Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
1933:
Hitler chiede a Ferdinand Porsche di costruire un’auto per tutti i i
tedeschi
Quattro
ruote per il Führer
Ricciotti
Lazzero – tratto da «Storia illustrata»,
nr. 338 del 1986
La
chiameremo Volkswagen, auto del popolo. Così volle il capo del Reich
deciso a fare decollare anche in Germania, come era accaduto in America,
la motorizzazione di massa. L’obiettivo era di produrre 1 milione e
mezzo di vetture ogni anno. Ma lo scoppio della guerra mandò all’aria
il progetto…
Uno
dei primi modelli di Wolkswagen (Vw3), 1935
«Herr Doktor Porsche: voglio un'automobile popolare,
ein Kleinauto
[una piccola auto] con la
quale gli operai tedeschi possano andare in fabbrica motorizzati come
gli americani, e non più in bicicletta. Il prezzo non deve superare i
1.000 marchi. Mi presenti delle proposte».
La Volkswagen, cioè l'«auto
del popolo», nacque cosi, nell'autunno del 1933, con un
monologo di Hitler davanti a Ferdinand Porsche, pilota austriaco e
costruttore di vetture da corsa, convocato a Berlino, alla cancelleria
del Reich. Il leader
nazista, assunto il potere con le sue «camicie brune», si preparava a
far piazza pulita di tutto ciò che
potesse ricordare la repubblica di Weimar e la sua traballante
democrazia. Pochi in Europa compresero allora il suo programma, ma agli
industriali tedeschi fu subito chiaro che quell'uomo avrebbe dato, con
il rapido riarmo della Germania, una spinta impressionante all'economia
nazionale. La Reichswehr (cioè l'esercito democratico del primo
dopoguerra) non era ancora diventata la Wehrmacht, ma Hitler, pur
legato dalle restrizioni del trattato di Versailles,
sapeva come districarsi. La Volkswagen è, appunto, uno dei tanti
episodi del riarmo nazista.
Tornato
a Stoccarda, Porsche si mise subito al lavoro e il 17 gennaio 1934 era
già in grado di presentare al führer
un memorandum. «La vettura popolare che io concepisco» scrisse «non è un'automobilina di misure e di
prestazioni ridotte, ma una macchina che può entrare in concorrenza con
tutte le altre della sua classe. Perché una tale macchina possa
trasformarsi in una vettura popolare sono necessarie soluzioni
totalmente nuove». I dati tecnici intorno a cui lavorare dovevano
essere i seguenti: motore posteriore a sogliola (cioè a cilindri
contrapposti) di 1.250 centimetri
cubici raffreddato ad aria, potenza massima 26 Hp a 3.500 giri al
minuto, passo 2,50 m, carreggiata 1,10 m, peso a vuoto 650 kg, velocità
massima 100 chilometri all'ora, capacità di superare pendenze del 30
per cento, 8 litri di benzina ogni 100 chilometri.
Secondo
i calcoli di Porsche quell'auto non poteva costare meno di 1.500 marchi.
Ma alla firma del primo contratto, il 22 giugno 1934, con la Rda (Reichsverband
der deutschen
Automobilindustrie, Associazione
del Reich dell’Industria
automobilistica tedesca), per una serie di 50.000 vetture, il
costruttore bavarese si vide ridurre drasticamente la cifra a 900 marchi. I nazisti gli diedero
20.000 marchi al mese per le spese di progettazione e Porsche, sebbene
la somma fosse insufficiente, preparò in 10 mesi con 12 tecnici, in un
laboratorio ricavato nel garage della sua villa, le prime 3 vetture,
battezzate Vw3.
Al Salone dell'automobile
di Berlino, nella primavera del 1935, il führer
annunciò pubblicamente che «una nuova vettura popolare, la
quale non sarebbe costata più di una motocicletta di media cilindrata e
a basso consumo di carburante» stava «per essere realizzata e
messa a disposizione del popolo tedesco».
Le prove cominciarono il 12 ottobre 1936, dopo la conclusione
dei grandiosi Giochi olimpici, e si conclusero pochi giorni prima
di Natale. Furono scelti due itinerari: andata e ritorno sulla nuova
autostrada con fondo in cemento che da Stoccarda, passando per Karlsruhe,
portava a Darmstadt, Francoforte e Bad Nauheim
e un anello pieno di curve e di salite nella Foresta Nera:
Stoccarda-Pforzheim-Baden Baden-Offenburg-Kniebis-Freudenstadt-Stoccarda.
Al volante di ogni vettura si pose un ingegnere del team Porsche,
al suo fianco un tecnico della
Rda che prendeva nota di tutto. Ogni vettura superò i 50.000
chilometri e dimostrò di possedere tali qualità «da raccomandare un
ulteriore sviluppo delle prove».
Sulla base di questi primi test Porsche fu autorizzato a preparare una seconda serie di 30 vetture di prova (la serie Vw30) e la Rda non lesinò sul denaro. I collaudi cominciarono prima della fine del 1937. Questa volta ognuna delle 30 vetture doveva superare, viaggiando giorno e notte, il muro dei 100.000 chilometri. Al volante si posero 200 SS che, alternandosi ininterrottamente, strapazzarono al massimo la vettura voluta da Hitler. Queste SS non avevano particolari qualità tecniche: si trattava di normali automobilisti prelevati nelle caserme e vincolati al più assoluto segreto.
Era
chiaro che si voleva costruire una vettura eccezionale, da usare un
giorno in guerra. Porsche andò
due volte negli Stati Uniti a studiare i metodi di produzione di massa e
visitò pure lo stabilimento inglese della Austin. In America ebbe un
lungo colloquio con Henry Ford,
che si dichiarò molto scettico su quel progetto tedesco, elogiando
invece il suo leggendario «modello T».
«Vuole venire in Germania, mister Ford?», gli chiese Porsche.
«Il führer
sarebbe molto interessato a vederla».
«No», rispose il vecchio costruttore americano, «non
posso. Tra poco in Europa scoppierà la guerra...».
Porsche lo guardò stupefatto e certamente credette di trovarsi di
fronte a un pazzo. Poi, prima di rientrare in Germania dove gli
sarebbero stati concessi la laurea honoris
causa in ingegneria, il titolo di «professore» e il Deutscher
Nationalpreis (Premio nazionale tedesco), cercò di reclutare un
folto gruppo di tecnici americani. Ma non ci riuscì:
la sua offerta venne accettata soltanto da 20 oriundi tedeschi.
I
nazisti ordinarono altri 30 modelli di
Volkswagen a scopo di prova e di propaganda e affidarono al Deutsche Arbeitsfront (il Fronte del lavoro, cioè il sindacato
unico hitleriano) la responsabilità di costituire la società e
di realizzare gli stabilimenti necessari. La società nacque nel maggio
1937, mentre in Germania era già stata introdotta la coscrizione
obbligatoria, i primi corpi d'armata cominciavano a esercitarsi in
manovre regionali, sul fronte occidentale sorgeva la linea Sigfrido e
Wernher von Braun si stava occupando, con altri scienziati, del problema
dei missili, Si chiamò Gezuvor, abbreviazione di Gesellschaft
zur Vorbereitung des Volkwagens
(Società per la preparazione della Volkswagen).
Porsche ne diventò
il capo e due funzionari del Deutsche
Arbeitsfront i direttori commerciali. Obiettivo della Gezuvor,
una società della grandezza dell'attuale Fiat, era quello di
produrre un milione e mezzo di automobili all'anno.
A questo punto Porsche elaborò il modello finale, la Vw38 (così chiamata perché ideata nel 1938), con un motore di 996 cmc. Contemporaneamente fu scelta la zona dove far sorgere lo stabilimento: una striscia di 10.000 acri a Fallersleben, un'ottantina di chilometri a est di Hannover, nella proprietà del conte Friedrich Werner von der Schulenburg, che viveva nell'antico castello di Wolfsburg, al centro della tenuta. Il terreno fu acquistato in gennaio, la posa della prima pietra avvenne già il 26 maggio. Il progetto della fabbrica era stato realizzato a velocità sostenuta dall'architetto austriaco Peter Koller. Lo stabilimento doveva stendersi per quasi un chilometro e 700 metri lungo la riva settentrionale del Mittelland Kanal, mentre sull'altra riva gli urbanisti avrebbero creato una città per 90.000 operai e le loro famiglie: la Stadt des KdfWagen, che poi sarebbe diventata semplicemente Wolfsburg.
Fu
Hitler stesso a dirigere la cerimonia
inaugurale, davanti a 70.000 soldati, SS e civili osannanti.
Dal 1° agosto prossimo, disse, gli operai tedeschi potranno versare
5 marchi alla settimana e prenotarsi, sottoscrivendo una Kdf-Wagen-Sparkarte (una speciale cedola di prenolazione,
n.d.r.), per la nuova automobile
che verrà consegnata appena comincerà la produzione. L'automobile si
chiamerà Kdf-Wagen (cioè vettura
della Kraft durch Freunde, la «potenza attraverso
la gioia», un'organizzazione
per le vacanze degli iscritti al sindacato nazista,
n.d.r.), costerà 990 marchi (396
dollari al cambio ufficiale di allora, n.d.r.)
e consumerà appena 6 litri
e mezzo di benzina normale ogni 100 chilometri. Gli altri dati tecnici
li fornirono i giornali: pneumatici 4,50/16,
peso 650 kg, altezza 1,55 m,
potenza 23,5 Hp a 3.000 giri e
una particolare distribuzione dei pesi che rispecchiava
la tendenza sportiva di Porsche:
il 44 per cento nella parte anteriore, il 56 dietro. Nessuna
possibilità di scelta del colore: tutte le vetture sarebbero state grigio-azzurro.
Lo
stabilimento era disegnato sulla carta, ma mancava la manodopera.
I massicci richiami alle armi e il superlavoro nelle officine e
nei cantieri per fornire carri armati, aerei e navi alla Wehrmacht,
alla Luftwaffe e alla Kriegsmarine avevano assottigliato il
numero degli uomini qualificati.
Hitler si rivolse a Mussolini
e Mussolini gli mandò subito un migliaio di operai che vennero
ospitati in grandi baracche di legno,
mentre altri furono smistati nella zona dei laghi Masuri, a
Rastenburg, per costruire la «tana del lupo». Nonostante gli sforzi
delle maestranze la Volkswagen per usi civili non entrò mai in
produzione: la seconda guerra mondiale scoppiò prima che la linea di
montaggio venisse posta in marcia. Duecentodieci Vw,
tutte nere, giravano, sì, per le città tedesche, ma erano state
costruite a Stoccarda e consegnate a funzionari del partito. Nessuna
vettura venne mai data a coloro che pur avevano pagato le rate
prescritte sborsando decine di milioni di marchi. In questo senso, l'«operazione
Maggiolino» dei nazisti si trasformò in una grossa truffa: chi
anticipò quel denaro non ebbe indietro nemmeno un Pfennig.
Dopo
due anni di lavoro quella fabbrica gigantesca lungo il Mittelland
Kanal era stata realizzata soltanto per il 50 per cento, mentre la
città operaia (la cui esistenza, rappresentando appunto un segreto militare,
non appariva su nessuna carta geografica) poteva già ospitare 2.358
famiglie.
Scoppiata la seconda guerra mondiale e senza tener conto di coloro che
avevano versato puntualmente le rate (oltre 20.000 persone) i tecnici
nazisti ricavarono dal modello civile del Maggiolino due versioni
militari: la Kübelwagen (Kübel
significa tinozza o secchio),
cilindrata 985 cmc (1.131 cmc dal
marzo 1943), potenza 24 Hp, quattro marce avanti più retromarcia, con
limitatore al differenziale, passo 2,40 m, lunghezza 3,74 m, larghezza 1,60
m, altezza 1,65 m, peso 685 kg, posto per quattro persone; la Scbwimmwagen
(l'«auto che nuota»), cioè una vettura anfibia a quattro
ruote motrici, cinque marce in
avanti e retromarcia, passo 2 m, lunghezza 3,825 m, larghezza 1,48 m,
altezza 1,615 m, peso 910 kg, elica a tre pale ribaltabile verso l'alto,
velocità in acqua (a seconda del tipo: 128 o 166) 10 o 12 chilometri
all'ora, velocità su terra 80 o 74 chilometri.
La
Kübelwagen accompagnò la marcia della Wehrmacht
e delle SS.
Nel
deserto africano diede parecchi grattacapi, ma la maggior parte di essi
fu eliminata usando nuovi tipi di ruote e pneumatici maggiorati. La
vettura fu trasformata anche in una specie di piccola autoblindo,
montandovi una torretta per mitragliatrice, e addirittura in un'ambulanza
di fortuna. In Unione Sovietica la vettura si dimostrò
eccezionalmente manovrabile, anche
nei campi inondati di fango durante la stagione del disgelo. Ne furono
costruiti oltre 52.000 esemplari e gli americani, appena catturarono
alcune auto ai soldati di Rommel, le trasportarono nel Maryland, all'Aberdeen
Proving Ground. Qui
le sottoposero a una serie di esami provvedendo poi a stampare un
manuale tecnico per i soldati americani al fronte. Il volumetto,
intitolato The
German
Volkswagen, usci a cura del War Department proprio il giorno dello sbarco in
Normandia (6 giugno 1944).
Tonnellate
di bombe sullo stabilimento
Della Schwimmwagen
(o Volkswagen 166) furono realizzati
14.625 esemplari che operarono su tutti i fronti, con esito
sorprendentemente buono. In campo nemico i primi a usarla furono gli
inglesi.
Lo stabilimento di Wolfsburg era intanto entrato nell'occhio
del ciclone: i bombardieri dell'89
forza aerea
Il
macchinario non distrutto dalle bombe era stato da tempo evacuato in
varie parti della Germania affinché non cadesse in mano ai russi: venne
recuperato soltanto in parte. La zona (sebbene conquistata dagli
americani) passò agli inglesi della 52° divisione
di fanteria che trasformarono una parte dei capannoni intatti in
officine di riparazione per i loro veicoli. Alcuni operai e tecnici
tedeschi ridotti alla fame si presentarono a offrire i loro servizi. Nell'agosto
del 1945 questi uomini assemblarono diverse Kübelwagen
usando tutti i pezzi che riuscirono a scovare. In settembre
costruirono poi un Maggiolino, e altre 58 vetture entro la fine
dell'anno.
A questo punto la situazione si complicò: essendo stata quella fabbrica
proprietà dei nazisti, i russi (secondo gli accordi) vollero una parte
dei macchinari. Gli inglesi risposero che si trattava di uno
stabilimento efficiente, perché produceva automobili necessarie alle
truppe d'occupazione, e misero alla frusta la manodopera. Nel 1946
uscirono dai capannoni 9.871 Maggiolini e altri 8.939 l'anno successivo.
Gli operai si dedicavano anche alla costruzione di motori per altri
veicoli, e gli inglesi cercarono di convincere Henry
Ford a ricostruire a suo beneficio quel grande stabilimento. Ma
l'americano rifiutò.
Per
togliersi quel grattacapo, le autorità delle forze d'occupazione l'8
ottobre 1949 riconsegnarono la fabbrica ai tedeschi: ciò che accadde da
allora è storia nota. Il Maggiolino ideato dai nazisti apparve su tutte
le strade del mondo facendo una concorrenza spietata alle altre
utilitarie. Ora, a quarant'anni di distanza, lo costruiscono ancora nel
Messico, e ha clienti affezionati. Le Kübelwagen e le vetture anfibie
delle SS sono intanto diventate pezzi da amatore.