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Vademecum
per il Golfo
di Carlo Bertani – 6 aprile 2007
“Cosa
dite di Dresda? E di Hiroshima?”
Hermann Goering, comandante della Luftwaffe,
al Processo di Norimberga.
“Penso che se avessi perso la guerra,
sarei stato accusato d’essere un criminale di guerra.
Fortunatamente, ero dalla parte dei vincitori”.
Curtis Le May, generale
dell’USAF durante
Nell’approssimarsi
d’ore buie, nelle quali l’avvoltoio della guerra potrebbe scendere
in picchiata nel Golfo Persico per l’ennesima puntata di morte, viene
da chiedersi come faranno a raccontarci ancora una volta una marea di
stupidaggini.
Chiariamo che, per ora, nulla è deciso: questa volta il piatto di
puntata è molto elevato, e nessuno se la sente di rilanciare se prima
non ha sufficienti garanzie di riuscire nell’impresa. Siamo, in altre
parole, alla sola fase preparatoria del gran ballo.
Non
facciamoci trarre in inganno dalle analisi strategiche “filtrate” da
questo o quel gruppo d’esperti e nemmeno dai movimenti di truppe: sono
tutte lezioni di ballo necessarie e non eludibili, ma da questo a
passare al Gran Gala iraniano ce ne passa.
Per tradizione, gli USA preparano una marea di simulazioni belliche:
sempre, a getto continuo, anche nei confronti degli alleati. Fa parte
dell’intelligence militare compiere queste simulazioni: non scambiamo
però gli studi strategici del Pentagono con la realtà, perché
correremmo dietro a migliaia di Fate Morgane.
Ciò nonostante, bisogna riconoscere che – nei confronti dell’Iran
– si è dato inizio a qualcosa di più del classico “war game”,
perché la presenza di 15 militari britannici a Teheran non è stata
fantasia: quei soldati sono carne ed ossa, nomi e storie personali. Non
sono un file in un computer del Pentagono.
Sulla
cattura dei 15 militari britannici potremmo dissertare all’infinito: a
ben vedere, sembra di riascoltare la vicenda dei militari israeliani
uccisi e catturati sul confine libanese. Chi mai potrà affermare se si
trovavano in territorio israeliano o libanese? Un altro deja
vu che insospettisce è proprio Teheran: come non ricordare la
vicenda degli ostaggi catturati nell’ambasciata americana nel 1980?
Sembra quasi che un apprendista stregone della comunicazione abbia
mescolato il contenuto di due provette – l’una contenente “Iran
Il tentativo
è fallito? Ce ne potrà essere un altro domani: notiamo come, nella
crisi degli ostaggi, Bush ha messo subito le mani avanti “Nessuna trattativa”. Blair, conscio dell’opposizione interna che
monta, è sceso a più miti consigli. Non per questo, però, il pericolo
è passato.
Le vicende che probabilmente andremo a conoscere nei mesi a venire
investono in pieno proprio la comunicazione: sappiamo – come afferma
un proverbio tedesco – che “nel paese entra la guerra, ed esce la
verità” ma non abbiamo mezzi per discernere la farina dalla crusca,
ossia per capire fino a che punto ci racconteranno delle falsità.
La recente guerra in Libano è stata più facile da decrittare, poiché
Israele – se vince – non “molla l’osso”: se gli israeliani
avessero raggiunto gli obiettivi dell’impresa, oggi occuperebbero la
fascia meridionale del Libano e si sarebbero impadroniti delle
preziosissime acque del Litani, essenziali per un paese che – anche a
causa dei mutamenti climatici – si sta desertificando.
Gli altri
dispacci – ossia la perdita di 1/7 delle forze corazzate e
l’affondamento d’alcune navi – di per sé non farebbero notizia:
alla luce dei mancati risultati dell’operazione, quei fatti assumono
invece un diverso peso. In altre parole: dobbiamo abituarci a ragionare
quasi solamente sul cui prodest, poiché c’è da fare poco affidamento sulle
cosiddette “fonti ufficiali”.
La battaglia dell’informazione, in guerra, parte da lontano: non
dimentichiamo che già le truppe napoleoniche avevano – per espresso
desiderio di Parigi – l’ordine di distruggere ovunque passavano i
registri parrocchiali dei morti (erano le uniche fonti, i “database”
dell’epoca), cosicché non sarebbe stato possibile, dopo, accusare i
francesi. Due guerre mondiali ci hanno insegnato che la bugia è la
norma, mentre la verità è soltanto un pallido optional. Raccontare
bugie è però un peccato, e si pecca in pensieri, parole, opere ed
omissioni: meglio non dimenticarlo.
Cattivi pensieri
La retorica che vede gli USA ed
altri paesi in prima linea, per contrastare la cosiddetta “guerra al
terrorismo”, non sta in piedi: non sono i barbuti filo-castristi dei
centri sociali a raccontarlo, bensì capi di governo, ministri e
senatori degli stessi paesi che mandano le loro truppe in giro per il
pianeta. Procediamo con ordine.
Il primo dogma, ossia che gli USA siano i benefattori del pianeta e
s’adoperino per un mondo migliore, è sconfessato da loro stessi. Ecco
alcune dichiarazioni illuminanti:
Siamo nel lontano 1997 e negli USA
nasce New American Century:
dieci anni fa Bill Clinton pareva non avere rivali, e l’ala
conservatrice dei repubblicani mordeva il freno:
“La
politica estera e della difesa americana è alla deriva. I conservatori
hanno criticato le politiche incoerenti della gestione Clinton…ma i
conservatori non hanno avanzato con convinzione una visione strategica
del ruolo dell'America nel mondo. Non hanno saputo proporre i principi
fondamentali della politica estera americana…e non hanno combattuto
per stanziamenti alla difesa che condurrebbero alla sicurezza americana
ed alla promozione degli interessi americani nel nuovo secolo.
Noi
vogliamo cambiare questo stato di cose. Miriamo ad essere un nuovo
gruppo in grado di raccogliere il supporto per una dimensione americana
planetaria.
Mentre
il ventesimo secolo volge al termine, gli Stati Uniti sono la potenza
dominante nel pianeta. Dopo aver condotto l'Occidente alla vittoria
nella Guerra Fredda, l’America affronta un'occasione e una sfida: gli
Stati Uniti hanno la capacità di costruire sui successi delle decadi
passate? Gli Stati Uniti hanno la risoluzione per modellare un nuovo
secolo favorevole
ai principi ed agli interessi americani?
•
dobbiamo aumentare significativamente gli stanziamenti per la difesa, se
dobbiamo assumerci le responsabilità dell’oggi e modernizzare le
nostre forze armate per il futuro;
•
dobbiamo rinforzare i nostri legami con gli alleati democratici ed
opporci ai regimi ostili ai nostri interessi ed ai nostri valori;
•
dobbiamo promuovere la causa della libertà politica ed economica nel
mondo;
•
dobbiamo accettare la responsabilità del ruolo unico dell'America,
nella conservazione e nell'estensione di un ordine internazionale
favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità ed ai nostri
principi.”
Il documento
ufficiale, denominato Statement of
Principles (Dichiarazione dei Principi), era firmato da:
Elliott Abrams, Gary Bauer, William J. Bennett, Jeb Bush, Dick Cheney,
Eliot A. Cohen, Midge Decter, Paula Dobriansky, Steve Forbes, Aaron
Friedberg, Francis Fukuyama, Frank Gaffney, Fred C. Ikle, Donald Kagan,
Zalmay Khalilzad, I. Lewis Libby, Norman
Podhoretz, Dan Quale, Peter W. Rodman, Stephen P. Rosen, Henry S. Rowen,
Donald Rumsfeld, Vin Weber, George Weigel, Paul Wolfowitz.
Quattro anni
dopo, alcune di queste persone diventeranno ministri
nell’amministrazione Bush mentre gli altri – si fa per dire –
s’accontenteranno di “lavorare dietro le quinte”.
L’amministrazione democratica avverte il “fiato sul collo” dei neocon e corre ai ripari:
“Dobbiamo costruire un sistema
economico globale che lavori per gli Stati Uniti”, confermava il
Segretario di Stato Madeleine Albright[1],
l’8 gennaio 1999, davanti al Senato.
Quando Bush
s’insedia al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, le dichiarazioni sono
ancor più esplicite:
Eugene Luttwak spiegava che “gli
Stati Uniti sono chiamati, se vogliono conservare il primo posto, a
trasformare il loro sistema di produzione in macchina
da guerra economica.”
Richard
Perle e David Frum[2]
– nel loro libro "La fine
del male" (!) – candidamente
concludevano che “è tempo che
gli USA rovescino i mullah terroristi dell'Iran; inducano un cambiamento
di regime in Siria impedendone il rifornimento di armi e di petrolio e
conducendo raids continui nel suo territorio; lancino un blocco aereo e
navale completo contro
Insomma, ce
n’era e ce n’è per tutti. E poi ci vengono a raccontare che fu
tutta una sorpresa conseguente all’11 settembre? Non ho mai perso
tempo nel correre dietro alle varie ipotesi sugli attentati dell’11
settembre, perché ritengo che non si potrà mai dimostrare nulla.
Rimane però un dubbio: o gli americani sapevano degli attentati e
lasciarono fare – e in questo caso saremmo di fronte al peggiore reato
d’alto tradimento – oppure furono veramente colti di sorpresa, e
allora dovremmo riflettere che la prima potenza mondiale si fece
sorprendere da quattro scalzacani che s’improvvisarono piloti, che
impararono a volare proprio negli USA e che facevano parte di
un’organizzazione terroristica che Washington conosceva bene, poiché
l’avevano sostenuta dall’Afghanistan (contro i russi) alla Bosnia
(contro i serbi). Insomma: o traditori o fessi, ma anche la seconda
ipotesi – trattandosi della potenza che vorrebbe dominare il pianeta
– non è mica una cosuccia da nulla.
Lingue
biforcute
Se dal paese “entra la guerra
ed esce la verità”, potremmo essere indotti in errore dal credere di
poter verificare le notizie poiché confermate dalle immagini. So
benissimo che molte persone – a mente fredda – reagiscono sostenendo
che è una fandonia, ma un conto è ricordarlo in una discussione, un
altro metterlo in pratica. Quanti di noi sarebbero pronti a sostenere
che tutto ciò che vediamo in TV potrebbe essere falso?
A parte eventi lampanti perché confermati da tutte le fonti –
pensiamo proprio all’11 settembre od al maremoto indonesiano – nella
stragrande maggioranza delle situazioni non siamo in grado di confermare
un’acca.
Crediamo di
sapere come sono andate le cose in Bosnia, Kosovo, Iraq (primo e secondo
tempo), Afghanistan, Libano, Somalia…ecc? Eppure, per argomentare su
queste vicende, non possiamo trascendere dagli eventi: il classico
problema che la storiografia si trova spesso ad affrontare.
Esistono già “casi di scuola”
di disinformazione: quello che viene presentato come il più eclatante
fu il cosiddetto “Massacro di Timisoara”, un “lavoro” che andò
a buon fine e che diede i risultati sperati. In poche parole – per
catalizzare la caduta di Ceausescu in Romania – i “buoni”
giornalisti occidentali andarono nella città rumena di Timisoara,
corruppero alcuni becchini, tirarono fuori dalle tombe sfilze di
cadaveri e filmarono il tutto. Il lavoro – molto ben fatto, nulla da
eccepire – presentava cadaveri in tutte le posizioni: alcuni
addirittura caricati sui camion per simulare la repressione poliziesca
di una manifestazione popolare. Appena pronto, il “servizio” fu
“sparato” su tutte le emittenti del pianeta ed in Romania scoppiò
la rivolta che condusse alla fucilazione di Ceausescu e consorte. Questo
è un “caso di scuola”, ma ne esistono tanti altri: se non bastano
le immagini si ricorre alla scienza “compiacente”, alle “gole
profonde”, alla manipolazione elettronica di registrazioni, ecc.
Vediamo qualche caso:
Possiamo
ricordare “l’affare Perrier”, azienda un tempo francese le cui
bevande esportate negli Stati Uniti furono accusate di contenere del
benzene. Casualmente, il laboratorio che individuò le tracce di benzene
era finanziato dal concorrente di Perrier. I media americani,
prontamente, diffusero ampiamente la notizia: Perrier perse somme
colossali e non si riprese più. Finì per essere acquistata da Nestlé
ed Agnelli.
Citiamo
l’esempio del Mirage francese distrutto in Bosnia dai Serbi nel 1995.
Nelle ore che seguirono l’avvenimento, più di 40 canali televisivi
produssero a gara le immagini dell’aereo che cadeva al suolo battendo
tutti sul medesimo tasto: “i radar non hanno funzionato…”. In
realtà, l’insistenza della stampa anglosassone sul “non
funzionamento” dei radar del Mirage era collegata a trattative
strategiche condotte nello stesso momento con il Pakistan, in vista di
un importante contratto di vendita di aerei da combattimento dove
abbondava la concorrenza…francese. I “radar” non erano per nulla
in causa, perché era stata l’artiglieria contraerea classica e non un
missile terra-aria ad abbattere il velivolo.
Gli
“attacchi informativi” commerciali delle società americane passano
spesso per la stampa europea, come si è potuto constatare nei Paesi
Bassi al tempo della lotta tra l’Apache
della McDonnell-Douglas e il Tigre
franco-tedesco per un mercato di 20 miliardi di franchi. Il Telegraph,
quotidiano olandese, annunciò che il ministro francese della Difesa era
stato costretto ad un “atterraggio forzato” a Marignane nel corso di
un volo dimostrativo a bordo del Tigre.
Poco dopo, le registrazioni realizzate da Eurocopter
provarono che il volo si era svolto normalmente.
All’inizio
dei bombardamenti della NATO in Serbia (marzo 1999), David Wilby, il
britannico Jamie Shea, portavoce dell’Organizzazione e James Rubin,
portavoce del Dipartimento di Stato americano, lanciarono di concerto
una falsa notizia, la quale affermava che il regime di Belgrado aveva
appena “giustiziato” i tre leader albanesi: Ibrahim Rugova, Fehmi
Agani – che aveva fatto parte della delegazione albanese-kosovara a
Rambouillet – e Baton Haxhiu, editore del giornale albanese Koha
Ditore. Mostrando la sua emozione con un grande talento da
commediante – come se gli istigatori degli attacchi cruenti potessero
essere influenzati dalla morte di due o tre kosovari – Rubin avvertì
subito che gli Stati Uniti “avrebbero vendicato” la loro morte. Si
venne a sapere poche ore dopo che le tre “vittime albanesi” non
erano mai state così vive: il dottor Rugova, in particolare, fu visto
il 1° aprile assieme a Slobodan Milosevich. L’alto commissario
dell’ONU per i rifugiati confermò in egual modo la perfetta salute
delle altre due “vittime”. Non importa se la contro-notizia finisce
per essere diffusa: conoscendo bene i meccanismi della disinformazione,
James Rubin continuò a dichiarare in pubblico che
Questi sono
esempi di disinformazione complessa, ma c’è anche quella spicciola,
per rifornire “l’hard discount” delle TV:
Sofisticati
meccanismi di disinformazione e “frullati” di notizie per la
quotidianità: ecco l’informazione che riceviamo. Cattivi pensieri
portano ad usare il linguaggio non per scandagliare la verità, ma solo
quella parte di verità che conviene. E se non esiste nulla di vero?
S’inventa: s’inventano solo le storie? No, si creano anche gli
eventi, così dopo c’è “materiale” da presentare.
Pessime azioni
Il 22 gennaio del 1991 Sam
Donaldson, reporter dell’emittente televisiva ABC, riferisce di un
probabile missile Scud intercettato durante l’Operazione Desert
Storm. “Un missile Scud sta puntando verso Dharan nella zona est dell’Arabia
Saudita” dice Donaldson quando lo schermo mostra un oggetto
luminoso che sfreccia attraverso il cielo.“Un
missile Patriot è stato lanciato per intercettarlo”. Dopo
un’esplosione, Donaldson esclamò allegramente:“Centro!
Niente, più Scud!”. “Ma
sullo schermo” dice Jennifer Weeks, analista della Difesa, “lo
Scud sembrava continuare dritto attraverso un’esplosione sul suo
percorso verso il suolo”.
Questa era
ciò che si doveva dire “a caldo”. Ecco cosa riconosceranno, gli
stessi americani, l’anno seguente:
Un rapporto
del 1992 del Congresso concludeva: “Non sono molte le prove che dimostrano che i Patriot hanno colpito più
di qualche Scud lanciato dall’Iraq durante
Anche il
segretario alla difesa William Cohen, ammise nel gennaio 2001 che “il
Patriot non funziona”. La schietta affermazione di Cohen, non
dissuase l’America dall’usare i Patriot durante l’Operazione
“Enduring Freedom”, e i risultati sono racchiusi in questi tre
incidenti:
Se fossero
solo queste le nefaste azioni della NATO, potremmo concludere che furono
errori veniali: sbagli, noncuranze. C’è di peggio, molto di peggio.
Abu Ghraib? Guantanamo? Certo, ma cosa precedette quelle vicende?
Da anni sostengo che tutto ciò che ci avvelena l’oggi nacque nei
Balcani fra il 1990 ed il 2000: lì
Il
personaggio più inquietante è senz’altro Aliaz Iztebegovich, il
defunto presidente bosniaco. Oggi sappiamo che Al-Qaeda nacque in
Afghanistan ma si rafforzò – e parecchio – in Bosnia. Come si
chiamavano le due divisioni musulmane che combatterono in quella terra
fra il 1992 ed il 1995? Due nomi a caso: Handšar e Kama.
Perché questi due nomi sono così importanti?
Perché le due divisioni non erano altro che la riedizione delle vecchie
divisioni Handšar e Kama,
inquadrate organicamente nelle Waffen SS germaniche nel 1943:
ventimila arruolati sotto l’influsso nefasto del Gran Muftì di
Gerusalemme Amin-al-Husseini, amico personale di Hitler, che
emise addirittura una fatwa che prescriveva l’arruolamento nell’esercito nazista.
Il degno
compare di Itzebegovich portava il nome di Framo Tudjman – un
equilibrista della politica jugoslava, partigiano e convinto nazista, al
punto di negare l’Olocausto[3]
– che diventerà il primo presidente della Croazia dopo la secessione
jugoslava. Tudjman comprese che, per creare lo stato etnicamente e
religiosamente puro che agognava, non bastava l’aiuto americano e
tedesco: doveva scendere a patti con il demonio in persona.
Il Diavolo sono gli Ustascia che ricomparvero – maledizione dei
Balcani – con i loro berretti neri, da Zenica a Mostar, da Tuzla a
Bihac. Ma gli Ustascia non sono altro che l’armata nazista croata
forgiata da Hermann Neubacher, Gauleiter
di Hitler nei Balcani: gli uomini di Ante Pavelic massacrarono 700.000
serbi e 400.000 ebrei in poco più di due anni. La triste storia del
campo di Jasenovac – già lager nazista e tornato lager negli anni
’90 – è una delle pagine più nere (nel senso, duplice, di
“terribile” ed “oscurato”) dei Balcani. Olmert non ha nulla da
dire su tutto ciò? Continua ad andargli a genio Bush qualsiasi cosa
faccia? Molti ebrei non la pensano come lui, e non sono meno ebrei del
primo ministro israeliano[4].
Non c’è
il due senza il tre, recita il proverbio.
Ecco allora comparire – sembra dal nulla – l’UCK: molti dei
kosovari d’origine albanese riconobbero che quegli uomini – in
Kosovo – non s’erano mai visti. Chi erano?
Erano principalmente albanesi, non kosovari, reclutati dal
“plenipotenziario” di Clinton per i Balcani – William Burns –
che fece nel 1998-99 un lungo tour presso tutti i clan albanesi. Cosa
prometteva? Soldi, armi e traffici impuniti (clandestini, droga, ecc,
come si vide in seguito con le vicende dei “gommoni” sulle spiagge
italiane) in cambio della guerra contro i Serbi. Qualche giornalista embedded
si spinse a definire l’UCK la “fanteria della NATO”.
Da dove giungeva l’odio per i Serbi? Molto antico – come tutti gli odi dei Balcani – ma coagulato soltanto 50 anni prima nella divisione Skanderberg – anch’essa inquadrata nelle SS naziste – che massacrò tutti gli ebrei di Pristina e cercò d’accerchiare da sud i Serbi, mentre croati e bosniaci premevano da nord. Quello del 1999, non sembra il secondo tempo dello stesso film?
Chi
fu il tramite fra il “prima” ed il “dopo”?
Grazie alle reti riattivate
dal Ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel, ossia i servizi segreti
militari – il BND –
Qualche paese europeo storceva il naso e non voleva riconoscere la nuova
Croazia? Niente paura: ricordate la vicenda dell’euro “a due velocità”.
Chi non riconosce la nuova Anschluss
tedesca nei Balcani si potrà “accomodare” in seconda classe, mentre
noi procederemo sulla via della nuova moneta, che finirà per dare filo
da torcere al dollaro.
Qualcuno meno idiota, negli USA – un certo Henry Kissinger – s’era accorto della trappola: “Il tentativo di incorporare la popolazione serbo-bosniaca sotto la sovranità della Bosnia – violando il nostro principio di autodeterminazione e ignorando la lotta secolare dei Serbi contro la dominazione musulmana – va contro il nostro interesse nazionale”. Kissinger s’era accorto del rischio: e se non funziona? Se gli europei riescono a superare la crisi ed a varare la nuova moneta? Che ne sarà del dollaro? Oggi lo possiamo capire.
Morale: i
croati adottarono come loro bandiera quella a scacchi che fu di Ante
Pavelic, mentre – ancora oggi – la moneta ufficiale della Bosnia è
il Marco (Marka Convertible).
Gli accordi di Dayton del 1995, però, stabilirono la ripartizione della
Bosnia in un 51% per la federazione croato-musulmana e per il 49% ai
serbi: questo accordo non soddisfò i musulmani bosniaci, e da quel
momento in poi iniziò la frattura fra le milizie transnazionali di
Osama Bin Laden (presente in Bosnia in quegli anni) e gli USA.
Qualcuno potrà chiedersi: ma quale realtà ho vissuto? Cosa mi è stato
raccontato? Le fandonie sono quelle raccontate per anni su tutti i
canali televisivi oppure è da considerare una “bufala” l’articolo
che sto leggendo? Torniamo, ancora una volta, un poco indietro nel
tempo.
Leo Strauss[5]
coniò nei lontani anni ‘50 un neologismo per racchiudere in una frase
le basi della disinformazione: la “Reductio ad Hitlerum”.
Tutto ciò che era contrario agli interessi NATO ed USA diventava
“nazista”: via via, hanno assunto le sembianze del dittatore nazista
Milosevich, poi Saddam Hussein, oggi Ahmadinejad.
Ancora
una volta scopriamo un legame fra un filosofo tedesco (d’origine
ebraica!), legato a Nietzche ed alle società segrete, con la nuova
classe dirigente USA: Strauss fu riferimento – oseremmo affermare
“spirituale” – di Wolfowitz e di Libby.
Non
stupisce allora costatare che, chi si alleò con tutti i rottami nazisti
dei Balcani, fu proprio
L’epilogo è stata la recentissima sentenza del Tribunale dell’Aia
che ha dichiarato
Omissioni sospette
Dove non basta raccontare
fandonie e compiere atti nefasti – perché altre vicende sono nel
frattempo avvenute, e non si può riavvolgere il nastro del tempo –
allora si nega con ostinazione, si cala su quegli atti la nera coperta
del silenzio mediatico. E’, ancora una volta, il caso dei Balcani.
Oggi, innumerevoli riunioni ad alto livello cercano di definire il
futuro del Kosovo, e non ci riescono: perché?
Poiché, nonostante tutte le montature mediatiche, quella guerra non fu
vinta dalla NATO.
Quando una guerra è vinta, il nemico s’arrende e s’intavolano
trattative di pace: questo è il copione degli armistizi, da Maratona a
Yalta.
Con le
guerre definite “operazioni di polizia internazionale” è difficile
riconoscere che c’era un “nemico”, perché quell’ammissione
contraddirebbe qualsiasi definizione di “guerra umanitaria”.
Come finì la guerra del Kosovo?
Con
Per distribuire oblio a destra ed a manca, furono comunicati dati
completamente falsi:
|
Dati
del giugno
1999 |
Dati
comunicati dall’USAF
nel 2000 |
Carri
distrutti |
120 |
14 |
Veicoli
corazzati distrutti |
220 |
20 |
Pezzi
d’artiglieria distrutti |
450 |
20 |
Attacchi
confermati dai piloti NATO |
744 |
58 |
%
dell’aeronautica serba distrutta |
100% |
40% |
Nel
contempo, ci furono circa 1.200 vittime civili solo in Serbia: il numero
dei morti in Kosovo è ancora oggi molto controverso. In realtà, la 3°
Armata serba riuscì ad uscire dal Kosovo praticamente indenne e si
attestò ai confini. Esattamente dove si trova nell’istante nel quale
leggete queste righe.
Non bastò, però, il solo pesante inquinamento dei dati: si dovette
tacitare anche la cronaca della guerra.
Per distruggere le forze corazzate serbe in Kosovo,
Perché quegli elicotteri non parteciparono ai combattimenti? Perché
furono distrutti dai serbi. Come? Nessuno venne mai a raccontarcelo.
Da diversi
giorni, cacciabombardieri G-4 si alzavano dalla base di Golubovci –
presso Podgoriza in Montenegro – e si dirigevano verso il confine
albanese ma dovevano fare dietro front, a causa della massiccia presenza
d’aerei NATO. Il 26 aprile 1999, invece, non incontrando resistenza
alcuna, due aerei si gettarono ad alta velocità e bassissima quota in
una valle albanese che scendeva verso il mare. Giunti sull’aeroporto
internazionale Rjinas di Tirana, vi sorpresero 9 elicotteri Apache
del primo gruppo giunto dall’Italia ed un aereo da trasporto della KLA
che veniva usato per portare in Albania i volontari dell’UCK.
Attaccando con bombe cluster a
frammentazione distrussero, in un solo passaggio, gli elicotteri ed il
trasporto. La sorpresa fu totale, tanto che i due aerei riguadagnarono
la strada di casa, non verso Golubovci – in quel momento sotto attacco
NATO – ma verso Povikne, distante
La notizia
fu sì data da alcune piccole emittenti locali, ma il gran circo
dell’informazione ufficiale serrò le fila e scattò l’omertoso
silenzio: addirittura, gli americani mostrarono due fumose riprese
d’elicotteri “caduti in esercitazione”, quei filmati senza capo né
coda che mostrano la (falsa) caduta di un elicottero nei film
d’azione. Gli intercettori italiani non sarebbero mai giunti in tempo
per impegnare gli aerei serbi, ed i comandi NATO avevano già meditato
d’attrezzare l’aeroporto di Tuzla (Bosnia orientale) come base
avanzata, giacché Aviano e Gioia del Colle erano troppo distanti. Ecco
com’era andata a finire:
il 14 aprile
1999 un gruppo d’aerei serbi – composto da 8 cacciabombardieri, un G-4
Super Galeb e 7 J-22 Orao, più due caccia MIG-21
di scorta – pare senza attendere direttive dai loro comandi (?),
s’alzò dalla base aerea di Povikne, Serbia settentrionale, e volò ad
alta velocità seguendo il confine serbo. Mentre erano in volo, furono
avvertiti dalla base che erano stati identificati dai radar NATO e di
desistere dall’impresa. Ignorando l’avvertimento, il gruppo
procedette e, all’improvviso, deviò in direzione della Bosnia: ad
altissima velocità piombò sull’aeroporto di Tuzla, che
Queste
notizie comparvero sui circuiti internazionali, ma non in quelli
occidentali: casualmente, un giornalista all’epoca in Bosnia – Mauro
Bottarelli, con il quale scrissi e pubblicai “La guerra infinita
dell’impero americano” – mi confermò, al telefono, il
bombardamento di Tuzla.
La cronaca del bombardamento di Tuzla fu pubblicata dal giornale inglese
Observer, che fu però subito
querelato e minacciato da Blair e Clinton.
Riflettiamo che questi due episodi sono di un’enorme gravità: non si
tratta di nascondere un semplice evento bellico. In realtà, i due
episodi avrebbero incrinato la visione trionfalista della NATO: possiamo
fare tutto ciò che vogliamo perché siamo invincibili. Sembra di
riascoltare il Gott mit uns.
La realtà sarebbe venuta drammaticamente a galla anni dopo, sulle
polverose strade irachene – ed oggi c’insegue sui monti afgani –
poiché la guerra esige sempre un tributo di sangue: non riconoscere
allora la capacità del nemico di reagire, portò a concludere che
Reductio
ad Busherum
Quante analogie ci sono con
l’oggi? Quante volte ci hanno raccontato che in Iraq le cose andavano
meglio? Che in Afghanistan regnava oramai una tranquilla democrazia?
Ancora: il tentativo di mascherare le perdite navali israeliane in
Libano, poiché la tecnologia di Hezbollah
s’era dimostrata superiore, oppure la penosa velleità di nascondere
il genocidio di Falluja. A poco serve: oggi, Falluja è una città
praticamente off-limits per le truppe americane.
Oggi è facile osservare come il Pakistan, la vera fonte del terrorismo di matrice sunnita, sia grande alleato degli USA: senza comprendere che ci fu di peggio – ossia che tornarono “in pista” gli eredi del nazismo – non si può completare il quadro della tragedia planetaria degli ultimi anni. I nemici furono invece identificati – grazie alla Reductio ad Hitlerum indicata in anni lontani da Strauss – in Milosevich, Saddam Hussein ed oggi Ahmadinejad: tutte persone che contrastarono e tuttora contrastano il terrorismo wahabita. Anche Israele dovrebbe meditare attentamente su quelle vicende, perché il pericolo che corre oggi non è nemmeno paragonabile a quello che lo oppose agli arabi nelle passate guerre: per la convenienza di un gambit[6], potrebbe essere sacrificato proprio da quello che ritiene il suo più fedele alleato, ovvero gli USA.
Le tragedie
di questi anni nascono tutte da quel novello “gruppo di Monaco”, che
s’insediò sul trono statunitense dopo una tornata elettorale
platealmente falsificata dal fratello del futuro Presidente. Come i
fondatori del nazismo, gli adepti di New
American Century percorrono la via delle società segrete e della
disinformazione: il loro maestro – Strauss – li ha edotti a
disprezzare le masse, facilmente controllabili dalle elite che
controllano i mezzi d’informazione. Le adunate oceaniche di Hitler
ieri, CNN e Fox oggi.
Raccontano che una guerra contro l’Iran sarà gestita soltanto
dall’aviazione – arma nobile – e non dovranno “sporcarsi le
mani” con la fanteria: ancora una volta, l’impronta della superbia e
del disprezzo per gli avversari.
Se i neocon
americani conoscessero qualche brandello di storia, saprebbero che la
guerra aerea di Hitler contro
I limiti dell’aviazione strategica sono evidenti, e dopo quasi un
secolo le teorie di Douhet[7]
non sono mai riuscite a dimostrare la loro validità: puoi radere al
suolo tutto ciò che vuoi, ma se devi occupare un territorio devi
andarci con la fanteria ed aspettarti delle perdite. Il petrolio non si
conquista a
Oggi, le
carte della puntata iraniana si giocano quasi esclusivamente fra
Il 2008 sarà “Stati Uniti Anno Zero”, con una nuova dirigenza che
dovrà ricostruire dalle ceneri la tradizione democratica di quel paese,
poiché – dopo il putsch dei
neocon – non c’è più niente di realmente democratico in quel
paese. Esisteva ancora una tradizione di democrazia nella Germania del
1945?
La
liberazione dei soldati inglesi dimostra invece che Ahmadinejad – a
differenza dei Serbi – ha imparato la lezione: con magnanimità li ha
liberati, non disdegnando, per l’occasione, di riceverli personalmente
in un’atmosfera rilassata e gioviale. Un punto a suo favore –
innegabile – nella battaglia mediatica del Golfo.
Nessuno potrà però impedire a Bush di cercare ancora per un anno
l’incidente, lo scontro fortuito, per dare inizio alle danze: questa
guerra, se ci sarà, non inizierà con un proclama presidenziale, bensì
con un’operazione di disinformazione che non si potrà nascondere
nemmeno dietro ad un filo – perché tutti l’hanno oramai capito –
ma se ci riusciranno lo faranno lo stesso. Non farlo, sarebbe la
negazione non di una politica ma di un credo: quello nato nelle società
segrete d’inizio ‘900, cresciuto a Monaco di Baviera e rifiorito
negli USA di fine millennio. Con buona pace di quelli che si sciacquano
la bocca con la parola “democrazia”.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
www.carlobertani.it
[1]
Fonte: Alexandre del Valle, Guerre
contro l’Europa: Bosnia, Kosovo, Cecenia…,Traduzione
di Pier Paolo Veneziano. Altri contributi di questo articolo
provengono da quest’opera, della quale consiglio vivamente la
lettura.
[2]
Fonte:
Robert
Dreyfuss, I
predicatori della guerra,
pubblicato da Progressive
News.
[3]
Framo Tudjman,
[4]
“Ciò che è accaduto in Bosnia, in Croazia o in Kosovo, anche se
orribile, non è un genocidio. Non c’è mai stato un tentativo di
sterminio di una razza intera – uomini, donne e bambini –
semplicemente a causa della loro identità religiosa o etnica. Bill
Clinton e Tony Blair, paragonando gli attacchi serbi al Kosovo
all’eliminazione massiccia perpetrata dai nazisti, manipolano
quindi gli Ebrei.” Aleksander Singer, presidente della
Federazione delle Comunità Ebraiche di Belgrado.
[5]
Leo Strauss è figura ambigua, non tanto per la sua ricerca
filosofica, quanto per le sue conclusioni politiche. “Il
presidente dei giuristi nazisti, Carl Schmitt (1888-1985), si premurò
personalmente di ottenere per Strauss, nel 1934, una borsa di studio
della Fondazione Rockefeller affinché potesse studiare in Francia e
in Germania, prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti.
Nella sua lunga carriera accademica Strauss non ha mai preso le
distanze dai suoi autori preferiti: Nietzsche, Heidegger e Schmitt.
Carl Schmitt fu definito dai nazisti “Il giurista principe del
Terzo Reich”, grazie al ruolo che ebbe nel sovvertire
sistematicamente la costituzione della Repubblica di Weimar a
partire dal 1919. Fu infatti consigliere dei governi di Brüning,
Von Papen e Hitler.” Da Movisol: http://www.movisol.org/strauss.htm.
[6]
Gambit: mossa degli scacchi nella quale si sacrifica volontariamente
un pezzo per raggiungere obiettivi strategici superiori.
[7]
Giulio Douhet, Il dominio
dell’aria, Stabilimento
Poligrafico per l'Amministrazione della Guerra, Roma, 1921.