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Vattelapesca
forever
di Carlo Bertani – 28 maggio 2008
“Puoi raggiungere risultati altamente
superiori con un team molto motivato, che dispone di macchinari vecchi e
fatiscenti dislocati in un vecchio capannone, rispetto a quello che
riuscirai a raggiungere con un team demotivato e privo di stimoli, che
ha accesso alle migliori attrezzature e infrastrutture.”
Reinhold
Würth, imprenditore tedesco che ha costruito, partendo da una
ferramenta, un’azienda di levatura mondiale, che occupa 51.000
dipendenti e che spazia dai sistemi di fissaggio ai pannelli solari.
A
dire il vero, non meriterebbe nemmeno d’interessarsi alle vicende
della misera borghesia italiana, tanto è diafana e poco incisiva nel
panorama europeo; verrebbe da dire: lasciamo questi poveri parvenu in
SUV al loro misero destino, se il loro fato non intersecasse il nostro.
Era tanto tempo che non s’udiva un condensato di bugie e pessime
intenzioni – di tal, miserrimo livello – in una relazione di
Confindustria: anche gli imprenditori italiani confermano l’andamento
“in picchiata” del Paese.
L’assemblea,
che ha accolto Emma Marcegaglia come novella presidentessa degli
industriali italiani, è iniziata con un minuto di silenzio per
l’oramai quotidiano morto sul lavoro. Probabilmente, sicuri delle
statistiche, erano riusciti a programmare già tutto il giorno prima.
Avrebbero potuto fare tre ore di silenzio, perché il resto del tempo è
servito soltanto a sparare cavolate a fiumi.
La prima uscita è in perfetta sintonia con il minuto di silenzio, per
uno dei tanti poveracci che crepano nei lager italiani definiti
“luoghi di lavoro”: de-tassazione degli straordinari! Evviva! Siamo
con te – echeggiano – Veltrusconi in sala.
Chi ha un minimo di conoscenza del lavoro, anche un semplice delegato
sindacale, dovrebbe conoscere gli studi che da decenni si attuano sul
rapporto fatica/lavoro, ossia sulla stanchezza del lavoratore.
Senza
entrare troppo nei particolari né ingombrare spazio con grafici, si sa
che l’attenzione è vigile nelle prime quattro ore di lavoro, poi
inizia a decrescere nelle successive due, mentre nelle ultime due
finisce per crollare. Non bisogna essere degli scienziati per capirlo:
chiunque lavori od abbia lavorato lo sa.
In un Paese flagellato da anni, sempre più, dalla piaga dei morti sul
lavoro, la “bella pensata” è quella d’aggiungere altre ore di
lavoro all’orario: dai, che così ti porti a casa una bella
“busta”! Insieme alla roulette russa.
Veltrusconi plaude.
E’
naturale pensare che, se aggiungiamo ore di lavoro, la fatica aumenta,
la qualità del lavoro decresce ed il rischio di farsi male aumenta
enormemente.
Risultato: lavoratori sempre più stanchi, maggior incidenza del
rischio.
Per lor signori, invece, gli straordinari significano meno persone
impiegate (e, quindi, minori costi fissi) ed un maggior sfruttamento del
singolo lavoratore. Ne crepa qualcuno? E beh? Quanti minuti di silenzio
si possono fare nelle ventiquattr’ore?
Il denaro può rappresentare certo una motivazione, ma se il lavoratore
– proprio perché sono sempre meno e lavorano di più – quando torna
a casa ritrova i figli disoccupati o sotto-occupati, che fa? S’attacca
ai 200 euro di straordinario?
Il
modello proposto, e benedetto da Veltrusconi – inutile girare intorno
al problema – è quello americano: paghe basse, lunghi orari di
lavoro, poche vacanze. Insomma: trotta e galoppa (se ci riesci) in
silenzio. E’ sotto gli occhi di tutti quale “miracolo economico”
stiano vivendo gli USA con questa impostazione.
E veniamo alla seconda “pensata” di Emma. Per scaldare la platea, è
sempre utile dare addosso ai fannulloni, che sono identificati con i
maledetti statali. Emma non pensa che, così parlando, demotiva ancor più
milioni di statali, ma Emma non ha una cultura dello Stato: d’altro
canto, la classe imprenditoriale italiana non ce l’ha mai avuta.
Veltrusconi, in sala, ammicca.
Emma,
però, non si è nemmeno informata; allora provvediamo noi a fornirle
qualche dato, perché qui siamo oramai arrivati alla nota teoria:
“dammi tre mezze bugie e ti costruisco una mezza verità”.
Emma e Veltrusconi non sanno (e, da parte di Veltrusconi, è più grave)
che
Comunque, ecco i giorni d’assenza, elaborati dalla CGIA
di Mestre su quelli forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato:
Ministeri:
14,31
Corpi di polizia: 13,31
Agenzie fiscali: 13,11
Presidenza del Consiglio: 12,95
Regioni e nelle Autonomie locali: 12,73
Enti non Economici: 12,69
Sanità: 12,40
Enti di ricerca: 11,38
Regioni a statuto speciale e le province autonome: 7,31
La
media ragionata, sulla base dei dipendenti in servizio nelle varie
amministrazioni eseguita dalla CGIA di Mestre, è di 11,54. Quella dei
lavoratori metalmeccanici del settore privato è di 9,6. Differenza:
1,94 giorni l’anno – meno di due giorni! – per un costo di circa 4
miliardi di euro, non 14 come aveva urlato il Lucherino. Va bene che gli
zeri davanti non contino nulla, ma gli “
Evidentemente, Lucherino, Emma & Veltrusconi hanno bisogno di
qualche ripetizione in Matematica: oppure, dovrebbero tornare a scuola
“d’onestà”, visto che i dati sono ufficiali, emanati dalla
Ragioneria Generale e disponibili per tutti sul Web.
E due.
Il
terzo boccone è di quelli ghiotti, perché Emma si lancia nell’agone
energetico: e facciamo ‘sto nucleare! Berlusconi fa finta di dire sì,
Veltroni finge di dire no. Ad entrambi, frega assai poco: lasciamola
dire. Scajola assicura che sarà posata la “prima pietra” di quattro
centrali entro pochissimi anni. All’uomo che osò definire “un
rompicoglioni” Marco Biagi, a cadavere ancora caldo, avremmo molti
consigli da dare sul come utilizzare quella prima pietra. Ne basterebbe
una.
Abbiamo però una buona notizia da fornire ai tanti, infervorati
sostenitori dell’atomo: il problema delle scorie è stato risolto!
Non possiamo, ovviamente, rivelare qui le nostre fonti, ma possiamo
assicurare che esiste già l’assenso di un Comune italiano per la
custodia del materiale nucleare esausto prodotto dalle centrali.
Possiamo
rivelare solo il nome del comune: nulla più. Ovvio: c’è il segreto
di Stato su tutto, oramai, anche sul rubinetto del gas sul balcone. Lo
vuoi spostare? Ti mandano il SISMI.
L’ameno borgo appenninico di Vattelapesca ha già assicurato patron
Berlusconi che, grazie ad alcune provvidenziali caverne, sarà possibile
stivare nelle profondità della terra tutte le scorie, in modo sicuro e
per sempre.
Silvio si è commosso: ha promesso al Sindaco che costruirà nel comune
di Vattelapesca Milano 12 e – per almeno un decennio – dagli studi
TV che costruirà nella città satellite s’esibiranno ogni sabato sera
Maria de Filippi, Mariano Apicella e Mara Carfagna. Come soubrette,
ovviamente. Perché: fa dell’altro?
I
costi per la ristrutturazione delle caverne sono stati stimati in circa
2,4 miliardi di euro: tutto sommato, un terzo del Ponte di Messina. Un
affare: tanto, pagheranno i nostri figli e nipoti.
Un vero e proprio fremito di gioia ha colto la lobby nucleare: pare
addirittura che il professor Franco Battaglia, pasdaran
dell’atomo, voglia esibirsi in un brano soul intitolato “My sweet reactor”.
I costi dell’impresa sono stati “girati” sulla scrivania di
Tremonti il quale – in compagnia dell’inseparabile calcolatrice a
manovella – li sta esaminando. Anche qui, grazie ad una “gola
profonda”, siamo riusciti a sbirciare.
Le
centrali in costruzione saranno quattro, ciascuna per una potenza
massima di 1.350 MW: complessivamente 5.400 MW di nuova potenza
elettrica, circa 1/10 se la calcoliamo sui picchi di richiesta della
rete.
La potenza totale annua che si riuscirà ad ottenere – 24 ore su 24
per 365 giorni – sarà di 47.304.000 MWh, che sarà disponibile per
circa 25 anni. Oddio, le moderne centrali durano anche di più, ma
dobbiamo considerare i notevoli costi di manutenzione delle stesse su
lunghi periodi. Insomma (forse) le attenuanti compensano (difficilmente)
le aggravanti.
Quanto renderanno?
Qui,
la materia è complessa. I costi del nucleare dipendono in gran parte da
chi si assume l’onere dell’arricchimento dell’Uranio: se, come in
Francia, sono i militari a farlo, una bella fetta dei costi sembra
scomparire. In realtà, cambia solo capitolo di bilancio e viene
“spalmata” sulla fiscalità generale.
Altri Paesi, come
L’Italia, non avendo armamento nucleare, s’avvicinerebbe forse di più
alla Germania, ma siamo ottimisti: 100 euro il MWh e non ne parliamo più.
Di conseguenza, in quei 25 anni le centrali renderebbero
118.260.000.000 euro di controvalore, ossia circa 118 miliardi di euro.
Fin qui, tutto bene e Tremonti si strofina le mani. Poi, si passa ai
costi.
Tremonti
non valuta l’andamento del prezzo dell’Uranio – in crescita
esponenziale – perché non è suo compito, e nemmeno s’interessa
alle stime della IEA[2]:
circa 40 anni d’Uranio a questi prezzi ed agli attuali consumi, poi si
va al raddoppio (sempre che i cinesi non si “mangino” tutto) per
altri 40 anni. Quindi, fine dell’Uranio.
Ovviamente, un sito così importante richiede un’attenta sorveglianza
militare: almeno un paio di compagnie più il comando e la logistica.
Una cinquantina di dipendenti civili (amministrazione, mensa,
comunicazioni, ecc) e siamo a duecento persone, dal fantaccino al grande
dirigente.
Ci sono poi i costi fissi per la manutenzione e le compensazioni che il
comune di Vattelapesca ha richiesto e che sono state – per ovvi motivi
politici – subito accettate.
Riassumendo:
Potenza prodotta in 25 anni: 1.182.600.000 MWh
Controvalore economico: 118 miliardi di euro.
Spese
annue:
Stipendi annui (3000 euro mensili medi lordi): 7.800.000 euro
Compensazioni richieste da Vattelapesca: 180.000 euro
Spese di manutenzione (automezzi, energia, comunicazioni, ecc): 45.000
euro
Per
un totale di 8.045.000 euro,
circa 8 milioni annui. Beh, poteva andare peggio – pensa Tremonti –
prima di verificare gli anni di spesa.
Gli
anni di spesa sono circa 20.000 – legge dal foglietto che gli ha
lasciato Scajola… – e facciamo ‘sta moltiplicazione…
Rattle, rattle, rattle…
Fanno 160.900.000.000 euro, 160 miliardi, quasi una volta e mezza il
ricavato d’energia. Tremonti fa spallucce: saranno cavoli dei futuri
ministri economici.
Ciò
che c’è di veramente allucinante in questa follia è quel numero –
20.000 – che corrisponde a grandi linee al tempo di decadimento delle
scorie. Se le centrali inizieranno a funzionare nel 2025 e termineranno
– poniamo – nel 2050, nel 22.050, finalmente, a Vattelapesca
potranno chiudere baracca e buttare tutto nel cassonetto.
Ma, qualcuno si rende conto di cosa sono 20.000 anni?
Se riflettiamo sulla storia che conosciamo – a partire da tradizioni
scritte convincenti – pur esagerando, non giungiamo a 2500 anni. Di
questi due millenni e mezzo, solo gli ultimi 200 anni sono stati, in
qualche modo, “tecnologici”.
Con una “bordata” alla platea degli imprenditori italiani, Emma non
racconta ciò che succederà a Vattelapesca nei prossimi 20.000 anni.
Potremmo azzardare:
Nel
3456 un terremoto distrugge l’impianto: ricostruzione totale.
Nel 4215 l’Unione Africana attacca dallo spazio e colpisce
Vattelapesca, insieme ad altre 80 città italiane.
Nel 13467 un’epidemia sconosciuta falcia la popolazione ed il sito
viene abbandonato…
Siamo
alla completa follia.
Qualcuno potrà azzardare che si troveranno altre soluzioni…che
nasceranno nuove tecnologie…bla, bla, bla…la realtà, è che oggi
questo è lo stato dell’arte, non altro. Vattelapesca forever.
Nessuno, ovviamente, riflette un solo secondo sul significato reale di
“20.000 anni” e nemmeno si sogna di comunicare che, negli USA, la
produzione eolica reale (non la potenza di picco) ha superato di gran
lunga quella nucleare. Che
Nei
cantucci, qualcuno inizia a far conti: se sommiamo i 7 miliardi del
Ponte con i 14 della TAV, più…quanto le centrali? 6-8? Bene! E
Vattelapesca? Peccato, solo 2 miliardi…comunque…somma: sant’Iddio,
che manna!
E tre: questo è il livello di chi dovrebbe guidarci.
Intanto, in platea, Veltrusconi gongolano e si scambiano battute: «Hai
visto, io, con Maroni? 61 anni e 36 di contribuzione!» Attacca
Berlusconi. «Niente da fare, amico mio, ti ho battuto con il “mio”
Damiano: 62 anni e 37 di
contribuzione!», risponde il Veltro. «Siamo una bella squadra»,
conclude il Berlusca.
La
nostra rampante presidentessa ascolta, e riesce ad intendere qualche
brandello del dialogo. Qui – pensa – con quei due che blaterano
sulle pensioni, corro il rischio di giocare la parte della bella
statuina. Supera allora il grande Houdini e rilancia: «Le pensioni?
Fine dell’età fissa per andarci (come se esistesse ancora…):
“indicizziamo” la pensione alla previsione di vita!» Scroscio
d’applausi. Sì, qualcuno aggiunge: così le donne – in una sola
“botta” – aumentano d’almeno dieci anni!. Risate, pacche
amichevoli: l’atmosfera si galvanizza.
Un tempo s’indicizzavano i salari, ossia la ricchezza prodotta, oggi
t’indicizzano gli anni che ti restano da vivere. Ogni anno,
l’occupazione nelle grandi imprese decresce pressappoco dell’1% e la
produttività, ossia la ricchezza prodotta, cresce dell’identico
valore: se vent’anni fa, con 100 operai si costruivano 100 automobili,
oggi con 80 se ne fanno 120. Ci saranno pure i costi d’investimento,
ma il rapporto fra le retribuzioni degli operai e dei dirigenti è
passato da 1:100 ad 1:7000. Traccia evidente delle tasche nelle quali
vanno a finire quelle 20 automobili in più, ed il risparmio di 20
operai.
Un
anno fa la benzina costava 1,25: adesso 1,50. La pasta 60 cent il pacco,
oggi la stessa confezione costa 90 cent. Veltrusconi tace: qui, è
meglio non parlare di “indicizzazione”…
In questa “indicizzazione” della vita delle persone c’è tutta la
protervia e la spocchia della razza padrona: noi siamo i proprietari
delle vostre vite, del sangue e della linfa che scorre nei vostri corpi
e ce la aggiudichiamo a colpi di riforme scritte dai nostri lacché
veltrusconiani.
Non esiste più una semplice vita, così, senza aggettivi: esiste
solo una vita lavorativa, produttiva, fruttifera (per noi eletti). Non
può esserci decrescita, scelta, contrazione d’inutili consumi: no, più
orpelli sugli scaffali dei supermercati, più vita smarrita fra le
catene di montaggio, più soldi per noi e per le nostre banche.
Veltrusconi tace ma gongola: sa che avrà la giusta mercede, i trenta
denari della tradizione.
La
razza padrona finge d’essere il “motore” della Nazione,
dimenticando che – senza i muratori – Michelangelo non avrebbe mai
costruito la cupola di San Pietro.
Cos’ha costruito questa generazione di padroni del vapore? Ricordo
anni lontani, quando ad Ivrea esisteva un’azienda in grado di produrre
processori e software almeno di pari livello rispetto alla IBM
americana. IBM varava il processore 286, Olivetti rispondeva con
l’M24, diventando il secondo produttore mondiale di PC. Passano gli
anni e, oggi, ad Ivrea gli stabilimenti Olivetti si sono trasformati
nella solita archeologia industriale abbandonata: vetri rotti, ruggine,
abbandono, dove un tempo gli Olivetti avevano costruito addirittura gli
asili nido interni – tutto vetro, affinché i bambini potessero avere
il meglio – per aiutare, e di conseguenza motivare, le loro
maestranze. Quella era gente che poteva stare al livello di
Reinhold Würth.
Quel
che poi è avvenuto ha nome e cognome: Carlo de Benedetti, grande
boiardo di Stato, capace d’acquistare
De Benedetti dapprima trasformò un’attività produttiva – Olivetti
– in una società di servizi, Omnitel, che infine divenne Vodafone. Si
potranno raccontare mille storielle sulla vicenda de Benedetti, ma la
realtà è una sola: l’ingegnere torinese, per Ivrea, è stato peggio
di Gengis Khan. Deserto.
L’altro bravo messere è morto suicida (almeno, questa è la verità
ufficiale), ma vale la pena di ricordare come Raul Gardini riuscì a
distruggere la chimica italiana in pochi anni di corruzione e
d’incompetenza, a braccetto della classe politica dell’epoca, con l’affaire
Enimont. Sono lontani i tempi dei premi Nobel per
Poi,
per decenni, lor signori sono andati a braccetto con la classe politica
per il “sacco” dei fondi europei: con l’abile trucco d’assegnare
alle Regioni la concessione dei fondi – le quali coinvolsero poi le
Province – si riuscì a non dare una sola moneta senza, in cambio,
ricevere qualcosa. Oggi, mentre Spagna ed Irlanda hanno mantenuto allo
Stato la concessione dei fondi, possiamo osservare i risultati:
capannoni abbandonati, costruiti in fretta per acchiappare i soldi, per
avere i finanziamenti. E dopo?
Dopo…pagheremo un buon avvocato, se necessario, ma il più delle volte
non ce n’è stato bisogno. Se un De Magistris scopre l’inghippo –
la questione dei depuratori in Calabria, storia di fondi europei – si
caccia il magistrato. L’imperativo è uno solo: prendi i soldi e
scappa.
Ci
sono anche bravi imprenditori, onesti e fantasiosi, che cercano di
trasferire nella realtà il parto del loro ingegno: il più delle volte,
si vedono surclassati dal furbacchione di turno che cerca solo appoggi
politici. Il grave problema
– tutto italiano – è che non sono certo questi imprenditori ad
essere spalleggiati da Emma: l’interlocutore è, sempre, il potere
politico colluso. Se Reinhold Würth
è partito da una ferramenta ed ha costruito un impero, anche i Tanzi
sono partiti da una salumeria: il primo si è espanso anche nel settore
del fotovoltaico ed ha creato un’ampia collezione d’arte. Il
secondo, ha finito per falsificare certificati di credito con lo
scanner.
Questa è la differenza fra una classe imprenditoriale – che
guadagna, certo, per i rischi che corre e per le energie che investe
nell’impresa – ed una di zecche lustrate a festa, solo buone a
succhiare il sangue della nazione. Qualcuno s’è accorto che, con la
de-tassazione degli straordinari, avverrà semplicemente che parti di
produzione verranno spostate dall’area dell’orario normale allo
straordinario? In pratica, elusione fiscale occulta.
Perché
tutto ciò può continuare di fronte alla platea degli italiani i quali,
ordinatamente, si mettono in fila – almeno 70 su 100 – per approvare
Veltrusconi e i suoi Casini?
Hanno ragione quelle voci che stanno gridando da tempo – ciascuno con
modi e stili diversi – al naufragio dell’informazione: Travaglio,
Grillo, Barnard…
Il cortocircuito inizia nelle redazioni dei giornali e delle TV,
nell’assurda catena di “supervisori” che un giovane deve superare
per essere ammesso alla professione: in pratica, c’è sempre qualcuno
che deve garantire per te, altrimenti sei fuori.
Quando, finalmente, il giornalista approda ad una scrivania, per anni
avrà sempre un direttore responsabile che gli terrà il fiato sul
collo: quando reagirà, finalmente, come i cani di Pavlov, allora
riceverà la sua poltrona di comando.
Se
qualcuno, poi, sgarra, sono pronte le contromisure: qualcuno ricorda
perché
In questo modo, la classe politica e quella imprenditoriale possono
progettare, allenarsi ed eseguire i pessimi concerti che ci
ammansiscono: perché non c’è contraddittorio, opinione a confronto,
nulla.
E, attenzione: potremmo affermare che l’intera Europa è prigioniera
del potere finanziario che si sostanzia in queste performance. Solo in
Italia, però, la rappresentazione va in scena con una scenografia,
oramai, sudamericana. Per quel che era il Sud America vent’anni fa.
Mediocri capitani d’industria hanno bisogno di pessimi politici, i
quali si servono di sedicenti giornalisti per raccontare montagne di
balle. Voilà, signori: il
pranzo è servito.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
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