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Jeremy Rifkin: «Mangiare carne è l'ultimo peccato dell'umanità»
di Luca Pesenti, tratto da http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010613e.htm

Il professore americano, capofila degli «apocalittici integrati», lancia la sua crociata contro la cultura della bistecca: ha effetti pericolosi sull'ambiente e sulla salute stessa della nostra specie.
Per alcuni è un guru da ascoltare e consultare a ogni piè sospinto. Per altri, un profeta di sventura dagli argomenti fin troppo eccentrici. Di certo Jeremy Rifkin è uno capace di fare parlare di sé. Divenne famoso nel 1995, annunciando al mondo l'imminente (e in verità mai avvenuta) fine del lavoro. Da allora, le sue previsioni, quasi sempre catastrofiche, hanno fatto il giro del mondo sui temi più disparati: dai rischi collegati alle biotecnologie fino alle trasformazioni epocali indotte dall'avvento di Internet.

La verve da agit-prop ce l'ha nel sangue. Iniziò nei mitici anni '60 guidando marce contro la guerra nel lontano Vietnam. Oggi, molti capelli in meno ma la stessa facciona simpatica, questo americanissimo sociologo ed economista ha fatto carriera. Le sue rampogne contro i guasti della globalizzazione partono dalla sua cattedra universitaria alla prestigiosa Wharton school. Oppure dalla sua potentissima fondazione, la Foundation on economic trends. Allora lo ascoltavano hippy sbalestrati, operai e utopisti assortiti. Ora insegna a dirigenti e top manager rampanti. Sono passati gli anni, è cambiato il mondo, ma lui rimane in trincea, a combattere la sua buona battaglia contro i nemici della giustizia e delle felicità dell'Umanità. Pronto a lanciare la sua ultima sfida: abbandonare il consumo di carne a livello planetario.

La provocazione è contenuta in «Ecocidio» (Mondadori), libro destinato a far parlare di sé e a scalare (ancora un volta) le classifiche di vendita. Anche se gli argomenti che utilizza sembrano far parte di quel milieu della nuova sinistra globale (quella del cosiddetto "popolo di Seattle", per intenderci) che mescola impunemente fondamentalismo ecologico e radicalismo utopico e antimoderno. Un mix davvero indigeribile, concentrato nell'ultimo Rifkin-pensiero: «L'élite intellettuale europea continua a concentrarsi sulla questione dell'eccessivo tasso di natalità dei Paesi del Terzo mondo, ma intanto ignora la sovrappopolazione di bestiame e le realtà di una catena alimentare che defrauda i poveri dei mezzi di sussistenza per nutrire i ricchi con un'alimentazione assicurata a base di carne».

D: Quindi lei propone una soluzione estrema: non bisogna più mangiare carne. Lei è solito esagerare i toni, ma questa volta non le sembra di essere andato un po' oltre?
R: «Sono in molti a muovermi questa obiezione. E non è nemmeno la prima volta. Quando ho cominciato, molti anni fa, a mettere in guardia l'umanità dai pericoli collegati agli organismi geneticamente modificati, mi dicevano che stavo esagerando. Oggi finalmente se ne discute molto e con una certa preoccupazione, in tutto il mondo».

D: Passi l'attenzione su questi temi, ma in «Ecocidio» lei pretende di eliminare il rischio "mucca pazza" abbandonando la pratica dell'allevamento di bestiame...
R: «Certamente, perché sono convinto che le nostre scelte alimentari determineranno il futuro del nostro pianeta. Non è più tollerabile un sistema di allevamento industriale come quello che abbiamo costruito, che non rispetta minimamente l'animale sottoponendolo a una barbarie inimmaginabile. Una vera civiltà è capace di rispettare tutte le creature, umane o animali che siano. Ecco perché la nostra coscienza di uomini deve poter superare definitivamente la cultura della carne».

D: E quali sono i motivi di tanto "giacobinismo alimentare"?
R: «Io propongo in questo libro dati incontrovertibili sulle conseguenze dirette o indirette dell'allevamento su larga scala di animali destinati alla macellazione. Nel mondo ci sono ormai più di un miliardo di bovini che occupano oltre il 20% dei territori. Gli animali di solito mangiano erba, provocando la progressiva desertificazione di molte zone del pianeta. Le bestie producono poi tonnellate di rifiuti organici che contribuiscono a inquinare le falde acquifere. E come ultimo passaggio della catena alimentare, finiscono nelle nostre pance, provocandoci varie malattie: diabete, infarto, tumori».

D: Tutto per colpa di una semplice bistecca, di un'innocua fettina?
«Altro che innocua! La carne è un vero killer, almeno quanto le sigarette e l'alcol. Ecco perché dico che, non essendo più possibile tornare indietro a forme di allevamento rispettose dell'animale, come accadeva in secoli lontani, è meglio per tutti se abbandoniamo il consumo di carne».

D: Mettendo in discussione non solo un comparto produttivo fondamentale, ma anche millenni di storia alimentare, di tradizioni popolari...
R: «La cultura della carne non nasce da necessità di tipo biologico. E' un tipico prodotto culturale, con valenze simboliche, che nasce insieme alla civiltà occidentale e che si collega strettamente a riti e festività di tipo religioso. Ma oggi tutto questo sistema culturale è praticamente scomparso. Oggi l'industria della macellazione ha sconvolto il nostro rapporto psicologico e simbolico con i bovini. D'altra parte le tradizioni culinarie più famose del mondo, quella italiana e quella francese, sono composte in buona parte da prodotti diversi dalla carne: formaggi, vegetali, pasta e così via. Non credo che abbandonare la carne sia uno sconvolgimento così disastroso come viene presentato».

D: Non crede che la brutta faccenda di "mucca pazza" possa essere stata manipolata e ingigantita per finalità politiche o economiche?
R: «Da quanto ne so io certamente no. Semplicemente c'è una percezione diffusissima che qualcosa non funziona più come dovrebbe nella catena alimentare. Allora la questione "mucca pazza" può diventare non solo un problema da risolvere, ma una reale opportunità. In Europa il consumo di carne è diminuito del 27% nell'ultimo anno. Ma ora serve un grande dibattito sul problema delle conseguenza dei cibi di produzione industriale sulla salute umana».

D: Come pensa di ottenere questa grande rivoluzione?
R: «Semplice: alleare senso comune e buona scienza. In America è stato chiesto alla popolazione di classe media se preferisce mangiare cibi manipolati geneticamente o chimicamente, oppure cibi organici. La risposta, naturalmente, è stata unitaria. La gente vorrebbe mangiare soltanto cibi di origine naturale o organica».

D: E invece...
R: «Invece costano troppo. Allora quello che dobbiamo fare è rendere meno costosi i prodotti dell'agricoltura biologica. Ma ci vuole un intervento da parte del governo per distribuire sussidi a tutte le aziende agricole che vogliano passare dall'agricoltura geneticamente modificata o chimica, a quella organica e biologica. Purtroppo oggi avviene esattamente il contrario. Ma per il futuro, io sono assolutamente certo che i nostri nipoti troveranno molto curioso che i loro avi si nutrissero di carne animale. Le generazioni future saranno molto più sagge di noi e sceglieranno alimenti alternativi».

 
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