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Il mercato della salute
A
cura di Valerio Pignatta
Il
business alla base della ricerca scientifica e dell’eccessivo consumo
di farmaci
Un
articolo di Steve Connor pubblicato sull’inglese The Indipendent1
è subito circolato tra gli addetti ai lavori e gli interessati (vedi il
testo integrale a pag. 8), ci ha informato di qualcosa che chi si occupa
di medicina naturale, o anche più semplicemente chi è un po’ più
attento alla propria salute, sapeva già da tempo e cioè che quasi
tutti i farmaci sono inefficaci in più della metà dei pazienti.
Quando addirittura non sono nocivi.
L’affermazione non è dell’uomo della strada di turno
intervistato all’uopo, ma è di un amministratore capo della più
grande compagnia farmaceutica inglese (e una tra le più grandi del
mondo), la GlaxoSmithKline.
I dati forniti in questo articolo sono veramente disarmanti, tanto più
se consideriamo le autorevoli e interessate fonti di provenienza per cui
qualche maligno potrebbe pure supporre che se le cifre rese pubbliche
sono queste, quelle reali potrebbero essere anche peggio. Ma partiamo
dal presupposto che abbia trionfato la buona fede e la trasparenza e
vediamo questi dati.
La
frequenza di risposta, ossia la percentuale di efficacia di alcune
categorie di farmaci per le principali patologie attuali è quella che
segue:
TABELLA DELLA FREQUENZA DI RISPOSTA DEI FARMACI
Settore Terapeutico | %
di efficacia del farmaco |
Alzheimer | 30 |
Analgesici (Cox-2) | 80 |
Asma | 60 |
Aritmie cardiache | 60 |
Depressione (SS RI) | 62 |
Diabete | 57 |
Epatite C (HCV) | 47 |
Incontinenza | 40 |
Emicrania (acuta) | 52 |
Emicrania (profilassi) | 50 |
Oncologia | 25 |
Artrite reumatoide | 50 |
Schizofrenia | 60 |
Ma l’affermazione più drammatica e
riassuntiva la fa Allen Roses, vicepresidente della linea genetica della
Glaxo, quando afferma che «la stragrande maggioranza dei farmaci
— più del 90% — funziona solo nel 30-50% degli individui».
Consiglierei di rileggere con molta lentezza l’affermazione qui
esposta e di fare una pausa riflessiva. Credo che per qualsiasi umano di
senno sia una pausa veramente devastante...
Le domande che ci si
accavallano in testa sono tante. L’indignazione sale? Vaghi desideri
del tipo «Rambo 2, la vendetta»
si affacciano alla mente? Sicuri? O forse siamo talmente abituati
all’umiliazione quotidiana delle nostre coscienze e dei nostri
intelletti da digerire ormai qualsiasi cosa? Il presente articolo
avrebbe la presunzione di scuotere l’animo (sempre ammesso che mi sia
permesso e che sia rimasto qualcosa da scrollare, visto che ormai, si
può dire, ci hanno shakerato tutti i visceri, niente escluso) e
illuminare la mente sui meccanismi reconditi di Big Pharma, il
cartello farmaceutico internazionale così come viene chiamato nei paesi
anglosassoni, mostro a più teste da cui tutti dipendiamo e in cui tutti
riponiamo speranze e illusioni, specialmente nei momenti peggiori della
nostra esistenza e di quella dei nostri cari.
Direi che la base di partenza per le nostre riflessioni sia analizzare
come questi farmaci vengono ideati e prodotti per poi dare risultati così
scadenti.
La Filiera Del Farmaco
Più che dare qualche altra cifra o nome di farmaco inquisito o additato
per la sua nocività o inefficacia (Lipobay, Bactrim, AZT, Tamoxifene,
ecc.) mi preme qui andare alla radice del problema, ossia analizzare il
processo di come si arriva alla produzione e commercializzazione di un
farmaco. Lì c’è tutto. Capito il funzionamento, capito tutto. Per
adesso e per sempre (se non cambia qualcosa). Va rimossa cioè, la
diffusa convinzione di fondo secondo cui le case farmaceutiche con
l’aiuto delle ricerche di scienziati di provato ingegno e bontà
d’animo lavorano per il benessere dell’umanità alla ricerca di
farmaci che ne allevino la sofferenza. Questo poteva essere vero sino
agli anni Cinquanta o forse Sessanta del secolo scorso. Su meccanismi e
le finalità odierne delle fabbriche di medicinali sarei più dubbioso.
Certo non si può generalizzare ma vediamo come generalmente si articola
il processo di fabbricazione d un principio attivo curativo.
Allora, forse non tutti sanno
che ogni farmaco deve superare varie fasi di studio e di sperimentazione
per poter poi entrare nel mercato ed essere venduto e somministrato ai
malati. Una molecola munita di un’attività terapeutica degna
d’attenzione, in media riesce a diventare farmaco in un tempo medio di
15 anni. Negli ultimi anni, però, le multinazionali del farmaco
riescono ad aggirare il problema di fasi di studio e controllo troppo
rigide ricorrendo al reclutamento convulso di cavie umane volontarie in
paesi del Terzo Mondo, al fine di sperimentare farmaci i cui test
non sono ancora stati approvati negli USA. E dico USA perché Stati
Uniti e Gran Bretagna sono i paesi in cui si concentrano i due terzi dei
profitti farmaceutici mondiali2.
Test Sperimentali
Le cavie a buon mercato per i
laboratori europei (svizzeri, tedeschi ecc.) sono reclutate invece nei
paesi periferici dell’Est europeo, paesi dove, al pari di altre zone
economicamente depresse del pianeta, il rimborso ottenuto per farsi
martirizzare è molto agognato.
Negli Stati Uniti una prova clinica su un paziente costa una media di
10.000 dollari, in Russia 3.000 e nelle regioni più povere del mondo
ancora meno. Ma i test di sperimentazione su cavie umane nei paesi
poveri consentono, oltre che un risparmio economico, anche di
risparmiare sui tempi, perché le case farmaceutiche sottostanno in
questo caso alle legislazioni locali solitamente meno restrittive. Ciò
permette di arrivare prima sui mercati e cioè di brevettare prima. Per
capire l’importanza della velocità nel processo di realizzazione di
un medicinale, si deve ricordare che un giorno di ritardo nel lancio di
un farmaco costa in media a un’azienda farmaceutica 2 miliardi e 600
milioni delle vecchie lire3.
Il valore vero della sperimentazione quindi non è nel conseguire il
miglior prezzo a cui poi vendere un prodotto o la sua migliore efficacia
(come poteva essere decenni fa, in cui forse il business aveva ancora
un’anima umanistica), ma è l’arrivare primi per brevettare prima4.
Seguire un protocollo di approvazione di un farmaco costa più o meno
300 milioni delle vecchie lire. Ma sono 1 .000 i miliardi delle stesse
che si possono ottenere sfruttando in esclusiva il farmaco arrivando per
primi ai brevetti.
Sì, avete letto bene: plurale.
Per ogni farmaco si possono infatti fare più brevetti per
prolungare l’agonia di speculazione: un brevetto sul processo di
fabbricazione, uno sul metodo di somministrazione (compressa, siero,
fiala ecc.), uno sulla posologia, uno sul principio attivo ecc. ecc.
Per dirla con le parole di uno
scienziato “pentito” : «I test clinici sono oggi figli di una
sola necessità: la ricerca di margini sempre maggiori di profitto. Non
crederete mica che le società fanno esperimenti per pura ricerca
scientifica»; così Benno Leutold, medico, scienziato e
ricercatore per Roche, ha lavorato pure ad Harvard e poi nei laboratori
americani dei National Health Institute5.
E sempre Leutold che ci informa inoltre che «Nessun test è in
grado di stabilire con esattezza gli effetti collaterali e quelli
clinici di un medicinale nell’arco dei 5-6 anni della sua
sperimentazione. Un tempo ragionevole sono 30 anni. Solo allora si
comprende l’intero spettro di azione di un farmaco»6.
Anche su questo ci sarebbe da meditare parecchio. Qui sta la
radice del problema. E ovvio cioè che la qualità di un medicinale
rimane un punto interrogativo a lungo, checché ne dicano mass-media e
riviste scientifiche di turno.
E dopo vent’anni di vita il
brevetto svanisce e il farmaco viene spinto fuori dal mercato per il
prezzo troppo basso7. Si ha interesse quindi a cicli continui
di nuovi prodotti.
E la scusa che i prezzi dei medicinali sono alti perchè le industrie
farmaceutiche devono ricavare grandi profitti da un farmaco per poter
finanziare la ricerca e lo sviluppo di altre medicine ancora, è ormai
palesemente scoperta: le case farmaceutiche investono nella
commercializzazione dei loro farmaci il doppio di quanto investono in
ricerca e sviluppo8.
La commercializzazione
E la commercializzazione è,
parimenti alla sperimentazione, veramente senza scrupoli. Le case
farmaceutiche possono, ad esempio, arrivare ad ampliare deliberatamente
le indicazioni di un medicinale semplicemente per allargare il mercato
dello stesso quando questo abbia qualche problema di smaltimento o abbia
riscontrato scarso successo. Un farmaco autorizzato per la lotta al
cancro in Europa può allora tranquillamente diventare un medicinale
contro l’emicrania in Africa e magari a un prezzo decisamente
superiore che non nel Vecchio continente, e venduto pure senza alcuna
controindicazione allegata9.
Questo strapotere delle case farmaceutiche sta incontrando qualche
resistenza in alcuni paesi del Terzo Mondo. Ma l’attuale presidente
degli Stati Uniti George W. Bush ha sostenuto di voler difendere a ogni
costo il copyright dei farmaci delle multinazionali contro le decisioni
‘arbitrarie’ di alcuni paesi appunto come la Thailandia e il Brasile
che hanno iniziato a prodursi farmaci salvavita a prezzi abbordabili
aggirando «illegalmente» i diritti dei brevetti delle case
farmaceutiche occidentali. Ma questo è un percorso scontato per il
presidente USA, dato che fra i primi finanziatori della sua scorsa
campagna elettorale figurano proprio le maggiori aziende farmaceutiche
americane (e non solo): Bristol-Myers, Squibb, Pfizer,
GlaxoSmithKline, Schering
Plough, che in quell’occasione gli donarono quasi 40 miliardi di
vecchie lire.
Per
concludere, vorrei dire che tutto il processo rigidamente vincolato
dagli interessi economici sin qui descritto sta degenerando
intenzionalmente in una corruzione estesa a tutto l’ambiente medico e
scientifico, per cui non si può più a mio parere fare molto
affidamento sulle affermazioni di un foglietto illustrativo di un
farmaco. Tre anni fa si parlava già in Gran Bretagna di una cifra
ufficiale compresa tra l’1 e il 5% di ricerche scientifiche
contenenti dati e risultati falsificati, investigazioni autorizzate
alla mano10. Per gli Stati Uniti la stessa fonte riportava
addirittura una cifra compresa tra il 24 e il 35% tra violazioni dei
protocolli e falsificazione dei dati11. Ora la situazione è certamente peggiorata, nel senso che c’è più coscienza anche
nell’ambiente medico che il fenomeno è generalizzato e che gli
articoli e gli studi che vengono pubblicati sulle riviste, che
stabiliscono lo status di un farmaco o di una ricerca, sono quasi sempre
il risultato di un finanziamento o di un interesse diretto delle case
farmaceutiche stesse. Ad esempio,
recentemente il New England Journal of Medicine, la rivista medico-scientifica più autorevole degli USA, ha dovuto pubblicamente ammettere
che alcuni dei suoi articolisti più eminenti avevano interessi
economici diretti, seppur sino ad allora occultati, in alcune case
farmaceutiche che producevano farmaci della cui ricerca si erano
occupati.
La corruzione ha poi
anche altri aspetti. In Portogallo un funzionario della Bayer ha
soffiato ai giornali i nomi di 2.500 medici che risultavano sul libro
paga della multinazionale affinché prescrivessero determinati farmaci.
Il signor Pequito, il nome di questo impiegato, nonostante la protezione
della polizia, è già stato pugnalato due volte ed ha rischiato la
vita.
Si capisce che a questi livelli
la qualità e l’efficacia di un farmaco sono molto al di sotto come
importanza dell’ufficio marketing dell’azienda che lo produce.
Ma il fenomeno non è solo americano o portoghese. Io credo sia
piuttosto generalizzato. In Gran Bretagna ad esempio «Un terzo del
comitato britannico per la sicurezza dei medicinali ha dichiarato di
aver dei vincoli economici con società farmaceutiche sui cui prodotti
sono chiamati a emettere un’opinione»12. Meditiamo ancora
con una bella pausa su quello che ciò significa.
Quindi, per finire, se ad esempio negli Stati Uniti la terza causa di
morte dopo malattie cardiache e cancro è... l’uso di farmaci e altre
cause iatrogene (infezioni ospedaliere, interventi chirurgici, errori di
medicazione ecc.) direi che possiamo permetterci di non stupirci13.
Questo non ci esime però dall’opporci.
Note
1) Connor,
Steve, «Glaxo chief: Our drugs do not work on most patients», in The
Independent, 8 dicembre 2003.
2)
DaI
sito www.comedonchisciotte.net
che ne ha curato la traduzione.
3) Correggia, Marinella, «Big Pharma va alla sbarra all’Aja», in Il
Manifesto, 11 gennaio 2004.
4) Ginori, Anais, «L’Apartheid delle medicine», in La Repubblica, 5
marzo 2001, pp. 16-17.
5) «Adesso la regola è diventata una sola, faster», così Lembit Rago,
direttore del Dipartimento farmaci dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità. Vedi il reportage pubblicato su La Repubblica del 6 maggio
2001, pp. 14-15.
6) Intervista a Benno Leutold comparsa su La Repubblica del 6 maggio 2001,
p. 15.
7) Intervista a Senno Leutold, cit.
8) Al termine del brevetto i prezzi dei farmaci crollano del 70%.
9) Le Carré, John, «La mia guerra all’industria del farmaco», in La
Repubblica, 21 febbraio 2001, pp. 38-39.
10) Le Carré, John, «La mia guerra all’industria del farmaco», cit.
11) Un agenzia Reuters da Londra deI 15 gennaio 2001, ripresa e commentata
dal dott. John Mercola nel suo visitatissimo sito www.mercola.com
lbid.
12) Le Carré, John, «La mia guerra all’industria del farmaco», cit.
13) In particolare negli USA le medicine sono la quarta causa di morte
comune. Che non è poco. Cfr.
Journal of the American Medical Association, voI. 284, 26 luglio 2000.