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Dagli Usa 106 nuovi caccia F-16 a Israele. E sottomarini
Michele Giorgio - «Il Manifesto» 21 novembre 2003

Bush «sgrida» Sharon sul Muro e invia nuovi aerei. Tel Aviv: «La risoluzione Onu sulla Road map non ci vincola»

GERUSALEMME
George Bush dà una strigliata, senza insistere troppo, al premier Ariel Sharon sulla questione del muro in Cisgiordania ma non dimentica di tenere alto il livello tecnologico della macchina bellica israeliana. Da Washington è giunta la notizia dell'inizio da parte degli Usa della consegna a Israele di 102 cacciabombardieri F-16 della ultima generazione, la stessa, per intenderci, sulla quale volano (e combattono) i «top-gun» americani. Si tratta del più importante acquisto di armi fatto in una sola volta da Tel Aviv: copre interamente i 2,2 miliardi di dollari dell'aiuto annuale statunitense allo Stato ebraico. I 102 aerei vanno ad aggiungersi ad altri 230 F-16 già in possesso dello Stato ebraico. Si tratta di un patrimonio bellico eccezionale. La Spagna, ad esempio, pur essendo un paese stretto alleato degli Stati Uniti possiede soltanto 72 cacciabombardieri F-18 e 90 F-15. Il generale Dan Halutz, capo dell'aviazione israeliana, ha detto che con questi cacciabombardieri si espande a qualsiasi punto del Medio Oriente il raggio di azione di Israele. E' bene ricordare che questo tipo di aerei possono trasportare anche ordigni nucleari. Gli analisti militari israeliani da tempo parlano di «grande Medio Oriente», includendo in questa regione anche l'Asia centrale e l'Oceano Indiano.

In questa chiave si spiegherebbe l'acquisto da parte di Tel Aviv di tre sommergibili «Dolphin» di fabbricazione tedesca (la Germania, secondo fonti internazionali, avrebbe «regalato» a Israele almeno due dei tre sottomarini). I «Dolphin» sono convenzionali, con motore diesel, hanno un raggio d'azione di 4.500 km e sono dotati di sei tubi di lancio per siluri del diametro di 533 mm. La rivista Middle East International ha però riferito che quelli consegnati a Israele avrebbero altri quattro tubi di lancio supplementari del diametro di 650 mm. Una misura inusuale che fa pensare che a bordo dei sommergibili verranno caricati anche missili da crociera in grado di colpire obiettivi lontani, non solo in Iran ma anche in Pakistan, paese che Israele guarda con sospetto e che, peraltro, è in perenne confronto militare con gli stretti alleati indiani. Lo specialista israeliano Ephraim Imbar, intervenendo al forum on-line «Bitterlemons», è stato molto esplicito nel sottolineare che gli interessi strategici e di difesa di Israele vanno ben oltre i confini abituali del Vicino Oriente. Tel Aviv - ha sottolineato Imbar - segue con attenzione lo sviluppo dell'arsenale nucleare pakistano e quindi è pronta ad ogni evenienza. I tre «Doplhin» occupano un posto centrale in questa strategia militare allargata all'Oceano Indiano dove peraltro si vedono sempre più spesso le navi da guerra israeliane del tipo «Saar 5». I sommergili tuttavia presentano uno svantaggio: hanno bisogno di basi a portata di mano e di sostituire, con una certa frequenza, gli equipaggi soggetti a forti stress. Dove potrebbero trovare un porto sicuro i sottomarini israeliani impegnati a tenere sotto tiro il Golfo Arabo, l'Iran e il Pakistan? Secondo Middle East International nell'arcipelago di Dahlak, nel Mar Rosso, dove i russi dieci anni fa hanno abbandonato una base navale che potrebbe essere stata riabilitata di recente. Dahlak appartiene all'Eritrea, paese con il quale Israele mantiene buone relazioni. Intanto il governo Sharon ha reagito con irritazione alla risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu che chiede a israeliani e palestinesi di rispettare il piano di pace «Road Map». Israele ha comunicato che non accetterà nessun intervento esterno in relazione alla attuazione della «Road Map» che non sia quello degli Usa. Il vice premier Ehud Olmert, ha affermato che Israele non si sente «impegnato» alla risoluzione dell'Onu, passata anche col voto favorevole di Washington.Olmert ha poi detto in risposta alle critiche di George Bush alla costruzione della cosiddetta «barriera di separazione» in Cisgiordania, che Israele si riserverà sempre «il diritto di compiere passi unilaterali per separarsi dai palestinesi, tramite barriere o altri mezzi». Sharon da parte sua ha ammesso l'esistenza di «differenze» con gli Usa ma ha negato che tra le due parti ci sia una crisi di rapporti.

 
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