisiva trasmessa in Francia, racconta che nel corso della riunione del "Gruppo" a Berlino, tra il 17 e il 20 luglio, l’ambasciatore statunitense Thomas Simons avrebbe detto, riferendosi all’Afghanistan, che dopo la costituzione del "governo allargato ci saranno aiuti internazionali - poi potrebbe arrivare l’oleodotto". L’ambasciatore, racconta l’ex ministro, spiega quale potrebbe esser l’alternativa: se i Talebani non si comportano come si deve, e il Pakistan fallisse nel suo intento di farli comportare come si deve, Washington potrebbe ricorre ad un’altra opzione: quella militare. Brisard e Dasquieré riferiscono una battuta assai esplicita. "Ad un certo punto i rappresentati americani dissero ai Talebani: o accettate la nostra offerta di un tappeto d’oro, o sarete sepolti da un tappeto di bombe".

L’ultimo incontro Usa-Talebani
L’ultimo incontro tra emissari Usa e Talebani avviene lo scorso 2 agosto, 39 giorni prima dell’attacco alle Torri. È Cristina Rocca, direttrice degli affari asiatici del Dipartimento di Stato ad incontrare a Islamabad l’ambasciatore Talebano in Pakistan. Kabul respinge definitivamente la proposta americana. La parola passa alle armi.

Domenico Walter Izzo

 
www.disinformazione.it