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Da Ustica
Tratto da http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta2&id=49
"Quello che eravamo è Ustica,
quello che siamo è Torino 2006". La battutaccia, circolata negli
uffici stampa delle forze armate in occasione delle ultime Olimpiadi
invernali, potrebbe degnamente siglare il clima determinatosi nel Paese
negli ultimi giorni, in seguito agli “avvertimenti” lanciati da
Muammar Gheddafi all’Italia. Secondo il leader libico, l'attacco del
17 febbraio scorso al consolato italiano di Bengasi non sarebbe stato
provocato dalle proteste per le vignette anti-Maometto (e relativa
t-shirt esibita dall’ex ministro leghista Roberto Calderoli), ma dal
risentimento dei libici contro gli italiani per il mancato risarcimento
dell’occupazione coloniale avvenuta nel secolo scorso.
Il proclama di Gheddafi, qualunque sia
la natura degli effetti che intendeva suscitare, riaccende i riflettori
sul caso Ustica, uno dei più profondi buchi neri della storia italiana,
tornato peraltro alla luce nei mesi scorsi sia fra le montagne di carte
della Commissione Mitrokin, sia attraverso il libro-dossier scritto a
quattro mani dal magistrato Erminio Amelio e dal penalista Alessandro
Benedetti (rispettivamente pubblico ministero e legale di parte civile
al processo contro i generali dell’Aeronautica). In "IH870 Il
volo spezzato" Amelio e Benedetti dimostrano, dopo anni di bugie,
depistagli, assoluzioni e prescrizioni, che ad abbattere il DC9 dell’Itavia
quel 27 giugno 1980 fu un missile. Ipotesi sempre fortemente contrastata
dal “partito della bomba”: ancora qualche settimana fa esponenti di
punta del governo Berlusconi come il ministro Carlo Giovanardi
affermavano che «Il DC9 esplose a causa di una bomba a bordo,
precisamente nella toilette».
Trovare la verità, oggi, potrebbe chiarire i reali
contorni delle recenti minacce di Gheddafi, ma soprattutto evitare che
una eventuale “resa dei conti” fra il colonnello e gli Usa veda come
campo di battaglia, ancora una volta, il nostro Paese. Ecco perché
torniamo a ragionare, dopo quindici anni, sulla ricostruzione della
strage di Ustica rivelata alla Voce nel 1991 dall’allora
sottosegretario Psi Franco Piro e pubblicata per la prima volta nel
numero di febbraio ’94, quando ritrovammo l’identico scenario nelle
carte di Alessandro Vanno, l’esponente “pentito” dei Servizi
italiani che mai aveva conosciuto Piro. Un mosaico che, anno dopo anno,
tassello dopo tassello, trova sempre nuove conferme.
Vediamo perché, alla fine, tutte le
tessere combaciano. Partiamo dal rovente 1980. Il clima di quel periodo
venne efficacemente ricostruito nell’89 dallo storico esponente
comunista Luigi Cipriani in una relazione alla Commissione stragi. «Momenti
di tensione, in Italia come in Europa, erano i grandi movimenti
pacifisti che si opponevano alla installazione dei nuovi missili
nucleari Usa. Sotto la pressione dei movimenti molti governi europei,
compreso quello tedesco, erano riluttanti ad accettare il diktat Usa.
L'Italia ruppe il fronte accettando l'installazione dei Cruise con
testate nucleari a Comiso». Nemico numero uno degli States era Muammar
Gheddafi, lo stesso uomo che non aveva mai fatto mistero del suo
appoggio all’OLP di Yasser Arafat in funzione anti-israeliana ed
anti-americana, o della stretta amicizia con l’Urss, suggellata dal
viaggio a Mosca di fine anni settanta in cui il leader libico era stato
trionfalmente accolto da Breznev, Kossighin e Podgorni. Liberarsi del
pericoloso condottiero della rivoluzione islamica, che fin dall’inizio
del suo mandato aveva scelto come residenza una superblindata caserma di
Tripoli, non era per gli Usa impresa facile. E probabilmente alcuni
tentativi erano già falliti, come quello dell’ottobre ’79, quando
durante una parata militare un pilota dell’aviazione libica diresse il
proprio velivolo contro le tribune su cui si trovava Gheddafi e fu
abbattuto solo all’ultimo istante.
Il potente “Saddam Hussein ante
litteram” poteva però essere delegittimato ed additato agli occhi
dell’opinione pubblica mondiale (ma soprattutto africana e
mediorientale) come un pericoloso terrorista. Capace addirittura di un
attacco missilistico ad un aereo civile di un Paese occidentale, con
decine e decine di vittime innocenti a bordo. Questo, secondo
l’impressionante ricostruzione di Franco Piro (e poi quella,
coincidente, di Alessandro Vanno) era il piano deciso dalla Nato, con la
complicità della Francia, per eliminare dalla scena politica
internazionale il leader libico, “reo” di rifornire con
sofisticatissimi armamenti due polveriere del pianeta come Unione
Sovietica e Palestina. L’Italia non può negare il suo appoggio
all’alleato americano. Però può tradirlo. E deve farlo anche per i
vincoli di amicizia - oltre che commerciali - fra
Qualcuno tradì. Quella sera del giugno
1980 la mano dei Servizi aveva piazzato un ordigno nella toilette del
Dc9, che era decollato dall’aeroporto di Bologna in direzione Palermo
con oltre due ore di immotivato ritardo. Quando dalla Clemenceau partì
il missile che colpì la carlinga del velivolo, esplose naturalmente
anche la bomba. E questo spiega perché ancora oggi esistono il
“partito del missile” e quello “della bomba”. Chi aveva tradito,
a quel punto, doveva anche far sparire le tracce del pilota
“prezzolato” libico. Gli stessi caccia che avrebbero dovuto
costringerlo alla confessione lo abbatterono sulle montagne della Sila.
Proprio quella notte del 27 giugno. E questo spiega la discrepanza di
date sul ritrovamento del relitto (e del cadavere): il 18 luglio 1980,
secondo la versione ufficiale. Ma la perizia del successivo 23 luglio
riconoscerà che, in quella data, il corpo era già in «avanzatissimo
stato di decomposizione».
«Il medico che per primo trova il corpo
del pilota libico a Villaggio Mancuso, sulla Sila - raccontò alla Voce
Franco Piro - ha frequentato con me il liceo classico Bernardino Telesio
di Cosenza. Ci siamo laureati entrambi a Bologna». Piro lo conosce
bene. Da lui apprende che un militare proveniente dalla base F16 di
Crotone gli portò l’ordine di modificare la data sul certificato di
morte: non il 27 giugno, ma il 10 luglio, in tempi non più sospetti.
L’ex deputato socialista, all’epoca molto vicino a Craxi, non rivela
l’identità precisa del medico, ma fa un altro nome: quello di Michele
Papa, avvocato di Catania e nel 1980 «capo di una grossa tv privata di
proprietà libica», ma soprattutto «rappresentante in Italia della
Lafico, la finanziaria di Gheddafi che già allora possedeva azioni
della Fiat».
«Nel settembre 1986 - conferma un recente articolo
del Sole 24 Ore - con "l'assistenza" di Enrico Cuccia e di
Mediobanca, una Fiat di nuovo in salute poté rinegoziare il riacquisto
delle azioni possedute dalla Lafico. I libici riuscirono a spuntare il
prezzo corrente in Borsa, pari a 3 miliardi e 182 milioni di dollari,
vale a dire sei volte l'investimento iniziale del 1976. Risaliva infatti
al 1° dicembre di quell'anno - in un'improvvisa conferenza stampa -
l'annuncio dell'ingresso dei libici nel capitale della Fiat».
HABEMUS PAPA
Anche Michele Papa - lascia intendere
Piro - sarebbe stato a conoscenza del piano Nato e di come fu
“sabotato” da una certa parte della nomenklatura italiana. Ma chi è
veramente Michele Papa? Massone, legato alle Logge coperte di Trapani,
Papa rappresentava per i servizi segreti deviati del nostro Paese, ma
soprattutto per
Ricostruisce Priore: «Nel giugno 1980 -
proprio il mese in cui accadde l’evento di cui è processo - i
repubblicani americani per il tramite di Michel Ledeen, agente
d’influenza americana in Italia chiesero al Sismi, con cui Ledeen era
in contatto in qualità di consulente, aiuto al fine di scoprire le
attività di Billy Carter in Libia. Il Sismi avrebbe rifiutato le
richieste per ovvi motivi, ma il generale Santovito dava comunque
incarico informale della questione a Francesco Pazienza; Pazienza con la
collaborazione di Placido Magrì incaricò a sua volta il giornalista
Giuseppe Settineri di contattare l’avvocato Michele Papa, amico della
Libia, che aveva già avuto rapporti proprio con la delegazione che si
era recata in Libia». Tutto questo, «per creare una campagna
scandalistica che favorisse la vittoria di Reagan alle presidenziali».
Quale fu il vero ruolo di Michele Papa
nella strage di Ustica? Cosa sapeva quell’avvocato, il personaggio
chiave di cui parla Franco Piro? Un appunto sequestratogli nel corso di
una perquisizione avvalora la versione dell’esponente socialista:
c’era un’annotazione manoscritta in cui si leggeva «Aerei libici
con carburante ridotto per non fuggire». Proprio come accadde per il
Mig 23, che quel 27 giugno doveva essere costretto ad atterrare per
consentire al pilota di rivelare al mondo occidentale l’orrendo
crimine di Gheddafi. Non ne ebbe il tempo: i Servizi italiani lo
abbatterono prima che potesse farlo. Anche Papa, dunque, avrebbe
tradito, nascondendo a Gheddafi il piano Nato. E questo spiega il suo
successivo allontanamento da ogni rapporto con i libici ricostruito
negli atti di Priore.
Con la figura di Michele Papa va a posto
anche l’ultima tessera: l’avvocato messinese fa parte infatti del
Parlamento Mondiale per la sicurezza e la pace, organizzazione
paramassonica con sede a Palermo, portata alla luce dalla Voce fin dal
2004 per il suo stretto collegamento con
Nel recente libro della giornalista
triestina Claudia Cernigoi "Operazione foibe: tra storia e
mito" si legge che il Parlamento Mondiale per
Rincara la dose Antimafia Duemila
nell’inchiesta sull’assassinio di Mauro Rostagno: «Le indagini
della polizia rivelano che la loggia "Iside 2", il cui Gran
Maestro è l'insegnante di filosofia Giovanni Grimaudo, è collegata
alla P2 di Licio Gelli ed è stata inaugurata nel 1976 da Pino Mandalari,
già fondatore e Gran Maestro della "Camea" e della loggia di
via Roma 391, entrambe di stampo piduista. Grimaudo è amico
dell'avvocato di Catania Michele Papa, legato a Gheddafi e in stretto
contatto con Santovito e Musumeci, generali massoni del Sismi, e si
suppone che abbia ospitato Gelli tra la fine degli anni '70 e l'inizio
degli '80».
INARRESTABILE PIRO
Comincia con Potere Operaio, l’ex
sessantottino Franco Piro, che dalla natia Cosenza sbarca alla
turbolenta università di Bologna dove conosce leader del movimento come
Toni Negri, Oreste Scalzone e Pancho Pardi. Dal fiero carattere
calabrese attinge intelligenza ed energie per trasformare il suo
handicap motorio in una lunga battaglia a favore dei soggetti
diversamente abili che ancora oggi lo vede protagonista, anche nei panni
di docente universitario allo storico ateneo del capoluogo felsineo. Ma
la stella polare di Franco Piro si chiama Bettino Craxi. E’ lui stesso
a ricordare quell’intenso rapporto politico nella prefazione al suo
"Dall’Europa in Europa – Migrazioni e sviluppo economico,
uscito a maggio 2005". «Nella primavera del 1999 – scrive - mi
recai ad insegnare nell'Università di Tunisi, anche per stargli vicino.
Di venerdì l'Università islamica era chiusa e potevo andarlo a
trovare. Aveva per me un affetto particolare anche se tante volte mi
aveva richiamato all'ordine. Non ero, propriamente, un ortodosso.
Essendo stato 'vergin di servo encomio' potevo ben risparmiarmi il
codardo oltraggio. (…) Con questo lavoro comincio ad onorare
l’impegno che avevo contratto con lui». E’ tra fine anni ottanta e
inizio novanta che quel sodalizio ideale conosce il suo massimo sbocco
quando, con Craxi presidente del Consiglio, Franco Piro assurge alla
carica di sottosegretario alle Finanze.
Proprio in quel periodo Piro chiama i
giornalisti della Voce, vuol conoscere a fondo alcuni particolari delle
inchieste giornalistiche su Paolo Cirino Pomicino pubblicate dal
giornale in quel periodo. Sarà Franco Piro il più strenuo oppositore
dell’ex deputato partenopeo nel famoso Gran Giurì dinanzi ad
un’apposita commissione del Parlamento. E sarà Franco Piro a
presentare, sia a Trento che in Campania, il libro ‘O Ministro di
Andrea Cinquegrani, Enrico Fierro e Rita Pennarola, uscito nel 1991. Fu
nel corso di un incontro privato successivo alla presentazione di Trento
che Piro rivelò alla Voce i retroscena del disastro di Ustica, su cui
indagammo fino al 1994, quando l’arrivo in redazione di Alessandro
Vanno, con i suoi dossier, ci documentò uno scenario che coincideva in
maniera impressionante con la ricostruzione di Piro. Sparito per anni
dalla scena politica, nel 2004 Franco Piro torna in pista con un
exploit: si candida a sindaco di Bologna con il nuovo Psi di Bobo Craxi
contro Sergio Cofferati e l’uscente Guazzaloca. Oggi guida la neo
formazione socialista dopo lo strappo con Gianni De Michelis. E ancora
una volta la sua stella si chiama Craxi.