Ossimori, televisioni, collettivi e Faz
di Domenico de Simone 

Gli ossimori più divertenti, ed anche più rari, sono quelli involontari, magari nascosti nelle pieghe di eventi o espressioni apparentemente sensate. Un ossimoro, si sa, consiste nell’accostare termini antitetici nella medesima espressione linguistica. Un bell’esempio è quello che mi è capitato giorni fa, quando sui quotidiani nazionali, ho trovato la notizia del matrimonio (riparatore) del rampollo di casa Savoia con una graziosa fanciulla che ha dichiarato, anima candida, di essere una “anarco-comunista” (un mio amico ha commentato che forse il nascituro lo chiameranno Gaetano, in onore dell’anarchico Bresci). Un altro bell’esempio di involontario ossimoro mi ha sorpreso nella lettura disincantata del manifesto della NowarTv, nel cui incipit ho colto questa perla:
“Questo documento è una proposta di discussione formulata collettivamente dal CdA di Nowartv e che apre un dibattito sia nel collettivo, sia nel mondo intellettuale e politico italiano.”
Dopo averlo riletto più volte, strabuzzando gli occhi per la sorpresa, sono giunto alla conclusione che era scritto proprio così e che non avevo avuto le traveggole (sapete com’è, l’età, la stanchezza di una giornata di lavoro, i ricordi di gioventù, messi tutti assieme possono causare brutti scherzi).

E se il primo ossimoro della giornata mi ha fatto divertire, il secondo mi ha dapprima stupito, poi depresso, quindi irritato ed alla fine mi ha indotto a scrivere queste righe non brevi per le ragioni che comprenderete se avrete la pazienza di arrivare fino in fondo.
Premetto che quell’incipit non è un lapsus calami, ma fa parte integrante del programma della televisione. In effetti, i membri del CdA della NowarTv sono convinti di essere un collettivo, come si evince dalla seguente espressione tratta dal medesimo manifesto:
 “…una condizione sine qua non di questo progetto è che il collettivo che viene scelto per realizzarlo non deve avere ostacoli nelle sue scelte d’informazione e d’intrattenimento.” A dir la verità, più che un collettivo sembra uno Stato Maggiore. In ogni caso, non fatevi illusioni: il CdA della cooperativa funziona esattamente come tutti i CdA del mondo, e non certo come un collettivo che sono, o meglio, vogliono essere, la negazione del principio gerarchico.

Nulla del genere nella NowarTv: il CdA ha il suo potere ben stretto nelle mani e lo esercita con ferrea determinazione in una struttura che più gerarchica non si può, nella quale il CdA (come in tutte le società del mercato capitalistico) sta al vertice. Il che ha una sua precisa ragione d’essere: il capitalismo pretende che le strutture economiche siano gerarchiche, come ben sanno tutti coloro che hanno avuto a che fare con imprese, aziende, negozietti anche in forma cooperativa o no-profit. Finché ci sei dentro devi comportarti come richiede il vapore, altrimenti vieni semplicemente sbattuto fuori senza pietà.
Riposto nel cassetto delle anticaglie il sogno di partecipare, discutere, proporre, decidere insieme alla formazione di una volontà comune, che era lo scopo dei collettivi (tranne poi trovarsi con i soliti giochi di potere dei capetti, che sono quelli che li hanno ammazzati i collettivi), mi sono chiesto che senso avesse mettere in un documento del genere una simile espressione.

Del Manifesto di NowarTv avevo letto l’essenza e devo dire che l’avevo condivisa. Finalmente qualcosa si muoveva nel panorama ossificato delle televisioni di MediaStato.
Chi può essere contro l’obiettivo di costruire una “democrazia della e nella comunicazione”? E chi può non condividere l’altro obiettivo di “…produrre, insieme a una corretta informazione, una buona comunicazione, onesta, divertente, intelligente, esteticamente bella, che recuperi i registri della gioia, della verità, della poesia, e respinga sia il politichese dei politici prepotenti, sia il vaniloquio degl’ignoranti e dei venditori di fumo”?
Obiettivi giusti ma incoerenti con quello che emerge poi, quando vengono fuori le magagne. Ad esempio, quando il documento dice “noi non vogliamo fare una tv di partito, e neppure una tv del movimento, o dei movimenti. Non vogliamo fare propaganda, perché la propaganda non è informazione”. Giusto, certo, il non voler fare una tv di partito né di propaganda, ci mancherebbe altro. Ma che c’entra il movimento? Mica è un partito né un’organizzazione politica il movimento, ma un pezzo della società civile che a volte nemmeno lo sa di essere movimento, ma semplicemente si ribella o protesta contro questo sistema. (A proposito, leggetevi il libro “Movimento” appena edito dalla Malatempora). E allora perché accomunarlo ai partiti? Capisco che senza le energie, la volontà, la forza, l’intelligenza del movimento non si va da nessuna parte. Una nuova tv commerciale non serve a niente e soprattutto non si può nemmeno fare senza mille miliardi l’anno. Ma il movimento è orizzontale e non tollera i verticismi, questo è il punto. E né le ipocrisie né gli ossimori servono allo scopo di mettere insieme capitale e movimento, anzi rischiano di produrre l’effetto di bruciare in partenza quella che potrebbe essere invece un’esperienza interessante.

L’obiettivo di NowarTv è ambizioso. Non solo una televisione, ma una rete che prenda le esperienze delle StreetTv, dei mille fogli elettronici di internet, delle mille esperienze di un mondo diverso e le amalgami in un nuovo modo di fare informazione e spettacolo.  Una rete in un magma dal quale scaturisca una nuova forza politica. Questo, per la verità, non è scritto da nessuna parte, ma ci vuole tanto a capire che l’approccio è sempre ispirato al vecchio e (già) caro Vladimir Illich (riveduto e corretto negli anni settanta)?
Il problema è che questo non interessa affatto al movimento né ad alcuna delle sue mille anime.
Il magma vuole restare tale, punto. E continuare, semmai, a fare controinformazione su internet, sui foglietti elettronici e non, con le streetTv, il wireless, i volantini, le mille rivistine diffuse nel quartiere, eccetera.
Nella società civile (e nel movimento) ci sono risorse umane straordinarie, che stanno cercando di inventare di tutto per uscire dal soffocante abbraccio dell’informazione e dell’intrattenimento di MediaStato. Dalle StreetTv, splendido esempio di Tv creativa, a Indymedia, ai bloggers, alle centinaia di siti che, nonostante l’assurda legge di regime imposta dalle lobbies mafiose dell’informazione (e votata ignomignosamente anche dalla sinistra) continuano a fare con coraggio controinformazione. Il manifesto di NowarTv ne rileva l’esistenza e soggiunge (giustamente) che tutto ciò non basta per combattere contro il potere di MediaStato. E’ vero, lo sappiamo perfettamente che la controinformazione è un rivoletto per poche centinaia (o migliaia, quando va bene) contro una valanga che imbottisce quotidianamente la testa di milioni di persone.

Ma qual è l’alternativa, allora? Una Tv gerarchica esattamente come Rete quattro o Rai 2, con il suo CdA, i suoi direttori generali i colonnelli e via via scendendo per li rami fino al popolo di passivi spettatori a rimirare i programmi alternativi che saranno vagliati dall’insindacabile giudizio del “collettivo” al potere? Con tanti bei manifesti, come la pubblicità equa e solidale, la qualità, la gioia, la bellezza, la democrazia dell’informazione, eccetera. E per questo il movimento dovrebbe rinunciare di fatto a fare controinformazione, anche per dieci persone, ma con la libertà e la voglia di farlo, di esprimersi, di raccontarsi? E’ una prospettiva perdente? Certo che lo è, e le mille anime del movimento lo sanno benissimo. Ma è perdente pure la prospettiva di fare l’ennesima struttura gerarchica per andare a combattere contro i carri armati di MediaStato con le lance e le frecce. E oltre a far perdere la battaglia, questa prospettiva fa perdere pure l’anima, e quella almeno il movimento cerca di tenersela ben stretta. Ciascuno nella sua organizzazione, di agricoltura biologica, di precari, di vegetariani, di cococo’, di atipici, di commercio solidale, di medicina alternativa eccetera, ciascuno con la sua controinformazione, il suo sito, la sua StreetTv, la sua webradio.
Se poi, vediamo il programma, escono fuori altre magagne. Tutti d’accordo sulla tv contro la guerra, ma “l’intransigente difesa della costituzione repubblicana” che roba è?. Se vado a dire che l’etica del lavoro mi fa schifo e che è sfruttamento, mi buttano fuori? E se vado a dire che i partiti mi fanno schifo e che mi piacerebbe discutere di una diversa articolazione della cosa pubblica che fanno, mi cacciano e denunciano per attentato alla Costituzione Repubblicana Nata dalla Resistenza? E dove sta, allora, la democrazia della comunicazione? Che cos’è una televisione che parte con un programma politico (per quanto condivisibile) se non un partito politico malamente mascherato?

Per quale ragione le mille anime della controinformazione del “movimento”, che non è un partito politico e tanto meno vuole esserlo, dovrebbero affidarsi a questi signori, magari per far crescere una televisione e poi vedersi sbattere fuori senza tanti complimenti perché not politically correct? (sarebbe mica la prima volta….)
Proviamo a ragionare, dunque. Entrambe le prospettive, oggi, sono, perdenti. Una televisione con la struttura delle tv di MediaStato deve trovare mille miliardi per avere speranze di farcela. In pratica un’illusione. La controinformazione del movimento è bella, radicale, pulita ma impotente contro il MediaStato, almeno per ora. Finché la maggioranza della popolazione sarà quotidianamente bombardata da una vergognosa informazione che definisce terroristi i trecentomila di Genova (e chi c’era sa bene chi fossero i veri terroristi, lì), sarà difficile spuntarla, pure se i mille fogli del movimento diventano diecimila o centomila. Un sistema che si regge sulla menzogna sistematica come strumento di potere (vedi le ultime novità sulle armi nucleari irachene) e che dispone di tutti i mezzi di informazione, è imbattibile sul suo terreno.
Per fare una televisione, infatti, occorrono tanti soldi, è questa la regola del capitalismo che pure le cooperative conoscono alla perfezione. I soldi li danno le banche, se fiutano il business di tanti ritorni pubblicitari, perché poi sono le ditte a pagare in pubblicità e quindi noi che compriamo quei prodotti. Ora, una Banca non darà mai e poi mai i soldi ad una televisione alternativa, le ditte non faranno pubblicità se la tv non fa audience e ogni tentativo di rompere l’assedio di MediaStato per quella via è destinato a morire sul nascere. Cecchi Gori ci ha rimesso pure le mutande quando ci ha provato e la Sette, ora finita nelle mani degli amici degli amici, vivacchia in attesa di novità sul fronte (che prima o poi arriveranno).

Se fai una tv commerciale, poi, e ti fai sponsorizzare dalle ditte, alla fine fai quello che vogliono loro ed i loro soldi (cioè le banche). Insomma, programmi da schifo, informazione di regime, immagini patinate, squinziette col sedere al vento, grandi fratelli e niente cervelli. Pensate che la corsa verso il baratro morale ed intellettuale delle tv di MediaStato sia dovuto al caso, o alla necessità di recuperare l’audience necessaria per far quadrare bilanci sempre più grami? Questa è la logica del mercato e dell’accumulazione monetaria, che vi piaccia o meno.
Insomma, per fare una Tv alternativa occorre fare un’economia alternativa, altrimenti la ferrea logica del profitto monetario la stronca sul nascere.
In questo quadro è comprensibile che il progetto per una nuova televisione voglia mettere insieme le forze puntando sull’unica ricchezza vera di cui dispone la gente, la creatività, la fantasia e la volontà di uscire da questo sistema. Ma la via non è quella imboccata da NowarTv, che rischia di fare da collettore del velleitarismo e del dilettantismo, senza riuscire nemmeno a fare il solletico a MediaStato. Per coinvolgere il movimento e la società civile che c’è dietro occorre il coraggio di costruire un’alternativa economica a questo sistema, altrimenti le forze necessarie per battere la voce di MediaStato non si troveranno mai. Occorre anche un grande progetto politico-mediatico nel quale l’essenza sia l’accesso a tutte le voci della società civile all’informazione ed all’intrattenimento. Occorre la fantasia per trovare un nuovo rapporto con le imprese per evitare che sia la pubblicità a dettare i modi e i contenuti degli spettacoli, ma che il rapporto sia rovesciato. Occorre fare in modo che nessuno comandi se non la gente che guarda la televisione, e che cerca lì dentro la soddisfazione del proprio immediato bisogno di informazione pluralista, realmente pluralista, di spettacolo decente (e sappiamo che cento persone hanno cento idee diverse su cosa sia la decenza), insomma di una televisione che sia realmente svincolata da ogni potere. E’ un sogno o un’utopia questo? Forse, ma se non ci si pone questo obiettivo è inutile sperare di sconfiggere un avversario che sul piano delle forze ne ha molte più di noi. E’ insensato battersi con gli stuzzicadenti contro le sciabole, appunto.

Anche perché l’utopia esiste ed è realizzabile subito. Bisogna spogliarsi delle vecchie ideologie, bisogna capire il momento storico che stiamo vivendo, bisogna avere il coraggio di realizzarla questa utopia, ora e non domani, perché ora è la nostra vita. L’utopia è una FazTv che adotti le nuove tecnologie informatiche e consenta a tutti di produrre programmi in uno spazio che è teoricamente infinito. La televisione tradizionale ha il limite della scarsità dello spazio: il palinsesto deve stare in certe ore e non c’è certamente spazio per mandare in onda tutti i programmi che vengono prodotti. Questo banale meccanismo giustifica alla fine la necessità del CdA che sceglie i programmi da mandare in onda, determinando di fatto la scelta politica su di essi. Ma è proprio necessario che questo avvenga? E’ possibile già oggi costruire una televisione che raccolga nel suo magazzino a disposizione di tutti i suoi utenti migliaia di programmi, di informazioni e di spettacoli. Persino la Rai se n’è accorta e sta pubblicizzando questo sistema. Il palinsesto, a quel punto, servirebbe solo a mostrare la varietà di programmi a disposizione dell’utente e che poi cento fiori fioriscano e mille scuole disputino il possesso della verità. Tutti avrebbero diritto di parola in una nuova televisione e solo il pubblico il diritto di decretare la vittoria o la sconfitta dei programmi. 
Come? Semplicemente comprando i programmi (e in questo modo i dati sarebbero certi e non le fumosità statistiche dell’Auditel). Ma per comprare ci vogliono i soldi, e questi da dove escono fuori se la gente non ha più un centesimo? E perché, poi, dovrebbero pagare se ci sono televisioni che offrono gratuitamente spettacoli e servizi di ogni genere? Fanno schifo si sa, ma sono gratis. 
Se però una nuova televisione regalasse ai suoi utenti i soldi per scegliere i programmi allora le cose cambierebbero. Anche questi sarebbero in pratica gratuiti, come per le Tv commerciali, ma con la bella differenza di poter scegliere tra tanti programmi e tanta informazione. E se non c’è nulla che ti piace si può sempre tornare a vedere Canale 5 o Rai uno. Ma se quella televisione è fatta bene ed offre davvero pluralismo dell’informazione e una gamma ampia di spettacoli di qualità, chi ci tornerebbe più a sentire le menzogne dei mezzibusti di regime?

Già, ma i programmi di qualità vanno prodotti e ci vogliono tanti soldi, poiché non si può mica pensare di sfruttare il volontariato dei mille cronisti della rete per poi buttarli fuori a colpi di “fatti più in là, dilettante” quando il CdA del collettivo ha trovato i “professionisti” del (proprio) regime.
Ora, la cosa divertente è che in realtà i soldi non li tirano fuori mica le ditte o le banche. Le prime scaricano i costi della pubblicità sui prodotti e quindi sulla gente, le seconde il denaro lo creano – per mezzo del debito – quando sentono puzza di guadagno.
E allora mi è venuto in mente che si può fare a meno delle banche e portarsi appresso le ditte invece che farsi guidare da loro.
Come fa una Tv a fare una cosa del genere? Semplice, se la Tv fosse una FazTv. Emetterebbe Titan e finanzierebbe i programmi supponendo un’audience minima, e poi gli darebbe il resto sull’audience effettiva raggiunta. Nessuna barriera, nessuna opzione ideologica, nessuna discriminazione. La StreetTv di Forlimpopoli avrebbe le stesse possibilità di fare audience e spettacolo del Teatro Stabile di Roma o del “Regio” di Torino, ed esattamente gli stessi soldi.
Lo stesso vale per l’informazione: il freelance di Canicattì avrebbe le stesse possibilità della “firma” dell’Unità o del Corsera (sempre che questi ci si mettano a rischiare di prendere schiaffi in piazza).

Ma che roba sono questi Titan che consentono alla FazTv di finanziare tutto ciò? Si tratta di titoli a tasso negativo, insomma una specie di denaro a scadenza di geselliana memoria. Un fantasma (per il potere finanziario) che ritorna, visto che dopo Worgl dall’inizio di quest’anno due milioni di persone usano denaro a scadenza in Argentina. Sul sito www.open-economy.org trovate tutto il materiale teorico sull’argomento così come nel mio ultimo libro “Un’altra moneta” interamente leggibile e scaricabile dal sito, o in libreria, Malatempora editrice, 2003. Qui vi racconto brevemente come possono far funzionare una nuova Tv realmente democratica e popolare.
Vi chiederete che ci fanno i giornalisti o teatranti (e tutto il resto) con questi Titan. Li spendono, ovviamente, e pure velocemente visto che essi perdono valore con il tempo (non tanto, solo tra il 5% e il 10% all’anno). Allo stesso modo li spendono gli abbonati che li ricevono per comprare i programmi televisivi. Teatranti e giornalisti li spenderanno presso le ditte che li accetteranno per vendere i propri prodotti, dal negoziante sotto casa fino alla grande impresa di automobili o lavatrici. E che interesse hanno queste ditte ad accettare i Titan? Li prenderanno perché attraverso esse si faranno pubblicità presso i soci della televisione, che si presume diventino numerosi in breve tempo. Insomma, attraverso questo meccanismo, le imprese possono fare una forma nuova di pubblicità ai loro prodotti senza dover spendere le enormi cifre che la pubblicità tradizionale gli richiede, vedendo subito e direttamente l’effetto che fa. Vi pare poco?

Ma poi le ditte che ci fanno con i titan? Li cedono a chi vuole comprare programmi ed ha finito la dotazione gratuita, li danno in premio o sotto forma di salario ai dipendenti che li accettino, li usano per comprare merci da altre ditte del circuito, o attività immateriali dai soci della Faz che li accettino in cambio delle proprie prestazioni (e perché non accettarli se ci puoi fare la spesa?). Insomma, ci fanno ricchezza e creano anche lavoro e come accade per tutti gli strumenti finanziari, si creerà un mercato dei Titan (che sono tecnicamente obbligazioni).
Perché dovrebbe crescere una Tv fatta così fino a battere il MediaStato? Semplice, perché essa in breve tempo offrirebbe agli abbonati una gamma enorme di programmi e di informazioni tra cui scegliere. E allora perché sorbirsi il MediaStato con il suo codazzo di insopportabile pubblicità e i suoi programmi schifosi se si possono avere programmi di buona qualità senza la pubblicità diretta?
Capisco che alla fine di questo articolo le domande che si affollano nella mente sono tante e non trovano risposte immediate. Non posso che reiterarvi l’invito di andare sul sito di open-economy, ma anche di riflettere sul fatto che tutto l’apparato televisivo si regge sui costi della pubblicità, che pagano i consumatori, e sul denaro bancario che viene creato sotto forma di debito generatore di interessi. Ebbene, il ciclo di creazione del denaro e della pubblicità sostanzialmente non cambia, anche se invece che stare in testa al sistema sta in coda. Ma soprattutto, questo meccanismo consente di eliminare alcuni miliardi di euro che annualmente il sistema mediatico regala alle banche per gli interessi. A parte il resto, non basta questo solo a giustificare la convenienza di tutto il sistema per la gente, per le imprese e per i lavoratori?
Se questa è la prospettiva, discutiamone, seriamente, subito. E intanto che cosa può fare di meritorio la NowarTv (oltre a trovare un nome più decente)? Usare le professionalità e le capacità di cui indubbiamente dispone, per costruire una struttura in grado di creare le premesse di una grande rivoluzione nel mondo mediatico. Perché o è questa l’ambizione, e allora è necessario trovare nuove forme, nuovi strumenti, nuovi progetti, nuove idee (e quelle di cui ho accennato sono un esempio), oppure la battaglia è persa in partenza. Costruisca un palinsesto di due tre ore al giorno, in chiaro, sul satellite, sul web e si predisponga a costruire una metodologia tecnica in grado di offrire la tecnologia (che non costa nemmeno tanto) di cui parlavo prima. Se farà buoni programmi e buona informazione avrà gettato le basi perché il grande cambiamento si realizzi e ne avrà grande merito. Altrimenti sarà stato l’ennesimo aborto dei buoni propositi e delle migliori intenzioni, di cui, com’è noto, è lastricata la via per l’inferno. 

 
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