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Big Pharma: come produrre e vendere farmaci
A cura di Adolfo Di Bella – tratto da
http://www.dibellainsieme.org/discussione.do?idDiscussione=18538
Come
produrre e vendere farmaci inefficaci o dannosi per curare malattie
inventate, non curare malattie vere, distruggere scienza sperimentale e
clinica, finanziare studi fasulli, corrompere medici ed istituzioni
sanitarie, aggiogare mass media ed editoria, isolare ricercatori e
medici onesti e riempirsi sempre di più le tasche di dollari ed euro
alle spalle di chi soffre
Premessa.
In precedenti discussioni, come sul Forum, avevamo trattato un tema che
tocca tutti da vicino: quello del degrado della medicina provocato dal
potere farmaceutico. Non stiamo parlando unicamente di malattie
oncologiche od ematologiche, ma di ogni patologia, vera o presunta, che
affligge l'umanità. Il business raggiunge l'acme in ambito oncologico,
per il terrore che il cancro ispira a milioni di uomini, ma come edera
malefica si abbarbica intorno a qualsiasi malattia. Oggi ci consola
constatare come non siamo più soli a puntare il dito contro la
degenerazione di un mondo, quello della sanità, che dovrebbe essere
presidiato con particolare attenzione e severità da qualsiasi governo,
perché si sono unite, a noi e ad altri, voci numerose ed autorevoli.
Oggi
la società dei consumi e l'economia globalizzata (chiamatele come più
vi aggrada) hanno soggiogato le collettività umane, distraendole ed
ingannandole, con una pletora di falsità, slogan, luoghi comuni e
messaggi più o meno subliminali. Di conseguenza, si è venuto a creare
quasi un riflesso spontaneo, che porta a rifiutare gli allarmi
lanciati da un sempre maggior numero di persone libere e che ragionano
secondo logica, quasi fossero espressione di pretestuoso catastrofismo.
Ed è triste pensare che i primi a pagare di persona saranno i soggiogati,
se colpiti da malattie più o meno preoccupanti: tali non solo per
l'obiettiva gravità, ma per il negativo plusvalore costituito dai
farmaci proposti per combatterle, che possono rivelarsi più letali dei
morbi. E' bene, allora, rendersi conto che nessuno tutela davvero i
nostri beni più preziosi - vita e salute - per il semplice fatto che
essi sono, nel contempo, fattori di profitto economico e di potere.
Convinti che viviamo in un'epoca civile e di condivisa solidarietà, alleggeriti
da una politica suadente che incita a cancellare la parola
"dovere" dal vivere quotidiano, siamo stati indotti a credere
ad un'umanità liberata da ingiustizie e prepotenze e affratellata da
uno zuccheroso girotondo mano nella mano. E' vero il contrario, perché
siamo stati ridotti ad una immensa spugna che assorbe acriticamente ogni
scempiaggine, rassegnati a farci svuotare mente, cuore e anima ed
espropriare della salute dalla mostruosa EssepiA che domina il mondo
contemporaneo.
E'
triste e terribilmente difficile il compito delle Cassandre nel clima di
sofisticata barbarie del ventunesimo secolo. Chi si allontana dalla
musiva Linea Guida è sorvegliato a vista, e in ogni caso, una volta
isolato (infame sovversivo!) non può nuocere. Ci sarebbero tanti
compagni di cammino e di lotta, ma i più si smarriscono di fronte alla
prepotenza della suasione occulta, legittimamente (ma immoralmente)
sbottano in un: "ma cosa debbo fare io, l'eroe? A che servirebbe?
Non spetta a me, ci pensi qualcun altro. Casomai, se si muovono gli
altri, mi affiancherò". L'umanità è sempre stata egemonizzata a
causa di simili ragionamenti, salvandosi grazie a chi li ha rifiutati
con sdegno. Ma non si può più affidare l'avvenire nostro e delle
future generazioni al sacrificio ed alla croce di pochi. Occorre - tutti
- svegliarsi e muoversi prima che sia troppo tardi.
Lo
scopo di questa discussione è lasciare che altri descrivano
questo mondo surreale - eppure reale - che più volte abbiamo esecrato
nelle nostre pagine, e con una tale quantità di esempi documentati
da togliere ogni supposta patina di esagerazione o vis polemica alle
opinioni che condividiamo. Di più: intendiamo dimostrare che non tutti
sono in stato letargico di fronte alla dilagante corruzione e
contaminazione delle menti, ma che esiste un movimento di opinione
ancora minoritario, ma continuamente ingrossato da nuovi adepti, che -
finalmente - ci consente di sperare in un futuro migliore.
Sul
DiBellaInsieme abbiamo avuto modo di riferire su studi, pubblicati da
riviste collocabili nell'Olimpo dell'editoria scientifica, che hanno
smascherato le truffe statistiche dell'oncologia più retriva (ci
riferiamo al British Medical Journal ed al Clinical Oncology). Abbiamo
anche pubblicato una discussione-recensione sul libro di una studiosa di
assoluta autorevolezza, la Prof.ssa Marcia Angell, direttrice per oltre
vent'anni del New England Journal: "The truth about Drug Companies"
(La verità sulle case farmaceutiche) (vedi http://www.dibellainsieme.org/discussione.do?idDiscussione=8407).
Contemporaneamente
o successivamente al libro della Angell ne sono comparsi numerosi altri,
che espandono, approfondiscono, dettagliano l'avvilente agire delle
multinazionali del farmaco e l'incredibile sfruttamento dell'umanità
sofferente. Ciò che conforta, in questo panorama sconfortante, è
l'appoggio e la collaborazione che gli autori hanno ricevuto da parte di
medici, studiosi, ricercatori, funzionari governativi, parlamentari
statunitensi. Questo significa che non tutti sono disposti a vendere
coscienza e dignità per una mazzetta di dollari o di euro e,
soprattutto, che sono sempre di più coloro che comprendono come non si
possa più andare avanti mentendo, truffando, provocando sofferenze e
lutti per il budget aziendale o l'utile d'impresa.
Che
si cerchi di vendere alla gente lavatrici o televisori, stipare le case
di gingilli inutili, proporre investimenti disastrosi, scorticando la
nostra pazienza con telefonate promozionali o quintali di pubblicità è
già cosa deprecabile; ma che le stesse regole, gli stessi
fini, gli stessi strumenti si applichino alla salute, non è
più tollerabile. Quanti dei lettori debbono sopportare con obbligata
pazienza i tentativi di drogarli intellettivamente ed
ipnotizzarli da parte dei datori di lavoro? Quanti dipendenti di
istituti di credito, assicurazioni, enti finanziari si sentono
martellare insistentemente con frasi e parole-guida da proporre
al pubblico? Il tutto con argomentazioni che, riferite da dirigenti e
superiori, indurrebbero a dubitare della loro salute mentale, perché
intonate ad un "patriottismo aziendale" che non si sa se
definire ridicolo o paranoico. Le parole chiave, le...linee guida
(appunto) sono: "produrre di più! Guadagnare di più! Budget
collettivo! Budget individuale!". In realtà non si tratta di
paranoici, ma solo di ometti che vorrebbero rimbecillire i loro
dipendenti perché rimbecilliscano il pubblico. Nelle aziende
farmaceutiche la politica è identica, speculare, nei termini come nelle
metodologie. Il malato: Carneade, chi era costui? Non esiste il malato,
ma IL CLIENTE: o diretto (farmaci non esenti - sanità privata) o
indiretto (sanità pubblica).
Ed ora che abbiamo presentato il tema di questa prima discussione e
delle altre che seguiranno, citiamo un poco di bibliografia. Ovviamente
il testo base è quello prima citato (Marcia Angell: "Farma &Co.-
Editore "Il Saggiatore", € 16,50), per l'autorevolezza
dell'autrice. Ma la stessa, nel suo libro, fa riferimento ad altri
autori (tra i quali Melody Petersen, sotto citata), lodandone l'impegno
civile e la documentata indagine. Può confortare la notizia che la
Angell ha fatto proseliti anche tra gli studenti universitari, come
quelli della Harvard Medical School di Boston, che hanno inscenato
proteste pubbliche "..per chiedere la fine dell'influenza
esercitata nella scuola dalle potentissime aziende farmaceutiche".
Segnaliamo tre libri che ci sono sembrati particolarmente interessanti,
i primi due dei quali insperatamente tradotti nella nostra lingua:
-
Melody Petersen: "Dacci oggi le nostre medicine quotidiane:
venditori senza scrupoli, medici corrotti e malati immaginari" -
Modena, Nuovi Mondi, € 14,50.
-
Ray Moynihan e Alan Cassels: "Farmaci che ammalano: ...le case
farmaceutiche che ci trasformano in pazienti" - Modena, Nuovi
Mondi, € 14,00.
-
Sauveur Boukris: "Quelle medicine che ci fanno ammalare"
(uscito in Francia nella primavera 2009 e non ancora tradotto ed edito
in Italia).
Curioso
però che - a parte il libro della Angell - le due opere apparse nel
nostro Paese, Best Sellers da record negli Usa, siano
"sfuggite" ai più organizzati editori nazionali, quelli, per
intenderci, che possono contare su una distribuzione e, quindi, su una
diffusione capillare. La Nuovi Mondi è sicuramente una casa editrice
dinamica e condotta con intelligenza, ma appare improbabile che riesca
ad ottenere una diffusione quale meriterebbero i due libri. Mondadori,
Rizzoli, Einaudi, Utet......che distrattoni! L'ombra di Don Abbondio è
un'ombra lunga, che sembra proiettarsi permanentemente su ogni attività
ed aspetto sociale.
Ma
ora si alzi il sipario ed abbia inizio lo spettacolo!
Infanzia, adolescenza e gioventù delle Grandi Arpìe
§
1. Le uova del serpente.
All'inizio del secolo passato l'industria farmaceutica aveva un peso
modesto nel panorama economico occidentale. I farmaci erano in
prevalenza di fattura galenica e, alcuni, di efficacia modesta, ma
quantomeno non accompagnati da effetti secondari seri, mentre altri,
dotati di eclatante attività farmacologica, discendevano da rigorosi
studi sperimentali e dell'esperienza clinica. D'altra parte il ricorso
al medico avveniva nelle occasioni più serie e non al primo starnuto,
come succede oggi. Occorre aggiungere che molte vitamine e sostanze
utili giungevano integre sino alla tavola, a differenza di quanto accade
nella nostra civilissima epoca, nella quale un'esigenza così
fondamentale è stata sacrificata a logiche economiche ed alla
programmata distruzione del mondo rurale. Non solo e non tanto alla
tempra dei nostri avi, quanto a questo fattore è da attribuire il
grande numero di persone che - espressione ricorrente nei racconti dei
nonni - non avevano mai preso nemmeno un raffreddore.
La
considerazione che i medici e gli scienziati più qualificati avevano
dei farmaci industriali era scarsissima. Come riferisce la Petersen -
con particolare riguardo alla realtà statunitense - "i
professori delle facoltà di farmacia avevano una considerazione
talmente bassa di questi spacciatori di pastiglie, da precludere
sistematicamente l'accesso all'American Society for Pharmacology and
Experimental Therapeutics, fondata dal Dr. John Jacob Abel, a qualunque
scienziato collaborasse con tali società" (op. cit., pag.
150). Dal canto suo il Dr. Abel, nel 1915, così scriveva ai colleghi:
"E' cosa nota che chi pubblicizza farmaci e medicine spesso ha
difficoltà a limitare le proprie dichiarazioni ai fatti e deve ancora
guadagnarsi la nostra fiducia". Un episodio, risalente al 1925,
quando George Merck diventò presidente dell'omonima ditta farmaceutica:
in quell'anno fece clamore il romanzo "Il dottor Arrowsmith",
di Sinclair Lewis. Il protagonista, l'immunologo prof. Max Gottlieb, da
sempre fiero censore delle aziende farmaceutiche, viene costretto dal
bisogno a lavorare per una di queste. Tanto per mettere il dito sulla
piaga, un passo celebre del romanzo illustra come Gottlieb "...constatò
che i suoi nuovi datori di lavoro erano proprio come se li era
aspettati. Per esempio la società produceva una ‘nuova cura contro il
cancro' ricavata dalle orchidee, sbandierata a destra e a manca ed
efficace quanto l'acqua fresca". Alcuni scienziati,
evidentemente presi dal romanzo e compenetrati nei suoi personaggi,
reagirono con sdegno all'incoerente scelta del protagonista: "..come
è possibile che il vecchio Max sia passato dalla parte di questi
spacciatori di pastiglie?". Oggi, inutile dirlo, nessuno di
quanti vengono presentati quali numi della scienza si scandalizzerebbe
della defezione, né oserebbe parlare di "spacciatori di
pastiglie", visto che da questi ricava gran parte del suo reddito,
più o meno ufficiale, ed a questi deve cattedra, incarichi prestigiosi
e, in qualche caso, addirittura un immeritato premio Nobel.
Non
c'è quindi da meravigliarsi se la citata American Med. Ass.
raccomandava di stare lontani dal settore farmaceutico, in quanto "solo
da quei laboratori non compromessi con le società produttrici di
medicinali è lecito attendersi veri passi avanti". Il settore
farmaceutico doveva quindi conquistarsi una credibilità e cessare di
essere considerato un'accolita di Dulcamara. Uno dei più solerti
protagonisti di questa "rimonta" fu George Merck, presto seguìto
da altri. Venne promesso e garantito ai ricercatori accademici che
sarebbero stati indipendenti dagli interessi economico-finanziari delle
case farmaceutiche, ed alle promesse seguirono i fatti, sotto forma di
ingenti investimenti per la realizzazione di efficienti e moderni
laboratori di ricerca. In Europa, allora patria della scienza
sperimentale e della medicina clinica, il rischio di contaminazioni
economiche appariva meno concreto. Questo anche per l'elevato grado di
consapevolezza scientifica dei più accreditati scienziati e medici, la
cui formazione ed il cui orientamento poggiavano solidamente sia su una
eccellente preparazione biologica e biochimica, che su una mentalità
eminentemente fisiologica.
§
2. Giù la maschera!
Ma una volta accantonati i (giustificati) preconcetti degli ambienti
medici e conquistata una credibilità prima assente, le finalità
economiche si palesarono con cinica evidenza. L'occasione fu quella del
secondo conflitto mondiale e delle frequenti setticemie che si
verificavano nei militari e nei civili feriti. I sulfamidici, scoperti
dallo scienziato tedesco Gerhard Domagk, pur studiati da colleghi di
altre nazioni, non erano ancora disponibili per gli alleati, ma alcuni
scienziati informarono il governo americano della scoperta di Fleming,
fino a quel momento sepolta sotto una coltre di indifferenza non
disgiunta da commenti sarcastici (si parlava delle sue "inutili
muffette"). Il problema era come riuscire a produrre gli
antibiotici in quantità sufficienti a sopperire alle esigenze correnti.
Fu una levata di scudi da parte delle case farmaceutiche di fronte alle
richieste del governo statunitense e del Dr. Alfred Newton Richards,
dell'Università della Pennsylvania. Sia per la convinzione che il
progresso scientifico ed il bene comune dovessero prevalere sulle
ragioni del profitto, sia in quanto aveva fiutato che fossero imminenti
soluzioni d'autorità, il lungimirante G. Merck convinse altri tre
produttori a realizzare il frutto di una delle più importanti scoperte
di ogni epoca e, già nel giugno 1944, al momento dello sbarco in
Normandia, c'erano dosi di penicillina sufficienti per tutti i soldati
impegnati nell'operazione. A dire la verità, Merck, che aveva nel
frattempo brevettato la streptomicina, realizzata dal ricercatore
universitario A. Waksman (successivamente insignito del Nobel), decise
nel 1946 di liberalizzare il brevetto. La flessione del prezzo, dovuta
alla pluralità di produttori del farmaco, incontrò peraltro
l'opposizione di altri giganti del settore, tra i quali Pfitzer, il
quale nel 1950 disse senza peli sulla lingua che se i concorrenti
volevano perdere anche la camicia producendo antibiotici, si
accomodassero pure. Evidentemente a Pfitzer interessava poco dei milioni
di uomini, donne, bambini che potevano essere salvati da fatti
setticemici o da infezioni batteriche gravi, come polmoniti e
broncopolmoniti, grazie ai nuovi farmaci. Un segno chiaro del fatto che,
ben inseritisi nel tessuto socioeconomico delle nazioni più progredite
e superata l'antica diffidenza dei camici bianchi, i produttori di
farmaci non avevano più motivo di tenersi la maschera calata sulla
faccia. Tuttavia era ancora agli albori il processo di colonizzazione di
ogni struttura ed organizzazione sanitaria oggi consolidatosi, e
l'indipendenza, in special modo di molti ambienti universitari,
equilibrava gli appetiti economici aziendali. Oltre a questo - seguiamo
la traccia della Petersen, concentrata sulla realtà americana - c'erano
limiti imposti da una legge approvata nel 1938, sull'onda di una
tragedia provocata da un farmaco, la sulfanilammide, che aveva ucciso il
30% di coloro che l'avevano assunta, spingendo al suicidio il
responsabile chimico della ditta produttrice (altri tempi....). La legge
obbligava il produttore a controlli sulla sicurezza del farmaco prima
della sua immissione in commercio. Uno degli agenti federali incaricati
delle indagini scrisse, a proposito degli industriali farmaceutici:
"..apparentemente non fanno che assemblare il farmaco e, se non
esplode, lo mettono in vendita....".
L'obbligo
introdotto costrinse le case farmaceutiche ad assumere scienziati,
considerati un tempo nemici dell'attività, ora indispensabili per
proseguirla. Al termine del conflitto, negli Usa si era passati dalle
poche migliaia di ricercatori di vent'anni prima a 58.000 unità. Se ne
avvantaggiò la farmacopea, che nel periodo fra il 1935 ed il 1955 poté
disporre di più farmaci utili ed efficaci di quanti ne fossero stati
realizzati nell'intera storia della medicina: vaccini, vitamine di
sintesi, antistaminici, nuove generazioni di antibiotici, antivirali, tranquillanti
e .....sua maestà il cortisone. Per un breve periodo gli interessi dei
malati coincisero con quelli dei produttori, i quali, nei dodici anni
intercorsi fra il 1945 ed il 1957, raddoppiarono le vendite.
A
questo punto la collettività cadde in quello che potremmo definire il
"grande equivoco". Tante malattie mortali o
potenzialmente mortali che avevano terrorizzato intere generazioni -
polmonite, infezioni, poliomelite ecc. - venivano guarite o arginate, e
la gente ritenne raggiunto o imminente il sogno di un mondo liberato da
qualsiasi malattia. Peggio ancora: ci si convinse che la scienza aveva
compiuto passi da gigante (rispetto al passato, questo era vero) ed
avrebbe bruciato le tappe nel debellare le patologie rimaste coriacee.
Nessuno, o pochi, pensò che si trattava di morbi causati da
microrganismi, per cui, individuato l'agente esogeno, era facile
eliminarlo e con questo eliminare la malattia. Ma nel frattempo era
venuta a delinearsi un'autentica tragedia per la medicina e per i
malati: il progressivo allontanamento dallo studio della fisiologia, la
graduale decadenza della maestria semeiotica, l'abitudine a ragionare in
termini di specialità anziché di princìpi attivi, lo scollamento
sempre più marcato tra ricerca e clinica. Il mutare degli equilibri e
delle influenze - forzatamente anche culturali - seguìto al secondo
conflitto mondiale, causò la sostituzione della mentalità
anglosassone, portata più alla praticità che all'approfondimento, alla
grande scienza ed alla grande medicina dei fisiologi italiani, tedeschi,
francesi. Il terreno era ora pronto per la grande abbuffata.
§
3. Incidenti di percorso
Dopo "l'incidente" del sulfanilammide, i controlli prima
dell'immissione sul mercato di un prodotto venivano fatti, ma
superficialmente; anzi, sempre più superficialmente, grazie al calo di
attenzione e di controlli degli enti governativi a ciò deputati ed alla
penetrazione nel frattempo realizzata negli ambienti universitari e tra
i ricercatori. In poche parole, i controllori erano controllati
in percentuale importante! Ma un punto fondamentale riguarda il duplice
aspetto della ricerca promossa dal settore farmaceutico: da una parte,
gli effetti collaterali erano osservati (quando non disinvoltamente
nascosti) a breve termine, in secondo luogo, i nuovi farmaci
vennero ideati e prodotti alla cieca e senza un "razionale"
teorico-sperimentale approfondito e preventivo. Basta/bastava farsi
preparare quattro nozioni apparentemente colte da uno dei tanti
scribacchini di laboratorio, ed il nuovo farmaco partiva a velocità
vertiginosa come i quotidiani che escono dalle rotative. Finita l'epoca
delle grandi malattie infettive e pressoché esaurite le patologie ad
origine esogena, si apriva il mondo delle malattie derivanti da
disfunzioni, anomalie, squilibri: la parte più vasta e difficile della
morbilità umana, che solo una vasta, sconfinata cultura fisiologica,
neurofisiologica, endocrinologica poteva decifrare e risolvere con
studio attento ed affrancato dalle fregole budgettistiche dei giganti
del farmaco. "Qui casca l'asino", si potrebbe esclamare: sì,
è cascato, ma schiacciando sotto il suo corpo rozzo e pesante milioni
di sofferenti.
Lasciamo
parlare gli esperti. "La gente iniziò ad immaginare un mondo
senza malattie....giornali, riviste, radio e televisione salutavano
trionfalmente ogni nuovo farmaco come ulteriore portento terapeutico,
frutto della medicina moderna. Quasi sempre si trattava di notizie
gonfiate ad arte, ma i mezzi di informazione sapevano bene ciò che il
pubblico voleva sentire...." (M. Petersen, pag. 156 opera
citata). Rivelatrice l'osservazione del dott. James Le Fanu: "Dato
che le conoscenze scarseggiavano, l'industria optò per un metodo di
ricerca decisamente più grossolano: i ricercatori assoldati dalle case
farmaceutiche presero a sintetizzare milioni di composti chimici e li
testarono, sperando in un colpo di fortuna che garantisse ai
loro prodotti una qualche utilità terapeutica".
Siamo
quindi in pieno empirismo, a livello degli alchimisti che dissertavano
sulla pietra filosofale. Un esempio della inaffidabilità dei controlli,
dei quali abbiamo parlato sopra, si è rivelata ad esempio per il
cortisone e la streptomicina. Riguardo al primo, "...i dottori
stabilirono che il farmaco causava una grave forma di osteoporosi
spinale e ulcere allo stomaco talvolta letali". Quanto alla
streptomicina, si moltiplicarono segnalazioni circa l'indotta sordità e
fenomeni di acuta tossicità nei bambini. E si trattava solo di una
parte - la meno pericolosa - di ciò che l'abuso di farmaci simili
avrebbe provocato. In ogni caso, controlli o non controlli, la macchina
era partita ed eventuali disavventure in un modo o in un altro si
potevano accomodare. Un esempio è costituito dalla tragedia della
Talidomide, prodotta dalla Merrell, società collegata al gruppo Vick,
su concessione della Chemie Grünenthal tedesca. La talidomide venne
venduta come forte sedativo, presentato come immune dagli effetti
collaterali dei comuni barbiturici. La Merrel affermò solennemente che
il farmaco era "del tutto sicuro". Le vendite
riguardarono milioni di persone in tutto il mondo e, siccome la fame
vien mangiando, il medicinale venne proposto non solo per alleviare
sintomi tipici delle donne in gravidanza, nausea e vomito, ma
addirittura quale strumento ideale per "calmare i bambini
ansiosi, nervosi e irrequieti....ottimo anche per i neonati"
(dalla pubblicità della ditta produttrice: Time, 23/2/62). Prima di
continuare l'argomento: il lettore memorizzi attentamente questo
messaggio promozionale, perché si tratta del primo ripugnante esempio
di sfruttamento dell'infanzia.
La
Merrill, ottenuta la licenza, promosse la sostanza chiamando la
specialità "Kevadon", proponendola a ginecologi e pediatri e
sollecitando alcuni medici a scrivere relazioni: queste sarebbero
servite quali "prove" di attività e sicurezza da presentare
alla FDA. Presto apparvero i segni sconvolgenti del danno provocato
dalla Talidomide: migliaia di feti morti, migliaia di bambini
focomelici, con mani e piedi appena abbozzati. Il British Medical
Journal pubblicò nel 1960 una relazione dalla quale emergevano danni al
sistema nervoso di alcuni pazienti. Il farmaco, incredibilmente,
riapparirà trent'anni dopo quale inibitore dell'angiogenesi nei
pazienti oncologici! Indipendentemente dall'opinabilissima azione in tal
senso (svolta in misura di gran lunga più efficace e atossica dalla
somatostatina.....), la sostanza maledetta si sarebbe rivelata un
autentico vaso di pandora di ulteriori gravi effetti collaterali,
pregiudicando, anche irreversibilmente, la trasmissione neuromotoria
relativa all'intestino. La cosa più grave è che, come si scoprì
successivamente, i primi casi di bambini deformi erano stati registrati
in Germania nel 1957, ma la notizia venne censurata e si dovette
attendere il 1960 perché un medico di Amburgo, il Dr. Lenz, riuscisse a
far giungere ai mass media la notizia che una quarantina di bambini
della sua città, le cui madri erano state indotte ad assumere il
farmaco, erano nati deformi. Come reagì la Merrell quando apprese dei
primi tragici effetti del farmaco? Tacendo, cercando di silenziare e,
cosa di gravità inaudita, di accelerare l'immissione (regolare) in
commercio. Un'esponente del FDA, la D.ssa Kelsey, fin dall'inizio
contrariata dalla scarsità di prove scientifiche nella documentazione
presentata dalla Merrell, lesse il B.M.J., e decise di riesaminare più
attentamente la richiesta di autorizzazione alla vendita. Ebbene: i
dirigenti della casa farmaceutica, già al corrente delle tragedie in
atto, la attaccarono "furiosamente".
§
4. Qualcuno inizia a capire
I lutti provocati dalla talidomide non potevano non provocare
reazioni ufficiali, che si manifestarono con un'indagine da parte del
Congresso. Il senatore Kefauver-Harris propose un rafforzamento dei
controlli da parte della FDA, ottenendo l'approvazione unanime del suo
disegno di legge: quantomeno per la parte che riguardava specificamente
l'argomento. Rimase invece senza seguito la serie di proposte che il
parlamentare aveva presentato per ridurre il prezzo dei farmaci: il
primo vero e proprio braccio di ferro tra autorità governativa e Big
Pharma aveva visto così prevalere l'influenza della seconda. E dire che
la logica delle osservazioni era stringente: come mai, con
l'intensificarsi della concorrenza, l'aumento di vendite e profitti, gli
immensi risparmi ottenuti grazie al perfezionamento dei procedimenti di
sintesi, i prezzi salivano anziché scendere? La cosa costituiva
un'anomalia unica nella storia dell'economia.... "Molti
dirigenti farmaceutici mossero aspre critiche alla legge",
scrive la Petersen, aggiungendo che alcune aziende farmaceutiche
minacciarono di chiudere e di trasferirsi all'estero, con conseguenze
devastanti sull'occupazione. Evidentemente il mondo politico americano
ritenne indispensabile (o conveniente?) moderare toni e controlli, dato
che negli anni successivi non si sarebbero contate le medicine
autorizzate dopo controlli sommari e documentazioni lacunose o sommarie.
Il
settore farmaceutico, da parte sua, rivendicò le benemerenze del
passato (glissando su infamie di ogni genere e sul fatto che il merito
spettava quasi esclusivamente a singoli ricercatori indipendenti) ed
oppose il costo esorbitante della ricerca. Se nel 1979 si stimava che un
nuovo farmaco comportasse investimenti per 54 milioni di dollari, la
cifra salì a 231 nel 1991 e 802 nel 2001!!! Peccato che buona parte del
costo attribuito alla ricerca o fosse gonfiato o si riferisse, in realtà,
a spese promozionali (comprese anche quelle inconfessabili....),
pubblicitarie e di marketing! Difficile non collegare le fiere proteste
con quelle dei commercianti più sfacciati: quelli che giurano e
spergiurano "..non ci guadagno quasi niente", "non copro
neanche le spese", "guadagno meno dei miei dipendenti"!
Fra l'altro, nei lai degli "spacciatori di pillole" c'erano
alcune piccole dimenticanze: "...la maggioranza dei farmaci
salvavita fondamentali...oggi non sarebbe disponibile se i contribuenti
non avessero preso in carico i costi della loro scoperta....La rilevanza
del denaro pubblico per il settore, in realtà si estende ben oltre ciò
che le case farmaceutiche vorrebbero far credere e riguarda la maggior
parte delle medicine più importanti...".
In conclusione: il cittadino paga tasse per consentire a gruppi senza
meriti e senza scrupoli di accumulare utili immensi rivendendogli a
prezzi esageratamente gonfiati quello che lui ha già pagato sotto forma
di imposte, e che spesso o non funziona o gli fa del male anziché del
bene! E' un paese libero quello nel quale avviene questo? Le istituzioni
governative sono fantocci di cartapesta pilotati o entità autonome?
Verifichiamo
allora se queste considerazioni siano unilaterali e forzate. Leggiamo
qualche altro passo illuminante: "Per creare un simile sistema,
le case farmaceutiche costituirono e finanziarono delle lobby capaci di
esercitare pressioni politiche su Washington per modificare le leggi a
loro favore, rendendo più semplice brevettare un medicinale e
assicurarsene il controllo per anni ed anni. Inoltre, riuscirono a
rendere illegale la pubblica diffusione del prezzo dei farmaci, con il
risultato che, ben presto, nessuno fu più in grado di dire quanto
costassero in realtà le medicine" (op. cit. pag. 158).
Tornando al senatore Kefauver, emergono verità ancora più
sconvolgenti. Il parlamentare, durante una delle udienze al Congresso,
chiese al Dr. A. Dale Console, ex dirigente della Squibb & Sons, la
percentuale di farmaci inutili o dannosi oggetto delle
"ricerche" delle industrie farmaceutiche. Ecco la risposta:
"Direi più della metà. E sottolinerei che la totale inutilità
di molti di questi prodotti è cosa nota già al momento della loro
ideazione. Prodotti inutili, ma che venderanno". Aggiunse
quindi che le case farmaceutiche avevano un raro talento nel creare
"falsi miti", come quello costituito dal materiale
informativo recapitato ai medici, ed una "..capacità unica di
far passare lo sfruttamento economico per una nobile causa".
L'insolenza
ed arroganza degli alti dirigenti in servizio può essere esemplificata
invece dalle dichiarazioni di Francis C. Brown, presidente di Schering
Corporation, il quale, incalzato da Kefauver sui prezzi troppo alti dei
farmaci, rispose che non erano i farmaci ad essere troppo cari, ma
"..gli americani a non guadagnare abbastanza", ed
all'osservazione che abbassando i prezzi si sarebbero attirati più
clienti "..senatore, non possiamo moltiplicare i malati"
(Atti del Congresso, 7-12 dicembre 1959). Ma vedremo che anche questo
prodigio porterà ad una riedizione - anche se truffaldina - della
moltiplicazione dei pani: i malati sono stati aumentati sia togliendo
dalla circolazione sostanze utili, che perpetuando con farmaci
inefficaci patologie altrimenti temporanee, che facendo diventare malati
i sani, che inventando nuove (ed inesistenti) patologie. Sarà questo il
tema di paragrafi che si succederanno.
Ma continuiamo a spulciare tra i verbali di questa inchiesta
governativa, e troveremo una delle prove di un falso rato e consumato:
quello dei costi della ricerca quale fattore dei prezzi elevati. Il
dott. E. Giffors Upjohn, presidente dell'omonimo colosso farmaceutico,
dovette ammettere che il 28,6% dei costi elencati nel conto economico
era comportato da spese di promozione, sotto forma di retribuzione di un
migliaio di rappresentanti!!! Quando i funzionari governativi che
collaboravano con il senatore indagarono sul bilancio, scoprirono che il
profitto medio netto dell'azienda (al netto, quindi, di ogni costo,
degli oneri finanziari, dell'imposta sugli utili, di ammortamenti ed
accantonamenti) raggiungeva il 21,4% del fatturato, circa il doppio
dell'11% di aziende di altri settori. Ma perché spendere tanto in
marketing? Lo chiarì il dott. Louis Lasagna, direttore dell'istituto di
farmacologia clinica della Johns Hopkins: troppi farmaci "..non
funzionavano altrettanto bene dei farmaci più vecchi che avevano
sostituito". Assai eloquente anche un articolo del farmacologo
Walter Modell, il quale rivelò che le aziende si dedicavano ad una
"roulette permanente", incaricando i propri chimici di
apportare quelle minime alterazioni alla composizione molecolare dei
farmaci dei concorrenti per aggirare i limiti dei brevetti. Concluse che
questa "manipolazione molecolare" mirava ad "infilarsi
in un mercato realizzato sulle scoperte realizzate da qualcun altro".
Prossimamente
tratteremo in modo più specifico - e, in un certo senso, più
coinvolgente - argomenti relativi a farmaci rivelatisi dannosi o
inefficaci, a malattie inventate, alla corruzione ed alla campagna
acquisti delle case farmaceutiche, con riferimenti anche a medicinali
ampiamente diffusi, magnificati e prescritti nel nostro paese
Continua...