Intervista a John Pilger
Di Gianfranco Belgrano, tratto da www.tribuastratte.it 

Una cornice britannica, la sede del British Council di Roma, per la presentazione del nuovo libro di John Pilger, reporter tra i più noti del panorama giornalistico anglosassone, autore, tra le altre cose, di un servizio sulle vittime dell'embargo imposto all'Iraq. La sua più recente fatica "I nuovi padroni del mondo" esce in un momento in cui nere nubi di guerra si addensano in oriente e vecchie trame politico-economiche, vestite a nuovo, prendono il sopravvento. Lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato di terrorismo, di Iraq e di Palestina.

«L'attacco dei ceceni avvenuto due mesi fa in Russia - incalza subito Pilger - rientra in quella categoria di violenza politica che ci è stato insegnato a riconoscere come terrorismo. In realtà quanto è avvenuto nel teatro di Mosca è conseguenza del Terrorismo sociale, una forma di terrorismo di Stato che i media e i governi non riconoscono ma che è sicuramente più pericolosa e più minacciosa perché uccide non centinaia di persone ma centinaia di migliaia. Lo Stato russo ha assassinato almeno 20mila civili in Cecenia ed ha anche portato alla morte di soldati russi, 'mercenari' di cui si serve. Possiamo dire che quanto è accaduto in quel teatro stava proprio aspettando di succedere. Parlando di terrorismo ci dobbiamo chiedere se questi governi che votiamo e diciamo che ci rappresentano, non siano poi colpevoli anche loro di terribili atti terroristici.
In questo momento i governi americano e britannico pare che siano sul punto di attaccare l'Iraq, un paese straniero che non ha provocato. Alle Nazioni Unite è in corso una sorta di pantomima e se guerra sarà, dovesse pure provocare una mezza dozzina di vittime civili, si tratterà di un atto criminale e illegale
».

D: E' ancora possibile riuscire a fermare la guerra che si sta preparando e cosa può fare l'Europa?

R: «Penso che l'Europa a questo punto abbia in mano l'unica chiave che potrebbe prevenire Usa e Gran Bretagna dall'attacco contro l'Iraq. In caso contrario si imboccherebbe un tale percorso per cui, per esempio, in futuro anche la Cina potrebbe essere vista come una minaccia e attaccata. La guerra potrebbe far balenare ad altri paesi, India e Pachistan in testa, l'idea che sia 'lecito' far guerra ai propri vicini. L'Europa è il secondo blocco economico e militare del mondo, le popolazioni europee hanno visto tanti spargimenti di sangue e conoscono la guerra forse meglio degli Stati Uniti da questo punto di vista: l'opinione dell'Europa è fondamentale. La tua domanda trova già una risposta dall'incredibile numero di persone che sono scese a dimostrare per le strade: lo abbiamo visto a Genova, lo abbiamo visto nella marcia di Assisi. Ancora una volta l'Italia si è dimostrata modello di una vera democrazia popolare. A Londra il 28 settembre ho parlato nel corso di una manifestazione davanti a 400 mila persone (naturalmente la polizia ha fornito cifre inferiori) perché c'è una grandissima maggioranza della popolazione in Gran Bretagna che è assolutamente contraria all'attacco. Queste manifestazioni dell'opinione pubblica sono importantissime e qualsiasi governo, non tenendone conto, potrebbe farne le spese. L'informazione gioca a questo punto un ruolo di primo piano. Il mio nuovo libro si chiama 'I nuovi padroni del mondo' e sicuramente uno dei nuovi padroni del mondo sono i media. Io faccio il giornalista da molti anni ma non ho mai visto tanto potere ai media, una forza di penetrazione che riporta all'imperialismo del XIX secolo».

D: In Italia abbiamo un presidente del consiglio che controlla la gran parte dei mezzi di informazione…

R: «Un'ulteriore conferma che l'Italia è proprio il 'modello' cui mi riferivo. Vi parlo del mio paese: Rupert Murdoch controlla il 70 per cento della stampa, e il restante 30 per cento è in mano a gente come lui. Murdoch è il Berlusconi dei media, mentre Berlusconi è il Berlusconi dei media, immagino. In Italia avete il vantaggio che la cosa è talmente evidente, talmente cruda, che è sotto gli occhi di tutti; così poco sofisticata che quando la Rai viene manipolata è chiaro per chiunque cosa stia succedendo. Invece in Gran Bretagna, le stesse dinamiche avvengono in un modo molto più sottile».

D: Se dunque i media sono uno dei nuovi padroni del mondo, quali sono gli altri e perché sono nuovi?

R: «Faccio una confessione, il titolo del mio libro è sbagliato. Non abbiamo nuovi padroni del mondo. I padroni sono gli stessi con delle varianti. E' lo stesso progetto che va avanti da 500 anni e tra le nuove varianti annoveriamo i media. La misura e l'influenza delle corporazioni internazionali è enormemente aumentata e anche se le multinazionali non sono nuove (c'erano già nel XVI secolo e nel recente imperialismo) ora lavorano in sintonia con dei potentissimi Stati. Nella lista metterei sicuramente il Tesoro degli Stati Uniti, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, la Banca per lo sviluppo dell'Asia…è tutto un unico, complesso meccanismo. Usa, Cina, Europa non sono mai stati così potenti e semplicememte hanno 'nascosto' le proprie responsabilità mettendo a disposizione risorse e welfare per i cittadini».

D: L'11 settembre viene spesso additato come un momento di svolta, una molla che ha dato il via ad una serie di trasformazioni. Questo è quantomeno il punto di vista della stampa ufficiale.

D: «Credo non sia cambiato assolutamente nulla dopo l'11 settembre. Cosa è successo veramente? L'amministrazione degli Stati Uniti, già orientata verso gli interventi unilaterali in giro per il mondo, ha accelerato questo processo sfruttando la risposta umana di fronte a quella tragedia. Quest'accelerazione ha portato all'intervento in Afghanistan: nessuno però ha nominato le 5 mila persone morte nei villaggi sperduti sulle montagne di quel martoriato paese. Nessuna di queste 5 mila vittime aveva a che vedere con l'attacco alle Twin Towers. Nel luglio 2001 Colin Powell, in viaggio nell'Asia centrale, aveva discusso con India e Pakistan dei piani americani in merito ad un attacco dell'Afghanistan e le Twin Towers erano ancora in piedi».

D: Quali sono allora le dinamiche in atto?

R: «Caduto il comunismo, chiuso il capitolo della guerra fredda, l'America è andata alla ricerca di un nemico che giustificasse i propri interventi, comportandosi come quei pubblicitari che fanno dei test sui prodotti da lanciare sul mercato: prima hanno provato la guerra alla droga e non ha funzionato, poi il Generale Noriega e altri come lui e questo ha quasi funzionato, poi hanno provato l'intervento per motivi umanitari nel Golfo e quello non ha funzionato per niente, ad un certo punto è arrivato il terrorismo. E quindi adesso tutto è giustificato nel nome della guerra al terrorismo, tutto viene attribuito ad al-Qaeda, perfino Bush ha detto che l'attacco al teatro di Mosca poteva tranquillamente essere opera di al-Qaeda. Un'intera generazione era stata distratta dalla Guerra Fredda, allo stesso modo stanno cercando di distrarci, con meno successo, dicendoci che tutto può accadere in nome della guerra al terrorismo, senza spiegare però che i più grandi terroristi stanno proprio dalla parte nostra. Lo dico assolutamente senza retorica e basterebbe compilare una lista dei più conosciuti terroristi del mondo per notare che la maggior parte di loro vive in Florida, che alcuni sono in California, e che uno degli uomini di Pol Pot sta nello Stato di New York. Dittatori ed ex dittatori sudamericani, torturatori che si sono macchiati dei crimini più odiosi, formati alla School of Americas, la scuola di terrorismo degli Stati Uniti, hanno trovato protezione o asilo proprio sotto la bandiera a stelle e strisce».

D: Chiudiamo con la Palestina?

R: «Ho girato due documentari sull'argomento: il primo nel 1976 era intitolato 'Palestine is still the issue', il secondo un anno fa riportava esattamente lo stesso titolo e questo suggerisce che la situazione non è cambiata. Una delle occupazioni più lunghe della storia moderna entra nel suo 36° anno e sulla nostra strada troviamo ancora una volta i media: tanta gente non sa nemmeno che ci sia un'occupazione in corso. Un'indagine in Gran Bretagna ha dimostrato che il 10 per cento degli spettatori televisivi pensa che i coloni siano i palestinesi e non gli israeliani. E la colpa è dei giornalisti. Cosa è cambiato in questi anni? Ci sono state due insurrezioni e il tentativo di creare uno Stato senza Stato in Palestina. Questo progetto adesso è crollato e i palestinesi sono più che mai prigionieri nella propria terra con il rischio di essere espulsi».

 
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