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Iran: minaccia di ritorsioni commerciali all’Europa
Fonte AKI, AdnKronos International - 11 agosto 2006
www.adnki.com/index_2Level_Italiano.php?cat=Economia&loid=8.0.328655776&par=0 

Per difendere Teheran da eventuali sanzioni dell'Onu, nel caso fossero ignorate le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, la propaganda del regime iraniano sventola l'arma delle ritorsioni commerciali. E' quanto emerge da un documento riservato che circola da qualche giorno negli ambienti governativi di Teheran e di cui AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL è entrata in possesso nel quale si analizzano le attuali relazioni economiche, commerciali e finanziarie della Repubblica Islamica con i suoi maggiori partner occidentali. Il documento in 11 pagine, prende spunto dagli ultimi dati in possesso della Bank Markazi, l'equivalente iraniana della Banca d'Italia, per chiedersi «chi ha il coraggio di boicottare la Repubblica Islamica ?».

Nell'analisi, una miniera di dati e cifre, si fa notare che le eventuali sanzioni economiche contro la Repubblica Islamica , significherebbero per la sola Europa la rinuncia ogni anno a un interscambio pari a 23 miliardi di euro, in cui i prodotti petroliferi fanno soprattutto gas e petrolio. «Chi è tanto pazzo, tra i governanti di Italia o Germania - si legge ancora nel documento - di rinunciare a questo affare?». Parole implicitamente confermate dalla osservazione di qualche giorno fa del ministro degli Esteri D'Alema secondo cui una rottura tra Roma e Teheran costerebbe all'Italia l'equivalente di due finanziarie.

Le relazioni tra la Repubblica Islamica e l'Occidente non si limitano, secondo quanto si legge nel documento, a questo interscambio commerciale. L'Iran è esposto nei confronti delle maggiori banche europee per 27 miliardi di dollari, ai quali vanno aggiunti altri 25 miliardi depositati dal governo di Teheran negli istituti finanziari occidentali, che potrebbero essere ritirati in qualsiasi momento, provocando danni non trascurabili al sistema bancario del Vecchio Continente. Dieci delle maggiori compagnie petrolifere occidentali, tra cui anche l'italiana Eni, hanno investito 15 miliardi di dollari nelle varie fasi di South Pars, la più grande giacimento mondiale di gas naturale. La sola Cina, ha firmato con l'Iran accordi per investimenti nel settore energetico per 25 miliardi di dollari. 

C'è poi l' “arma del petrolio”. 
Attualmente 40 compagnie petrolifere, tra cui tre società italiane, importano ogni giorno 2,5 milioni di barili di greggio. Il Giappone con 541.000 barili importati giornalmente, nel caso l'Iran decidesse di bloccare le esportazioni, sarebbe il paese più colpito. 
Anche la Corea del Sud, che negli ultimi 3 anni ha esportato verso l'Iran beni industriali e di consumo per 26 miliardi di dollari, uscirebbe con le ossa rotte da uno scontro commerciale. Un'eventuale decisione iraniana di chiudere i rubinetti di petrolio e di gas, sostengono gli esperti che hanno redatto il documento, farebbe salire il prezzo del barile di petrolio ad un minimo di 100 dollari, ma non si esclude quota 125 dollari.

Gli esperti consigliano al governo di Mahmoud Ahmadinejad di andare avanti con il piano nucleare e non cedere alle pressioni internazionali «in quanto l'Occidente nel suo insieme non può fare a meno di mantenere rapporti commerciali ed economici con la Repubblica Islamica ».
«Le eventuali pressioni anglo-americane - si legge ancora - porterebbero a una spaccatura molto profonda tra i paesi occidentali». Hossein Shariatmadari, direttore di Kayhan, l'influente quotidiano conservatore della Repubblica Islamica, condivide le conclusioni di questo documento. «Già qualche capo di governo europeo - ha affermato in un'intervista - ha chiamato Teheran, nei giorni immediatamente successivi all'approvazione della risoluzione 1696 del Consiglio di Sicurezza, per dire che non avrebbero mai accettato una nuova risoluzione con sanzioni economiche».

«Noi - aggiunge Shariatmadari - abbiamo il mondo in pugno e non abbiamo nessuna fretta per dialogare o negoziare con nessuno». «La nostra politica è quella di proseguire con i nostri piani nucleari, di continuare ad arricchire l'uranio e produrre acqua pesante, e attendiamo che l'Occidente accetti questa situazione di fatto», avverte il direttore di Kayhan, personaggio molto vicino all'ayatollah Seyyed Ali Khamenei, Guida Suprema della Repubblica Islamica. «La risoluzione 1696 approvata dal Consiglio di Sicurezza - fa notare Shariatmadari - è un bluff, in quanto non ci sarà un secondo documento per mettere in atto le minacce contenute in questa risoluzione». «Paesi come Italia e Cina - conclude - avrebbero delle serie difficoltà a sopravvivere economicamente ad una rottura delle relazioni economiche con la Repubblica Islamica ».

 
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