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La
madre di tutte le bugie
Estratto dal libro: «Vendere
la guerra»
La storia dei
neonati strappati alle incubatrici dai soldati iracheni durante la prima
Guerra del Golfo è l'ennesima dimostrazione di un principio, da tempo
compreso dai propagandisti, secondo cui una bugia ripetuta tante volte
finisce per essere accettata come verità.
L'offuscamento
dei confini tra la verità e il mito non è certamente iniziato con
l'Amministrazione Bush. La disinformazione ha fatto parte della guerra
almeno dai giorni di Alessandro Magno, che disseminava grosse corazze
lungo il percorso delle sue truppe in ritirata, per far credere al
nemico che i suoi soldati fossero dei giganti.
L'aneddoto sul trucchetto di Alessandro Magno di solito viene raccontato
ai soldati nella prima lezione di addestramento in operazioni
psicologiche (spesso dette "psyop").
In
un documento dell'aeronautica Usa del 1998, intitolato Information
Operations, si dichiara che "le operazioni di informazione vengono
applicate in tutto il raggio d'azione delle operazioni militari, dalle
missioni di pace al pieno conflitto... è importante sottolineare che la
guerra dell'informazione è una formula che viene attuata in tutte le
attività dell'aeronautica, dalla pace alla guerra, allo scopo di
consentirne l'effettiva esecuzione di tutti i compiti... L'esecuzione di
operazioni d'informazione in ambito aeronautico, spaziale e
cyberspaziale attraversa tutti gli aspetti del conflitto"(si
osservi l'uso del "doublespeak" [o "linguaggio
doppio", NdT] nel contesto dei termini "pace" e
"operazioni militari").
Il
documento Information Operations contiene sezioni intitolate
"operazioni psicologiche", "guerra elettronica",
"attacco informativo", "controinganno" e
"inganno militare".
Nel mondo attuale, si dichiara: "la crescente infrastruttura
dell'informazione trascende l'industria, i media, l'esercito, e
coinvolge entità governative e non governative. e' caratterizzata da
una fusione di reti e tecnologie militari e civili... In realtà, un
notiziario, un comunicato diplomatico o un messaggio militare contenente
l'ordine di esecuzione di un'operazione, dipendono tutti dalla
[infrastruttura dell'informazione globale]".
In questo contesto, le psyop "sono ideate per trasmettere indizi e
informazioni selezionati ai leader e al pubblico straniero, allo scopo
di influenzarne le emozioni, gli stimoli, le motivazioni obiettive e
infine il comportamento", mentre "l'inganno militare confonde
gli avversari, portandoli ad agire in base all'obiettivo dei suoi
artefici".
In pratica, si dice sul documento citando lo stratega militare cinese
Sun Tzu, "tutte le operazioni di guerra sono basate
sull'inganno".5
La
vicenda dei "neonati strappati alle incubatrici"6 dai soldati
iracheni ha contribuito alla creazione del sostegno pubblico alla prima
Guerra nel Golfo Persico. Al momento della sua diffusione, la storia
venne largamente creduta e non vi fu alcuna smentita fino alla fine
della guerra. Da allora, alcuni giornalisti e organizzazioni umanitarie
hanno svolto delle indagini, giungendo alla conclusione che si trattava
di un falso. Il fatto venne considerato gravissimo negli ambienti stessi
delle pubbliche relazioni, eppure parte del pubblico crede ancora che
sia vero.
Dopo il 2 agosto 1990, data dell'invasione del Kuwait da parte
dell'Iraq, gli Stati Uniti dovettero fare dietro front alla svelta. Per
circa un decennio, sino ad allora, Hussein era stato un alleato degli
Usa nonostante le condanne dei gruppi internazionali per i diritti
umani.
La Hill & Knowlton, in quel periodo la più grande agenzia di
pubbliche relazioni del mondo, fu l'ideatrice della massiccia campagna
messa in atto per convincere gli americani ad appoggiare una guerra di
liberazione del Kuwait occupato dall'Iraq.7
Gran parte del denaro per finanziare la campagna in favore della guerra
proveniva dal governo kuwaitiano stesso, che sottoscrisse un contratto
con la H&K nove giorni dopo l'entrata dell'esercito di Saddam nel
paese.
La
Hill & Knowlton creò il gruppo "Citizens for a Free
Kuwait", una classica operazione di propaganda ideata per celare la
sponsorizzazione del governo kuwaitiano in combutta con
l'Amministrazione Bush senior. Durante i sei mesi successivi, il governo
kuwaitiano stanziò circa 12 milioni di dollari per il Citizens for a
Free Kuwait, mentre il restante finanziamento ammontava a 17.861 dollari
e proveniva da 78 singoli donatori. Praticamente, tutto il budget del
gruppo - 10.800.000 dollari - andò come compenso alla Hill &
Knowlton. 8
I
documenti archiviati al Dipartimento di Giustizia Usa dimostravano che
119 funzionari della H&K dislocati in 12 uffici in tutti gli Stati
Uniti lavoravano per conto del Kuwait. L'agenzia organizzò le
interviste agli esponenti kuwaitiani, la celebrazione del "Giorno
di liberazione nazionale del Kuwait" e altre manifestazioni
pubbliche, la distribuzione di notizie e kit informativi, e collaborò
alla diffusione presso giornalisti influenti e l'esercito Usa di oltre
200.000 copie di una mini guida di 154 pagine sulle atrocità compiute
dall'Iraq, intitolata The Rape of Kuwait (Lo stupro del Kuwait, NdT).9
Le dimensioni della campagna Hill & Knowlton misero in soggezione
persino l'O'Dwyer's PR Services Report, una delle maggiori pubblicazioni
nel settore delle pubbliche relazioni. L'editore Jack O'Dwyer scrisse
che la Hill & Knowlton "ha assunto un ruolo senza precedenti
come agenzia di pubbliche relazioni nella politica internazionale".
La H&K ha impiegato un'incredibile varietà di tecniche e
accorgimenti per la creazione di un'opinione pubblica favorevole al
sostegno degli Usa al Kuwait... Tra le tecniche rientravano le
esaurienti conferenze in cui venivano descritte le torture e le altre
violazioni dei diritti umani compiute dal regime iracheno, e la
distribuzione di migliaia di magliette con lo slogan 'Free Kuwait' e
adesivi nei campus universitari in tutti gli Stati Uniti".10
Tutti
i grandi eventi mediatici hanno bisogno di quello che i giornalisti e i
pubblicitari chiamano "aggancio". L'aggancio ideale e'
l'elemento centrale affinché una vicenda faccia notizia, provochi una
forte risposta emotiva e rimanga impressa nella memoria.
Per la campagna sul Kuwait, l'aggancio arrivò il 10 ottobre 1990,
quando l'Assemblea congressuale per i diritti umani tenne un'udienza a
Capitol Hill, presentando ufficialmente per la prima volta le violazioni
dei diritti umani dell'Iraq. L'udienza apparve come un normale
procedimento congressuale ufficiale ma non era esattamente così.
Sebbene
l'Assemblea fosse presieduta dai deputati Tom Lantos e John Porter, non
era una commissione ufficiale del Congresso. Soltanto pochi osservatori
hanno notato l'importanza di questo dettaglio. Tra questi vi era John
MacArthur, autore di The Second Front, che resta il miglior libro mai
scritto sulla manipolazione delle notizie durante la prima Guerra del
Golfo. "L'Assemblea sui diritti umani non e' una commissione del
Congresso, quindi e' libera da quelle implicazioni legali che farebbero
esitare un testimone prima di mentire", ha osservato MacArthur.
"Mentire sotto giuramento di fronte a una commissione congressuale
e' reato; mentire dietro l'anonimato di fronte a una riunione al vertice
e' soltanto diplomazia".11 La testimonianza più commovente del 10
ottobre fu quella di una ragazzina kuwaitiana di 15 anni, identificata
soltanto per nome, Nayirah. Secondo l'Assemblea, il cognome di Nayirah
restava riservato per evitare ritorsioni irachene contro la sua famiglia
che si trovava nel Kuwait occupato. Singhiozzando, la ragazzina
descrisse ciò che aveva visto con i suoi occhi in un ospedale di Kuwait
City. La trascrizione della sua testimonianza venne diffusa in un kit
informativo del Citizens for a Free Kuwait. "Ero volontaria
all'ospedale al-Addan", raccontò Nayirah. "Mentre ero lì, ho
visto i soldati iracheni entrare nell'ospedale con i fucili e dirigersi
nelle camere dove si trovavano i bambini nelle incubatrici. Hanno tolto
i bambini, hanno portato via le incubatrici e li hanno lasciati morire
sul pavimento gelido." Continuò affermando che questo era accaduto
a "centinaia" di bambini.12
Passarono
tre mesi dalla testimonianza di Nayirah all'inizio della guerra. Durante
questi mesi, la storia dei bambini tolti dalle incubatrici veniva
ripetuta in continuazione. La raccontò il Presidente Bush. Fu
raccontata durante le testimonianze al Congresso, nei talk show in TV,
alla radio e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Amnesty
International riporto' la denuncia in un rapporto sui diritti umani del
dicembre 1990, dichiarando che "oltre 300 neonati prematuri
sarebbero deceduti dopo essere stati tolti dalle incubatrici portate via
dai soldati iracheni".13
"Di
tutte le accuse mosse contro il dittatore", osservò MacArthur,
"nessuna ebbe più impatto sull'opinione pubblica americana di
quella secondo cui i soldati iracheni avrebbero tolto 312 neonati dalle
incubatrici lasciandoli morire sul pavimento gelido dell'ospedale di
Kuwait City".14
All'Assemblea
sui diritti umani, tuttavia, la Hill & Knowlton e il deputato Lantos
non avevano detto che Nayirah era un membro della famiglia reale
kuwaitiana. Infatti suo padre e' Saud Nasir al-Sabah, l'ambasciatore del
Kuwait negli Stati Uniti, anch'egli presente nell'aula dell'assemblea
durante la testimonianza. L'Assemblea non rivelò inoltre che il vice
presidente della Hill & Knowlton, Lauri Fitz-Pegado, aveva istruito
Nayirah per la testimonianza.15
Dopo
la guerra, alcuni investigatori sui diritti umani cercarono conferme
sulla storia di Nayirah, senza trovare alcun testimone o altre prove che
potessero sostenerla. John Martin di World News Tonight dell'ABC visitò
l'ospedale al-Addan e intervistò il dottor Mohammed Matar, direttore
del sistema sanitario del Kuwait, e sua moglie, la dottoressa Fayeza
Youssef, che dirigeva il reparto di ostetricia dell'ospedale. Secondo la
loro testimonianza, le accuse di Nayirah erano false. In tutto il Kuwait
erano disponibili pochissime incubatrici, non certamente le
"centinaia" citate da Nayirah, e nessuno aveva visto soldati
iracheni strappare neonati alle macchine. "Credo si sia trattato
solo di propaganda", disse Matar.16 La testimonianza di Martin portò
all'avvio di un'indagine indipendente di Amnesty International, che al
tempo della testimonianza di Nayirah aveva preso per buona la storia dei
"neonati strappati alle incubatrici".
Anche
gli investigatori di Amnesty International non trovarono "prove
credibili" che confermassero la storia e smentirono il loro
precedente rapporto.17 "Siamo convinti... che la vicenda dei
neonati deceduti non sia avvenuta nelle proporzioni inizialmente
riferite, qualora sia effettivamente avvenuta", ha riportato un
portavoce di Amnesty International.18
Anche Middle East Watch, un'altra organizzazione sui diritti umani, ha
svolto un'indagine propria, concludendo che la storia fosse una
mistificazione. Il direttore di Middle East Watch, Aziz Abu-Hamad, che
ha condotto un'indagine di tre settimane in Kuwait dopo la guerra, ha
dichiarato: "Le ricerche accurate di Middle East Watch non hanno
prodotto alcuna prova per sostenere queste accuse. Dopo la liberazione
del Kuwait, abbiamo visitato tutti gli ospedali nei quali secondo la
testimonianza sarebbero accaduti tali episodi. Abbiamo intervistato i
dottori, le infermiere e gli amministratori e abbiamo consultato gli
archivi delle strutture. Ci siamo anche recati nei cimiteri e abbiamo
esaminato i registri. Sebbene avessimo chiari risconti sulle varie
atrocità commesse dagli iracheni, non ne abbiamo trovato alcuno
sull'accusa secondo cui i soldati iracheni avrebbero tolto i neonati
dalle incubatrici lasciandoli morire. Alcuni testimoni del governo
kuwaitiano, che durante l'occupazione irachena avevano sostenuto la
veridicità della storia delle incubatrici, hanno cambiato idea e altri
sono stati screditati. La diffusione di resoconti falsi sui crimini
commessi reca un grave danno alla causa dei diritti umani. In questo
modo si distoglie l'attenzione dalle reali violazioni commesse
dall'esercito iracheno in Kuwait, compresa l'uccisione di centinaia di
persone e la detenzione di migliaia di cittadini kuwaitiani e non,
centinaia dei quali sono ancora dispersi"19
Perché
inventare queste storie quando il regime di Saddam Hussein offre una
vastità di crimini veri? Non vi e' alcun dubbio che fosse un dittatore
brutale, colpevole di aver torturato e ucciso migliaia - o meglio,
centinaia di migliaia - di persone innocenti. Una spiegazione potrebbe
essere che storie come quella sugli "assassini di neonati"
rappresentano l'"aggancio" per la propaganda di guerra.
Durante la Prima Guerra Mondiale, ad esempio, i francesi e gli inglesi
avevano diffuso storie (mai documentate o confermate) secondo cui i
soldati tedeschi avevano sparato a un bambino di due anni e
"tagliato le braccia di un bambino rimaste appese alle vesti della
madre", la vicenda venne ricamata ulteriormente quando un giornale
francese pubblicoò un disegno raffigurante soldati tedeschi che
mangiavano mani.20
Se
gli organizzatori di guerra degli Stati Uniti volevano attaccare
l'etichetta di "assassino di neonati" al collo di Saddam,
avrebbero comunque potuto farlo in modo onesto. Delle 5.000 persone
uccise dal gas di Saddam, nel villaggio dei curdi iracheni di Halabja
nel 1988, il 75% erano donne e bambini. Il problema e' che l'episodio di
Halabja e altri che videro l'utilizzo di armi chimiche, avvenivano
mentre l'Iraq riceveva sostegno economico e militare dagli Stati Uniti.
"Ad ogni modo, la posizione dell'America su Halabja e'
vergognosa" disse Joost R. Hiltermann di Human Rights Watch,
l'organizzazione che ha svolto indagini approfondite sulla vicenda di
Halabja. Infatti, il Dipartimento di Stato Usa aveva persino "dato
istruzioni ai diplomatici di riferire che parte della responsabilita'
ricadeva sull'Iran. Il risultato di tale sofisticheria fu che la comunità
internazionale smise di raccogliere gli appelli per una ferma condanna
dell'Iraq per un atto efferato quanto l'attacco al World Trade Center."21
Durante
la campagna per la guerra nel 1990, l'atrocità commessa a Halabja e il
tacito consenso del Dipartimento di Stato erano fatti così recenti che
sarebbe stato difficile per la prima Amministrazione Bush convincere
qualcuno dell'onesta' della sua indignazione morale. Dire la verità
avrebbe suscitato troppe domande imbarazzanti. La campagna a favore
della guerra intendeva raccontare la verità sulla natura del regime di
Saddam Hussein ma per proteggersi dalle enormi conseguenze di quella
verità era necessario ricorrere a quello che Churchill o Rumsfeld
chiamerebbero una "scorta di bugie".
Pertanto,
durante la pianificazione dell'operazione "Tempesta del
Deserto", la prima Amministrazione Bush ha evitato di menzionare
l'episodio di Halabja, e i giornalisti ne hanno parlato raramente.
Una ricerca nel database delle notizie di LexisNexis mostra che negli
Stati Uniti la vicenda di Halabja e' stata menzionata in 188 articoli
durante il 1988 (l'anno in cui si e' verificato il fatto). e' stata
tuttavia citata raramente nell'anno successivo: in 20 articoli nel 1989
e solo in 29 nel 1990, l'anno in cui Saddam invase il Kuwait.
Nell'intervallo di tempo tra l'invasione del Kuwait, 2 agosto 1990 e la
fine dell'operazione "Tempesta del Deserto", 27 febbraio 1991,
vi sono stati soltanto 39 riferimenti a Halabja.
Nel decennio successivo, la media e' stata di 16 riferimenti l'anno.
Durante le elezioni presidenziali del 2000, sono stati soltanto 10.
Effettivamente la vicenda non e' ricomparsa sui media statunitensi fino
al settembre 2002, quando l'Amministrazione di George W. Bush ha
iniziato la pressione pubblica per la guerra in Iraq. Da allora, i
riferimenti iniziano ad aumentare notevolmente. L'episodio di Halabja e'
stato riportato 57 volte soltanto nel mese di febbraio 2003. In marzo,
il mese dell'inizio della guerra, lo e' stato 145 volte. Erano passati
quasi 15 anni, i ricordi si erano sbiaditi e si poteva tranquillamente
parlare dell'uccisione con il gas dei cittadini iracheni da parte di
Saddam. Furono pochi i giornalisti che scrivendo di Halabja nel 2002 e
nel 2003 si sono presi la briga di menzionare il fatto che Saddam aveva
commesso le atrocità peggiori mentre il padre dell'attuale Presidente
lo ricopriva di aiuti finanziari.
In
ben altro modo sono andate le cose dopo il racconto di Nayirah sui
"neonati strappati alle incubatrici". Secondo lo stesso
database di Lexis-Nexis, la storia dei neonati tolti dalle incubatrici
ha ricevuto 138 citazioni durante i sette mesi intercorsi tra
l'invasione del Kuwait e la fine dell'operazione "Tempesta del
Deserto". Subito dopo la fine della guerra, i giornalisti, una
volta andati negli ospedali kuwaitiani e raccolte le testimonianze del
personale ospedaliero secondo il quale la storia era falsa, hanno
iniziato a ridimensionare la versione originale. Dopo il 1992, la storia
e' quasi del tutto scomparsa, con una media di appena 10 citazioni
all'anno nel decennio successivo. Tuttavia, la vicenda dei neonati
riaffiorò brevemente nel dicembre 2002, quando il canale HBO trasmise
in anteprima un documento "basato su una storia vera" dal
titolo "Live From Baghdad", nel quale si ripercorrevano le
avventure di Peter Arnett e di altri giornalisti della CNN durante
l'operazione "Tempesta del Deserto".
"Live
From Baghdad" includeva l'intero servizio sulle dichiarazioni di
Nayirah e di alcuni osservatori, dando l'impressione che la storia fosse
vera.
In risposta alle proteste suscitate dall'osservatorio sui media FAIR, la
HBO aggiunse una nota alla fine dei titoli di coda, in cui si ammetteva
che "le accuse mosse ai soldati iracheni di aver tolto i neonati
dalle incubatrici... non sono mai state comprovate".22
Naturalmente, la nota e' stata vista soltanto dai pochi telespettatori
che hanno letto i titoli di coda. Prima dell'inserimento della nota, il
critico televisivo del Washington Post Tom Shales, nella sua recensione
di "Live From Baghdad", aveva scritto: "L'orrore compiuto
in Kuwait ritorna vivido durante una sequenza in cui [Robert, il
produttore della CNN] Wiener e la sua troupe viaggiano attraverso il
Kuwait per indagare sulle accuse secondo cui i soldati iracheni
avrebbero strappato via dei neonati alle incubatrici durante un
saccheggio, ricordate?".23
Sarebbe
ingiusto puntare il dito contro Shales per aver rievocato un fatto mai
accaduto. Il racconto di Nayirah sulle incubatrici e' soltanto
l'ennesima dimostrazione di un principio, da tempo compreso dai
propagandisti, secondo cui una bugia ripetuta tante volte finisce per
essere accettata come verità.
John
Stauber e' il fondatore e il direttore del "Center for Media &
Democracy", un istituto che analizza la propaganda condotta dalle
multinazionali e dai governi. Lui e Sheldon Rampton pubblicano su
"PR Watch", l'osservatorio Usa sull'industria delle pubbliche
relazioni.
Note:
5. Information Operations, Air Force Doctrine Document 2-5, 5 agosto
1998, i–ii, viii, 4–5, 11, 13, <http://www.cadre.maxwell.af.mil/warfarestudies/iwac/AFDocs/afdd2-5.pdf>.
6.
Vedi pag. 60
7. "Citizens for Free Kuwait Files with FARA After a Nine-month Lag",
O'Dwyer's FARA Report, Vol. 1, N. 9, ottobre 1991, p. 2.
8. Ibid.
9. Arthur E. Rowse, "Flacking for the Emir", Progressive,
maggio 1991, pp. 21–22.
10. O'Dwyer's PR Services Report, Vol. 5, N. 1, gennaio 1991, p. 1.
11. John MacArthur, The Second Front: Censorship and Propaganda in the
Gulf War, (Berkeley, Calif.: University of California Press, 1992), p.
58.
12. Ibid.
13. "Iraq/Occupied Kuwait: Human Rights Violations Since August 2,
1990", Amnesty International, 19 dicembre 1990, p. 66.
14. MacArthur, op. cit., p. 84.
15. "Fitz-Pegado Works for Cayman Islands", O'Dwyer's PR Daily,
28 maggio 2002, <http://www.odwyerpr.com/members/archived_stories_2002/may/0528pegado.htm>.
Per ulteriori dettagli sulla campagna di pubbliche relazioni
svolta da Hill & Knowlton per il Kuwait, vedere John Stauber e
Sheldon Rampton, Toxic Sludge Is Good for You! (Monroe,
Maine: Hoover Institution Press, 1995), pp. 167–75.
16. ABC World News Tonight, 15 marzo 1991.
17. Robert L. Jackson, "Former U.S. Envoy, Two Others Charged in
Gulf War Scheme", Los Angeles Times, 8 luglio 1992, p. A1.
18. Michael Ross, "Doubts Cast on Girl's Account of Iraqi
Atrocities in Kuwait", Los Angeles Times, 7 gennaio 1992, p. A8.
19. Aziz Abu-Hamad, "Focus on Proven Abuses", lettera al
direttore, Washington Post, 4 aprile 1993, p. C6.
20. MacArthur, op. cit., pp. 51–53.
21. Joost R. Hiltermann, "America Didn't Seem to Mind Poison
Gas", International Herald Tribune, 17 gennaio 2003, <http://www.iht.com/articles/83625.html>.
22. "Activism Update: HBO Adds Disclaimer to Gulf War Movie",
Fairness and Accuracy in Media, 3 gennaio 2003, <http://www.fair.org/activism/hbo-incubators-update.html>.
23. Tom Shales, "'Live From Baghdad': The Cameras of War",
Washington Post, 7 dicembre 2002, p. C1, <http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn?
pagename=article&node=&contentId= A21263-2002Dec6>.