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L'anima nera: un Negroponte per Baghdad
di Noam
Chomsky - «Il Manifesto» 15 settembre 2004

Un principio morale che non deve provocare controversie è quello dell'universalità: dobbiamo applicare a noi gli stessi standard che applichiamo agli altri. E, sicuramente, con più zelo. In generale, se gli stati hanno il potere di agire con impunità, rifiutano i principi morali, dato che sono loro che stabiliscono le regole. Questo è un nostro diritto se ci consideriamo esenti dal principio di universalità. E lo facciamo costantemente. Tutti i giorni sorgono nuovi esempi. Soltanto il mese scorso, John Negroponte (nella foto Ap) è arrivato a Baghdad come ambasciatore degli Stati uniti in Iraq, per guidare la missione diplomatica più grande del mondo. La sua intenzione era consegnare la sovranità agli iracheni al fine di mettere in pratica la «missione messianica» di George W. Bush di istaurare la democrazia in Medio Oriente e nel mondo. Al meno è quello che ci è stato solennemente detto.

Nessuno però può trascurare un orribile precedente: Negroponte imparò il suo mestiere di ambasciatore degli Stati uniti nell'Honduras degli anni `80, durante la prima guerra contro il terrorismo che i sostenitori di Ronald Reagan dichiararono in Centramerica e in Medio Oriente.
In aprile, Carla Anne Robbins, del Wall Street Journal, ha scritto un articolo sulla nomina di Negroponte in Iraq, dal titolo «Un proconsole moderno». In Honduras, Negroponte era conosciuto come «el procónsul», titolo dato ai potenti governanti dell'epoca coloniale. Là era a capo della seconda ambasciata più grande dell'America latina, dov'era insediata anche la più grossa sede al mondo, in quell'epoca, della Cia. E non era perché l'Honduras fosse il centro del potere mondiale.
Robbins ha sottolineato che Negroponte era stato criticato da attivisti di organismi di difesa dei diritti umani per avere «coperto gli abusi dell'esercito honduregno», eufemismo per riferirsi al terrorismo di Stato su grande scala, al fine di «assicurare il flusso degli aiuti statunitensi» a quel paese vitale in quanto «base per la guerra occulta del presidente Reagan contro il governo sandinista del Nicaragua».

La guerra occulta fu scatenata dopo che la rivoluzione sandinista prese il controllo del Nicaragua. Il timore di Washington era che nel paese centramericano potesse nascere una seconda Cuba. In Honduras, il compito del proconsole Negroponte era di curarsi delle basi in cui un'esercito di mercenari terroristi, i contras, veniva addestrato, armato e inviato a sconfiggere i sandinisti. Nel 1984, il Nicaragua rispose in modo corretto, come uno Stato rispettoso della legge: portò il caso contro gli Stati uniti alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja.
La corte ordinò agli Stati uniti di smettere con «l'uso illegale della forza», oppure, per dirla in parole chiare, con il terrorismo internazionale contro il Nicaragua , e di pagargli sostanziosi risarcimenti. Ma Washington ignorò la Corte e poi pose il veto a due risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite nelle quali si appoggiava la decisione e si esigeva che tutti gli stati rispettassero la legge internazionale.

Il consulente legale del Dipartimento di Stato, Abraham Sofaer, spiegò la logica della Casa bianca. Dal momento che la maggior parte del mondo «non condivide il nostro punto di vista», dobbiamo «riservarci il potere di decidere» come agiremo e quali problemi «spettino essenzialmente alla giurisdizione degli Stati uniti, così come decidano gli stessi Stati uniti». In questo caso, le operazioni in Nicaragua condannate dalla Corte.
Il disprezzo di Washington per il verdetto della Corte e la sua arroganza verso la comunità internazionale sono forse rilevanti in relazione all'attuale situazione in Iraq.
La campagna nel Nicaragua lasciò una democrazia succube a un prezzo incalcolabile. Le morti dei civili sono state calcolate in decine di migliaia. Secondo Thomas Carothers, importante storico specializzato nei processi di democratizzazione in America latina, il numero dei morti «è in proporzione molto più alto del numero di statunitensi morti durante la guerra civile negli Stati uniti e in tutte le guerre del XX° secolo messe assieme».

Carothers scrive dal punto di vista di conoscitore profondo, oltre che erudito, dato che lavorò al Dipartimento di Stato nell'epoca di Reagan durante il programma di «rafforzamento della democrazia» in America centrale.
I programmi dell'era di Reagan sono stati «sinceri», anche se «fallirono», secondo Carothers, dato che Washington poteva tollerare soltanto «cambiamenti democratici molto limitati e dal alto verso il basso, al fine di non mettere in pericolo le strutture tradizionali del potere con cui gli Stati uniti erano alleati da molto tempo». Si tratta di una familiare inibizione storica nella ricerca di miraggi di democrazia, che gli iracheni sembrano capire anche se noi non lo facciamo.
Attualmente il Nicaragua è il secondo paese più povero dell'emisfero (prima di Haiti, altro principale obiettivo degli interventi militari statunitensi durante il secolo XX).

Circa il 60% dei bambini nicaraguensi al di sotto dei due anni sono affetti da anemia a causa della denutrizione. Uno dei più cupi indicatori di quella che si considera una vittoria della democrazia.
Il governo di George W. Bush assicura di voler portare la democrazia in Iraq, utilizzando lo stesso esperto funzionario che utilizzò in Centramerica.
Durante le sedute per la conferma di Negroponte, la campagna terroristica internazionale in Nicaragua è stata ricordata solo di passaggio, ma non è stata considerata di particolare importanza, grazie al fatto, sembra, che noi siamo gloriosamente esenti dal principio di universalità.
Diversi giorni dopo la designazione di Negroponte, l'Honduras ha ritirato il suo piccolo contingente militare dall'Iraq. Sarà stata una coincidenza. O forse gli honduregni si sono ricordati di qualcosa del periodo nel quale Negroponte lavorò lì. Qualcosa che noi preferiamo dimenticare.


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