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- Pagina guerra in Iraq

Dopo 2000 anni Berlusconi ci riprova...
Marcello Pamio  

Quale festività religiosa poteva «spingere» il nostro premier ad andare in Iraq se non la Pasqua cristiana? Se la resurrezione del Cristo è avvenuta per opera dello Spirito Santo, perché non dovrebbe «risorgere» pure l’immagine dell’«unto del signore» per opera dello spirito mediatico? Una immagine, quella dello statista di Arcore, che nei giorni precedenti la «Passione» si è sempre  più sfuocata fino a «morire» del tutto.
A parlare sono gli stessi indici di ascolto tanto amati dal premier e dalle sue innumerevoli aziende. Ogni «apparizione» in tivù di Berlusconi («Porta a Porta»: 11 febbraio, 10 marzo e 6 aprile; «Batti e Ribatti»: 2 aprile; «Alieno») ha fatto crollare ai minimi storici gli ascolti televisivi. Uno vero e proprio flop mediatico dell’uomo-immagine per antonomasia.
Le persone forse stanche della situazione politica ed economica del paese e dei burattini che la rappresentano, hanno usato consapevolmente il loro più grande potere: il telecomando!
Fino a ieri la «scatoletta dei comandi» (ovviamente ci si riferisce al campione Auditel) poteva spostare l’orario di uno spettacolo televisivo o al più cancellarlo dalla programmazione; da oggi invece il telecomando può mandare in Iraq un presidente del consiglio. Incredibile!
La vita è proprio strana: un semplice bottone di una scatoletta di plastica ha più potere della politica quella vera e della diplomazia. Lo stesso stranissimo e poco pubblicizzato potere che abbiamo tutti noi utenti e consumatori quando andiamo a fare gli acquisti!
Se cambiare canale in massa può modificare l’agenda degli appuntamenti del primo ministro, quante cose si potrebbero cambiare nel mondo se solo gli acquisti fossero intelligenti e consapevoli? Quante multinazionali chiuderebbero i battenti o cambierebbero le loro politiche commerciali, ambientali e sociali se le spese venissero fatte con consapevolezza?
Se per esempio moltissimi consumatori smettessero di acquistare la Pepsi - per dirne solo una - perché «è la principale multinazionale statunitense ad aver investito nel nuovo “libero mercato” dell’Iraq»[1], cosa farebbe l’azienda per ripulire la sua immagine nel mondo e riconquistare la sensibilità dei propri consumatori?
La stessa cosa che ha fatto a malincuore Silvio Berlusconi per riappropriarsi dell’immagine perduta: un viaggio pericoloso - che ha tentato di evitare con ogni mezzo - in un paese devastato dalla guerra e dall’occupazione militare con la scusa di omaggiare i soldati del contingente «umanitario» in Iraq.

Avrà, il clone malriuscito di George W. Bush, tra una barzelletta e una foto di gruppo con cappellino, comunicato ai comandanti italiani che il passaggio al governo iracheno del 30 giugno non avverrà e che pertanto si dovranno preparare a rimanere nella zona per molto tempo? Gli Stati Uniti infatti sono proprio intenzionati a mettere le radici in quel paese: «hanno avviato la costruzione di 14 basi militari capaci di ospitare 110mila soldati»[2].
Radici ovviamente non solo militari ma anche economiche: «a fine marzo il governatore Bremer ha approvato l’ennesima legge che apre l’economia irachena agli investimenti stranieri»[3]. Una legge molto particolare che non potrà essere abrogata nemmeno dal futuro - se mai ci sarà - governo iracheno! Avete capito come lavora un governo democratico occidentale? Decine di migliaia di persone morte sotto le bombe della coalizione e i «novelli conquistadores» pensano a leggi, addirittura non abrogabili, che aprano le frontiere alle corporazioni straniere.
Dalle armi di distruzione di massa, siamo arrivati alle vere motivazioni che hanno spinto alla guerra di occupazione: controllo economico, energetico, militare e petrolifero. Grazie alle 14 basi militari e alla più grande ambasciata del mondo, gli statunitensi conserveranno il controllo geopolitico totale di una zona fondamentale del Medioriente per molto tempo.
Ma Berlusconi e il suo amicone George, sono fiduciosi: sanno per certo che la democrazia in Iraq è solo questione di tempo, se non sarà il 30 giugno del corrente anno, sicuramente entro il 23 dicembre 2012... Insomma anno più, anno meno, il passaggio avverrà: «parola di lupetti».
Qualcuno però non è dello stesso avviso: le cose in Iraq «vanno male – dichiara un ufficiale delle forze speciali – e peggioreranno, ma nessuno lo dice: perché non lo sanno, o perché non vogliono che lo sappiate».[4]  
E’ talmente deleteria la situazione interna del paese che sciiti e sunniti, le due fazioni in perenne odio tra loro, si sono coalizzate contro le forze di occupazione. Gli inglesi negli anni ’20 ci misero tre anni per farseli nemici, gli americani ci sono riusciti in meno di un anno! Un primato di tutto rispetto.

Ma veniamo ora alla questione dei militari a pagamento e al business miliardario che gli ruota attorno. Un business strettamente interconnesso con le sempre più frequenti guerre che impazzano in giro per il mondo. Per rendere l’idea: solamente in Iraq vi sono circa 20mila soldati civili e il loro stipendio può arrivare fino a 1000 dollari al giorno! Questo è il motivo per cui i «military private» giocano un ruolo molto interessante.
Sono numerose le aziende che mettono a disposizione questi Rambo in cambio di fatture da capogiro: Blackwater, DynCorp, Vinnel Corp, Mpri, Cubic Ici, Control risks groups, Olive security, Group 4 Falk, Isi, Meteoric tactical solutions, Kellog Brown and Root, e altre.
Le tre più famose e potenti però sono DynCorp, Kellog Brown and Root e Blackwater.

La DynCorp, connessa all’ex direttore della CIA James Woolsey, oltre a fornire le guardie del corpo ad Hamid Kharzai, il presidente afgano uomo di fiducia degli americani, ha installato un servizio di sicurezza in Bosnia. I vertici di questa azienda sono stati denunciati numerose volte per violazioni dei diritti umani in Bosnia (sfruttamento della prostituzione minorile[5]), per disastro ambientali in Ecuador e per frode in America. Però «la DynCorp deve avere qualche santo in paradiso se è vero che più del 96 per cento dei due miliardi di profitti annui provengono dal governo federale»[6]; la compagnia del resto è una grande finanziatrice del partito repubblicano.
La Kellog Brown and Root invece è la prima compagnia ad aggiudicarsi un contratto dal Pentagono per la ricostruzione in Iraq e lo spegnimento dei pozzi petroliferi incendiati[7]. Ricordiamo che la Kellog è un’affiliata dell’ormai mitica Halliburton, il gigante petrolifero diretto fino a qualche anno fa dal vicepresidente americano Dick Cheney; il quale ha condotto trattative per la costruzione di un oleodotto nel Mar Caspio per intercessione della Chevron.
Per ultima la Blackwater, il cui nome è tutto un programma, che «si occupa della sicurezza del proconsole statunitense Paul Bremer e addestra i marinai americani nella sua enorme struttura in North Carolina, grazie a un contratto da 35,7 milioni di dollari firmato dal Pentagono»[8].
Oggi queste compagnie, collegate con i vertici dell’amministrazione statunitense, si occupano veramente di tutto: dalla costruzione delle carceri di Guantanamo al narcotraffico in Colombia, dall’addestramento dei soldati ai sistemi di difesa governativi, per arrivare infine ai veri e propri colpi di stato.

Ufficialmente questi «soldati civili» vengono «affittati» da aziende private o da governi, come scorta per il personale o per proteggere siti e/o trasporti delicati, ma la realtà è molto più tremenda. Il confine infatti che separa il legale dall’illegale è molto labile: questi mercenari non essendo militari, non rispondono al codice militare, e armati fino ai denti entrano e escono nei territori di guerra o di guerriglia con il beneplacito e la collaborazione delle autorità.
Un potere molto pericoloso senza il quale Washington - e soprattutto le tasche dell’amministrazione Bush - non potrebbero farne a meno.
C’è addirittura uno studio che «ipotizza di sostituire tutti i caschi blu dell’Onu con un’armata a noleggio»[9]. Vi rendete conto cosa significherebbe avere in Europa un esercito di mercenari, privi di scrupoli e vincoli legali-militari, nelle mani del potere economico internazionale? Sarebbe la più seria minaccia per la libertà e la democrazia del mondo intero.


[1] Naomi Klein, «Nuovi nemici a Baghdad», «Internazionale» nr. 534, 9 aprile 2004
[2] Idem
[3] Idem
[4] Robert Fisk, «L’Iraq verso l’anarchia», «Internazionale» nr 534, 9 aprile 2004
[5] Gianluca Di Feo, «Il Corriere della Sera», 11 aprile 2004
[6] Sabina Morandi, «La sporca guerra dei mercenari», «Liberazione», 10 aprile 2004
[7] Tom Lough, «Censura. Le notizie più censurate del 2003», Nuovi Mondi Media
[8] Sabina Morandi, «La sporca guerra dei mercenari», «Liberazione», 10 aprile 2004
[9] Gianluca Di Feo, «Il Corriere della Sera», 11 aprile 2004

 
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