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Denaro: un potere creato dal nulla
Tratto da: «Il Potere del denaro svuota le democrazie» Settimo Sigillo

Paterson aveva detto: la banca trae beneficio dall'interesse su tutta la moneta che crea dal nulla.
Ezra Pound, Cantos, XLVI, 453

Abbiamo visto come il circolante emesso dalla Banca d'Italia sia circa un decimo dei mezzi da noi impiegati nei pagamenti, che risultano pertanto decuplicati. Questa apparentemente miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci nei mezzi di pagamento è l'effetto d'un fenomeno che si ripete negli altri paesi ed è noto agli economisti come il «moltiplicatore del sistema bancario» o anche «l’espansione multipla dei depositi bancari». Non saprei spiegarlo meglio di come abbiano fatto il premio Nobel Paul A. Samuelson e William D. Nordhaus nel manuale d'Economia più diffuso al mondo:

Prendiamo ora in considerazione il più misterioso aspetto della mone­ta e del credito, e cioè il cosiddetto processo di «espansione multipla dei depositi bancari». Forse avrete sentito dire che le banche, in qual­che modo incomprensibile, creano moneta dal nulla. In realtà, la crea­zione di depositi bancari non ha alcunché di mistico: si può seguire passo passo ciò che accade alla contabilità delle banche. La vera spie­gazione della creazione dei depositi è semplice; ciò che è difficile ca­pire sono le false spiegazioni che circolano ancora.
Secondo queste false spiegazioni, gli amministratori di una banca or­dinaria riescono, come se le loro penne fossero bacchette magiche, a prestare parecchie lire per ciascuna che essi ricevono in deposito. Non c'è da stupirsi se i banchieri del mondo reale si infuriano quando si sentono attribuire poteri del genere. Magari li avessero! Come ognuno di loro sa bene, non si possono investire soldi che non si hanno; e i sol­di investiti nell'acquisto di un titolo o nella concessione di un prestito lasciano la banca. Perciò i banchieri abbracciano spesso la tesi opposta, sostenendo che il sistema bancario non può creare moneta (e in realtà non la crea). Dicono: «Dopo tutto, possiamo investire soltanto ciò che ci viene affidato. Noi non creiamo alcunché: ci limitiamo soltanto a trovare sbocchi per il risparmio della collettività». I banchieri che sostengono questa tesi sbagliano; si sono lasciati intrappolare dall'errore di composizione: ciò che è vero per ciascuno non è, per ciò soltanto, vero per tutti. La verità è che il sistema bancario, nel suo insieme, può fare ciò che una piccola banca non può fare: può espandere il volume dei prestiti, e così la moneta bancaria, di parecchie volte rispetto alle nuove riserve create a questo scopo, anche se ogni piccola banca presta sempre soltanto una frazione dei suoi depositi. Alla domanda fondamentale rispondiamo quindi in senso affermativo: sì, il sistema bancario e il pubblico creano realmente, insieme. circa 10 lire di depositi bancari per ogni nuova lira di riserve create per le banche.

Qui non c'interessa seguire ogni singolo passo di tale processo, che nella versione di Samuelson e Nordhaus appare persino un po' edulcorato, minimizzato. Importante è stabilire che esista, che non sia l'invenzione polemica di economisti non ortodossi, di monetary cranks, maniaci della moneta, come gli eretici a cui si richiamava Ezra Pound (Silvio Gesell, Clifford Hugh Douglas, il premio Nobel per la chimica Frederick Soddy, Arthur Kitson, etc.); come l'americana Gertrude Coogan, autrice nel 1935 di un libro sui creatori di moneta che ebbe dodici ristampe fino al 1974 ed è stato ora proposto in Italia nella collezione L'Antibancor curata da Salvatore G. Verdè; o l'ancora attivissimo Lyndon LaRouche, da circa un ventennio puntuale candidato minoritario alla presidenza degli Stati Uniti, tra i primi a denunciare i pericoli per la smisurata proliferazione dei prodotti derivati, mentre di questi prodigi dell'ingegneria finanziaria si compiacevano gli apologeti della libera circolazione dei capitali.
Ogni banca ordinaria in effetti potrebbe prestare solo un po' meno dei soldi che le vengono depositati, perché la banca centra le per motivi di sicurezza le impone di versarne almeno una quota in riserva. Tuttavia, già prestando ad altri il rimanente, aumenta per quella parte, dell'80% ed oltre, il denaro virtualmente esistente: perché chi ha depositato denaro nel suo conto corrente considera di averlo, potendone disporre in qualunque momento, mentre appunto l'80% o anche più del deposito è stato prestato nel frattempo a terzi, che al tempo stesso come lui ne dispongono riaprendo con un altro conto bancario lo stesso processo. Il passaggio di assegni senza contante da una banca all'altra e da un deposito all'altro crea di fatto moneta bancaria per degli importi, che vengono decuplicati anche se l'entità del circolante resta immutata. Sono, come abbiamo già visto, delle operazioni a rischio limitato perché previsto dall'esperienza, secondo cui mai i depositanti ritirano simultaneamente tutti i loro denari. Si alimentano situazioni di movimento di cui il sistema bancario ragionevolmente si fida, così come noi ci fidiamo ad andare in aereo pur sapendo d'esser sorretti dalla velocità e che non ci si potrebbe fermare per aria senza atterrare o cadere.

In base alla stessa logica si sono sviluppate le banche centrali, prestando soldi dei governi (cioè monete d'oro e d'argento del re o della repubblica) ai governi e ottenendo da loro l'autorizzazione a raddoppiarli mettendo in circolazione altrettanti biglietti di banca garantiti dai governi stessi. Il modello venne lanciato poco più di trecento anni fa, nel 1694, da William Paterson, che creò la Banca d'Inghilterra raccogliendo soci intorno a un prospetto in cui prometteva, come leggiamo ripetuto con indignazione nei Cantos di Pound, di lucrare due volte interessi, una prima volta prestando denaro sonante al re, che lo avrebbe poi restituito pagandoci un primo interesse, e un'altra volta prestando al pubblico altrettanti pezzi di carta, cioè del denaro creato appunto «dal nulla».
Chi ne aveva bene individuato sin dal secolo scorso il carattere truffaldino era stato verso la fine del primo libro de Il Capitale Karl Marx in un passo che gli stessi marxisti, attirati piuttosto dal problema del «plusvalore» che si produce nell'economia reale sottraendolo ai lavoratori, hanno un po' trascurato:

Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d'Inghilterra (1694). La Banca d'Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all'otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un'altra volta al pubblico in forma di banconote. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d'Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l'altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che aveva dato?

 
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