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Il
Vaticano allo sportello della banca Rothschild
Dario Velo – inserto «Domenica»
de « Il Sole 24 Ore» 8/12/1991
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Leggendo Le finanze
pontificie e i Rothschild di Daniela Felisini sorge e si rafforza in
modo sempre più chiaro il sospetto che tra la finanza pontificia
dell'800 e la finanza italiana dei nostri anni i punti di contatto siano
molti e significativi.
La causa del dissesto delle
finanze vaticane nell'800 è, in ultima analisi, da ricercare
nell'incapacità dello Stato pontificio di partecipare al profondo
processo di modernizzazione che investì la società e l'economia
italiana ed europea dopo il '48.
I violenti traumi subiti dallo Stato pontificio nel 1831 e nel 1848
furono occasioni mancate per un' approfondita riflessione sui mali
economici che stavano conducendo il potere temporale dei papi verso
l'inevitabile declino. Il governo pontificio rimase agganciato a un
modello amministrativo inadeguato, respingendo le istanze delle classi
medie, specie quelle delle regioni più progredite del Nord,
insoddisfatte per l' opprimente sistema fiscale e doganale. La mancanza
di un consenso profondo spinse i governanti pontifici a tessere una
vasta rete clientelare, in particolare al Sud, rafforzando la
tradizionale struttura assistenziale, con funzioni di ammortizzatore dei
conflitti sociali.
Le
erogazioni necessarie al mantenimento di un capillare apparato di
controllo politico e di consenso sociale, e gli oneri finanziari del
debito pubblico, sopravanzarono così in modo sempre più grave le spese
per la costruzione di infrastrutture e gli incentivi necessari a dare
impulso all'economia. Il sistema economico divenne così sempre più
fragile e statico, l'assistenzialismo trovò nuove ragioni per
diffondersi, indebolendo ulteriormente l'economia, e così via, in un
circolo vizioso sempre più grave.
Lo squilibrio nei conti pubblici divenne sempre più profondo. Tale
squilibrio venne finanziato da un crescente indebitamento verso
l'interno, in una prima fase; successivamente, il suo aggravarsi rese
necessario ricorrere a crescenti finanziamenti internazionali, che i
Rothschild furono pronti a mettere a disposizione. In questo modo
l'indebitamento diventò una gabbia sempre più stretta per la società
e l'economia pontificia. Ciò a differenza degli altri Stati europei,
che, nella fase della rivoluzione industriale, seppero ricorrere
all'indebitamento come strumento per lo sviluppo, sostenendo la crescita
degli investimenti nel settore industriale e ferroviario.
In
questo modo lo Stato pontificio, stretto tra la propria incapacità di
adeguarsi alla realtà in mutamento e di accogliere i fermenti che
agitavano l'Italia e l'Europa, si trovò ad affrontare un drastico e
progressivo peggioramento della propria situazione finanziaria.
Lo Stato pontificio non giunse all'insolvenza o alla necessità di
adottare misure straordinarie; prima che ciò avvenisse, i bersaglieri a
Porta Pia posero fine al potere temporale del Papa; che
Valuti il lettore quali insegnamenti trarre da queste considerazioni. E
in particolare valuti il lettore se sfogliare il volume di Daniela
Felisini alla ricerca di spunti per meglio valutare le radici lontane,
culturali prima ancora che economiche, dell'Italia di oggi, del suo
assistenzialismo così poco europeo, della sua finanza pubblica
dissestata.
Ma con una differenza: oggi non si può più contare sulla certezza del
lieto fine. Oggi non esistono bersaglieri disposti a salvare l' Italia
risolvendo i problemi che spetta alla sua classe di governo
Daniela
Felisini, «Le finanze pontificie e i Rothschild», Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1991, pag. 246