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Quanto ci costa il Vaticano Spa
Di Romano Nobile dal libro «Pastore tedesco»
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Piccolo e ricco
Città del Vaticano è il più piccolo stato del mondo, ma anche il più rispettato. Si tratta, caso davvero unico, di una "monarchia assoluta" elettiva.
Grazie al carisma del Papa, all'organizzazione piramidale e non democratica ed all'esercizio delle attività di apostolato e di beneficenza, la Santa Sede amministra i suoi beni e le sue società in tutto il mondo.
I suoi beni immobili (beni ecclesiastici) situati in altri Stati, godono in numerose nazioni, tra le quali l'Italia, di regimi privilegiati ed in alcuni casi di extraterritorialità che consentono l'esonero da imposizione di tasse. Per questi regimi speciali, che valgono anche in tema di commerci, di contratti e di donazioni, nonché per l'opacità della sua finanza, Città del Vaticano, pur con le debite differenze, è stata spesso paragonata alle “giurisdizioni offshore” (paradisi fiscali).

In Italia in particolare si intrecciano proprietà immobiliari, attività bancarie e di credito, imprese industriali, finanziamenti diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato Italiano e di Enti pubblici. Ciò crea una posizione di quasi monopolio del vasto mondo dell'assistenza, una presenza costante in tutte le iniziative a favore della gioventù, della gestione di cliniche e di enti ospedalieri. Con il condizionamento operato dalla Chiesa sul Parlamento nella produzione legislativa, necessaria a creare una indispensabile cornice istituzionale e strutturale e soprattutto un confacente regime di privilegio tributario.
   
Attraverso i Patti Lateranensi del 1929 e successivo accordo, che hanno regolato i rapporti tra Stato italiano e Chiesa, e poi con la nascita della Repubblica e dei governi democristiani, lentamente l'Italia divenne la sede temporale del potere ecclesiastico, penetrato per delega nei governi, negli enti pubblici, nelle leggi, nella costituzione materiale. E con la sola resistenza marginale, e pagata a caro prezzo, di alcuni cattolici politicamente impegnati come De Gasperi e Moro. Per mantenere indenne il potere temporale della Chiesa, il Sacro Soglio e le sue propaggini diocesane, non scomunicarono mai le malversazioni e la pubblica corruttela che avveniva sotto gli occhi di tutti fino a diventare sistema di governo e di sottogoverno.

«Non è mistero per nessuno ed anzi ormai storicamente accertato (così Eugenio Scalfari su “ La Repubblica ” del 1 giugno 2005) che l'episcopato italiano fu cieco e sordo di fronte al sistema della pubblica corruttela del quale era perfettamente consapevole e spesso direttamente beneficiario. Come accadde, tanto per ricordare un macroscopico esempio, in occasione del vero e proprio "sacco di Roma", che durò dagli anni Cinquanta a tutti i Settanta nel corso dei quali, appalti, piani regolatori, aree verdi o di destinazione estensiva, furono manipolati per favorire Ordini religiosi, grandi famiglie papaline, dignitari della Santa Sede, società immobiliari e palazzinare, dentro una rete di compiacenza di marca vaticana che spolparono la città come si spolpano le ossa di un pollo».

Così il Vaticano ha potuto conservare e moltiplicare in Italia immense ricchezze. Gli innumerevoli immobili situati in tutto il territorio italiano e soprattutto a Roma, sono anch'essi favoriti da un regime fiscale che ha del ridicolo.
   
Le chiese sono semivuote ma le casse sono piene. Un fiume inesauribile di denaro affluisce in Vaticano dall'Italia e da tutte le nazioni e comunità dove vi sia una maggioranza cattolica: offerte, donazioni, eredità, quote di imposte.
Soltanto una piccola parte di tali ricchezze finisce direttamente in progetti umanitari.
Il resto va alla catechesi nelle parrocchie, all'edilizia di culto, al sostentamento del clero (circa 40.000 preti in Italia), ma anche alle banche amiche e da qui la liquidità si ricicla e si moltiplica in investimenti, in titoli, in immobili, in businnes disinvolti, in azioni di industrie e quant'altro.
Non per niente spesso il Vaticano, sempre per quanto concerne lo Stato Italiano, è rimasto implicato in vicende strane mai completamente chiarite, come il caso Calvi, il banchiere di Dio, impiccato sotto un ponte di Londra, la vicenda del Banco Ambrosiano e dell'assassino di Marco Ambrosoli, il sinistro ruolo dello IOR attraverso il misterioso Marcinkus ed altri faccendieri di alto bordo tra i quali Michele Sindona.

Il killer in Paradiso
Consulente finanziario del Vaticano e della mafia italo-americana, il finanziere siciliano Sindona negli anni '60 brucia le tappe e diviene un protagonista del mercato finanziario americano. Sospettato negli Usa di essere coinvolto nel traffico internazionale di stupefacenti e legato ad ambienti mafiosi, in Italia può continuare a gestire i suoi sporchi affari grazie ai suoi ottimi rapporti con la Democrazia Cristiana ed alle credenziali che gli derivano dal suo legame personale con Paolo VI. Quest'ultimo lo incarica di eludere la legislazione fiscale italiana sottraendo alla tassazione l'ingente patrimonio azionario vaticano (che esulava dai privilegi fiscali fissati dal Concordato). Sindona non tradisce le aspettative del Pontefice trasferendo gli investimenti nel mercato esentasse degli eurodollari tramite una rete di banche off-shore domiciliate nei paradisi fiscali. Non si sa se la Chiesa abbia poi beneficiato del condono sul rientro di capitali dall'estero ideato da Tremonti.
    Il Vaticano ebbe rapporti anche con la banda della Magliana. A questo riguardo assai strana e curiosa appare la vicenda di Enrico De Pedis, appunto un boss della famigerata banda.

Dopo una vita costellata da un serie di gravi reati - dall'associazione per delinquere al traffico di stupefacenti, dalle rapine a mano armata agli omicidi -, il 2 febbraio 1990, nella romana via del Pellegrino, viene ucciso da bande rivali.
   
Il 9 luglio 1997 un'interrogazione parlamentare del leghista Borghezio invita il Ministro degli Interni ad accertare i motivi per i quali «il noto gangster Enrico De Pedis riposi nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare», un privilegio che, secondo il diritto canonico, spetta soltanto al Sommo Pontefice, ai cardinali ed ai vescovi.
   
Si accerta che il nulla osta per la sepoltura era stato richiesto al Vaticano da monsignor Pier Vergari, rettore della Basilica, cioè lo stesso prelato che al funerali aveva impartito l'estrema benedizione al boss di Testaccio. Secondo il quotidiano “l’Unità” questo enigma imbarazzante ha una soluzione politica-religiosa. «In particolare per quanto riguarda l’omicidio di Pecorelli del 1979, la Procura di Perugia ha ipotizzato l’esistenza di contatti organici tra la Banda della Magliana, Cosa Nostra, e ambienti politici romani che facevano capo a Giulio Andreotti e a Claudio Vitalone (poi usciti indenni dai processi a loro carico)
   
Comunque Pecorelli, secondo le testimonianze di un pentito sarebbe stato ucciso da un commando composto da sicari della Banda della Magliana e di Cosa Nostra.

L’imbroglio dell’otto per mille
(…)
30/08/2005

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