- Dopo l'11 settembre

11 settembre: troppi silenzi
Tratto da «Internazionale» nr. 513, novembre 2003

George W. Bush cerca di ostacolare la nascita di una commissione sugli attentati.

Nel dicembre scorso gli avversari del presidente Bush hanno criticato la nomina di Tom Kean, ex governatore del New Jersey e uomo dai modi garbati, a capo della commissione d’indagine sugli attentati dell’11 settembre. Sostenevano che Kean sarebbe stato troppo ossequioso verso l’amministrazione. Quando però la Casa Bianca ha opposto resistenza a trasmettere alla commissione informazioni importanti sugli attentati, Kean si è arrabbiato e a fine ottobre, furente, ha dichiarato: «Non intendo tollerare una cosa del genere. Dobbiamo vedere tutto ciò che riguarda l’11 settembre: di qualsiasi cosa si tratti».

Le informative quotidiane a Bush
Da settimane Kean accusa l’esecutivo di aver adottato la tattica del muro di gomma, e lascia intendere che l’amministrazione è intenzionata a non prorogare il mandato della commissione, che scade in maggio. Kean non è solo: alla sue proteste fanno eco anche altri esponenti repubblicani della commissione. La situazione è seria, visto che il compito istituzionale della commissione è stabilire come abbiano potuto verificarsi gli attentati e fornire suggerimenti su come impedirne di nuovi.
La scarsa collaborazione da parte della Casa Bianca è sempre un fatto inquietante, ma un elemento appare particolarmente preoccupante. Non si sa infatti se i membri della commissione avranno accesso alle informative quotidiane sulla sicurezza presentate al presidente nelle settimane precedenti l’11 settembre. Le informative sono molto importanti alla luce delle rivelazioni emerse: pare che almeno una contenesse indicazioni secondo cui al Qaeda stava pianificando il dirottamento di aerei di linea statunitensi. Pertanto, analizzare questi rapporti potrebbe essere utile alla commissione proprio per avanzare suggerimenti sul modo di fissare con più efficacia, in futuro, le priorità di questo tipo di documenti.
Ma la Casa Bianca impedisce alla commissione di prenderne visione. L’amministrazione sostiene che contengono informazioni delicate che, se rese di dominio pubblico, potrebbero pregiudicare la sicurezza nazionale. Per giunta, non c’è motivo di temere che un organismo formato da statisti esperti divulghi informazioni riservate: la commissione d’indagine se è formalmente impegnata a proteggerle con la massima cura.
L’altra argomentazione usata dalla Casa Bianca è che rendere pubblici i rapporti sulla sicurezza di quel periodo rischia di distorcere quelli futuri. Si sostiene cioè che i funzionari governativi, se avessero motivo di ritenere che un giorno le informative saranno divulgate, potrebbero essere indotti a «aggiustare» i loro rapporti: in parole povere, a pararsi il culo. Lo stesso argomento è stato ripetuto più volte dall’amministrazione Bush per proteggere i documenti interni di natura «deliberativa». Questi riguardano vari argomenti delicati, tra cui le riunioni segrete tenute da Dick Cheney sulla politica energetica americana.

Autolesionismo o qualcosa di peggio
Questo argomento può essere valido sul piano teorico, ma è indiscutibilmente meno urgente della necessità di spiegare fino in fondo i catastrofici attacchi terroristici e impedirne di nuovi. Per giunta, la tendenza della Casa Bianca a invocarlo solo nei casi in cui l’amministrazione ha forse qualcosa da nascondere è alquanto sospetta. Specie quando si considera che nessuno si è opposto a che fossero mostrati a Bob Woodward, quando preparava il suo volume agiografico Bush at war, centinaia di documenti segreti del consiglio per la sicurezza nazionale contenenti molte informazioni «deliberative».
Un’altra ragione per diffidare delle motivazioni presentate dalla Casa Bianca è la sua palese e odiosa ostilità nei confronti della commissione. Per mesi, dopo l’11 settembre, la Casa Bianca e i suoi alleati in congresso hanno impedito la costituzione di una commissione indipendente.
Nell’ottobre scorso, intervistati dal New York Times, John McCain e Joe Lieberman hanno addirittura accusato l’amministrazione di «sabotare deliberatamente» i loro sforzi per avviare una indagine indipendente sugli attentati dell’11 settembre. Il presidente ha dovuto cedere alle pressioni dei superstiti e ha accettato la creazione di una commissione. Ma poi, nella finanziaria, non ha previsto i finanziamenti necessari, costringendo così il congresso ad andare ancora una volta in soccorso della commissione.
La rozza tattica adottata dalla Casa Bianca appare alquanto autolesionista. Visto che il congresso è in grado di prorogare il mandato della commissione, ogni ritardo non farà che rinviare qualsiasi possibile rivelazione imbarazzante a un’epoca più vicina alle elezioni del 2004.
Bush si renderà certamente conto che, politicamente, dare all’opinione pubblica l’impressione di coprire qualche malefatta lo danneggia ben più del consegnare ai commissari qualche rapporto dell’intelligence. A meno che, naturalmente, non abbia davvero qualcosa di scandaloso da nascondere.

 
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