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Si
moltiplicano i decessi per la "sindrome dei Balcani"
La Difesa lancia un progetto per rassicurare i
soldati
Il
nuovo fronte adesso è l'Iraq
di
Stefano Citati - «La Repubblica» 26 luglio 2004
ROMA
- Ci sono militari italiani che muoiono nel silenzio. Sono vittime di
malattie di guerra. "Sindrome del Golfo", "Sindrome dei
Balcani", adesso, forse, una "nuova sindrome del Golfo".
Due decessi nell'ultimo mese, l'ultimo il 13 luglio. All'ospedale
militare del Celio, a Roma, da alcune settimane sarebbero ricoverati in
un padiglione speciale una ventina di militari che avrebbero interrotto
la missione in Iraq per l'insorgere di patologie legate all'uranio
impoverito. Le associazioni di tutela dei militari hanno inoltre una
lunga lista di giovani soldati che, in tutta Italia e a loro spese, sono
in cura per varie forme tumorali.
Da
quando lo scandalo dell'uranio impoverito è scoppiato, nell'inverno
2000-2001, sarebbero ormai una trentina le morti riconducibili
all'esposizione delle polveri di quello che gli americani chiamano dal
'91 "metallo del disonore". E sarebbero ormai quasi 300 i
militari con malattie "sospette". È per cercare d'arginare
questa marea montante che la Difesa sta per far partire un progetto che
dovrebbe mettere la parola fine alla diatriba sul pericolosità
dell'uranio impoverito. E che secondo le associazioni di tutela dei
militari rischia invece di seppellire definitivamente la verità.
Le
morti dei militari colpiti da queste sindromi tumorali si assomigliano
tutte, ma non sono state finora riconosciute ufficialmente. Questi mali
portano alla morte, ma la morte non porta al riconoscimento della causa
di servizio, a un risarcimento per l'impegno nelle missioni di pace che
in questo decennio - dalla Somalia in poi - hanno coinvolto decine di
migliaia di militari italiani.
Non è bastata la Commissione Mandelli, istituita più di 3 anni fa e
presieduta dall'ematologo romano, per stabilire un nesso certo tra D. U.
- depleted uranium, l'uranio impoverito di cui sono composti i
proiettili, e le corazze, usate prevalentemente dagli americani. Ma la
commissione non ha neanche potuto escludere del tutto una relazione tra
malattie ed esposizioni alle polveri: tanto è vero che ha istituito un
vasto programma di esami per tutti quei militari che sono stati (e sono
tutt'ora) impegnati nel teatro balcanico.
Oltre
40mila persone che ogni 4 mesi per almeno 3 anni - e almeno una volta
l'anno nei due anni successivi - si sarebbero dovute sottoporre a
controlli che ne avrebbero dovuto confermare il buon stato di salute nel
tempo. Questi esami periodici non si stanno invece effettuando con la
regolarità e nel numero stabilito. Secondo fonti mediche delle Forze
armate gli ospedali militari - concentrati soprattutto nel nord - non
sono in grado di svolgere tutti gli screening: manca il personale e
manca la possibilità di tenere sotto controllo una così vasta
popolazione presa in esame.
La percentuale di test svolti si attesterebbe attorno al 50 per cento.
Eppure era stata la stessa commissione Mandelli, sia pur criticata per i
metodi statistici stabiliti per le rilevazioni dei tassi di patologie
tra i militari, ad affermare che un numero percentualmente elevato
rispetto alla media di linfomi Hodgkins (forme tumorali degli apparati
ghiandolari) era stato riscontrato nei gruppi prese in esame.
Dopo tre anni di procedure non rispettate, con esami non compiuti o
compiuti in ritardo, senza tener conto delle tabelle, adesso i vertici
militari avrebbero deciso di trasferire quel che resta del programma di
controlli dagli ospedali militari a quelli civili. Così facendo i costi
degli esami (che variano da pochi euro a qualche decina), si
moltiplicheranno - per un totale di diverse decine di milioni l'anno -
così come si innalzeranno i tempi di attesa per i risultati, visto che
le strutture pubbliche difficilmente riusciranno a rispettare i tempi
prescritti. In tal modo, dicono alcuni esperti, l'efficacia dell'intera
procedura verrà vanificato. L'unica soluzione, si sottolinea, sarebbe
quella di "riunire tutti i malati in un unico ospedale e sottoporli
a esami continui e approfonditi".
Ed è forse per ovviare all'impossibilità d'ottemperare alle
raccomandazioni della commissione istituita nel 2001 che il governo ha
lanciato un nuovo progetto: Signum. Acronimo di "studio di impatto
genotossico nelle unità militari". Finanziato attraverso la legge
del 12 marzo 2004, n° 68 con l'articolo 13-ter (pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale del 18 marzo) che autorizza "la spesa di
1.175.330 per il 2004 (...) per lo studio d'accertamento dei livelli di
uranio e di altri elementi potenzialmente tossici".
A illustrare le modalità e i tempi è stato poi il generale Michele
Donvito direttore generale della sanità militare durante l'audizione
alla Camera del 29 giugno. Su mille militari, scelti su base volontaria,
verranno effettuati esami prima dell'invio in Iraq, considerato
"ambiente significativamente degradato" (in alternativa vi
sarebbero i Balcani); screening che verranno ripetuti sui soggetti,
tutti dotati degli equipaggiamenti di protezione da agenti nucleari,
chimici e batteriologici (Nbc), nei teatri d'operazione e al ritorno dei
volontari in patria.
Prelievi di urine, sangue e capelli che dovrebbero permettere ai diversi
laboratori militari e civili coinvolti nel programma un'osservazione
completa di eventuali "elementi potenzialmente tossici"
(uranio, arsenico, cadmio, nichel - questi ultimi metalli contenuti
nelle batterie di armamenti e mezzi, ndr), ma forse anche i
"cocktail" di vaccini iniettati prima delle missioni e che
qualcuno considera come possibili responsabili dell'insorgere di
patologie tumorali.
Signum
dovrebbe partire alla metà d'agosto e darebbe i primi risultati
"entro 18 mesi". Dovrebbe durare 10 anni, non sarebbe
focalizzato solo sull'uranio ma anche sugli altri agenti ambientali
potenzialmente nocivi, e permetterebbe di porre una "pietra miliare
per tutto il consesso scientifico internazionale".
Per le associazioni di tutela dei militari Signum porrebbe invece una
"pietra tombale" sulle possibilità d'accertare la verità
sull'uranio e sulle altre possibili cause delle malattie che stanno
uccidendo tanti militari. I presupposti della ricerca vengono
considerati sballati, al punto da rendere inefficace, se non falsato,
ogni risultato. Non è possibile considerare scientificamente rilevante
- fanno osservare gli esponenti delle associazioni - un gruppo di
militari dotato d'ogni protezione, mentre si fa rilevare che in passato
(e la pratica durerebbe ancora in Iraq) il personale militare non ha
praticamente mai seguito le misure di sicurezza stabilite dalla Difesa a
partire dal 22 novembre del '99 (gli americani le hanno adottate dal 14
ottobre del '93).
La
sanità militare - che ha sempre ribadito che non vi è alcun nesso tra
esposizione all'uranio e le patologie della "Sindrome del Golfo/Balcani"
- è certa che grazie a Signum potrà confermare definitivamente le sue
convinzioni. Ma allora, si chiedono diversi parlamentari e anche dei
militari, perché lo studio viene condotto solo su soggetti dotati
dell'equipaggiamento Nbc? E perché, nella scheda d'indagine che i
volontari compileranno vi è un punto su "interruzioni spontanee di
gravidanza, patologie dei nati", che sembra confermare i consigli
che da tempo vengono rivolti a chi parte per certi teatri di guerra:
astenersi dal procreare nei successivi 3 anni dal rientro dalla
missione?
Perché in tempi di ristrettezze economiche, alla vigilia della riforma
radicale d'un esercito di soli professionisti, che dovrebbe esser capace
di offrire prospettive attraenti, viene deciso d'investire una cifra
ragguardevole (se la si moltiplica per i 10 anni di durata del progetto)
invece di destinare, come è stato chiesto da alcuni parlamentari, a
istituire un fondo che garantisca le cause di servizio a tutti quei
militari che s'ammalano nello "svolgimento del loro dovere"?
È quello che chiedono alcuni dei militari che soffrono di patologie
tutte simili, quasi sempre tumorali, e che nelle loro case o nei letti
di ospedali, accuditi da familiari o da commilitoni, impegnati in cure
lunghe e costosissime, pronti a divenire cavie della ricerca
scientifica, sperano gli venga riconosciuto di star morendo per un male
che li ha colpiti durante il servizio, mentre pattugliavano un area
contaminata, mentre pulivano armi o mezzi con solventi chimici, mentre
conducevano test con armi in poligoni militari (in Sardegna, ma non
solo), dove negli ultimi decenni sarebbero stati provati ordigni anche
per conto degli altri paesi Nato (dunque anche americani).